Perquisiti tutti: i politici sotto accusa per il Covid

Per tutta la giornata di ieri, case e uffici di ministri ed ex ministri francesi sono stati perquisiti dai gendarmi dell’Ufficio centrale per la salute pubblica: cercavano prove per stabilire se il governo sia intervenuto in tempo per proteggere i francesi dall’epidemia di Covid-19. È la Corte di giustizia della Repubblica (Cjr), la sola a poter giudicare i ministri nell’ambito delle loro funzioni, a portare avanti le indagini. Ben 90 denunce sono state depositate da metà marzo contro l’ex ministra della Salute, Agnès Buzyn, che in piena pandemia aveva lasciato il ministero per candidarsi a sindaco di Parigi, il suo successore, Olivier Véran, e l’ex primo ministro Edouard Philippe, in prima linea nella gestione del lockdown.

Di queste 90 denunce, nove sono state ritenute ammissibili ed è stata aperta un’inchiesta a luglio. Le perquisizioni hanno riguardato Philippe, Véran, Buzyn, e Jérôme Salomon, direttore generale della Sanità, e Sibeth Ndiaye, ex portavoce del governo. Sono stati portati via pc, dischi rigidi, agende. È il collettivo di medici C19 ad accusare i vertici dello Stato di “non aver seguito le raccomandazioni dell’Oms”: “Sappiamo oggi che Buzyn e Philippe erano informati a tempo della situazione sanitaria in Cina e del suo potenziale impatto sulla Francia”.

Il 17 marzo, due giorni dopo che i francesi erano andati a votare, senza mascherina, per i sindaci, la Buzyn aveva confessato a Le Monde: “Quando ho lasciato il ministero piangevo sempre perché sapevo che lo tsunami era davanti a noi”. Inchieste giornalistiche hanno poi avallato i ritardi negli ordini dei dispositivi medici, la carenza di mascherine, tute per gli ospedalieri, reagenti per i test. Si tratta ora di stabilire se il governo si è mosso in tempo contro il Covid oppure no. E sin dal 10 gennaio, come si è difesa più volte la Buzyn. Non è la sola procedura in corso. Un’altra denuncia è stata sporta il 17 settembre sempre presso la Cjr contro l’attuale premier Jean Castex: il Collectif Victimes Coronavirus France, che riunisce più di 200 persone, lo accusa di non aver “alcuna strategia di lotta contro l’epidemia”. Si addita l’assenza di tracciamento negli aeroporti e la lentezza nell’introdurre i test rapidi. Il 10 giugno, la Questura di Parigi, che ha ricevuto una decina di denunce, ha aperto a sua volta una vasta inchiesta preliminare per “omicidio colposo”. Proprio ieri è toccato a Castex spiegare ai francesi i dettagli del coprifuoco che entrerà in vigore da stasera a Parigi e in altre otto città. Per poter uscire di casa tra le 21 e le 6 bisognerà portare con sé l’autocertificazione come durante il lockdown.

Rivali a colpi di scoop: Joe cade su Kiev, Donald sul Cairo

Il virus è imparziale: salta da una campagna all’altra. Ormai ‘negativa’ al Covid tutta la famiglia Trump, anche Barron, il figlio adolescente, che non si sapeva fosse stato contagiato, la quarantena tocca ai Democratici: Kamala Harris sospende fino a domenica i suoi eventi perché due membri dello staff risultano positivi. Sono la responsabile della Comunicazione, Liz Allen, e un membro dell’equipaggio dell’aereo su cui viaggia la senatrice, risultata negativa a due test questa settimana. Saltato il secondo dibattito presidenziale, ché The Donald non ha accettato la formula virtuale, c’è stato un duello a distanza in tv tra Trump e Biden, che rispondevano a domande degli elettori, alla stessa ora, su reti diverse. Trump era sulla Nbc, da Miami; Biden sulla Abc, da Filadelfia. La ‘notte dello zapping’, come è già stata definita, è stata una battaglia innanzitutto per l’audience. Per RealClearPolitics, sito che fa la media dei principali sondaggi, il magnate è in leggero recupero, con un gap di meno di 10 punt – un campanello d’allarme per i dem –. Ma un rilevamento Wall Street Journal-Nbc riporta Biden 11 punti avanti a Trump, 53% dei consensi contro 42%. Altro dato significativo: Biden a settembre ha raccolto 383 milioni di dollari, un record per un solo mese. La campagna è ormai fatta con ritmo incalzante di colpi bassi, di scoop più o meno affidabili: quello del Nyp sulle mail di Hunter, il figlio di Biden, che conferebbero contatti sempre negati tra l’allora viceprersidente e l’azienda ucraina per cui lavorava Hunter, la Burisma; e quello della Cnn, che riesuma l’indagine del procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller sui finanziamenti dall’Egitto alla campagna di Trump del 2016. Il Senato ha fissato le date per la ratifica della giudice Amy Coney Barrett alla Corte Suprema, che pare ormai scontata: la Commissione Giustizia, che ha concluso le audizioni, voterà il 22 ottobre, il Senato in plenaria il 26.

Duello: la giusta distanza. Così andò il Nixon – Kennedy

Donald Trump non l’ha voluto fare, il dibattito virtuale causa coronavirus con Joe Biden, pensando che fosse un’aberrazione (e che gli togliesse i vantaggi dell’aggressività e del microfono aperto) e invocando il rispetto della tradizione. Ma, se si fosse fatto, non sarebbe stato una novità assoluta, per una campagna presidenziale: nel 1960, l’anno stesso dell’introduzione dei dibattiti televisivi, John F. Kennedy e Richard Nixon ne concordarono quattro; il terzo, il 13 ottobre, fu virtuale, Kennedy negli studi della Abc a New York, Nixon in quelli di Hollywood in California.

In quell’occasione, con lo schermo in bianco e nero diviso in due per soli 15” – un prodigio all’epoca, perché le trasmissioni satellitari non esistevano –, così da mostrare l’uno virtualmente di fronte all’altro i due candidati, il focus della discussione fu la Cina, che non era ancora un competitor economico, ma un nemico comunista: Nixon, che 12 anni dopo sarebbe stato protagonista della ‘diplomazia del ping-pong’, contestò a Kennedy l’intenzione di lasciare che Pechino si impadronisse delle isole di Quemoy e Matsu, che nessun americano sapeva dov’erano. Il moderatore era un anchorman della Abc News, Bill Shadel, che era a Chicago insieme a un panel di quattro reporter: introducendo il dibattito, sottolineò come una meraviglia della tecnologia il fatto che i due protagonisti, benché separati l’un l’altro da quasi tremila miglia, 5 mila chilometri, potevano sentirsi e vedersi in tempo reale. Nel 1967, ci fu qualcos’altro di simile, ma non si trattava di un dibattito presidenziale: Robert F. Kennedy, il fratello di JfK, allora impegnato nella campagna presidenziale che si sarebbe tragicamente conclusa l’anno dopo, la notte tra il 5 e 6 giugno, nelle cucine dell’Hotel Ambassador di Los Angeles, e Ronald Reagan parteciparono a un dibattito pomposamente chiamato ‘Town meeting of the World: il moderatore Charles Collingwood era a Londra con un gruppo di studenti che facevano le domande, i due rispondevano dall’America per la prima volta via satellite. Nel 1960, il primo dibattito tv fra due candidati alla presidenza s’era svolto il 26 settembre, a Chicago: destinato a priori a entrare nella storia della comunicazione politica televisiva, divenne un caso di scuola anche per gli errori fatti da Nixon e dalla sua campagna – il vestito pied-de-poule che si confondeva con il fondo grigio, il cerone che colava sotto il calore delle luci televisive allora implacabili, i postumi di un raffreddore che lo costringeva ad asciugarsi spesso il naso, mentre Kennedy, più giovane, più bello, più telegenico, si stagliava vestito di nero sul fondale e conquistava l’attenzione del pubblico – e probabilmente vinse lì le elezioni –. Quell’anno ci furono quattro dibattiti presidenziali, che vennero chiamati ‘The Great Debates’, ma non ci fu quello fra i candidati vice-presidenti, entrato nei programmi solo nel ’64. Il secondo si svolse il 7 ottobre a Washington, il terzo fu quello virtuale il 13, il quarto si tenne il 21 a New York. Il più visto in assoluto fu il primo, seguito dal terzo, che ebbe 64 milioni di spettatori, un’audience altissima, superiore a quelle attuali, nonostante la popolazione Usa sia aumentata e la disponibilità dei televisori si sia moltiplicata.

Sul Los Angeles Times, Stephen Battaglio, uno specialista di televisione, ricostruisce i retroscena del primo e ancora unico dibattito virtuale delle presidenziali Usa, con l’aiuto del politologo Larry sabato e dello storico Michael Beschloss. Battaglio ricorda che l’Abc, messa sotto pressione dalle due campagne, fece di tutto per evitare che l’uno o l’altro candidato si sentisse svantaggiato: allestì due studi identici, utilizzando la stessa latta di vernice per dipingere le scrivanie di Kennedy e Nixon. La differenza stava nella temperatura: Nixon volle l’aria condizionata programmata sui 18 gradi, Kennedy sui 22; inoltre, Nixon, che nel primo dibattito non s’era curato d’avere un make-up professionale, assunse un ‘truccatore dei divi’, Claude Thompson, che gli evitò d’apparire pallido ed emaciato. Appena i riflettori si spensero cominciarono le polemiche: Nixon lamentò che Kennedy aveva sul tavolo degli appunti, che non erano permessi. JfK spiegò: “Se devo citare il presidente degli Stati Uniti in materia di sicurezza nazionale, devo farlo con accuratezza”. Nixon non parve soddisfatto, ma siccome non c’erano i social, tutto finì lì.

Quant’era religiosol’homo sapiens

Negli ultimi 20 anni si è assistito a un notevole incremento di nuove domande nel settore delle bioscienze e delle neuroscienze. Particolarmente interessante appare la domanda su quando e come sia nata la “capacità religiosa” nell’evoluzione degli ominidi, e come essa debba essere intesa dal punto di vista biologico.

Il libro The Emergence of Religion in Human Evolution1, pubblicato nel dicembre del 2019, cerca di dare una prima risposta a tale domanda. Questo studio nasce dalla collaborazione tra Margaret Boone Rappaport, biologa e antropologa culturale americana, specializzata nell’evoluzione cognitiva umana, e Christopher J. Corbally, astronomo britannico e sacerdote gesuita, membro del gruppo di ricerca della Specola Vaticana di Castel Gandolfo, vicino Roma. Entrambi gli scienziati lavorano a Tucson, in Arizona (Usa).

(…) Secondo i due autori, è possibile dimostrare che la “capacità religiosa” dell’Homo sapiens è una caratteristica neurocognitiva molto sviluppata. Essa sembra basarsi su un solido fondamento evolutivo, e quindi genetico, e sembra poter essere rintracciata solo nell’Homo sapiens. Infatti, ci sono sempre più indicazioni scientifiche che né l’Homo heidelbergensis, né l’Homo neanderthalensis, né l’Homo di Denisova ne siano provvisti. L’Homo erectus, da cui hanno avuto origine queste specie umane più recenti, non sembra aver avuto una “capacità religiosa”. (…)

L’Homo erectus ha avuto origine circa 1,9 milioni di anni fa in Africa, probabilmente da una specie umana più antica, l’Homo habilis. Con l’Homo erectus, l’essere umano ha lasciato per sempre la sua vita sugli alberi e si è trasferito nelle savane, in gruppi di circa 100 individui. Con valide argomentazioni gli autori sostengono che proprio in questi gruppi di cacciatori – ricordiamo che l’Homo erectus era originariamente carnivoro – sono avvenuti importanti evoluzioni: la nascita di un linguaggio primordiale, la capacità di dominare e utilizzare il fuoco (circa 1,5/1 milione di anni fa), la capacità di produrre strumenti. Tra queste nuove capacità, viene evidenziata anche quella morale. E data l’importanza di quest’ultima nello sviluppo di una successiva capacità religiosa, i due scienziati si soffermano a lungo a descriverla e analizzarla.

Perché ci possa essere una “capacità morale”, è necessario che vi siano due tipi di capacità neurocognitive, che verosimilmente erano presenti nella specie Homo erectus. In primo luogo, l’archeologia ci ha fatto conoscere il sofisticato livello di produzione di strumenti dell’Homo erectus. Questo rivela un aspetto del pensiero che rende possibile sia il riferimento al passato sia la proiezione progettuale nel tempo futuro. In secondo luogo, la paleoneurologia dimostra la presenza di una capacità di interrogarsi e poter dare spiegazioni a fenomeni ed eventi. Queste due facoltà cognitive, insieme a un linguaggio primordiale – reso possibile dall’anatomia della laringe dell’Homo erectus –, sono necessarie perché ci sia un essere che possa agire moralmente.

Purtroppo, non abbiamo una conoscenza diretta del patrimonio genetico dell’Homo erectus (non ne possediamo il genoma), che potrebbe fornire prove decisive a sostegno di queste ipotesi ben fondate. (…)

Nel libro viene chiarito che la “capacità morale” si distingue dalla “capacità religiosa”. Entrambe queste capacità rientrano nelle caratteristiche neurocognitive. Ma la “capacità religiosa” richiede ulteriori sviluppi, tra cui la presenza del gene FOXP2 (che troviamo nell’Homo sapiens), responsabile della forma linguistica che ci caratterizza. Tale gene non è presente nell’Homo neanderthalensis, che è un altro discendente diretto dell’Homo erectus ed è sorto circa 800.000 anni fa, molto prima dell’Homo sapiens (presente solo da 300.000 a 400.000 anni).

Un’altra novità dell’Homo sapiens è l’attivazione genetica della zona HAR sul cromosoma 20, che è diventata responsabile del significativo aumento del volume del cervello, e dell’arrotondamento del cranio, nella nostra specie. Si tratta di un codice genetico che è rimasto invariato nella nostra linea di primati per 60 milioni di anni o più, e che mostra solo nella nostra specie un cambiamento, che consente un’attività genetica notevolmente maggiore.

A tale riguardo, c’è ancora molta ricerca da fare; ma non ci si deve aspettare che si possa trovare qualcosa come il “gene di Dio”. La “capacità religiosa” può essere una caratteristica neurocognitiva basata sul genoma ma, in quanto caratteristica, è il risultato della somma di diverse caratteristiche neurocognitive molto antiche. (…)

Che cosa dire dell’emergere della cultura? Essa ha un fondamento biologico? I due autori danno una risposta positiva a questa domanda. Per “cultura” si intende l’insieme dei comportamenti e delle espressioni che, all’interno della specie, possono differire da un gruppo all’altro, al punto che un individuo, se dovesse essere inserito in un gruppo limitrofo, non potrebbe vivere e agire senza un necessario periodo di adattamento o di choc culturale. In questo senso, l’origine della cultura viene collocata dai due scienziati più indietro nel tempo, fino ad arrivare a oltre otto milioni di anni fa. Sembra infatti che anche gli scimpanzé, in forma più debole, e le varie specie di ominidi, in forma più accentuata, possedessero quella che possiamo definire la “cultura”. Così milioni di anni fa c’era un antenato comune con caratteristiche cerebrali che hanno reso possibile il sorgere della “capacità di cultura”.

I due studiosi sono consapevoli che la questione del fondamento biologico del fenomeno della religione, o “capacità religiosa”, possa sorprendere molti teologi di professione o qualsiasi individuo che consideri la religione – qualunque religione – importante per lui o per la comunità a cui appartiene; ma per un biologo esperto essa non risulta strana. Per lui, infatti, ogni attività dell’essere umano, anche il suo pensiero e la sua azione, non è soltanto un’espressione culturale, ma anche una caratteristica biologica. Qualcosa nel nostro cervello ci consente di comportarci religiosamente, di pensare religiosamente, di avere un’esperienza religiosa, di riconoscere altre tradizioni come espressione religiosa, anche se sono molto diverse dalla nostra tradizione. E tutto questo anche se l’osservatore non è credente. Inoltre, i due autori fanno notare che non tutti gli individui del nostro genere possiedono la “capacità religiosa”, così come oggi ci sono persone che non hanno la “capacità morale”.

(…) Basandosi sui dati già acquisiti, gli autori formulano questo enunciato: “La tesi centrale di questo libro afferma che il cervello e le capacità neurali che hanno permesso una nicchia economica e socio-cognitiva per i primi Homo sapiens sono gli stessi organi e le stesse capacità che hanno permesso l’emergere del pensiero religioso e dell’azione”.

(…) Alla domanda: “Perché la religione è tanto importante per così tante persone in tutto il mondo?”, essi rispondono: “Perché è il nostro patrimonio biologico”.

Indipendentemente dalle differenze culturali, l’esperienza religiosa è universale. (…)

 

Anche “Immuni” dimostra che siamo il Paese delle cicale

Per Vittorio De Micheli, direttore dell’Ats (Azienda tutela della salute) di Milano, Immuni è solo “una rottura di scatole”. Per il presidente del Veneto, Luca Zaia, Immuni non esiste, o meglio esisterà solo da lunedì prossimo quando, con più di quattro mesi di ritardo, verrà messa in funzione dai tecnici della regione. Per tutti gli altri, invece, l’app è una questione politica. Con una sfilza di governatori di centrodestra che, seguendo l’esempio di Matteo Salvini, non la installano o non ne incentivano l’uso. Così Massimiliano Fedriga, il 28 maggio, ha ritirato la disponibilità del Friuli-Venezia Giulia alla sperimentazione, mentre il suo collega piemontese, Roberto Cirio, da subito ha dichiarato che non avrebbe spinto i propri corregionali a scaricarla. Del resto, sostiene il marchigiano, Francesco Acquaroli, il virus non si può “sconfiggere con un’applicazione”. Meglio forse fare come il siciliano Nello Musumeci, che afferma di non averne bisogno perché intanto “c’è la mia assistente che ogni giorno è la mia sentinella”.

In attesa che qualcuno brevetti le doti paranormali dell’assistente di Musumeci o che provveda alla sua clonazione, il coronavirus però impazza. I contagi aumentano in modo esponenziale e aumenta pure la sgradevole sensazione di essere davanti all’ennesima occasione sprecata. Non solo per colpa della destra. Ma anche per precise responsabilità del governo.

Solo ora è iniziata una seria campagna per spingere gli italiani a scaricare l’app. Durante la folle estate dei balli in discoteca e delle spiagge super affollate, le sollecitazioni sono invece state quasi inesistenti. E adesso chi installa in ritardo Immuni scopre pure che è spesso inutile. Perché la maggior parte delle regioni (anche quelle guidate dal centrosinistra) non si sono organizzate per farla davvero funzionare. Attenzione, non per carenze di personale o di fondi. Ma per semplice menefreghismo.

Le norme prevedono, infatti, che quando un cittadino risulta positivo al test venga contattato da un operatore sanitario. L’operatore ha tra i suoi compiti quello di ricostruire i contatti del contagiato. In questo modo è possibile mettere in isolamento i suoi familiari o i suoi colleghi di lavoro. Tra le domande da fare c’è anche quella su Immuni: “Lei l’ha installata?”. Se la risposta è affermativa l’operatore si fa fornire il codice presente sull’app e tramite un portale con un paio di clic l’attiva in modo che segnali agli altri possessori di Immuni entrati casualmente in contatto con il positivo (per esempio su un treno) il rischio di avvenuto contagio.

Come dimostrato da un’inchiesta del nostro collega Thomas Mackinson, questa domanda spesso non viene però fatta, oppure l’operatore non sa come far funzionare l’app e attende che arrivi al lavoro qualcuno in grado di farlo.

Risultato: la segnalazione parte dopo giorni e giorni. Quando parte. Perché per i cittadini veneti finora la possibilità di essere messi sull’allerta dal proprio smartphone non c’è mai stata. In Veneto solo in queste ore, sul portale sanitario della regione, viene aggiunto il campo dove inserire il codice del nuovo positivo. Tutto è rimandato alla prossima settimana. Con un non piccolo problema. I contagiati sono ormai talmente tanti che è quasi velleitario pensare di poter testare tutti i loro contatti a rischio in tempi ragionevoli. Immuni andava incentivata e utilizzata a giugno. Ma nel Paese del cicale l’estate, si sa, è fatta solo per cantare. E ballare in discoteca.

 

Il giornalismo non fa più il suo mestiere: parla solo del Covid

Non si può aprire un telegiornale, qualsiasi telegiornale, senza che l’intero spazio sia dedicato al Covid. Covid in tutte le salse. Inviati da Milano, da Napoli, da Genova, da Torino, da Matera. E quando sul finire dei servizi si pensa che ci si occupi finalmente di cose serie, il calcio, eh no anche il calcio è visto in versione Covid (Cristiano Ronaldo, il campione della Juventus che, del tutto asintomatico, e quindi sano, è stato trovato positivo e non potrà giocare alcune partite importanti o il suo compagno Weston McKennie che è più o meno nella stessa situazione). Tutto ciò crea un senso d’angoscia sia nei credenti, nella potenzialità devastante del virus, sia nei miscredenti. Per non contribuire a questo panico, molto irrazionale secondo il nostro personalissimo cartellino, ci occuperemo quindi d’altro.

Il mese scorso è stata arrestata in Siria, dopo una complicatissima indagine dei Ros, Alice Brignoli, un’italiana che, seguendo il marito marocchino, era andata a combattere per lo Stato Islamico di Al Baghdadi, che a quel tempo era uno Stato vero e proprio perché secondo la giurisprudenza uno Stato è tale quando esistono tre elementi costitutivi: un governo, un territorio, una popolazione, e lo Stato Islamico li aveva tutti e tre (sia detto di passata, non credo che chi sta combattendo attualmente in Siria, dall’una o dall’altra parte, o in Afghanistan nel conflitto fra Talebani e Isis, si preoccupi molto del Covid, perché da quelle parti la possibilità di morire è molto concreta e quando la morte è vicina ci si pensa molto di meno. François Mauriac: “Per tutta la vita ho pensato alla morte. Ora che mi batto non ci penso più”).

Ho anche qualche dubbio che l’arresto di Alice Brignoli sia legittimo. Durante la guerra di Spagna moltissimi europei vi parteciparono battendosi per l’una o l’altra parte, il franchismo o la repubblica, ma non mi risulta che, posso sbagliare, siano stati perseguiti dai rispettivi governi per avervi preso parte. Ma la questione centrale è un’altra. Alice Brignoli ha quattro figli avuti dal suo compagno combattente. Sono ovviamente intrisi di islamismo radicale. Ora sono in una comunità dove, come si esprime Gian Micalessin, devono essere “rieducati” alle buone maniere. Quella della “rieducazione” è una costante di ogni totalitarismo, da Mao ai khmer rossi al sovietismo di marca staliniana. Nei gulag sovietici si utilizzavano tecniche sofisticatissime per correggere i prigionieri, cambiandone radicalmente la personalità, da ogni “deviazionismo” che non corrispondesse esattamente alla linea del partito. Si legga in proposito lo spettrale libro di Gustaw Herling Un mondo a parte. Non si capisce perché i ragazzini italo-siriani portati in Italia, che erano stati educati in un certo modo dai propri genitori, ora debbano essere “rieducati” secondo i valori della democrazia liberale che per i primi anni della loro esistenza erano stati loro estranei, per passare da un totalitarismo a un altro. Si lasci che questi ragazzini che poi diverranno adulti siano liberi, sempre che non commettano reati per la legge italiana, di scegliersi la vita, le idee, i pensieri che più riterranno congeniali alla propria esistenza e alla propria interiorità. Sarebbe per esempio interessante sapere se Silvia Romano, la volontaria rapita in Kenya, trasferita in seguito in Somalia sotto il controllo degli shebaab, e rientrata in Italia vestita con abiti rigorosamente islamici e con ideali islamici, sulla quale a suo tempo si è fatto tanto chiasso, dopo sei mesi di vita nel nostro Paese ha cambiato idea oppure no. Ma il giornalismo non fa più il proprio mestiere. Si occupa solo di Covid.

 

Se l’emergenza la decide Macron, va bene a tutti

Sembra che uno spettro si aggiri in Europa e non è il Covid, ma le misure di emergenza. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il coprifuoco a partire dalle 21 in tutte le città poste in stato di massima allerta, compresa Parigi. Coprifuoco nel settore ristorazione anche in Germania dove è stato posto il limite di 10 persone e due famiglie per le feste private.

L’Irlanda del Nord ha chiuso le scuole fino al 2 novembre così come pub e ristoranti a eccezione del servizio di take away. Anche qui è stato disposto il limite di 10 persone alle riunioni e quello di 25 partecipanti ai matrimoni e ai funerali. Coprifuoco anche in Belgio nelle province del Brabante Vallone e del Lussemburgo; chiusura di tutti i bar e i ristoranti per i prossimi quindici giorni in Catalogna e potremmo continuare a lungo.

Tutta l’Europa sta rispondendo allo stesso modo all’emergenza sanitaria. Probabilmente in ritardo e senza aver preparato delle contromisure nel periodo estivo che sembra sia stato preso abbastanza sotto gamba un po’ da tutti. Ma le misure sono quelle, anche perché in genere si tratta di indicazioni che provengono dai comitati tecnico-scientifici.

Qualcuno ha sentito allarmi di “colpi di Stato” o richiami al “Grande fratello” di George Orwell? Qualcuno ha accusato Merkel o Macron di instaurare uno “Stato di polizia”? O di voler spiare i cittadini nelle loro case? Eppure non c’è molta differenza tra quelle misure e i nuovi orari indicati dal governo Conte per i bar e i ristoranti o con la “raccomandazione” di non superare le 6 persone in casa, che è costata al ministro Roberto Speranza l’accusa di essere un novello Vyšinski.

Merkel e Macron, invece, non perdono mai lo status di statisti e governanti illuminati, mentre in Italia assistiamo a un teatrino, stucchevole e tedioso, in cui si denuncia un fantasioso “Stato di polizia” con un governo incline allo “spionaggio casalingo” e altre amenità del genere. Matteo Salvini, in procinto (pensate un po’) di fare un viaggio nelle Capitali europee con Giancarlo Giorgetti, magari per mostrare un nuovo profilo moderato, ha commentato così le misure italiane: “Non più di sei persone a casa di ciascuno… Perché sette porta sfortuna? Togliamo la polizia dalle strade e la trasformiamo in Psico-Polizia per controllare i condomini? Neanche George Orwell sarebbe arrivato a tanto, siamo alla follia, rileggiamoci 1984”.

Sghignazzamenti replicati dalla sua alleata Giorgia Meloni, la cui crescita nei consensi elettorali non sembra corrispondere in una crescita di autorevolezza politica. Nel suo intervento alla Camera del 14 ottobre, in occasione delle comunicazioni di Conte sul Consiglio europeo, la sua statura politica ha prodotto frasi di questo tipo: “Ma il divieto di assembramento e l’obbligo di mascherina valgono anche per gli spacciatori nigeriani che bivaccano nelle nostre strade o quelli fate finta di non vederli, perché siete troppo impegnati a mandare la polizia a vietare le cene tra i parenti? Anche questo è un tema di credibilità”. Già, la credibilità inesistente di chi affronta una crisi come quella che ci circonda a colpi di battute, vere fake news, allarmi esagerati e insensati.

Ieri, Forza Italia al Senato ha cercato di non far approvare la conversione del decreto legge del 7 ottobre sulla proroga dello stato di emergenza, prendendosela con la politica dei “pieni poteri” del primo ministro. Ma non va meglio nei commenti della stampa liberale, quella che impartisce lezioni quotidiane sullo “Stato di diritto” e sulla compostezza istituzionale. Pronta a genuflettersi davanti ai Macron e Merkel e altrettanto pronta a trattare il governo italiano come una scolaresca di bambini in grembiule. Da bacchettare e dileggiare.

Forse sarebbe ora di liberarsi del riflesso automatico che impone di valutare l’attuale governo come un’ammucchiata di “scappati di casa” – lo stesso tic che fa scrivere editoriali infuocati contro il Pd incapace di sbarazzarsi dei 5 Stelle – e iniziare ad affrontare con più serietà. Conte e il suo governo è ormai parte integrante del quadro europeo riproponendone virtù e vizi. E il M5S non è più uno “strano animale” visto che ormai ha dimostrato una discreta vocazione di governo. Semmai la discussione andrebbe fatta nel merito: le misure sono adeguate, serviranno, oppure sono tardive? Ma chi può avanzare oggi delle critiche se finora, qualsiasi misura presa, anche quelle che si sono rivelate vincenti, è stata attaccata pregiudizialmente? Dai nazionalisti invasati, ma anche dalla stampa “liberale”.

 

Ingiustizia “Io, vittima due volte, per un errore della Cassazione”

Egregio Direttore, scrivo per segnalare un ennesimo caso di malagiustizia. La Futura, società di cui facevo parte, svolgeva un servizio di fornitore di informazione su Videotel. La concessione delle linee era fornita dalla Telecom e la suddetta, per contratto stipulato nel 1991, ci riconosceva una tariffa di 170 lire al minuto, detratto il 10 per cento per l’intermediazione finanziaria. Nell’aprile del 1997, la Futura invia un telegramma alla Telecom chiedendo la chiusura delle linee perché con quella tariffa non riusciva a coprire i costi di gestione. La Telecom ci porta a conoscenza che un nuovo sistema, chiamato “Chiosco”, sta per sostituire il vecchio e che sarà possibile inserire la tariffa di 254 lire al minuto detratto il 17 per cento. Così, la Futura annulla la richiesta di chiusura delle linee e, il 25 agosto 1997, aderisce al nuovo sistema “Chiosco” perché con quella nuova tariffa potevamo evitare di chiudere l’azienda. Trascorsi due anni, la Telecom comunica che in realtà la tariffa non è di 254 lire al minuto ma di 177,80 (sempre detratto il 17 per cento), tariffa prevista in un presunto quadro B, mai pervenuto alla Futura, chiedendoci addirittura la restituzione della differenza dei due anni trascorsi. Al nostro rifiuto la Telecom ci bloccava i pagamenti dovutici, mandando la società in liquidazione. Ne nasce un contenzioso: il giudice d’Appello assegna il giudizio a nostro favore, ma la Telecom ricorre in Cassazione, la quale, con una sentenza alquanto discutibile, commette un errore, nell’errata convinzione che il 25 agosto 1997 avessimo sottoscritto un contratto. Ma in quella data non è stato firmato alcun contratto, solo la variazione delle competenze economiche sul fatturato (dal 10 al 17 per cento).

Ora, la nostra legislazione non prevede, in caso di evidente errore commesso dalla Cassazione, di poter intervenire per sanare la sentenza emessa. Nel frattempo, nel 2019, abbiamo inviato al ministro della Giustizia le due sentenze, di Appello e Cassazione. Lo scorso febbraio abbiamo inviato ulteriore raccomandata. La risposta è la seguente: “Con riferimento alle doglianze contenute nella sua lettera, sono spiacente di doverle comunicare che questo ministero non può interferire con decisioni dell’autorità giudiziaria, avverso le quali sono esperibili soltanto gli strumenti previsti dalla legge, nei casi e nei modi da essa prescritti”. Per tale motivo ritengo che non si possa subire tale violenza, infatti siamo stati condannati al fallimento con tutte le conseguenze psicologiche ed economiche.

 

Mail box

 

Sono giuste le misure anti-virus del governo

Un paio di giorni fa ho ascoltato le dichiarazioni di un infettivologo “di destra”, per il quale l’obbligo della mascherina all’aperto sarebbe una follia perché il virus si diffonde solo al chiuso e solo in presenza di assembramenti. Secondo lui l’uso generalizzato della mascherina potrebbe ingenerare inquietudine ed altre turbe nell’umore della popolazione, che andrebbero evitate. Ora mi chiedo: ma come si fa a non capire che l’obbligo in questione ha soprattutto un valore educativo nei confronti di una parte della popolazione, purtroppo incline a trasgredire le regole. Perché quella parte di popolazione, consapevole, informata e anche timorosa degli effetti anche economici che un nuovo lockdown potrebbe avere, dovrebbe tollerare che un pirla qualunque, ignorante e incontinente, metta in pericolo la salute pubblica?

Patrizia Cozzolino

 

Non dimentichiamoci della vergognosa Dc

Silvio Berlusconi ha inviato a Gianfranco Rotondi, sabato 10 ottobre, in occasione del convegno della Fondazione Dc, un messaggio accorato. Il signore di Arcore ha fatto un ossequioso omaggio alla Democrazia cristiana, rammentando “una storia illustre che ha garantito all’Italia mezzo secolo di sviluppo pacifico in condizioni di sicurezza democratica”. Certo, potremmo ancora oggi rimpiangere l’operato dei Moro, dei Goria, dei Martinazzoli, soprattutto se osserviamo mestamente che, a partire dagli anni 90, c’è stato l’avvento del cosiddetto ventennio berlusconiano. L’era fallimentare degli epigoni, i Berlusconi, i Gasparri, le Gelmini, i Brunetta, i Tajani.

M. B.

 

Smettiamola di rovinare la nostra bella lingua

Certo che anche il Corriere ci mette del suo, come si può scrivere “la narrazione resistenziale” pag. 38 (Cultura?) di oggi 13 ottobre per rovinare la nostra bella lingua; signori giornalisti, “esperti” di qualcosa scrittori ecc, basta con progetti cantierabili, le tempistiche, studi osservazionali, la tematica, attenzionare e altre amenità linguistiche.

Anna Maria Buscolini

 

Sull’operato della Raggi ho dovuto ricredermi

Anch’io avevo delle perplessità sul personaggio di Virginia Raggi subito dopo la sua elezione a sindaco della Capitale. Tuttavia in una seconda fase mi sono ricreduto e ho constatato che effettivamente il primo cittadino di Roma appartenente al Movimento 5 Stelle si era gettata a capofitto per contrastare problematiche serie che innaffiavano le loro radici perfino nel malaffare e che volevano trasformare Roma in una Città non più degna della sua bellezza artistica e storica. Adesso che il dibattito politico verte sulla possibilità o meno di ricandidarla a sindaco, credo di ritenere che i vertici del Movimento pentastellato debbano riflettere seriamente prima di negare alla Raggi la ricandidatura in favore di altri candidati. Cambiare il vecchio con il nuovo non sempre paga bene.

Mario Salvo Pennisi

 

Addio Michele: ti ricorderemo sempre

Ora che la notizia è pubblica, posso scrivere senza violare il desiderio di riservatezza della famiglia. Michele è morto nel suo ventiquattresimo anno di vita, per una malattia che in poche settimane lo ha ucciso. L’immagine che ho di lui in questo momento è quella, risalente a qualche anno fa, di un bambino felice, biondo, bello, sorridente. Non lo frequentavo, ma sapevo molto di lui. I suoi genitori, oltre che bravi medici, sono persone perbene, di un tipo raro. Sembrano frasi fatte, e spesso lo sono, ma in alcuni casi no, e questo è uno quelli. Sono persone su cui potrei giurare. Ho conosciuto Michele grazie all’amore da cui è sempre stato sommerso. Un amore come quello si avverte, potente e stordente, e lo avverte anche chi non è di casa ma solo conoscente o paziente. In pochi giorni un fato crudele ha spazzato via una giovane vita e sciupato un amore familiare non comune. Resta il ricordo, vivissimo. Ho voluto scriverne, ben sapendo che comunque non ci sono parole adeguate. Ma era giusto dire qualcosa. Quando ci si imbatte in un amore come questo, è sempre un dovere celebrarlo.

Mauro Ottonello

 

Servono appuntamenti per i tamponi ai drive-in

Per evitare code, i tamponi ai drive-in dovrebbero essere fatti solo su appuntamento e con prescrizione medica. Nel mio paesino anche lo scarico di rifiuti ingombranti è su appuntamento.

Claudio Trevisan

 

Credo che aprire gli stadi sia una assoluta follia

I presidenti di Regione, non paghi dei disastri causati con l’apertura delle discoteche, adesso spingono i tifosi negli stadi. Il Covid li stopperà?

Paolo Gulinello

 

Inaccettabile il rifiuto di Alitalia al rimborso

Sto ricevendo i rimborsi da Ryanair per i voli annullati nei mesi di lockdown. Alitalia invece non rimborsa i propri clienti pur nella consapevolezza che i voli in questione non sarebbero mai stati effettuati.

Pietro Volpi

Un saio troppo stretto, scommesse tra amici e diete molto dissociate

E per la serie “Nonno l’età è solo un fatto mentale come no dillo ai miei reni”, la posta della settimana.

Caro Daniele, volevo sapere: è possibile che qualcuno ti metta per scherzo degli spermatozoi nelle mutandine e che questi poi risalgano dentro di te e ti mettano incinta? Se non è possibile, potresti suggerirmi qualche altra balla che posso raccontare ai miei? Per favore fai in fretta perché il saio da novizia mi va già stretto. Grazie (Serena Lazzari, Cremona). Digli che ti è apparso un angelo con la notizia che concepirai un figlio per opera dello Spirito Santo. Con la Madonna ha funzionato. Se non se la bevono, digli: “E va bene: è stato Pippo Inzaghi”. Come storiella è più credibile dell’altra. E i tuoi ne saranno entusiasti, vedrai. Non devo spiegarti perché, giusto?

Ciao. Non ho domande da fare. Ho solo scommesso 100 euro con un mio amico che non mi avresti pubblicato (Paolo Piccioni, Spoleto).

Ciao. C’è quel coglione del mio amico Paolo che forse ti invierà una mail idiota. È una scommessa che abbiamo fatto. Se lo pubblichi, dovrà darmi 100 euro. E io farò a metà con te. Ok? (Roberto Mariani, Spoleto).

Posso essere persuaso.

5000? (Roberto Mariani, Spoleto).

Andata.

Ieri ero a letto col mio amante e mi è venuto un dubbio. La dieta dissociata proibisce lo sperma? (Simona Moffa, Campobasso). La dieta dissociata, inventata dal dottor William Hay, un maniaco della pulizia che usciva dalla doccia per pisciare, impone di non mangiare nello stesso pasto carboidrati e proteine. Una variante, ideata dalla moglie del dottor Hay, Helluwa Beach, una violinista procace che ai matrimoni si divertiva a insidiare lo sposo, prescrive di mangiare un unico tipo di alimento in tutti i pasti dello stesso giorno (cazzi, magari). Un’altra variante è quella che proibisce pasti che combinano carboidrati, grassi e proteine. Ora: come ricordavo nella rubrica “Sesso con Luttazzi” (Magazine 3

, Rai3, 1992), l’albume maschile ha una composizione chimica peculiare: 50% carboidrati, 50% acidi grassi, 50% proteine. Sono presenti inoltre dosi abbondanti di selenio, zinco, magnesio, fosforo, potassio e vitamina C. Quindi sì, se segui la dieta dissociata non puoi tracannare lo sperma; ma essendo questo un alimento tanto completo, mi sento di raccomandarlo senz’altro per la prima colazione di tutta la famiglia.

I miei genitori mi hanno mandato all’accademia militare perché diventassi un uomo. Da quando la frequento, sono stato già sodomizzato 32 volte. Penso che ucciderò i miei genitori a Natale, dopo il cenone. Devo usare una pistola, fare un sacco di casino e finire in galera, oppure è meglio se uso il coltello, faccio tutto in silenzio, e me la squaglio il più rapidamente possibile in Sudamerica? (Sergio Tumino, Ragusa). Chiediamolo ai lettori del “Fatto”: sono certo che qualcuno di loro ha ucciso almeno un parente, qualche volta.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi! (lettere@ilfattoquotidiano.it)