Pell riabbraccia Francesco: gioia per l’inchiesta su Becciu

“È andata molto bene”. Sono le poche, ma significative parole, che il cardinale George Pell si è lasciato sfuggire di ritorno a casa, dopo l’atteso faccia a faccia con papa Francesco. Da un lato l’ex prefetto della Segreteria per l’economia, processato, condannato in primo e secondo grado e poi assolto all’unanimità dall’Alta Corte australiana per pedofilia. Dall’altra Bergoglio, di cui Pell è stato uno dei grandi elettori nel conclave del 2013 e poi, appena un mese dopo la fumata bianca, uno degli 8 cardinali del consiglio di saggi nominati da Francesco per riformare la Curia romana.

Un’udienza attesa da oltre tre anni, ovvero da quando, il 27 giugno 2017, Bergoglio congedò Pell dall’incarico di prefetto della Segreteria per l’economia per farlo tornare in Australia e difendersi dalle accuse. Quello che ieri ha varcato la soglia della Biblioteca privata del Papa, è un porporato che ha vissuto 13 mesi nel carcere di massima sicurezza di Barwon. “Grazie per la sua testimonianza”, gli ha detto Francesco all’inizio dell’udienza.

Pell non aveva mai nascosto, dopo l’assoluzione, il suo desiderio di tornare a Roma e guardare negli occhi Bergoglio. In questi tre anni, il porporato si è sentito abbandonato, non solo dal Vaticano, ma soprattutto dal papa che aveva contribuito a eleggere. A Francesco, il “ranger” australiano ha chiesto non solo di essere riabilitato, ma anche che siano finalmente attuate le riforme economiche da lui iniziate, molto osteggiate dalla Curia romana. Di questo, Francesco ne parlerà oggi al consiglio di porporati che eccezionalmente si riunirà via web a causa della pandemia.

Inevitabile che il confronto tra i due toccasse anche la recente defenestrazione del cardinale Angelo Becciu, ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi, al quale il papa ha tolto anche i diritti connessi alla porpora. Pell ha espresso a Bergoglio soddisfazione per l’inchiesta penale che sta finalmente scoperchiando un giro di corruzione senza precedenti proprio nel cuore del potere vaticano, la Segreteria di Stato. Non a caso, era stato proprio il cardinale australiano a chiedere che essa fosse depotenziata affiancandole la Segreteria per l’economia.

“Eretico e comunista”: destra, Rep e Corsera scomunicano il Papa

Non sono cristiano e tantomeno vorrei passare per papista, benché provi grande ammirazione nei confronti di Jorge Mario Bergoglio. Mi suscitano rispettosa estraneità le stesse definizioni canoniche con cui viene incoronato Sommo Romano Pontefice, Vicario di Cristo, Pastore della Chiesa universale, Sua Santità. Considero perciò salutare la ventata di pensiero critico che sprigiona, anche all’interno del mondo cattolico, un’inedita sequenza di critiche pubbliche che un tempo rimanevano avvolte nell’ossequio.

Non occorre lanciare accuse di lesa maestà per constatare che, dopo la pubblicazione dell’enciclica Fratelli tutti e in parallelo con lo scoperchiamento delle malversazioni nell’impiego dei fondi dell’Obolo di San Pietro costate la revoca della porpora cardinalizia ad Angelo Becciu, un vero e proprio attacco concentrico si è scatenato mirando al bersaglio grosso di papa Francesco. Con toni e argomenti a dir poco inusuali.

A far da battistrada sono i giornali della destra. Sotto il titolo eloquente “Marx, Lenin e Mao più moderati di Bergoglio. L’enciclica Fratelli tutti è un inno al comunismo”, il più esplicito è stato Marcello Veneziani su La Verità. Leggiamo: “Dio ci protegga dal comunismo papale. Un’enciclica contro l’occidente cristiano. Se l’enciclica Fratelli tutti di Bergoglio fosse davvero applicata, probabilmente sparirebbero Dio, la Chiesa e la cristianità come le abbiamo finora conosciute. Ci sarebbe l’avvento del comunismo e l’abolizione della proprietà privata”. Una raffica niente male per denunciare l’affermazione papale secondo cui il diritto alla proprietà privata non deve essere riconosciuto come assoluto o intoccabile; bensì va subordinato “alla destinazione universale dei beni della terra e, pertanto, al diritto di tutti al loro uso”.

Per non essere da meno, Pietro Senaldi su Libero si affida al pedigree teologico di Chicco Testa, noto esperto in materia: “Nella dottrina cattolica il primato e la responsabilità dell’uomo sul resto del pianeta sono sempre stati un assunto fondamentale e la personificazione della natura, quasi a dotarla di anima, è ritenuto un concetto pagano”. Con ciò abbiamo sistemato anche l’impianto dell’enciclica precedente, la Laudato si’. Titolo della paginata: “Sull’ambiente Papa e Greta sbagliano tutto”.

Non c’è da stupirsi. Sostenendo che “la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia”, il vescovo di Roma si è guadagnato la fama di eretico. Così come, relativizzando il diritto assoluto alla proprietà privata, gli tocca essere spacciato per rifondatore del comunismo. Non parliamo di quando Francesco denuncia “l’ossessione di ridurre i costi del lavoro e il razzismo che si nasconde e riappare sempre di nuovo”, o rivendica la libertà di movimento per i migranti.

Va notato però che gli assaltatori del pontificato di Bergoglio possono contare, nelle retrovie, di ben più grossi calibri. È stato il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, in una intervista al direttore di Repubblica, a sparare a palle incatenate contro il dialogo in corso fra il Vaticano e la Cina agitando, con toni da guerra fredda, lo spettro della minaccia comunista contro i popoli liberi. Un revival confezionato su misura per i nostalgici della scomunica di Pio XII.

Se questo è il contesto, non c’è da stupirsi che sulla scia emerga anche il fino a ieri trattenuto malessere della Chiesa italiana, prontamente registrato dagli editorialisti del Corriere della Sera. Massimo Franco ha appena pubblicato un saggio dal titolo tutt’altro che benevolo, L’enigma Bergoglio. La parabola di un papato, in cui sintetizza gli umori diffusi nell’ambiente ecclesiastico di cui Becciu figurava tra le eminenze. Dove si sostiene che “Bergoglio ha già dato tutto e rischia solo di ripetersi”, la sua guida evidenzia “grosse falle e contraddizioni”, mentre Casa Santa Marta – l’umile residenza che Francesco ha preferito agli appartamenti vaticani – si sarebbe trasformata in “centro di potere”, addirittura una “curia parallela”.

Intervistato da Aldo Cazzullo, si è mosso con maggior diplomazia il cardinale Camillo Ruini, emerito della vecchia Cei (Conferenza episcopale italiana) assai ridimensionata dalle nomine di Bergoglio: “Chiesa in declino, criticare il Papa non significa essergli contro”. Ma non pare una coincidenza che tre giorni dopo, rispondendo ai lettori del Corriere, lo stesso Cazzullo abbia chiosato: “La sensazione è che non tutte le aspettative suscitate dall’elezione di un Papa chiamato Francesco siano state mantenute”. Per arrivare al dunque: “Se a reggere la più grande diocesi d’Europa, Milano, e una delle capitali della cristianità, Parigi, non c’è un cardinale che concorrerà a scegliere il prossimo Papa, mentre c’è un cardinale ad Agrigento sotto la cui giurisdizione ricade Lampedusa, allora avanzare qualche perplessità è lecito”.

Forse qui sta il punto. A dar fastidio non è solo l’impianto culturale radicalmente alternativo dell’episcopato di Bergoglio, convinto che “ci siamo illusi di rimanere sani in un pianeta malato” e che sia necessaria una redistribuzione delle risorse quand’anche ciò vada a discapito delle nazioni occidentali. Provoca insofferenza che egli stia mettendo a dieta la nomenclatura di territori in cui ormai un sacerdote deve prendersi carico di quattro o cinque parrocchie, ma che ciò non di meno pretenderebbero di conservare il peso di sempre nel conclave e nella curia.

Alla fine moriremo tutti: non di Covid, ma di Dpcm

Io credo che alla fine ci estingueremo tutti. E non per il Covid, ma per il Dpcm. Perché se è vero che il virus è più pericoloso per una determinata fascia d’età, il Dpcm (o meglio, la bozza circolata nelle ultime ore) farà una strage tra amici, vicini di casa, colleghi di scrivania e congiunti, i quali finiranno per eliminarsi l’un l’altro con la ferocia della disperazione. Come al solito, infatti, lo spazio per le interpretazioni, i dubbi, i fraintendimenti è ampio e rischiosissimo, ed è per questo che vado a elencare i passaggi più fumosi:

 

1. Vietato il calcetto

Questa sembra la notizia principale, destinata a scuotere il Paese, citata nei titoli di mezza stampa nazionale. Lutto tra tutti i mariti che utilizzavano la scusa del calcetto per vedere l’amante, già provati dal lockdown. Da adesso le scuse con la moglie, possono essere, al massimo, “Amore, vado fare un giro in metropolitana che non ho mai visto la gialla” o “Vado a un funerale”, ma prenotandosi comunque col morto ancora vivo e chiedendogli una raccomandazione, perché non potranno comunque partecipare più di 15 persone.

 

2. Cene e feste in casa

Dopo il focolaio a un ricevimento di nozze a Monte di Procida dove erano invitate 200 persone, alle cene/feste a casa potranno essere invitate al massimo 10 persone. Che, guarda caso, sono proprio il numero esatto per giocare a calcio a 5. Serpeggia dunque il sospetto che il governo, per non scontentare l’italiano privato dell’unica cosa che conti davvero nella sua vita, e cioè il cacio, stia indirettamente invitando gli italiani a giocare a calcetto tra le mura di casa.

 

3. Comportamenti individuali

Attenzione però. Come ha suggerito il ministro della Salute Roberto Speranza in un’intervista da Fazio, i comportamenti anomali dentro le mura domestiche potranno essere segnalati dai vicini di casa. E qui l’istigazione alle faide condominiali e di quartiere è evidente. L’eventuale rumore di pallonate e gli inequivocabili fischi da arbitro nell’appartamento di fianco o la musica da discoteca al piano di sopra, saranno oggetto di tali soffiate a forze dell’ordine con conseguenti rese dei conti tra condomini, che Milano in tre giorni si trasformerà in Sarajevo durante l’assedio.

 

4. Corsa

I runner sono liberi di correre quando e come vogliono, senza mascherina, ma questa è una mossa del governo mirata a fornire agli italiani una falsa percezione di democrazia e libertà. Tutti sanno, infatti, che la maggior parte dei runner italiani sono stati eliminati fisicamente da cecchini improvvisati ma implacabili sui balconi durante la prima emergenza, e che i pochi runner sopravvissuti sono nascosti da sei mesi nelle cunette accanto ai guardrail aspettando di uscire in tempi migliori. Per giunta, il concetto di “corsa” si presta al momento a varie interpretazioni.

 

5. Passeggiata

A quanto pare infatti, chi corre e dunque fa attività sportiva, è esentato dall’utilizzo di mascherina, ma chi fa semplice attività motoria tipo passeggiare invece deve indossarla. Cioè, se mi passi accanto sudando e sfiatando come un bollitore non devi metterti la mascherina, se mi passi accanto per portare il cane a pisciare sull’albero devi metterla. Bah. Detto ciò, chi fa marcia leggera suppongo si collochi a metà tra attività sportiva e motoria, quindi può tenerla sotto il naso. Chi rincorre la fidanzata dopo una lite furibonda corre, ma non sta praticando sport, quindi che deve fare? E chi corre per prendere l’autobus? Chi saltella sul posto? Chi scappa da un rottweiler e magari viene azzannato proprio perché si è fermato a mettere la mascherina? Guardate che le sfumature sono tante e questa approssimazione non fa bene al Paese.

 

6. Cerimonie

Poi c’è la storia dei matrimoni con 10 invitati massimo. E se calcoliamo due testimoni, 4 genitori e un paio di fratelli/sorelle a testa, direi che i matrimoni, di fatto, non possono essere celebrati. Restano infatti fuori dalla cerimonia almeno un paio di figure indispensabili all’evento, senza le quali è impossibile validare il rito, che appaiono in ogni matrimonio, ovvero lo zio molesto della sposa che alle 11 di sera è già ubriaco e ci prova con tutte le invitate, compresa la bisnonna sulla sedia a rotelle, e l’amica dello sposo che sta sulle palle alla sposa perché lei cova da anni il segreto sospetto che siano stati trombamici. Almeno queste due figure dovrebbero ottenere un permesso speciale dal Comitato tecnico scientifico.

 

7. Quarantena a 10 giorni

Poi c’è la storia della quarantena che si ridurrebbe da 14 a 10 giorni. Quindi l’incubazione del virus non va più dai 2 ai 14 giorni, ma si è arrotondato a 10. E non si capisce bene se alla luce di nuovi studi, se perché l’ha suggerito Bassetti dopo un consulto con Barbara D’Urso, o solo per far incazzare come una biscia Andrea Crisanti.

 

8. Fine del doppio tampone negativo

Basta, forse, col doppio tampone negativo. Si potrà riprendere la vita sociale anche dopo un unico tampone di controllo negativo. Il comitato “quelli che marzo/aprile/maggio sono stati tre mesi ai domiciliari con 15 tamponi positivi dopo il primo negativo”, stanno già fabbricando dell’esplosivo con materiale acquistato su Amazon.

 

9. Asintomatici

Dopo 21 giorni, anche se con tampone ancora positivo, a quanto pare gli asintomatici positivi potranno uscire. Non si capisce bene se perché uno studio abbia stabilito che dopo 21 giorni gli asintomatici non sono più contagiosi, se l’ha deciso Bassetti dopo un rapido consulto con Red Ronnie o se si vuole far incazzare come una biscia Massimo Galli.

Caporalato, terminate le indagini su Uber: “Abbiamo creato un sistema per disperati”

A maggio le indagini sul caporalato in una delle aziende cui si appoggia Uber Eats (consegna a domicilio del cibo) aveva portato il Tribunale di Milano ad autorizzare il commissariamento di Uber Italy chiesto dalla Procura: ieri la filiale italiana del colosso Usa, che è indagata per responsabilità amministrativa e ha un’udienza fissata alla Sezione misure di prevenzione, ha visto confermato il suo coinvolgimento nello sfruttamento dei lavoratori anche dall’atto di chiusura indagini depositato dal pm Paolo Storari. Tra le nove persone per cui la Procura con ogni probabilità chiederà il rinvio a giudizio c’è infatti anche Gloria Bresciani, allora manager di Uber Italy e ora spostata in un altro Paese: “Però ti prego – dice, intercettata, a un collega – davanti a un esterno non dire mai più ‘abbiamo creato un sistema per disperati’. Anche se lo pensi, i panni sporchi vanno lavati in casa”. Ma nella multinazionale non solo conoscevano le condizioni dei rider, ma negli atti è dimostrato anche che Uber aveva voce in capitolo persino sui turni dei fattorini. La cosa funziona(va) così. La piattaforma Uber Eats intermedia l’offerta tra i ristoranti e i clienti; la consegna fisica del cibo a casa viene subappaltata a società terze che lavorano col marchio Uber; la multinazionale impone i prezzi e i ritmi; il subappaltatore cerca i suoi margini sfruttando il lavoro, in questo caso con metodi illegali e non facendosi mancare neanche un’evasione fiscale da oltre 300mila euro nel 2018.

In sostanza gli indagati sono accusati di aver reclutato rider per le imprese Flash Road City e FRC srl per lavorare per Uber “in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo, dimoranti presso centri di accoglienza straordinaria e provenienti da zone conflittuali e pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale”. I fattorini erano “pagati a cottimo 3 euro a consegna” senza tener conto della distanza da coprire, se piovesse o meno, se fosse notte o giorno; erano “derubati delle mance”, “puniti attraverso una arbitraria decurtazione (c.d. malus) del compenso pattuito”, “sanzionati attraverso la arbitraria sospensione dei pagamenti a fronte di asserite mancanze lavorative”, “depauperati delle ritenute d’acconto che venivano operate, ma non versate”, cacciati al minimo problema, col blocco dell’account Uber. Caporalato, appunto, ancorché digitale, che la multinazionale sostiene di essere ora impegnata a combattere collaborando con l’amministratore giudiziario.

Accuse di odio razziale a Candiani, ex sottosegretario

Un gruppo di immigrati definito “una marmaglia” dedita “a tutti i tipi di reati”. Ma anche la ripresa di un uomo definito “ubriaco o drogato” dopo avere commesso un reato. Sono soltanto alcune delle frasi di una diretta Facebook del 2018, che hanno portato all’imputazione coatta, per il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa, del senatore ed ex sottosegretario della Lega Stefano Candiani e dell’assessore al Comune di Catania Fabio Cantarella. Il video era stato girato dai due in un vicolo del quartiere catanese di San Berillo. Ex zona a luci rosse della città mai recuperata. Nell’ordinanza della giudice tanti i parallelismi con il caso dell’ex europarlamentare Mauro Borghezio, condannato dopo le frasi sui rom in un’intervista del 2013.

Insieme ai leghisti tra gli indagati con posizione stralciata, ci sono 14 persone. Cioè coloro che, commentando la diretta, invitavano a “mettere nei forni” gli immigrati o a “buttarli a mare”.

Napoli, “Dema” lancia Clemente. Il niet dei dem

Il primo effetto della decisione di Luigi de Magistris di affidare ad Alessandra Clemente, in giunta con lui da otto anni, il testimone della corsa per la successione a sindaco di Napoli, è stato quello di incrinare i rapporti nella famiglia Ruotolo. Il primo a dire ‘no’ quasi in tempo reale all’annuncio di De Magistris è stato il senatore eletto a Napoli, Sandro Ruotolo, che dell’assessore Clemente – figlia di Silvia Ruotolo, una vittima innocente della camorra – è lo zio. “Si parte con il piede sbagliato, il metodo non va, il candidato deve essere uno che unisce” secondo il giornalista d’inchiesta. Ruotolo è stato eletto a febbraio grazie a un patto Pd-DemA che pare sulla via del tramonto. Anche il segretario del Pd di Napoli, Marco Sarracino, ha impallinato la Clemente: “Chiameremo a raccolta i partiti e le forze stufe del malgoverno di una città che in questi dieci anni è peggiorata, in cui si fa fatica a vivere”. Qui i dem lavorano a un accordo coi 5Stelle che, se andrà in porto, culminerà nell’individuazione senza primarie di un candidato condiviso.

Conte a Taranto per il rilancio green: “Svolta che servirà anche per l’ex Ilva”

“Taranto non è solo diossina, non è solo Ilva. È cultura, arte e siamo qui per dimostrarlo. Sono felice di questo nuovo inizio”. La commozione spezza le parole di Francesca Cannella, 20 anni, l’unica tarantina iscritta alla nuova facoltà in partenza in città. Le sue parole hanno emozionato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il presidente pugliese, Michele Emiliano, il sindaco Rinaldo Melucci e i sette ministri che hanno accompagnato il premier nel suo tour de force per l’inaugurazione del corso di laurea in Medicina, la posa della prima pietra del nuovo ospedale “San Cataldo” e la sottoscrizione di diversi accordi per la riqualificazione del centro storico e di altre zone della città. Anche il sottosegretario Mario Turco, tarantino, si è commosso. È stato lui uno dei principali artefici del nuovo percorso per Taranto. Un cambiamento accolto positivamente da tutte le parti. Il vescovo Filippo Santoro ha parlato di “segnali di cambiamento reale” spiegando che “siamo di fronte alla possibilità di uscire dal ciclo completo del carbone e di innovare, perché abbiamo bisogno di un nuovo corso”. Emiliano ha sottolineato come si stia costruendo il futuro di una comunità “sulla base di un lavoro comune”, ma non va dimenticato “che ci sono ancora troppi dolori senza risposta”. Il riferimento è alla vicenda dell’ex Ilva e alla trattativa ancora in corso con Arcelor Mittal: “Tornerò a Taranto e dedicherò una giornata apposita all’ex Ilva, così come ho sempre fatto” ha detto Conte che ha incontrato le organizzazioni sindacali e una delegazione delle famiglie. “La posizione del governo – ha aggiunto – è ferma. Se poi questo negoziato non darà i frutti e non consentirà di raggiungere gli obiettivi che il governo si è prefissato ne trarremo le conseguenze”. Ai giornalisti il premier ha spiegato che “chiudere un polo siderurgico in Italia è un problema di sistema, ma noi vogliamo accelerare la transizione energetica, la svolta verde” anche utilizzando i fondi del Recovery fund. “Vogliamo offrire un riscatto economico, sociale, culturale a questo territorio sofferente”, ha concluso. I sindacati hanno ribadito la cattiva gestione di Arcelor Mittal e il movimento ambientalista “Giustizia per Taranto” ha evidenziato come l’unica soluzione sia “una riconversione reale del territorio, svincolata dalla fabbrica” indicando la tedesca Ruhr come esempio più fulgido di lungimiranza politica e risanamento”.

Sintomo sì o no? Lo starnuto della discordia

“Chi ha raffreddore o tosse, cefalea, sintomi gastrointestinali, mal di gola, difficoltà respiratorie, dolori muscolari, naso che cola/congestione nasale, anche nei tre giorni precedenti deve restare a casa”. Così scrive Nicola Soloni, dirigente dell’istituto comprensivo di Ponso, nel Padovano. Una comunicazione diretta ai genitori degli alunni della sua scuola che, lette le parole del preside, hanno storto il naso. Una protesta che trova il sostegno della Regione Veneto che nei giorni scorsi ha diffuso un volantino per le famiglie nel quale si specifica che “non precludono la frequenza scolastica il raffreddore non accompagnato da febbre e/o altri sintomi così come mal di testa e dolori mestruali”. Una questione che riguarda gli istituti di tutta Italia: in queste settimane, con il comparire dei primi malanni di stagione, ci sono dirigenti scolastici che hanno chiesto ai docenti di applicare “il buon senso” e altri che preferiscono suggerire a maestri e professori di chiamare i genitori in caso di ogni sintomo sospetto Covid. Se, però, è evidente a tutti che in presenza di febbre oltre i 37,5 gradi l’alunno deve essere mandato a casa, non è invece chiaro quali sono i sintomi precisi di sospetto Covid.

“A precisarlo in realtà – spiega Paolo Biasci, il presidente nazionale della Federazione italiana medici pediatri – è l’allegato al Dpcm del 7 settembre scorso”. Il documento dell’Istituto superiore di sanità (al quale fa riferimento anche Soloni nella sua nota alle famiglie) a pagina 4 riporta i sintomi più comuni di Covid 19 nei bambini: “Febbre, tosse, cefalea, sintomi gastrointestinali (nausea/vomito, diarrea), faringodinia, dispnea, mialgie, rinorrea/congestione nasale”. Un elenco che non lascia margine a molte interpretazioni, ma che tuttavia desta ancora dubbi negli operatori scolastici che si ritrovano in classe bambini che tossiscono, che vanno in bagno tre-quattro volte in una mattinata o ai quali cola il naso. Ogni maestro si chiede: che fare?

A dare una risposta è proprio Biasci: “Nessuno chiede agli insegnanti di fare i medici o di fare diagnosi, ma se c’è un sintomo evidente va trattato come un caso di sospetto Covid. Non lo dico io ma la letteratura scientifica internazionale che ci ricorda che senza test non possiamo decidere”. Il presidente della Fimp non fa allarmismo ma è chiaro: “Non mandiamo a casa un bambino da scuola per due starnuti ma una rinite seria spesso è associata ad altri sintomi. Un conto è l’alunno che va in bagno per una sola scarica, un altro se va ai servizi tre o quattro volte in poche ore. Un colpo di tosse non basta per farne un caso sospetto. Siamo in una fase di transizione: tra qualche settimana avremo bambini con più sintomi, tosse e febbre; raffreddore e temperatura alta. Dobbiamo comunque avere la massima allerta perché questo virus in età pediatrica è molto subdolo”.

Più preoccupato Paolo Sarti, pediatra di famiglia di Firenze: “È vero un naso che cola potrebbe essere una sintomatologia da Covid-19 ma a questo punto tra un mese chiudiamo tutte le scuole perché chissà quanti bambini arriveranno a scuola con la candela al naso. C’è una sola soluzione: servono al più presto dei test salivari rapidi a disposizione delle scuole”. Sarti è tranchant: “Così non se ne esce. Nella stagione invernale rischiamo di tornare tutti a casa. Se non vengono distribuiti i test non potremo mai risolvere il problema. Allo stato attuale non possiamo minimizzare nessun sintomo anche perché è una questione di responsabilità”.

Scuola, ora la crisi non è solo in classe

Un mese: la prima campanella è suonata 30 giorni fa e a oggi quel che più resta da risolvere, nella complicata impresa di tenere le scuole aperte, è la gestione della fase “sanitaria” di intervento. Lo racconta bene Tomaso Montanari nel suo commento di pagina 11, ma lo sottolineano anche le centinaia di segnalazioni che arrivano in redazione, da lettori, colleghi, familiari e amici. Non c’è una condizione univoca, ma la casistica ha elementi comuni che la rendono degna di nota: poca chiarezza nelle comunicazioni, paradossi nelle quarantene, tamponi a caso e docenti in difficoltà.

 

Nessuno chiama, nessuno scrive, tutti in affanno

“Siamo in isolamento fiduciario dal 29 settembre, dopo un caso di positivo a scuola – spiega una mamma di un’alunna di una scuola elementare romana –. La Asl Rm2 non ha mai comunicato la quarantena ai genitori, che pertanto non possono avvalersi del congedo Inps. Abbiamo eseguito due tamponi, a distanza di sei giorni l’uno dall’altro, entrambi con esito negativo. L’ultimo giovedì 8”. Da venerdì hanno iniziato a scrivere al dipartimento della Asl per sapere quando i bambini sarebbero potuti tornare a scuola. “Nonostante alcune mail inviate ai singoli genitori, nelle quali si annunciava il ritorno per lunedì, la comunicazione ufficiale non c’è ancora. La responsabile Covid della scuola è a sua volta in quarantena, la sostituta dice di non avere il contatto diretto con il referente Asl. I genitori minacciano di portare i figli a scuola domattina e, nel caso in cui la scuola non si sia attrezzata, di chiamare i carabinieri”. Dallo scambio di mail si capisce che le Asl sono in affanno e fanno ciò che possono per rispondere all’ondata di richieste che arrivano dal sistema scolastico. Ma i casi sono tanti, tutti diversi.

 

Via prioritaria: l’ipotesi dei tamponi nelle scuole

Anche per questo nei giorni scorsi, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha chiesto – anche in consiglio dei Ministri – che fosse riservata una corsia preferenziale per le istanze che arrivano dalla scuola. E in questi giorni sta chiedendo che vengano fatti test rapidi a studenti e docenti a campione e che si rispettino le regole anche fuori scuola. “Il governo sta valutando l’utilizzo dei test rapidi anche per le scuole, come sto chiedendo da tempo – ha detto domenica pomeriggio – e non c’è alcuna ipotesi di provvedimenti restrittivi per le scuole. Il governo non ne ha affatto discusso. E sarebbe strano il contrario: i dati ci confermano che le scuole sono luoghi molto più sicuri di altri”. Ora, l’idea (che dovrebbe essere discussa anche con il Comitato Tecnico Scientifico) è evitare di sovraccaricare ancora di più le Asl magari facendo i test rapidi nelle scuole stesse, coinvolgendo anche i pediatri e i medici di base.

 

I pediatri spaesati e i certificati di rientro

Parliamo di quegli stessi pediatri che non sanno spesso che pesci prendere, perché non hanno indicazioni chiare o perché gli viene chiesto quanto non rientra nei loro compiti. “Mia figlia aveva un brutto raffreddore – racconta una mamma in una chat – ho chiamato il pediatra per farla visitare, ma non ha voluto. Ha detto che era inutile e ci ha spediti direttamente a fare il tampone”. L’Asl di riferimento è periferica, a Roma: hanno aspettato otto ore e poi sono andate via, per tornare il giorno successivo. Poi quattro giorni per avere l’esito: negativo. Quattro giorni durante i quali la bambina non è andata a scuola. “Non sapevo che fare – spiega la mamma – e se fosse stato Covid-19? Non volevo questa responsabilità”. E se c’è un positivo, grande buio sulla responsabilità per il certificato di rientro, quello che attesta la fine dell’isolamento: le Asl non li forniscono subito, spesso arrivano una settimana dopo, il pediatra non li rilascia perché dice di non aver disposto lui l’isolamento. “Ci hanno fatto entrare con referto del tampone negativo, ma non sarebbe l’iter giusto” spiega un papà.

 

Il paradosso dei fratelli e gli assembramenti

“Ieri siamo stati in fila per fare il tampone che ci avrebbe detto se mia figlia poteva tornare a scuola o meno – spiega un altro papà –. A parte l’assurdità dell’assembramento stesso per il tampone, anche la gestione è stata senza senso”. Sono stati avvisati il 4 ottobre per un contagio registrato il primo di ottobre: in questo caso non un grandissimo ritardo perché, di fatto, aspettare qualche giorno serve a dare il tempo alla comparsa di eventuali sintomi o comunque al virus di essere rilevabile dal tampone. Ma mentre i contatti stretti del positivo e le classi sono state messe subito in quarantena fiduciaria, i fratelli e le sorelle di chi era in isolamento hanno comunque continuato ad andare a scuola. “Un’assurdità”. Che è culminata in un dato grottesco: alla fine, dopo quasi dieci giorni, tutti i bambini sono risultati negativi e le maestre tutte positive. Ora dovranno effettuare il test molecolare.

 

Il caotico isolamento dei docenti

L’altra faccia della medaglia riguarda proprio i docenti: ci sono quelli che sono arrivati alla loro terza quarantena consecutiva – soprattutto tra chi ha un gran numero di classi diverse (educazione fisica, religione, inglese) – e quelli, magari lontani dalla loro regione d’origine e precari e soli, che temono l’isolamento fiduciario perché non potrebbero uscire neanche per fare la spesa. Le assegnazioni delle supplenze non sono state completate ovunque, in qualche regione il personale Covid non è ancora a regime. “Stiamo organizzando al meglio la didattica a distanza (Dad) – spiega un professore delle scuole medie della provincia di Catanzaro –, ma non possiamo assicurarla a tutti quelli che sono in quarantena. Almeno non in collegamento”. Quindi nessun problema per compiti e correzioni via mail e piattaforme, ma no alle lezioni frontali, soprattutto se in isolamento c’è solo una parte della classe. I docenti non possono fare ore in più di lezione e neanche gli alunni.

 

I “ribelli” e le regioni che vogliono la Dad

Infine, la segnalazione delle docenti di una scuola elementare che si rifiutano di fare didattica a distanza mentre sono in quarantena perché “in regime di degenza ospedaliera”. Cosa vera, perché in realtà – per evitare che la quarantena fiduciaria risulti come malattia – viene “conteggiata” come ricovero perché comunque non si può uscire di casa. Ciononostante il ministero dell’Istruzione ha dato indicazioni chiare sul fatto che debbano comunque tenere lezioni a distanza nonostante i timori dei presidi di “rivolte sindacali”. Nel mentre, i trasporti restano l’anello più debole: sono sovraffollati e gli Uffici scolastici regionali lo segnalano da tempo. Ieri alcune Regioni hanno avanzato la proposta di prevedere lezioni a distanza per tutte le scuole superiori per alleggerire la pressione sui mezzi pubblici (specie se si tornasse a prevedere una capienza massima del 50% contro l’attuale 80). Un’ipotesi che il governo per ora non prende in considerazione. Le scuole non devono chiudere.

Lega, il commercialista e le srl “ritrovate” in Lussemburgo

Michele Scillieri commercialista lo è dagli anni Novanta. Vita agiata e casa in una delle vie più note di Milano. Poi il terremoto del caso Lombardia Film Commission (Lfc), i domiciliari, il legame con Di Rubba e Manzoni. Nel suo studio la Lega di Salvini ha eletto domicilio. Da qui tutto frana. E oggi, dopo gli arresti, la Procura indaga sui suoi rapporti con società in Lussemburgo. Il dato inedito emerge da una annotazione della Finanza agli atti del fascicolo coordinato dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi.

Nella rete societaria tra i vecchi soci compaiono soggetti con “precedenti penali o di polizia” per reati finanziari e riciclaggio. Molti di loro risultano coinvolti nelle inchieste sull’ex costruttore romano Danilo Coppola. Sono tre le srl amministrate da Scillieri e tutte portano a 4 società anonime in Lussemburgo con sede in Rue de la Boucherie 4-6. Le tre italiane hanno il domicilio in via Angelo May 24 a Bergamo, indirizzo, scrive la Gdf, “coincidente con i luoghi di esercizio delle società riferibili a Manzoni e Di Rubba”. La prima società è la Dacop. Qui Scillieri diventa amministratore dall’aprile 2018. Dacop nasce nel 2002. Nel luglio 2009 il 99% delle quote passa a Danilo Coppola. Due mesi dopo, il pacchetto va alla lussemburghese Europeenne d’Investissement Sa per finire oggi alla 68 Galtier Prima Sa. La seconda società è la Seasi, che come Dacop è una immobiliare. Scillieri entra nell’aprile 2018, trasferendo la sede in via Angelo May 24. Socio di Seasi è la Taurus Prima Sa. La società è destinataria di una segnalazione di Bankitalia per “comportamento sospetto”. La terza srl è la Programmi immobiliari con sede in via May 24. Scillieri è stato amministratore dal marzo 2019 fino al 19 settembre, nove giorni prima del suo arresto. La Programmi immobiliari è partecipata al 100% da Si.Pa. immobiliare con un pegno di banca Arner. Socio unico di Si.Pa, che in Italia ha sede in via May 24, è la Sunrise 14 Sa, quarta lussemburghese. Queste società a gennaio 2018 – pochi mesi prima dell’ingresso di Scillieri – le ritroviamo nella costituzione di un pegno a garanzia di un prestito di 20 milioni dalla Swiss Merchant Corporation Sa. A redigere l’atto è il notaio Angelo Busani (non indagato), che secondo Bankitalia nel 2018 bonificherà 18 milioni al notaio Mauro Grandi (non indagato) che si è occupato del caso Lfc.

Denaro che ripartirà verso l’estero. A Busani è riferibile la Credit Swiss servizi fiduciari che ha fatto da trustee al trust Diva di Andrea Dini, cognato di Attilio Fontana coinvolto nell’inchiesta sui camici. Per la costituzione del pegno le lussemburghesi sono rappresentate da Andrea Giovanni Carini, avvocato di origine libica. Carini risulta con un “precedente di polizia” per riciclaggio. Sia Dacop sia Seasi hanno l’indirizzo in Rue de la Boucherie “presso la Guarnieri & Partners Cabinet d’Avocats Luxembourg Sa, il cui comitato è formato anche da Carini”. Al pegno partecipano anche società italiane. Tra queste la Partecipazioni immobiliari (fallita nel 2019) riferibile a Manuel Rossetto che, non indagato, compare tra gli ex dirigenti delle società amministrate da Scillieri. C’è poi la Si.Pa già riconducibile indirettamente a Scillieri e altre 4 società di Rossetto, alcune in liquidazione, e con sede in via May 24. Nell’atto è scritto che i 20 milioni andavano restituiti in 7 anni. Ma già il 30 maggio 2018 il pegno è cancellato.