Cosa accade dopo la morte? Non si è più intelligenti di prima

E per la serie “È lei l’idiota no sono quello di fronte”, la posta della settimana.

Caro Daniele, cosa succede dopo la morte? (Roberta Palladino, Campobasso)

Chiederselo è inevitabile, nel periodo di Ognissanti, ed è più che legittimo, dato che da questa biglia celeste non si esce vivi; in più, le curiosità sul Grande Forse, a volerle coltivare, possono dare spunti formidabili per la creazione di cartoni animati deliziosi (“Coco”, con cui la Pixar vinse due Oscar nel 2018). La Chiesa, ovviamente, condanna lo spiritismo, dato che è un concorrente commerciale: se c’è un aldilà senza Dio, il controllo delle anime sulla Terra, con tutte le sue prebende, va a puttane. Crederci non è obbligatorio; comunque, a oggi, quello che si sa dalle fonti non ciarlatane (due, nel secolo scorso, in parti del mondo fra loro agli antipodi) è piuttosto consolante. Una volta contattati, i morti (i “disincarnati”) dicono tutti che:

– nell’aldilà hanno forma umana;

– hanno ignorato, per un tempo anche lungo, di essere morti;

– hanno ricordato, nella crisi pre-agonica o poco dopo, tutti gli avvenimenti della loro vita (“visione panoramica”, epilogo della morte);

– sono passati attraverso una fase più o meno lunga di sonno riparatore;

– si sono ritrovati in un ambiente spirituale radioso e meraviglioso (i defunti moralmente sereni), o in un ambiente tenebroso e opprimente (i defunti moralmente corrotti);

– sono stati accolti nell’aldilà dagli spiriti dei loro famigliari e dei loro amici defunti;

– l’aldilà è un nuovo mondo sostanziale, reale, analogo a quello terrestre: nell’aldilà il pensiero è una forza creatrice, con cui ogni defunto può riprodurre intorno a sé l’ambiente dei suoi ricordi (come accadeva in Solaris, il capolavoro di Tarkovskij);

– nell’aldilà si comunica con la trasmissione del pensiero, sebbene i neo-defunti credano di parlare tramite la parola;

– possono trasferirsi all’istante da un luogo all’altro, anche lontano, con un atto di volontà; ma si può passeggiare, e pure sollevati dal suolo;

– si gravita verso la sfera spirituale adatta a sé grazie a una legge di affinità;

– ci si continua a occupare delle cose di cui ci si interessava in vita;

– da morti non si è più intelligenti di prima;

– non tutti i morti sono staccati dalla Terra: molti continuano a frequentare i luoghi che furono loro cari, per un periodo più o meno lungo, persistendo nell’illusione di essere ancora vivi, come in preda a un sogno bizzarro, a un incubo opprimente;

– dopo il trapasso, non si ha la sensazione di essere morti. A proposito: voi siete sicuri di essere ancora vivi? Sì? Con quella faccia? Dolcetto o scherzetto? Bù!

Non so se credere al mio ragazzo. Dice che ha preso la mononucleosi baciando una tazza del cesso in Marocco. È possibile? (Annalisa Orengo, Bordighera)

Tutto è possibile. Io una volta ho preso la scabbia facendo petting con un bidet in Croazia.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi! (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

Renzi peggio di Maramaldo se la prende con l’ansia

Esiste, e ne siamo ormai esperti, un’antropologia renziana fondata su una legge di brutale semplicità: bisogna agire sempre per interesse personale, se necessario contraddicendosi e cadendo nell’aporia, in ottemperanza all’unico imperativo morale, che è quello di ostacolare e screditare chi detiene il potere che si vorrebbe per sé. Il merito è indifferente. “Servono decisioni basate su valutazioni scientifiche e non su emozioni irrazionali”, dice oggi colui che il 28 marzo, con 3856 ricoverati in terapia intensiva e 889 morti in un giorno, disse che bisognava riaprire prima di Pasqua fabbriche, negozi, librerie, messe e dal 4 maggio le scuole, guadagnandosi apprezzamenti di tutta la comunità scientifica che andavano da “irrealistico” (Burioni) a “folle” (Lopalco).

A dargli retta, adesso staremmo alla terza ondata, invece che alla seconda. Perciò lo storytelling

è favoloso: Conte agisce non ascoltando gli esperti, ma le “ansie di alcuni ministri preoccupati”, quando non c’è di che esserlo. Il Dpcm riflette questa emotività: “È un decreto che non riduce il numero dei contagiati, ma aumenta il numero dei disoccupati”. Dove avrà preso il Centro Studi di Italia Viva questo dato? Ma da nessunissima parte: Renzi cavalca la prevedibile ascesa dei contagi nei prossimi 15 giorni, quando ancora gli effetti delle misure non si saranno dispiegati, facendo credere che dipenderà da queste stesse misure. È una sfida alla logica, infatti ripete tutto a pappagallo Bellanova, ministra-trojan nel governo che quelle misure ha varato.

Quanto al criterio scientifico (ignoto) contrapposto a quello ansiogeno (che oltre a Conte guida la emotivissima Merkel), si registra un’evoluzione da quando faceva il medium

sensitivo: “Se la gente di Bergamo e Brescia che non c’è più potesse parlare, direbbe ‘ripartite anche per noi’”, disse. Si può andare oltre nel cattivo gusto? Maramaldo, che uccideva un uomo morto, al confronto era un paladino di Carlo Magno.

I sindacati: “Senza proroga, sciopero”. Bonomi: “Ricatto”

Prosegue lo scontro tra esecutivo, sindacati e Confindustria per una nuova proroga del blocco dei licenziamenti. Ieri alla vigilia del nuovo incontro tra parti sociali e governo, previsto in giornata alle 17, Cigl, Cisl e Uil hanno alzato i toni fino alla minaccia dello sciopero generale. I leader delle tre sigle sindacali ritengono infatti insufficiente il blocco dei licenziamenti esteso nel dl Ristori fino al 31 gennaio. Nel nuovo incontro di oggi col governo si proverà a trovare un accordo, ma i punti di partenza sono chiari: i sindacati pretendono una proroga del blocco almeno fino alla fine di marzo. Per Maurizio Landini, segretario Cgil, “se l’idea è che da febbraio si ricomincia a licenziare, siamo pronti allo sciopero generale”.

Un confronto tutto in salita anche quello con Confindustria. Il suo presidente Carlo Bonomi ieri è tornato ad accusare il governo sull’elaborazione dl Ristori. “Non ci ascoltano e prendono decisioni unilaterali – ha attaccato Bonomi –. Il governo accetterà il ricatto dei sindacati? Sono perplesso”.

Ugl cacciata dalle confederazioni europee per il contratto “pirata” ai danni dei rider

L’aver firmato un contratto rider cucito su misura al volere delle aziende è costata all’Ugl una figuraccia internazionale. L’ultima sonora bocciatura ricevuta, infatti, non porta solo la firma degli altri sindacati italiani, ma di quasi tutti quelli europei. Perché la sigla di destra, allineata al volere delle piattaforme del cibo a domicilio, è stata espulsa con una maggioranza bulgara dal gruppo che rappresenta i lavoratori nel Comitato economico e sociale europeo. La proposta è stata presentata all’organo consultivo dell’Ue da parte di Cgil, Cisl e Uil e ha ottenuto 87 voti a favore, quattro voti contro e otto astenuti. Il risultato è che il componente in quota Ugl è stato estromesso. In sostanza, anche i sindacati stranieri concordano nel condannare l’atteggiamento accondiscendente avuto nei riguardi dell’Assodelivery, associazione che rappresenta Deliveroo, Glovo, Just Eat e Uber Eats.

“Questa decisione – spiega Stefano Palmieri, consigliere Cese di area Cgil – è stata presa perché è importante che ci sia un rapporto di fiducia tra noi, anche perché ci occupiamo di importanti dossier come quello sul falso lavoro autonomo”. Ovvero il problema che riguarda i rider, inquadrati come partite iva dalle app e pagati sulla base del numero delle consegne, sistema che il 16 settembre ha ottenuto il benestare proprio dell’Ugl nel contratto firmato dopo trattative rigorosamente segrete.

L’azione forte assunta dal gruppo Cese è citata nell’ultimo ricorso presentato dalla Cgil a Firenze. Gli avvocati Stramaccia, Bidetti, De Marchis e Vacirca hanno chiesto ai giudici di accertare la condotta anti-sindacale di Deliveroo, che sta licenziando tutti quei rider che non accettano l’applicazione del contratto Ugl-Assodelivery.

Sempre in questi giorni, la Cgil sta inviando denunce alle sedi dell’Ispettorato del Lavoro, in quanto gli stessi tecnici del ministero hanno scritto – in un parere redatto subito dopo la firma del contratto – che l’illegittimità delle retribuzioni a cottimo potrà essere rilevata dagli stessi ispettori.

Oggi ci sarà una manifestazione di fattorini in circa venti città italiane. Aderiscono la Cgil, la Uil, Deliverance Milano, Rider Union Bologna con tutta la rete Rider X i diritti. L’Ugl – neanche a dirlo – ha invece lanciato l’hashtag #IoNonSciopero. Ma nessuno aveva la pretesa di ottenere la loro adesione alla mobilitazione.

L’impatto Covid nei dati Inps: spesi miliardi, crollo dei salari

Misure di sostegno senza precedenti messe in campo per fronteggiare l’emergenza Covid, un impatto pesantissimo della pandemia sul lavoro, salario minimo, reddito di cittadinanza e l’eterna disparità salariale tra lavoratrici e lavoratori. Le 480 pagine del Rapporto annuale Inps, presentato ieri dal presidente Pasquale Tridico, non si limitano a raccontare il 2019, ma racchiudono anche i primi nove mesi del 2020 del sistema Italia tra salari in calo, mercato del lavoro falcidiato e i limiti sociali ed economici di un Paese sempre più vecchio in cui 5 milioni di pensionati (su 16 milioni) prendono meno di 1.000 euro di pensione e sono sempre più a rischio povertà.

Aiuti Covid. Con le tre manovre varate dal governo (Cura Italia, dl Rilancio e dl Agosto), da marzo a ottobre 2020, l’Inps ha distribuito 26,19 miliardi di euro a 14,26 milioni di persone. Quattro milioni le partite Iva e gli autonomi che hanno ottenuto il bonus 600 euro, 1,6 milioni di lavoratori hanno usufruito di congedo parentale e bonus babysitting, 6,4 milioni della Cig, 275mila le indennità arrivate ai lavoratori domestici. Le misure sono riuscite a ridurre la perdita di reddito netta del 55% evitando che 302 mila persone finissero a rischio di povertà. Ma tenere aperti i servizi essenziali durante il lockdown ha rappresentato un costo in termini di contagi e morti: 47.000 lavoratori positivi addizionali di Covid (un terzo di quelli registrati tra il 22 marzo e il 4 maggio) e un aumento di 13.000 morti (13%) registrati nei servizi sanitari e nei servizi a imprese e persone.

Cassa integrazione. La cassa Covid e il blocco dei licenziamenti hanno evitato un’emorragia occupazionale. Per la Bce senza queste misure il tasso di disoccupazione avrebbe potuto raggiungere il 25%. I dati sono senza precedenti: da marzo ad agosto 2020 le ore Covid autorizzate sono state 2,8 miliardi. A farne uso è stato il 55% delle imprese e il 40% dei lavoratori. Ma se tra marzo e aprile la Cig ha alleggerito le buste paga di quasi 600 euro lordi (-22,5% a marzo e aprile, -17% a maggio e giugno), l’Inps conferma che un terzo delle imprese (189mila) che hanno richiesto la Cig, soprattutto nei settori manifattura e servizi, non hanno avuto cali di fatturato. La percentuale potrebbe essere molto più alta, perché i calcoli sono fatti senza considerare la Cig anticipata dalle aziende. Possibilità che fino a oggi hanno richiesto poche aziende per accelerare i versamenti salariali ai lavoratori. Alcune imprese hanno fatto di più: richiedere la Cig pur in presenza di un aumento di fatturato.

Reddito di cittadinanza. Insieme alla pensione di cittadinanza è andato a 1,4 milioni di nuclei familiari pari a oltre 3 milioni di individui, con un importo mensile superiore a 500 euro. Il 60% di quanti non hanno visto accolta la domanda sono rientrati con il reddito di emergenza. Il Rdc ha permesso “all’intensità della povertà di ridursi dal 39 al 33%” distribuendo oltre 7 miliardi. Una misura che va però migliorata per eliminare i troppi casi di irregolarità legati all’evasione.

Salario minimo. Il giorno dopo la richiesta dell’Ue di introdurre la misura in tutti i Paesi, anche Tridico continua a sostenerne l’opportunità e la sostenibilità del salario minimo garantito visto che ci sono 4,57 milioni di lavoratori dipendenti che hanno stipendi al di sotto di possibili soglie proposte nel dibattito: tra 8 e 9 euro orari. L’Inps propone una sua simulazione. L’introduzione di un salario di 9 euro lordi, comprensivi di tredicesima ma non di Tfr, si trasformerebbe in un aumento netto in busta paga per circa 2,8 milioni di lavoratori, il 18,4% del totale. Resterebbero esclusi in oltre 552mila tra colf e badanti, oltre 2 milioni di dipendenti privati e 262mila operai agricoli. Escludendo anche la tredicesima, ad avere una busta paga più pesante sarebbe il 26,2% dei lavoratori dipendenti privati, che scenderebbero al 20,1% per una soglia di 8,50 euro e al 13,8% per una soglia di 8 euro.

Dopo lo sgambetto di Miccichè, l’Udc guarda al governo

Il disagio viene da lontano. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la mossa del plenipotenziario di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè. Che l’altroieri ha fatto acquisti tra le file dell’Udc accasando la deputata regionale Margherita La Rocca Ruvolo. Il partito di Lorenzo Cesa ora minaccia sfaceli a Roma, lasciando intendere di non essere più disponibile a farsi schiacciare sulle posizioni dell’opposizione, che peraltro ha una certa tendenza a vellicare le piazze: i tre senatori centristi che oggi siedono tra le fila di Forza Italia potrebbero addirittura lasciare il gruppo se la tattica parlamentare resterà quella imposta da Matteo Salvini. E soprattutto se l’Udc dovesse continuare a essere esclusa dal tavolo del centrodestra, nonostante la formazione ne sia la quarta gamba. Ma solo in teoria: perché a quel tavolo dove spadroneggiano Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, Cesa e i suoi non sono nemmeno più invitati. Mal di pancia che è miele per la maggioranza che sostiene il governo e che al Senato conta su numeri risicati.

Vitalizio, Minzolini si riprende il malloppo

Comunque vada sarà un successo. E fin d’ora, anche se dovesse concludersi in anticipo la legislatura, i senatori potranno incassare il loro vitalizio. In barba alla regola fin qui in vigore (e assai indigesta per la casta degli eletti), in base alla quale sono necessari almeno 4 anni, 6 mesi e un giorno per ottenerlo. Adesso basteranno appena 12 mesi.

Lo ha deciso il Consiglio di Garanzia, organo di giustizia interna di Palazzo Madama, pronunciandosi sul caso di Augusto Minzolini tornato oggi a fare il giornalista dopo essere sceso in campo con Forza Italia nella scorsa legislatura. Che per lui si era conclusa anticipatamente nel 2017 con le dimissioni a causa della condanna per peculato. Ossia l’uso delle carte di credito che gli aveva messo a disposizione Mamma Rai, quando faceva il direttore del Tg1. Dimissioni che gli avevano impedito di terminare la legislatura, con tanti saluti ai contributi nel frattempo versati a fini previdenziali.

Ora però riscattando i mesi che gli mancano potrà godere del vitalizio. Lui come tutti gli altri che avranno trascorso al Senato un tempo apprezzabile quantificato in appena un anno per ottenere un assegno a vita. Ovviamente anche gli ex deputati sperano nella stessa manna e forse non rimarranno delusi: in primo grado l’analogo organismo di giustizia interna di Montecitorio ha accordato la medesima possibilità ai cosiddetti subentranti, i fortunatissimi che hanno spuntato l’elezione anche se a legislatura iniziata. Prendendo spunto dai loro ricorsi si è stabilito che basterà aver trascorso almeno sei mesi tra i banchi della Camera per poter continuare a versare i contributi che mancano per arrivare a maturare il vitalizio. Con buona pace del regolamento per il trattamento previdenziale dei deputati del 2012 che non ammette il completamento di un quinquennio contributivo nel caso il mandato parlamentare sia stato ricoperto per un periodo inferiore. Se Minzolini e gli altri aspiranti all’ambito assegno brindano, c’è chi però non si dà pace. Perché resta aperta la questione del taglio ai vitalizi su cui gli ex parlamentari non intendono arretrare nemmeno di un millimetro.

Ieri è stato ufficialmente congelato il ripristino degli importi deciso in primo grado dalla Commissione Contenziosa presieduta da Giacomo Caliendo al Senato. Non che i 776 ex senatori che hanno fatto ricorso non abbiano provato a imporre all’amministrazione di Palazzo Madama l’immediato pagamento degli arretrati e il godimento degli importi percepiti prima della sforbiciata in vigore dal 1° gennaio 2019. “Parlare dell’impossibilità del Senato di far fronte agli obblighi derivanti dalla sentenza di 1º grado, è francamente impossibile, così come impossibile è ritenere che il paventato rischio possa produrre danni irreparabili alla Camera Alta della Repubblica Italiana” si legge tra le doglianze di chi puntava a riavere il malloppo tutto intero subito, senza aspettare la sentenza definitiva attesa entro fine anno. Ma almeno per ora i rubinetti rimarranno chiusi.

Ue “preoccupata”, Bce pronta a nuovi interventi

Un vertice in videoconferenza tra i capi di Stato e di governo europei, informale senza conclusioni. Ma importante per guardarsi in faccia e condividere l’ansia. Perché il virus corre in tutta Europa e, come ha ricordato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dopo la prima ondata “le misure sono state allentate troppo presto”. Da Francoforte, invece, Christine Lagarde, presidente della Bce, ha voluto dare un messaggio più netto.

La video-conferenza ha rappresentato la prima attuazione del coordinamento periodico sul Covid a livello di leader, concordato all’ultimo Consiglio europeo. Un modo per scambiare esperienze, condividere strategie e anche l’avvio di una valutazione europea coordinata sulla risposta sanitaria a livello Ue.

In quest’ottica, la presidente Von der Leyen ha illustrato le proposte adottate mercoledì 28 dalla Commissione europea.

Von der Leyen si muove con al fianco un consulente per il Covid, Peter Piot, microbiologo belga e direttore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, il quale ha dichiarato l’altroieri che “la situazione è molto seria e rischia di peggiorare, se non adottiamo misure più drastiche”. Piot non sottovaluta il Covid sottolineando che “siamo solo all’inizio della pandemia”.

Le parole del biologo belga aiutano a capire l’approccio che la Commissione europea ha dato al vertice di ieri: se non ci siamo trovati allineati, e forse pronti, alla seconda ondata, cerchiamo di esserlo per la prossima fase e il prosieguo dell’emergenza che si annuncia ancora lunga. E quindi servono “pazienza, disciplina e solidarietà, per allentare il diffondersi del virus” ha spiegato Von der Leyen ai leader dei 27 Paesi perché “la gente è stanca e preoccupata, legittimamente”.

I punti caldi del vertice, dove il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato accompagnato dal ministro della Salute Roberto Speranza, hanno riguardato anche le modalità e l’ampiezza dei test e lo spinoso tema dei vaccini. L’Europa è in prima linea nella produzione avendo garantito alle aziende farmaceutiche in prima linea l’acquisto garantito di almeno 400 milioni di dosi, ma quando si avrà un risultato positivo? Se il premier Conte assicura che si avranno le prime dosi a dicembre, Von der Leyen è molto più cauta, così come cauto è stato il presidente dell’Agenzia europea del farmaco.

A dare una copertura economica alle strategie europee, ancora in attesa di veder sbloccato il piano Next Generation Ue fermo al Parlamento europeo, è stata la presidente della Bce. Christine Lagarde, nella conferenza stampa tenuta come di consueto il giovedì, ha fatto il suo originale whatever it takes: “A dicembre – recita la nota della riunione di ieri – il Consiglio direttivo, con in mano le nuove previsioni economiche di lungo termine, ricalibrerà i suoi strumenti”. Lagarde ha chiarito meglio: ricalibrare nel senso di “espandere”. Quindi la Bce non starà a guardare: “La Bce c’è stata durante la prima ondata del virus, ci sarà anche durante la seconda ondata”, ha assicurato Lagarde.

Dati che hanno confortati i mercati finanziari con le Borse che hanno recuperato dopo le parole della presidente Bce, lo spread a quota 133 e altri 5,5 miliardi di Btp collocati agilmente. Il problema è che anche in presenza di una nuova iniezione di liquidità tutti si accorgono che l’economia sconterà una nuova fase di stagnazione con effetti possibili anche nel 2021. E gli impatti a quel punto potrebbero essere più strutturali degli stessi interventi della Banca centrale.

Sì, no, boh: le porte girevoli di Salvini sul nuovo lockdown

Come sempre la situazione è grave, ma non è seria. Mentre l’Italia sgrana il rosario quotidiano di numeri e angosce sul Covid, in Parlamento lo spettacolo è ancora lieve, a tratti demenziale.

L’informativa del premier Conte sul suo ultimo decreto è in due atti, prima Camera poi Senato. Il virus però è un pretesto, a Montecitorio e Madama si gioca su consenso e potere, le camere sono palchi attraversati da attori bolsi, senza fantasia. Come Vittorio Sgarbi, di professione saltimbanco. Stessa sceneggiatura, solita provocazione: prende la parola più volte senza indossare la mascherina. Prima litiga con Roberto Fico e gli dà del “fascista”, più tardi con la vicepresidente Maria Edera Spadoni, che lo caccia dall’aula. Finisce di nuovo con Sgarbi portato via di forza, a “quattro di bastoni”. I leghisti, solidali, si assembrano per impedire l’espulsione. Il protagonista si pavoneggia sui social: “Lo faccio per tenere allenati i commessi”.

Se Sgarbi è avanspettacolo, la Lega è teatro dell’assurdo. Matteo Salvini e i suoi ieri hanno cambiato faccia un’altra volta. L’ex ministro pretende le scuse del governo: “Non abbiamo mai sentito una parola magica, non abbiamo sentito nessuno chiedere ‘scusa’. Cosa avete fatto per sei mesi?”.

Domanda legittima. E Salvini invece cosa ha fatto? Ha detto a giorni alterni “aprire, aprire, aprire” e “chiudere, chiudere, chiudere”. Ha promosso assembramenti pubblici sotto forma di manifestazioni politiche. Ha rifiutato di indossare la mascherina a un convegno di negazionisti. Ha dichiarato spavaldo: “Ma perché dovrebbe esserci una seconda ondata?”. Ha cavalcato spudoratamente l’insofferenza degli italiani nei confronti di qualsiasi misura di cautela sanitaria e le proteste di chi gestiva attività produttive chiuse dal governo. Insomma: ha giocato (a perdere) con il Covid sin dall’inizio della pandemia.

Il nuovo, ennesimo Salvini ora promette di collaborare (“ma non chiediamo mezza poltrona”) e apre persino alla possibilità di un nuovo lockdown: “Se ci sono le necessità di farlo è giusto farlo. Mi auguro che non ci sia questo bisogno ma se serve si fa”, ha detto in un’intervista radiofonica di prima mattina. Certo – ha aggiunto poi in aula, contraddicendosi – “non serve un altro lockdown, sarebbe la sconfitta di Conte e soprattutto dell’economia italiana”.

L’ultima Lega alla Camera e al Senato indossa gli incredibili panni della responsabilità. Il capogruppo Riccardo Molinari si pone un dubbio disarmante: “Bisognerebbe chiedersi come mai nel nostro Paese aleggi questa incapacità di discernere tra giusto e sbagliato, tra il vero e il falso. Come sia possibile che si neghino i morti di Bergamo per il Covid e si pensi che il virus sia un’invenzione dei telegiornali”. Davvero, Molinari, com’è possibile? Di chi sarà mai la colpa?

In un dibattito lunare, per un intervento di senso compiuto bisogna ascoltare un’aliena, la senatrice Julia Unterberger del Südtiroler Volkspartei: “La prima ondata ci ha travolto come uno tsunami, la seconda avrebbe dovuto essere preparata meglio. Ma questo non può essere contestato da chi, solo poche settimane fa, si rifiutava ostinatamente di portare la mascherina anche in Senato. Il giorno in cui si annunciano misure restrittive l’opposizione obietta che così si ammazza l’economia; il giorno in cui si cerca di evitare una nuova chiusura, si obietta che così si gioca con la salute delle persone. Mi chiedo, allora, se qui si vuole abbattere il Covid o il governo”.

Rimpasto: esplodono i dem. Destre contro Lamorgese per Nizza

Stanno provando a circondare Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio a cui il capogruppo del Pd in Senato chiede di cambiare qualche ministro, al quale il leader di fatto del M5S Luigi Di Maio consiglia di “ascoltare le piazze”, su cui piovono perfino brutti veleni via social: “Dicono che abbia la tosse”. Falsità, colpi sotto la cintura. “Si muovono strane cose attorno a Conte, è vero” conferma un 5Stelle di governo. Un tramestio trasversale che ha innanzitutto l’obiettivo di convincerlo a essere “meno solo al comando”, quindi ad aprire alla maggioranza e un po’ anche al centrodestra. Favorendo tavoli, consultazioni, cabine di regia. Ma magari tutto questo mira solo a tirarlo giù. Conte lo sa, avverte gli spifferi. Così intervenendo alla Camera per l’informativa sul Dpcm, cita l’appello all’unità di Sergio Mattarella, e insiste su quella scia: “È davvero il momento di restare uniti, tanto più per le sofferenze economiche, i disagi psicologici e la rabbia di tantissimi cittadini”. Vorrebbe essere un segnale anche alle opposizioni, che in giornata incassano anche il voto sulle risoluzioni alla Camera per il 4 novembre, quando Conte riferirà sulla situazione sanitaria ed economica.

Però la tensione esplode, soprattutto nel Pd. Nel suo intervento in Senato, il capogruppo Marcucci scandisce: “I singoli ministri sono adeguati all’emergenza che stiamo vivendo? Questo governo deve andare avanti e deve avere le migliori donne e uomini che possono salvare nostro paese. E poi serve la verifica della tenuta della maggioranza”. Seguono momenti di caos e di disorientamento: Marcucci parla a nome di tutto il Pd? Sta aprendo una crisi di governo, come subito commenta Forza Italia? Conte riceve rassicurazioni ufficiose dai dem: “Marcucci ha parlato a titolo personale”. È lo stesso premier a dirlo ai 5Stelle, sorpresi. E in serata fonti di governo raccontano di una telefonata tra Conte e il segretario dem Nicola Zingaretti, che gli ribadisce il no al rimpasto. Mentre anche pubblicamente rinnova il sostegno al governo. Interviene pure il vice capogruppo dem, Franco Mirabelli, uomo di fiducia di Dario Franceschini, a precisare: “In una fase tanto grave per il Paese, parlare di rimpasti appare una cosa fuori dal mondo”.

Ma l’uscita di Marcucci non è così peregrina e isolata. Prima dell’intervento di Conte c’era stata una riunione del gruppo, nella quale lui aveva rigorosamente omesso la questione del cambio dei ministri. Però erano piovute critiche al governo, negli interventi di Luigi Zanda, Francesco Verducci, Valeria Fedeli e Dario Stefàno. E tutti, nel Pd, dal segretario in giù vogliono una verifica di governo, che porti a un patto di legislatura. Il punto è che Marcucci confonde le acque in un gruppo dem frammentato, in cui Base Riformista, la corrente che fa capo a Lorenzo Guerini, cerca di mantenere gli equilibri. E se un senatore vicino a Zingaretti rimarca la fedeltà a Renzi del capogruppo (“A Palazzo Madama Iv ha due capigruppo, il Pd nessuno”), c’è chi racconta di avergli sentito esprimere critiche nei confronti dell’ex premier. D’altronde non è certo il solo a volere un rimpasto. A porre il tema di una squadra più adeguata alla situazione sono stati, in modi diversi, Andrea Orlando e Graziano Delrio. Ma oggi c’è chi ragiona sulla possibilità di un altro governo, Franceschini in testa. Mentre i guai dell’esecutivo si dilatano.

Ieri a finire nel tritacarne è stata il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, attaccata dal centrodestra perché l’attentatore di Nizza sarebbe sbarcato a Lampedusa. Tanto che Salvini ne chiede le dimissioni, insieme a quelle di Conte. La ascolterà il Copasir. Potrebbe diventare indifendibile per la sua stessa maggioranza. Anche se da Chigi per ora la blindano. “Lampedusa è l’avamposto d’Europa, non sarebbe la prima volta che dei terroristi transitano da lì” sostiene una fonte di governo. Però il clima resta fosco. “In qualche settimana o si fa il Conte 3 o arriva Draghi” è il ragionamento diffuso. Non a caso, diversi 5Stelle compulsano i colleghi dem. “Ci dicono che la situazione è pesante, e che così si rischia di finire davvero dentro un governo di unità nazionale” racconta preoccupato un grillino di rango.

Ma nel M5S sono rimasti colpiti anche dalla lettera di Di Maio a Repubblica, in cui il ministro chiede “responsabilità e senso istituzionale” a tutta la maggioranza ed esorta il governo “ad ascoltare le piazze, un segnale che non va trascurato”. E pare un avviso a Conte. Del resto ieri, sempre su Repubblica, c’era Renzi a picchiare duro sull’esecutivo. Incroci.