Intorno al gas si è scatenata una nuova guerra fredda, con l’Europa come campo di battaglia. Nel 2018 il 40% di tutto il gas importato veniva da Mosca, ma gli Stati Uniti vogliono indebolire questo predominio. Washington aspira ad esportare il proprio gas naturale liquefatto (Gnl) spingendo i partner europei a costruire un numero sempre crescente di terminali.
La Commissione europea, nel tentativo di ottenere un accordo di libero scambio con gli Usa, appoggia questo piano. Nel luglio 2018, dopo l’incontro tra l’ex presidente Jean-Claude Juncker e Donald Trump, le importazioni di Gnl statunitense nell’Ue sono schizzate a 17,2 miliardi di metri cubi nel 2019 dai soli 3,3 miliardi del 2018: +521% in un anno. Per “ospitare” il gas Usa, sono stati pianificati nuovi terminali in Croazia, Polonia, Lituania, Germania e Grecia anche se oggi l’Europa consuma solo il 20% del gas liquido disponibile. La cancelliera Angela Merkel si trova tra due fuochi e per non scontentare gli Usa – e portare avanti il gasdotto Nord Stream 2 che porterà il gas russo in Germania – ha promesso d’investire un miliardo per due terminal nuovi di Gnl. Gli Stati Uniti sostengono poi i nuovi gasdotti che devono competere con le esportazioni di gas russo, come quello meridionale, il Tap, che deve portare il gas dall’Azerbaijian all’Europa, e EastMed, che deve importare gas da Israele e Cipro. L’Italia ha un ruolo cruciale, in quanto entrambe le strade terminano nella penisola.
L’altro teatro bollente è nel Mediterraneo orientale. Negli ultimi dieci anni Israele e Cipro hanno trovato grandi riserve di gas offshore nelle loro Zone economiche esclusive (Zee). La Grecia si è aggiunta e a gennaio ha firmato l’accordo EastMed. Atene pensava che il gas avrebbe portato il sostegno internazionale nel riconoscimento dei suoi diritti nel Mediterraneo e Nicosia sperava che i profitti del gas avrebbero aiutato a negoziare da una posizione migliore con la Turchia per la riunificazione dell’isola, occupata dai militari turchi dal 1974. Ankara ha reagito in modo violento, rivendicando dei diritti nelle aree che Grecia, Cipro e Ue riconoscono come zone protette. In agosto le tensioni sono aumentate. Ankara ha inviato la nave di ricerca Oruc Reis nella Zee greca e quella di perforazione Yavuz nella Zee di Cipro. Un affronto per Atene che dagli anni ‘70 si sente minacciata dalla Turchia e così ha dispiegato navi da guerra contro la Oruc Reis scortata dalla marina turca. A quel punto è scesa in campo la Francia, che ha inviato la portaerei Charles de Gaulle. Il presidente Macron ha chiesto ai paesi Ue di stabilire “linee rosse” per le provocazioni turche. Parigi ha reagito pure in Libia, per fermare l’attivismo turco. La Francia è stata la prima a intervenire nel 2011 per rovesciare Muammar Gheddafi, dopo che il suo regime aveva rinnegato un accordo di esplorazione del gas con Parigi nel bacino del Nalut.
In questo scenario si sono aggiunti gli Usa. A settembre il segretario di Stato Mike Pompeo si è recato ad Atene e a Nicosia. Gli Stati Uniti sostengono East-Med e considerano la Grecia la porta d’accesso strategica per far entrare il gas liquido americano in Ue, evitando che la Mosca abbia il controllo totale del mercato del gas nei Balcani. Non è chiaro però se il gas sia la vera posta in gioco, visto che finora non è stato trovato nessun gas nelle zone contese, mentre ci sono dubbi sulla fattibilità finanziaria di EastMed. “I prezzi rimarranno bassi a lungo. Ciò rende difficile sviluppare e vendere il gas EastMed. È impossibile competere con le riserve di gas russo a basso costo”, dice Charles Ellinas, del Global Energy Center Atlantic Council. Bruxelles potrebbe fare da arbitro nel Mediterraneo, invece abbassa la testa e firma assegni. Il vicedirettore generale della DG Energia, Klaus-Dieter Borchardt ammette a Investigate-Europe, che Eastmed è inutile: “È sovradimensionato. Sarebbe meglio usare gli impianti regionali di Gnl piuttosto che portarlo in un lungo gasdotto verso la Grecia”. Ma se i governi lo vorranno, ammette “dovremo finanziarlo”.