Tra carte di Biot per i “russi” pure le relazioni Nato su Kiev

C’erano anche delicate relazioni della rappresentanza d’Italia presso la Nato sulle strategie nella crisi tra Russia e Ucraina, fra i documenti che, secondo i carabinieri del reparto antiterrorismo del Ros, il 30 marzo 2021 il capitano di fregata della Marina Militare italiana, Walter Biot, avrebbe provato a vendere al diplomatico russo Dmitry Ostroukhov. Biot, indagato dalla Procura di Roma e dalla Procura militare, sarà processato in due distinti procedimenti. Con il deposito degli atti, emerge per la prima volta l’oggetto di 6 dei 19 documenti, secondo l’accusa, fotografati da Biot e salvati nella pennetta sequestrata dai Ros. Il più “attuale” è il “reperto S”, datato 26 marzo 2021. Si tratta di “messaggi (…) inerenti la Ministeriale esteri della Nato (Bruxelles, 23-24 marzo 2021)” dove viene “ribadita la ferma condanna della repressione interna in Russia e viene rimarcata l’intensificazione delle azioni destabilizzanti di Mosca (inclusi attacchi cyber e ibridi) rivolte contro alleati e partner (Ucraina, Georgia e Bosnia)”, confermando “un rafforzamento della postura ad est della Nato”. Gli altri report riguardano, tra gli altri, le “strategie globali per sconfiggere Isis”, le “raccomandazioni del segretario generale della Nato Stoltenberg” e la “partecipazione del Primo Ministro della Georgia, Irakli Garibashvili alla Commissione Nato-Georgia”. Non solo. Fra le informative c’è una relazione del Dis (Dipartimento informazioni per la sicurezza) di Palazzo Chigi, in cui si fa riferimento a “una parte del resoconto della riunione ordinaria del Nucleo per la Sicurezza Cibernetica (Nsc) del 28 gennaio 2021” contenente “una delicata recentissima progettualità, la cui diffusione (…) è idonea ad arrecare un danno agli interessi essenziali della Repubblica”. Al Fatto l’avvocato Roberto De Vita, legale di Biot, ha spiegato che “il vincolo di segretezza fu apposto su quei documenti solo dopo la loro acquisizione” e che “l’autorità giudiziaria ha potuto analizzarli, rendendo impossibile una perizia sul danno di fatto arrecato”. Biot non ha mai risposto ai pm. Lo farà al processo.

I soldi di Kabul alle vittime dell’11.9

Joe Biden “tradisce” un’altra volta gli afghani che avevano riposto le loro speranze negli Stati Uniti e nell’Occidente: dopo avere lasciato alla mercé dei talebani migliaia di persone che avevano lavorato con i militari Usa e con i loro alleati, e donne e bambini, con la caotica evacuazione di fine agosto, il presidente Usa ha ora deciso che la metà dei 7 miliardi di dollari dell’Afghanistan, depositati presso la Fed di New York prima che i talebani tornassero al potere, andrà alle famiglie delle vittime degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. La metà restante sarà spesa per l’Afghanistan, sotto forma di aiuti umanitari. I fondi “andranno direttamente alla popolazione afghana, senza finire nella mani dei talebani e di altri attori malevoli”, spiega la Casa Bianca, che legge la notizia come “uno schiaffo ai talebani”, mentre pare piuttosto che ne facciano le spese i poveri diavoli. D’altra parte, i soldi per i superstiti dell’11 settembre e per i familiari delle vittime consentiranno all’Amministrazione di chiudere numerose vertenze aperte negli Strati Uniti: le cause intentate all’Afghanistan, per le responsabilità oggettive del regime dei talebani in quanto avvenuto, sono ormai destinate a restare senza esito. Una delle ragioni alla base della decisione di Biden è la difficoltà di fare pervenire gli aiuti direttamente alla popolazione, con il rischio che i talebani li intercettino e li indirizzino a loro grado. Infatti, nell’ordine esecutivo emanato, il presidente afferma che la redistribuzione degli aiuti terrà conto delle esigenze del popolo afghano, che ne dovrà beneficiare, evitando che le risorse finiscano nelle mani dei talebani o di altri attori.

Con i riflettori dei media ormai solo saltuariamente accesi sulla situazione nel Paese, la condizione degli afghani resta scomoda e pericolosa, soprattutto per le donne e i bambini: violenze, paura, povertà, fame sono loro compagni di vita abituali. Anche dal punto di vista della sicurezza, la situazione resta precaria. Venerdì, due giornalisti sono stati arrestati dai talebani, insieme ai loro collaboratori locali, mentre svolgevano una missione per conto dell’Unhcr. I due sono poi stati rilasciati, ma l’episodio conferma come sia problematico fare oggi informazione dall’Afghanistan.

Sui 7 miliardi si era aperta da mesi una battaglia legale: i talebani, che si pongono in continuità con il governo afghano da loro rovesciato, reclamavano lo sblocco e il controllo dei fondi accumulati presso la Fed di New York dall’ex governo di Kabul. Il ministero degli Esteri dei talebani ha chiesto a più riprese di potere disporre delle risorse, considerate essenziali per evitare una crisi umanitaria. La Casa Bianca temeva, invece, che potessero essere usate per tenere sotto controllo e reprimere, più che per aiutare, la popolazione.

Ora Biden minaccia Putin. Mosca: “America isterica”

Se la Russia invaderà l’Ucraina, gli Stati Uniti e i loro alleati risponderanno “in modo deciso” e faranno pagare a Mosca “costi severi”: è il messaggio consegnato da Joe Biden a Vladimir Putin, nella loro conversazione telefonica di ieri pomeriggio. La speranza di evitare un intervento militare russo in Ucraina, che aprirebbe un conflitto nel cuore dell’Europa e scaverebbe un solco tra Mosca e l’Occidente, è stata affidata a 62 minuti di colloquio fra i presidenti Usa e russo, dalle 17.04 alle 18.06 ore italiane. A fine giornata, però, la Casa Bianca non vedeva “un cambio di scenario fondamentale”, nonostante il Cremlino continui a negare di avere “intenzione di invadere l’Ucraina” – parole del ministro degli Esteri, Serghey Lavrov.

L’urgenza del colloquio, preceduto da contatti separati tra i ministri degli Esteri e della Difesa, era avvertita soprattutto da Biden. Putin avrebbe pure aspettato la prossima settimana. La telefonata è avvenuta su una linea di comunicazione sicura a Camp David, dove Biden passa il fine settimana. Con il presidente c’era parte del suo staff per la sicurezza nazionale.

L’obiettivo del colloquio era tracciare un sentiero diplomatico nella tensione militare, palpabile e crescente in queste ore, con un numero imponente di forze russe e loro alleate schierate su tre lati lungo i confini ucraini. L’insistenza e le pressioni americane e britanniche hanno fatto sì che, ieri, per la prima volta, si percepisse una sorta di ineluttabilità d’una tragedia basata su un paradosso: Putin non vuole che l’Ucraina entri nella Nato e la Nato non vuole farla entrare, ma non può dare una sorta di diritto di veto a Mosca. Nonostante l’intreccio di contatti, una fonte della Casa Bianca esprimeva dubbi “sull’interesse russo a una soluzione diplomatica”, mentre Washington “prosegue gli sforzi per scoraggiare il Cremlino ad agire”. Le conversazioni Usa-Russia si sommano a quelle fra altri protagonisti della diplomazia ucraina: Putin ha di nuovo parlato con il presidente francese Macron, che ha di nuovo parlato pure con il cancelliere tedesco Scholz e con il presidente ucraino Zelenski.

Macron e Scholz – riferiscono fonti dell’Eliseo – sono “perfettamente allineati” nelle loro posizioni “sulle prossime tappe delle discussioni nel formato Normandia – Russia, Ucraina, Francia e Germania – riguardanti le condizioni della sicurezza collettiva in Europa”: vuol dire aggiornare e rendere efficaci gli Accordi di Minsk.

Ma, nonostante tutti questi contatti, la percezione prevalente è che il momento dello showdown s’avvicini: un funzionario del Dipartimento di Stato che dice ai media che “un conflitto in Ucraina è sempre più probabile” e fonti d’intelligence ne indicano addirittura la data, mercoledì 16 febbraio, prima della fine dei Giochi d’Inverno a Pechino.

Salvo poi correggere il tiro, asserendo che le informazioni raccolte potrebbero “essere parte della campagna di disinformazione di Mosca”, come scrive il New York Times. Il Cremlino denuncia “l’isteria” dell’Amministrazione Biden, Zelensky dice che i moniti degli Usa “causano il panico”, mentre lui non ha ancora visto prove concrete di un’invasione imminente. Dopo avere consigliato ai cittadini statunitensi di lasciare o evitare l’Ucraina e chiesto al personale diplomatico non essenziale di venirne via, Biden ha pure ordinato “il temporaneo riposizionamento dei soldati della Guardia Nazionale della Florida fuori dall’Ucraina”, come “misura precauzionale per la sicurezza del nostro personale”. Sono stati così ritirati circa 160 istruttori militari – gran parte della Guardia nazionale della Florida, oltre a una ventina di Berretti Verdi – di stanza in una base sul confine tra Ucraina e Polonia.

I Dem accusano la Cia di violare la legge: “Spiate gli americani”

Un alveare di dati raccolti a grappolo dalla Cia, senza permesso, sugli stessi cittadini dello Stato che dovrebbe proteggere e non spiare: quello degli Stati Uniti. L’operazione di controllo è stata compiuta per decenni non in terre straniere, come da ingaggio, ma in patria. La Central Intelligence Agency possiede un archivio segreto di informazioni ottenute in blocco con un programma di sorveglianza senza mandato, che agisce “al di fuori del quadro statutario che il Congresso e il pubblico ritengono governino la raccolta di informazioni” sul suolo a stelle e strisce.

Lo rivelano dei documenti declassificati e resi pubblici solo un paio di giorni fa a Washington: il 13 aprile 2021, due senatori democratici, Ron Wyden, rappresentante dell’Oregon, e Martin Heinrich, eletto in New Mexico, hanno accusato, con una lettera scritta a quattro mani, i vertici di Langley. I due dem, entrambi membri del Comitato di Intelligence del Senato hanno richiesto a William J. Burns (nella foto), direttore dell’agenzia, di fare chiarezza soprattutto su contenuti e dettagli dell’operazione di raccolta dati. Parte della loro missiva è ora consultabile, ma rimane oscurata quella che riguarda natura e specifiche delle informazioni che i servizi segreti hanno ammassato negli ultimi decenni, molto probabilmente violando le libertà civili dei cittadini Usa.

Per i due senatori l’agenzia ha tenuto nascosto al Comitato del Senato la sua attività, perché forse – suggeriscono sempre i dem – la stessa esistenza del programma poteva violare gli atti legislativi emanati negli ultimi anni “che limitano e, in alcuni casi, proibiscono la raccolta senza mandato” dei dati dei cittadini Usa. Il senatore Wyden è un veterano degli interrogativi scomodi, famoso per le sue domande e una celebre l’ha già posta ad alta voce nel 2013 a James Clapper, all’epoca direttore della National Intelligence. Clapper rispose “no” quando gli fu chiesto se raccoglieva dati su milioni dei suoi cittadini. Nello stesso anno, a smentirlo come aveva già provato a fare Wyden, ci pensò il whistleblower Edward Snowden.

Ora il salvacondotto della Cia ha 5 cifre. L’agenzia può sempre appellarsi al twelve triple three, “dodici doppio tre”: è come tra i corridoi gli agenti dei servizi segreti chiamano l’ordine esecutivo 12333, l’unica vera base giuridica che permette alle agenzie di operare oltre il limite consentito, un documento nato nel 1981 sotto la presidenza di Ronald Reagan.

“Spie Russe a Bergamo?. Era una missione sanitaria”

“Secondo notizie di stampa, nel contingente militare russo inviato in supporto all’Italia nel contrasto all’emergenza sanitaria da Covid-19 nelle province di Bergamo e Brescia nel marzo/aprile del 2020, sarebbe stato presente personale dei servizi segreti russi. Tale vicenda è stata oggetto di una richiesta di informazioni al Dis e di richieste di chiarimenti (…). Da quanto si è appreso, la missione russa si sarebbe svolta esclusivamente in ambito sanitario con il compito di sanificare ospedali e residenze sanitarie assistenziali (Rsa) e il convoglio si è mosso sempre scortato da mezzi militari italiani”.

È una delle affermazioni contenute nella relazione annuale che il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), l’organo che controlla l’attività dei servizi segreti, ha consegnato lo scorso 9 febbraio. E che smentisce una bella sfilza di giornali sulle presunte manovre russe nella provincia lombarda dove, con il pretesto del Covid, si sarebbe invece svolta un’intensa attività di spionaggio.

“Bergamo: Virus, spie e vaccini” Repubblica, 20 giugno 2021; “Domandine a Di Maio: chi ha pagato il ponte aereo alla Russia?” Il Foglio, 18 aprile 2020; “Tra i soldati russi con gli aiuti anche ufficiali dell’intelligence” La Stampa, 2 aprile 2020; “Dalla Russia con amore (solo)?” editoriale di Repubblica del 26 marzo 2020; “Da Cuba a Mosca: a cosa puntano gli “strani” amici che Roma elogia” Il Corriere della Sera, 27 marzo 2020. E si potrebbe continuare a lungo. La campagna serviva ovviamente a screditare il governo Conte-2 impegnato nell’emergenza Covid. Il Copasir si è applicato alla vicenda, ha convocato anche i direttori dei due bracci operativi dei Servizi, l’Aise e l’Aisi, scoprendo non solo che quelle attività non c’erano, ma anche che il convoglio russo è sempre stato scortato.

Italia-Francia Il rapporto è sorprendentemente ricco di molte altre analisi che stonano con le narrazioni dominanti. Si prenda il trattato Italia-Francia sontuosamente definito il ‘Trattato del Quirinale’ siglato il 26 novembre 2021 e presentato come un capolavoro diplomatico anche del presidente della Repubblica. Il Copasir fa invece notare che il Trattato riguarda “settori connessi con la sicurezza nazionale” e che la possibilità di soffermarsi sui contenuti del testo si è data solo dopo la firma del trattato. “Mentre in vista della sottoscrizione del Memorandum sulla Via della seta, il governo (Conte, ndr.) intese preventivamente coinvolgere l’Organo parlamentare in un confronto sui temi della sicurezza nazionale interessati, analogo preventivo coinvolgimento non si è verificato nel caso del trattato con la Francia”, quindi con il governo Draghi. Il Copasir raccomanda allora alle Camere, nell’ambito dell’approvazione del trattato, “la necessità di un’adeguata tutela degli asset strategici in ambito finanziario e industriale italiani che spesso, negli ultimi anni, sono stati oggetto di interesse da parte di attori statuali e di mercato esteri, anche francesi”. Alla lettera sembra una “bacchettata”.

Stellantis Il tema degli interessi nazionali, trattandosi di attività di intelligence, è ovviamente il cuore del documento che complessivamente ha un respiro piuttosto nazionalista. Si pensi all’invito alla Cassa Depositi e Prestiti (sotto controllo pubblico) a un “eventuale ingresso” in Stellantis (la ex Fiat) per “favorire un ribilanciamento di pesi tra la componente francese e quella italiana”.

Forte è poi l’insistenza sulla centralità dell’”intelligence economica” come chiave di volta della sicurezza nazionale. Non solo il golden power, ma più direttamente la capacità di ricavare informazioni in ambito economico e finanziario. Altro che centralità degli organismi sovranazionali. Anche la Difesa europea, che nei piani attuali prevede un contingente operativo di soli 5000 uomini (contro i 6500 della sola Italia) viene relativizzata.

Lo Stato italiano deve certamente avere una dimensione internazionale e collegata alle tradizionali alleanze. Ma nel caso ucraino si sottolinea la necessità di “mantenere aperti i canali di dialogo con la Russia” mentre alle storiche missioni militari collegate alle direttive statunitensi si sostituisce l’interesse per il “Mediterraneo allargato”. Un testo di politica internazionale quanto mai chiaro e diretto.

Mail box

 

Non dobbiamo abituarci ad avere meno diritti

Vorrei esprimere un pensiero in difesa dei diritti che ci sono stati tolti e ricordare, a noi stessi e a chi abbiano intorno, che se non ci sono motivi validi per metterla in atto, l’esclusione di qualcuno da qualcosa resta disumana. Ci sono valide ragioni per negare a una persona non vaccinata la possibilità di sedersi nell’area all’aperto di un bar per un caffè? Oppure per negare a una persona che ha fatto due dosi di vaccino, più di sei mesi fa, di entrare in biblioteca anche se munita di tampone negativo? Io non credo che ci siano valide ragioni. L’uso del Green pass, così com’è oggi in Italia, è sbagliato. Non penso che il Green pass sia utile come “misura di sanità pubblica”, ma in un certo senso, è qualcosa che ci misura: misura la nostra capacità dia vere un comportamento umano in un momento di crisi; misura la nostra facoltà di avere una prospettiva ampia della situazione, senza giudicare o temere o condannare chi non la pensa come noi. Ce l’ho, il Green pass. Ma mi sento a disagio a usarlo: nei confronti dei miei principi e a disagio nei confronti degli altri.

Marianna D’Alfonso

 

Ma Draghi non fermava lo spread col pensiero?

Lo spread a gennaio 2021, quando il premier era Giuseppe Conte, stava a 105 punti. Il mese successivo, i giornaloni festeggiarono l’avvento del Sol invictus: “Finalmente alla luce dell’Altissimo spezzerà le reni allo spread”. Oggi, nonostante lo splendore di cotanta Lux, è lievitato a 166 punti, e le sue reni godono di ottima salute. Perché i giornaloni non favellano più sull’ascesa all’empireo dello spread?

Maurizio Burattini

Secondo lei?

M. Trav.

 

Una campagna contro i quesiti sulla giustizia

Ormai si è capito dalle dichiarazioni del presidente Giuliano Amato che i referendum sulla giustizia saranno approvati dalla Corte Costituzionale. Voi del Fatto dovete fare una campagna affinché vincano i No ai referendum sulla giustizia, perché se dovessero invece prevalere i Sì, i magistrati saranno sotto il potere del governo. Tra l’altro, tutto ciò va contro i trattati europei, e non dimentichiamoci che la Commissione europea ha multato la Polonia per la legge costituzionale che ha messo magistrati e giudici sotto il potere del governo.

Alessandro Tesi

Certo, abbiamo già iniziato la campagna per il No e speriamo che riscuota lo stesso successo del referendum (costituzionale) del 2016 contro la schiforma incostituzionale Renzi-Boschi-Verdini.

M. Trav.

 

DIRITTO DI REPLICA

È completamente destituita di fondamento la notizia, apparsa sul vostro giornale di ieri, secondo cui il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao avrebbe esercitato pressioni indebite per escludere il Poligrafico dello Stato dalla gara per il Cloud e che ci sarebbe una inchiesta relativa a tali presunte e inesistenti pressioni del ministro. La notizia riportata dal Fatto è gravemente lesiva dell’immagine e della reputazione del ministro e va decisamente smentita. È peraltro destituita di fondamento anche la notizia che la cordata Tim, Leonardo, Cdp e Sogei sia stata scelta per la realizzazione del Cloud di Stato, atteso che la gara è stata appena bandita dalla società Difesa e servizi del ministero della Difesa ed è ancora in corso.

Ufficio Stampa Mitd

Precisiamo al riguardo che la vicenda delle presunte pressioni riguardanti la procedura per la selezione del progetto da mettere a gara per la realizzazione del Polo strategico nazionale del Cloud – al centro di un’inchiesta della Procura di Roma e raccontata dal Fatto nei mesi scorsi – riguarda il ministero dell’Economia, azionista del Poligrafico, e non il ministro della Transizione digitale Vittorio Colao, erroneamente citato nell’articolo. Un errore, del tutto incolpevole, di cui ci scusiamo con il ministro.

Fq

Fiumi e dolore, la lezione del Papa

 

“L’occhio attento ha notato che l’orologio del Papa segnava stacchi di circa mezz’ora tra una domanda e l’altra, segno che il colloquio con Francesco sarebbe stato registrato e non trasmesso in diretta”.

Dai giornali

 

Oggi lo spazio di questa piccola rubrica è dedicato a Papa Francesco. A cui, forse, domenica scorsa, Fabio Fazio non ha fatto tutte le domande che ci aspettavamo (abusi sessuali nella Chiesa, preti pedofili, gli scandali finanziari del Vaticano). Ma da cui, certamente, ha (abbiamo) ricevuto le risposte che non ci aspettavamo. Tra le tante ne abbiamo scelte cinque.

1) “Una volta ho letto un articolo molto bello: ‘Il tatto è il senso più completo, più pieno, quello che ci mette la realtà nel cuore’. Quando qualcuno viene a consultarmi o a confessarsi, io domando: ‘Tu dai l’elemosina?’. ‘Sì, sì, sì’. ‘E quando tu dai l’elemosina, tocchi la mano della persona?’. Ah, non so non me ne sono accorto’. ‘E tu guardi negli occhi, o guardi da un’altra parte?’. Toccare, farsi carico dell’altro. Ma se noi guardiamo senza toccare con le nostre mani cos’è il dolore della gente, non potremo mai mettere soluzione a questo, mai potremo trovare una via. E qui è la cultura dell’indifferenza. Io guardo da un’altra parte e non tocco. O guardo a distanza”. 2) “Ho ascoltato una canzone bellissima di Roberto Carlos poco fa: ‘Papà, perché il fiume non canta più?’. ‘La verità, figlio mio è che il fiume non c’è più. Lo abbiamo finito noi’. Il capo degli scienziati italiani in un convegno che si è tenuto qui in Vaticano alcuni mesi fa, ha detto questo: ‘La mia nipotina, nata alcuni giorni fa, se le cose non cambiano, dovrà vivere, entro trent’anni, in un mondo inabitabile’”. 3) “No al chiacchiericcio. Se tu hai una cosa contro l’altro, o te la mangi o vai da lui e dilla in faccia. Essere coraggiosi, coraggiose. Ma no, c’è qualcosa di dolce nel chiacchiericcio degli altri e questo distrugge”. 4) “I genitori che non sono vicini ai figli, che per stare tranquilli: ‘Ma prendi la chiave della macchina, vai’, questi non fanno bene. I genitori devono essere, mi permetto la parola, quasi complici: complici con i figli. Quella complicità genitoriale che fa che crescano insieme, padri e figli. E questo è tanto bello”. 5) “Per me, una domanda a cui non sono mai riuscito a rispondere e che alcune volte mi scandalizza un po’ è: ‘Perché soffrono i bambini?’. Io non trovo spiegazioni a questo. Io ho fede, cerco di amare Dio che è mio padre, ma mi domando: ‘Ma perché soffrono i bambini?’. E non c’è risposta”. Il testo completo delle parole di Francesco andrebbe ritagliato e tenuto sul comodino per rileggerlo con attenzione quando certe sere ci sembra di perdere il contatto con la realtà che abbiamo intorno. Dovrebbero farlo i parroci per rinfrescare le loro omelie – troppo spesso astratte, noiose, rituali – attingendo direttamente a quelle che sono le domande esistenziali più semplici, e che dunque hanno le risposte più complesse. Dovrebbero farlo gli uomini politici quando parlano dalla luna per ritornare ogni tanto sulla terra. Dovremmo farlo, infine, noi giornalisti, ormai talmente ebbri di “chiacchiericcio” che non ci rendiamo conto quanto sia triste, imbarazzante, stupido dedicarsi all’orologio del Papa, e perdersi tutto il resto.

Antonio Padellaro

Ai discepoli: “Beati gli ultimi, ovvero: impariamo a essere felici con niente”

Luca inquadra Gesù da solo su una montagna a pregare. È notte. C’è una luce puntata su di lui. La luna, forse. Vediamo la sua sagoma. Ma appena viene giorno il Maestro agisce: si riunisce ai suoi discepoli che erano nei paraggi, e ne sceglie dodici, gli “apostoli”. Dodici, come le dodici tribù del popolo di Israele. Con loro discende la montagna dove si trovavano. Che cosa si saranno detti? Non lo sappiamo. Luca ci fa vedere, ma non sentire. Si fermano in un luogo pianeggiante. Sul monte Gesù era inquadrato col teleobiettivo: solo. In pianura, Luca invece usa il campo largo e inquadra una gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente che si era radunata. C’è il mondo in quella pianura.

Con una mossa veloce, Luca torna a inquadrare Gesù solo. Anzi: inquadra solamente un dettaglio, gli occhi. Un fermo immagine potente: gli occhi di Gesù si alzano verso i suoi discepoli. Poi più nessuna immagine, e si accende il sonoro perché Gesù apre la bocca e parla. Il suo è un discorso ritmato da quattro “Beati voi” e quattro “Guai a voi”. Non è un elenco, né un discorso astratto e in generale: Gesù si rivolge alla gente con un “voi”. Beati voi!… Rallegratevi!… Esultate!. E poi guai a voi!… guai a voi!… guai a voi!… guai! Parla di casi concreti, di situazioni della vita. Chi sono i “beati”? Sono i poveri, chi ha fame, chi piange, chi è odiato, messo al bando, insultato, disprezzato. Perché sono loro che saranno saziati, che rideranno; loro sarà il regno di Dio e grande sarà la loro ricompensa nel cielo. E chi è nei “guai”? I ricchi, i sazi, coloro che adesso se la ridono e coloro che tutti elogiano. Perché loro avranno fame, piangeranno, saranno nel dolore. E tutto questo avverrà in quel giorno. La visione di Gesù è tutta sbilanciata su un giorno in cui tutto si capovolgerà. Egli ribalta i sistemi di valutazione di una vita riuscita. E lo fa in maniera sconvolgente e senza mezze misure.

Ci scopriamo all’improvviso miopi. Il Maestro sta dicendo che vediamo quel che ci accade sotto gli occhi, sì, ma ci sfugge il senso della storia. Consideriamo il provvisorio come definitivo. Basta leggere l’elenco di beatitudini e guai per capire che il mondo dipinto è sottosopra, la percezione delle cose risulta fallata, i criteri di giudizio su una vita (anche la propria) inutili. C’è un giorno, quel giorno, nel quale il giudizio sulla realtà ci lascerà sconvolti perché scopriremo che non era così come pensavamo, che nulla avevamo capito del successo nella vita. Capiremo che la luce che ci attirava era solo quella degli strass di bigiotteria, e il buco nero della vita invece condensava una luce folgorante. Che un certo modo di godere è grottesco.

C’è potenza fauve di rivoluzione nelle parole che dipingono il regno di Dio perché ci fanno perdere l’orientamento. Potrebbero essere ben illustrate dalle pennellate di de Vlaminck. I guai certamente da quelle di Munch. Ma sarebbe un errore pensare alle parole di Gesù come una condanna senza appello o addirittura una vendetta contro i “ricchi”. No, la sua non è una puntata della telenovela Anche i ricchi piangono. Quel “guai” sarebbe tradotto meglio con “ahimè”: c’è lamento per coloro che si illudono di essere pieni e invece saranno vuoti. È una critica delle illusioni. C’è un appello al cambiamento. C’è pena per una vita sprecata. Quello di Gesù, dunque, è un avviso a non sprecare la vita. Le beatitudini, nuovo codice della legge evangelica, ci restituiscono quello che disperatamente cerchiamo: la felicità di pensare un mondo diverso. Anzi: la possibilità di pensare di essere felici, nonostante tutto.

 

 

Quando la Repubblica perde la sua bussola

Viene “il Giorno del ricordo” e si moltiplicano le esortazioni a ripensare alle migliaia di italiani vittime di morte, e di esilio forzato (decine di migliaia) in un suo sanguinante confine, quando l’Italia ha perso la guerra che non doveva fare. Il ministero della Istruzione ha mandato la sua circolare di istruzioni sul “giorno del ricordo”, e in queste pagine non felici qualcuno, a nome di quella burocrazia, ha mostrato un vuoto pauroso di coscienza e conoscenza. Ha voluto chiarire che “il Giorno del ricordo” è dedicato “alla categoria italiani” mentre “il Giorno della Memoria” della Shoah riguarda “la categoria ebrei”. Il ministero che ha in cura l’educazione dei ragazzi ha lanciato una gara di morte tra due date dolorose di eventi diversissimi, indicando anche l’esistenza di una linea di demarcazione tra due campi di vittime (uno dei quali immenso). Il funzionario del ministero dell’Istruzione ha così fatto scattare una macchina del tempo che, ancora una volta, isola e abbandona gli ebrei, nessuno dei quali, in questa tabella, è italiano.

Viene il giorno dei referendum popolari, che vengono presentati alla Corte Costituzionale del neo presidente Giuliano Amato. I due referendum, che sono anche la chiave di un cambiamento profondo del sentire pubblico e personale degli italiani. E il restituire ai cittadini il possesso della propria vita, riconoscendo il diritto di rinunciare quando il continuare diventa disumano e impossibile. La vicenda di Fabo, personaggio noto, reso paraplegico da un incidente, a sostegno del quale Marco Cappato si è assunto la responsabilità, vietata dalla legge italiana, di guida e sostegno verso la fine possibile fuori dai nostri confini, è diventato il simbolo. I giudici italiani hanno assolto Cappato. Ma ora abbiamo un caso straordinario e inaspettato in più, quello di “Mario”, un malato sfinito dal dolore, che ha ottenuto dal Comitato etico della sua Regione, le istruzioni per il fine-vita. Più di un milione e mezzo di italiani hanno firmato la legge di iniziativa popolare sull’eutanasia. Fra pochi giorni sul tavolo del nuovo presidente della Corte Costituzionale, i pezzi ci saranno tutti e basterà congiungerli, assicurando la realizzazione del referendum. Questa è la volta in cui la Corte Costituzionale deve decidere di fare ciò che il Parlamento ha finora rifiutato. Si ricorderà che nessun partito si è fatto avanti, che la sinistra non è meno attenta di quanto non sia la destra agli umori della Chiesa, che l’aula, spesso, si è fatta trovare vuota quando è in discussione il fine vita, che il Papa, dopo una comparsa molto liberal in televisione, è tornato per l’occasione a fare il Papa con l’affermazione di tempi lontani secondo cui anche i non credenti devono obbedire. Trattando dunque il fine vita volontario da omicidio.

Amato, da nuovo presidente della Corte, sta per uscire (può uscire) da una condizione che ha sempre segnato la sua vita: essere sul punto di dare una spinta in avanti alla Repubblica. Oppure decidere che non è (o non è ancora) il momento o proseguire con paziente tolleranza (che i più ritengono saggia) di lasciare le cose così come sono. Ma il tempo gira veloce e Amato non è presidente a vita. Io credo che lo sappia e che veda le grandissime dimensioni che ha la questione che adesso lo riguarda, Il fine vita libero e riconosciuto (all’interno delle regole necessarie) cambia il livello di civiltà di un Paese.

Viene il giorno del Parlamento amputato. I cittadini si sono già dimenticati che una parte della Camera e una parte del Senato sono state sfoltite di un terzo. Comunque una parte della forza lavoro delle due Camere già adesso non esiste più e la delicata macchina funziona divisa in tre parti. Alcuni sanno con certezza che sono stabili e fissi. Alcuni sanno con certezza che stanno vivendo l’ultima esperienza. Alcuni sperano. È una buona cosa che i referendum popolari debbano passare attraverso lo scrutinio della Corte, altrimenti non passerebbero più perché nessuno dei tre terzi delle Camere mutilate lo desidera o attende. C’era, ed è diventato grande da tempo, un distacco profondo tra Parlamento (non l’istituzione ma i partiti che lo occupano) e popolo (o cittadini, o elettori). Quel distacco si è fatto per forza più grande con le sforbiciate inflitte alle due Camere, chiamandole ora risparmio, ora riordino del lavoro e inserendo anche un tentativo di cancellare il Senato. Vi immaginate i superstiti provvisori tesi a inseguire le leggi di iniziativa popolare per discuterle o approvarle? Così come Mattarella e Draghi hanno fatto da fermacarte al vento furioso di una lunga e continua rivolta dentro le istituzioni o fuori dalle istituzioni, allo stesso modo Amato farà da fermacarte ai referendum di iniziativa popolare, soprattutto cannabis e fine-vita. E i due referendum ci saranno. Del resto cos’altro vedete all’orizzonte ?

 

A Los Angeles ci sono già gli avvisi per “troppa calura”

In Italia – La tempesta di foehn che lunedì 7 febbraio ha spazzato valli e pianure sudalpine è stata tra le più intense degli ultimi decenni. Molti danni a Milano dove le raffiche hanno toccato i 95 km/h al Parco Lambro, scoperchiato in parte il tetto della Stazione Centrale, decine di alberi caduti e due pedoni feriti a Rho, inoltre inconsuete folate a 103 km/h a Como, 111 a Vicenza e 136 a Bussoleno in Val Susa. Vento e siccità hanno facilitato gli incendi boschivi, uno dei quali ha bruciato per tre giorni presso Lanzo Torinese. Rovesci e burrasca di tramontana al Meridione tra lunedì e martedì, poi si è ristabilito un tiepido anticiclone con temperature precocemente primaverili, massime di 19 °C a Ferrara e 20 °C a Latina e Olbia tra mercoledì e giovedì. Ora la novità è il temporaneo cedimento dell’alta pressione che a inizio settimana permetterà a una perturbazione atlantica di riportare piogge e nevicate in montagna al Settentrione, come non si vedeva dal 5 gennaio al Nord-Est e perfino dall’8 dicembre in Piemonte, ma non basterà questo a spegnere con efficacia il secco, che si riprenderà in seguito. Il Cnr-Isac comunica che gennaio 2022 è stato “solo” il trentatreesimo più caldo dal 1800 con 0,5 °C sopra media a livello nazionale, per effetto di temperature normali lungo la penisola e perfino leggermente più fredde del solito in Sicilia, mentre il Nord-Ovest e le Alpi, oltre alla siccità, hanno vissuto una notevole anomalia tiepida, anche 3 °C di troppo in montagna e gennaio più mite in un secolo all’osservatorio di Oropa, Biellese. Da martedì 15 a sabato 19 febbraio si terrà all’Università degli Studi di Milano il congresso dell’Associazione italiana di Scienze dell’atmosfera e meteorologia, con un programma dedicato a sistemi osservativi, previsioni, fisica atmosferica e cambiamenti climatici.

Nel mondo – Secondo il servizio di monitoraggio della Terra Eu-Copernicus gennaio 2022 è stato il sesto più caldo nel mondo e tra i dieci più caldi in Europa nella serie satellitare dal 1979, rispettivamente con 0,3 °C e 0,8 °C sopra la media dell’ultimo trentennio. Anticicloni e siccità hanno dominato nell’Ovest del nostro continente, in Portogallo gli invasi artificiali sono talora a meno di un quinto della capacità, e in questi giorni la superficie innevata di Alpi e Pirenei era ai minimi in vent’anni per il periodo (54% e 13% delle rispettive regioni montuose). L’impatto del ciclone tropicale “Batsirai” in Madagascar è stato devastante, almeno 111 vittime, distrutti dalle alluvioni decine di ponti e strade e migliaia di edifici, in un territorio già provato dal passaggio di “Ana” a metà gennaio. Il tempo è tornato insolitamente caldo negli Stati Uniti dopo le bufere di neve delle settimane scorse. In California – reduce dal secondo gennaio più secco in 128 anni di osservazioni – il vento desertico di Santa Ana ha alimentato incendi e fatto balzare i termometri a 33 °C nell’area metropolitana di Los Angeles, dove il National Weather Service ha emesso un raro avviso invernale di calura. Caldo straordinario anche nell’estate australe della Nuova Zelanda (primato di 32,7 °C a Whanganui, isola del Nord) e della Penisola antartica (13,6 °C nell’Isola di Re Giorgio), mentre inconsuete nevicate da oltre mezzo metro hanno coperto lo stato himalayano del Bhutan. La notizia di un incoraggiante risultato di un test intermedio nella sperimentazione della fusione nucleare ottenuto a Oxford ha ricevuto molta enfasi. Si tratta però di una tappa ancora molto lontana dalla possibile operatività di un reattore commerciale, per la quale occorreranno altri decenni di ricerca scientifica. Quindi, senza facili illusioni, proseguiamo la lotta al cambiamento climatico con gli strumenti che abbiamo: risparmio energetico e fonti rinnovabili.