La (cattiva) politica dà ordini e mette il bavaglio alla scienza

Probabilmente fino a qualche mese fa parlare, su un giornale, di comitati tecnico-scientifici dei Beni culturali sarebbe sembrato un po’ astruso. Ma oggi forse è diverso: oggi che la nostra vita quotidiana dipende dai medici del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile.

Ebbene, esattamente come nel caso del Covid le decisioni le prende l’organo politico, ma fondandole (seppur criticamente) su ciò che gli dice il Comitato, così anche per le decisioni più rilevanti che riguardano il patrimonio culturale, dovrebbe essere decisivo ciò che dicono i sette comitati (uno dei quali, quello per le Belle arti, è presieduto da chi scrive). Perché, in effetti, come potrebbe un ministro per i Beni culturali che nella vita ha studiato e fatto tutt’altro, prendere decisioni sensate su restauri, esportazioni, acquisti, vincoli, abbattimenti o conservazione di edifici storici, prestiti alle mostre e via dicendo? Del resto, il ministero per i Beni culturali nasce, alla metà degli anni Settanta, ereditando da quello della Pubblica Istruzione la direzione e il coordinamento delle strutture territoriali che, in diverse forme, da quasi un secolo vegliavano sul patrimonio: le soprintendenze, che sono organi totalmente tecnici – come gli ospedali, per intendersi.

Ma la storia era molto più antica: quando il granduca di Toscana, nel 1603, decide di mettere un freno all’esportazione di capolavori dal suo territorio, ne affidò il vaglio ai tecnici dell’Accademia del disegno. Esattamente come si sarebbe fatto operare da un chirurgo. Non sempre, però, il potere politico ha guardato ai tecnici con l’intelligenza di Ferdinando de’ Medici. E negli ultimi anni l’insofferenza è cresciuta esponenzialmente.

Una ragione è la libertà dei tecnici: scelti nella comunità scientifica, non sono retribuiti per il loro lavoro. Possono dire di no, senza rischiare rappresaglie o censure: sono imprevedibili e non controllabili. E poi, una politica ridotta sempre più a recitazione cerca la disintermediazione: il contatto, plebiscitario e diretto, con la folla. Le invettive di Renzi contro i “professoroni” – gli storici dell’arte che lo smentivano su Leonardo, i costituzionalisti che si mettevano di traverso sulle riforme – rimangono il più esplicito momento di questa frattura tra potere e conoscenza.

E la stagione renziana ha tradotto in legge quella insofferenza: la legge Madia che sposta il potere dalle soprintendenze al potere esecutivo, o la legge Marcucci che esautora gli Uffici esportazione e sottrae agli occhi competenti il flusso delle opere d’arte in uscita dal Paese. E, ancora, la riforma Franceschini, che sottopone i direttori di museo (scelti in concorsi che hanno premiato solo di rado il sapere, e troppo spesso il servilismo, le clientele, le consorterie personali) direttamente al volere del ministro di turno. Siamo arrivati ad un punto in cui i comitati – e il Consiglio superiore dei Beni culturali, che ne riunisce i presidenti insieme ad altri esperti – sono sentiti dalla politica e dal vertice dalla burocrazia ministeriale come una sorta di inutile orpello.

Faccio due esempi, di questi giorni. Da tempo alcuni dei comitati devono esprimersi sulla Grande Brera, e in particolare sul progetto di allestimento di Palazzo Citterio. Dopo la pausa dettata dal Covid, il Segretariato generale ha infine fissato un sopralluogo, al quale ha invitato però solo i presidenti dei comitati. Una decisione incomprensibile: i comitati devono discutere e votare, e almeno dal tempo di Galileo è pacifico che per farsi un’opinione scientifica bisogna guardare con i propri occhi. Che non si possono delegare a nessun “capo” o “presidente”, come vorrebbe la mentalità di una cattiva politica passata ormai a impregnare tutta la vita pubblica. Di fronte alle rimostranze, la risposta – fornita nel ben noto stile brutale dell’attuale Segretario generale, Salvo Nastasi – è stata una versione appena edulcorata della celebre sentenza del marchese del Grillo. Ma come è possibile coordinare comitati scientifici ignorando anche i più elementari rudimenti della mentalità scientifica?

Ancora. Nello scorso luglio il ministro ha rinnovato la sua fiducia al Comitato scientifico degli Uffizi, dimessosi in contrasto col direttore del museo. Il quale, conscio che l’organo scade comunque a novembre, non l’ha mai riunito, mostrando così tutta la sua considerazione sia per il ministro che per la funzione del Comitato tecnico scientifico.

Ma perché dotare i musei di simili comitati se – a differenza di quanto accade nei grandi musei del mondo – essi non contano assolutamente niente? Non è un problema di procedure, la posta in gioco è alta: i cittadini devono sapere che quando la scienza è estromessa dalle decisioni che riguardano i loro interessi (dalla salute al patrimonio culturale), quel vuoto non resta vuoto. Viene subito riempito dai più indicibili interessi privati.

La sai l’ultima?

 

Il leghista Ciocca “In Germania, Francia
e Spagna più contagi perché non hanno il bidet”

L’eurodeputato della Lega Angelo Ciocca, alla faccia delle astruse argomentazioni di scienziati e virologi, ha ben chiaro il motivo per cui in Italia (per ora) i contagi sono meno numerosi che negli altri principali Paesi europei. In sintesi: il merito è del bidet. Gli italiani sono un popolo pulito; spagnoli, inglesi e francesi invece sono zozzoni, e la prova più evidente è che nei loro bagni c’è un accessorio in meno che nei nostri. Ciocca potrà sembrare un cretino qualsiasi invece è uno dei leghisti con il numero più alto di followers sui social network ed è un recordman di preferenze a Bruxelles (90mila nelle elezioni del 2019 nella circoscrizione Nord Ovest). Insomma, è un salviniano di rango. E infatti dice cose così: “Il popolo italiano è uno dei più puliti. Gli altri popoli hanno un’attenzione alla pulizia dei locali e della persona diverse. Non so se siete stati in Francia o in Spagna. Se uno entra in un bagno italiano trova un pezzo in più, un sanitario in più”. Il bidet. L’unico vero vaccino anti Covid.

 

Sassuolo Ladri rubano un furgone, viene ritrovato
grazie al Gps, ma il giorno dopo lo rubano di nuovo
Struggenti notizie da Sassuolo, in Emilia. Il furgone dell’emporio sociale “Il Melograno” è stato rubato due volte in 48 ore. Potrebbe essere un record. Il mezzo è stato portato via dai ladri, subito ritrovato grazie al Gps ma immediatamente sottratto ai suoi sbigottiti proprietari ancora una volta. “Nella notte tra domenica 4 e lunedì 5 ottobre – si legge sul sito Modena 2000 – ignoti si sono introdotti all’interno dell’emporio della solidarietà ‘Il Melograno’ ed hanno sottratto il furgone. Grazie alla localizzazione GPS applicata al mezzo e alla collaborazione delle forze dell’ordine, il furgone è stato ritrovato nella mattinata di lunedì 5 ottobre a Modena e prontamente restituito. Tuttavia, nella notte tra lunedì 5 e martedì 6 ottobre l’episodio si è ripetuto: ignoti hanno nuovamente sottratto il mezzo, questa volta rendendolo non raggiungibile a causa della rimozione del sistema di tracciamento Gps”. Si chiama accanimento.

 

Pompei Portano via dei reperti dagli scavi archeologici
ma dopo anni consegnano la refurtiva: “Tenetela, porta sfiga”
Con la scaramanzia non si scherza. Anni fa alcuni ladri anonimi avevano rubato dei reperti archeologici dagli scavi di Pompei, ma di recente, all’improvviso, hanno deciso di restituire il maltolto. Come mai? Parole loro: “porta sfiga”. I reperti erano stati sottratti nel lontano 2005: due tessere di mosaico, un pezzo di ceramica e due pezzi di anfora. Solo che da quel momento la vita degli autori del furto era stata martoriata da una serie impressionante di eventi negativi. I malviventi quindi, dopo anni di sfortune senza soluzione di continuità, hanno preso la decisione irrevocabile di rispedire la refurtiva in Italia. “Questi reperti portano sfiga, riprendeteveli” era il contenuto inequivocabile di due lettere in inglese finite sulla scrivania del titolare di un’agenzia di viaggio di Pompei. Il quale, dopo qualche attimo di comprensibile smarrimento, ha consegnato i pacchetti ai carabinieri che hanno il presidio nel parco archeologico.

 

Riccione Arrestato per spaccio, mentre i carabinieri
lo portano in commissariato gli entrano i ladri in casa
Il premio amarezza della settimana lo vince uno spacciatore di Catanzaro, residente a Riccione, che si è fatto beccare dalle forze dell’ordine mentre vendeva cocaina sotto casa. All’arresto è seguita una fruttuosa perquisizione domiciliare: i carabinieri hanno trovato 18 grammi di polvere bianca, un bilancino di precisione e un rotolo di contanti. Lo spacciatore è stato quindi portato in caserma. E qui avviene il passaggio dal dramma alla farsa: mentre era assente, i ladri gli sono entrati in casa e gli hanno rubato il poco che non fosse già stato sequestrato. Dopo il passaggio in commissariato il calabrese è stato è tornato alla sua abitazione per iniziare a scontare gli arresti domiciliari, in attesa del processo. Varcata la soglia ha trovato tutto sottosopra, casa sua trasformata nel classico scenario di un furto. Una giornata davvero indimenticabile. Se non altro lo spacciatore non ha dovuto chiamare le forze dell’ordine per un sopralluogo: erano già lì con lui.

 

Bologna Apre il primo “ristorante a tempo”: il conto
dipende da quanto a lungo si rimane seduti a tavola
Il principio è rivoluzionario: ingozzatevi e vi faremo uno sconto. A Bologna infatti ha appena aperto il primo ristorante dove il conto non dipende da cosa si è mangiato ma da quanto si è rimasti seduti a tavola. É la prima “osteria a tempo”, come hanno raccontato con un certo orgoglio a Today.it i due titolari Antonella De Sanctis e Mirco Carati. “Per sopravvivere agli effetti del coronavirus abbiamo meditato una vera e propria trasformazione – raccontano –. Ci hanno parlato di un vecchio locale di via del Pratello in cui si mangiavano solo fagioli. Più si stava, più si mangiava e si pagava appunto proporzionalmente al tempo trascorso. La lampadina si è accesa e senza tradire la nostra natura e la nostra cucina, abbiamo deciso di provare una strada senza dubbio originale che consentirà a più persone (con lo stesso budget, la stessa qualità e le stesse porzioni) di cenare da noi prenotando una fascia oraria e consumando a volontà in quel lasso di tempo”. È un’idea geniale o una boiata pazzesca?

 

Il titolo della settimana Tgcom24: “Bimbo dimentica
l’astuccio e resta fermo 5 ore per le norme anti-Covid”
Il titolo della settimana ce lo regala Tgcom.24, il notiziario online di Mediaset: “Bimbo dimentica l’astuccio, nessuno può prestargli la matita per le norme anti-Covid: resta fermo 5 ore”. Una roba che sembra un po’ uno sketch comico dei Simpson e un po’ un editoriale provocatorio di Mario Giordano contro il governo. Sarà andata davvero così? Ci concediamo il beneficio del dubbio. Intanto vi riportiamo l’articoletto di Mediaset: “Cinque ore in classe senza mai scrivere. É successo in una scuola primaria di Sassari, dove un bambino di 10 anni di quinta elementare ha dimenticato l’astuccio. E, a causa delle norme anti-Covid, è rimasto fermo per tutta la giornata scolastica. Nessuno, infatti, ha potuto prestargli una penna o una matita. Il regolamento, che vieta lo scambio di materiale didattico tra studenti, ma anche tra alunni e insegnanti, è stato applicato alla lettera. Una storia analoga arriva da Trieste, dove un bimbo di 7 anni è stato asciato a fissare il vuoto per otto ore perché sprovvisto dell’astuccio, dimenticato a casa”.

 

India Un uomo ingoia il suo spazzolino di 19 centimetri:
viene operato d’urgenza e salvato per un pelo
Rischiare la pelle per lavarsi i denti: è successo in India, dove un uomo è stato operato d’urgenza dopo aver ingoiato il suo spazzolino. L’intervento chirurgico di per sé non è particolarmente complesso ma le immagini pubblicate da Metro.uk sono piuttosto impressionanti: i medici hanno inciso l’addome del 39enne indiano e hanno tirato fuori uno spazzolino lungo 19 centimetri, completamente ricoperto di sangue e liquido ematico. L’incidente non è difficile da ricostruire: l’uomo si stava lavando i denti quando l’oggetto gli è sfuggito dalle mani e si è infilato in gola. Il mago delle abluzioni mattutine è riuscito in qualche modo a ingoiare l’intero spazzolino, ma deve essersi reso conto che la digestione non sarebbe stata indolore. Quindi il pronto soccorso, poi l’ospedale (a 100 km di distanza). La radiografia e le prime indagini non hanno individuato lo spazzolino, i medici hanno concluso che dovesse essere già nello stomaco e sono intervenuti subito. Altrimenti l’incidente sarebbe potuto diventare letale.

“Italiani lontani dalla realtà. Amano Conte, votano destra”

“Se mi chiama sondaggista metto mano alla pistola”.

Nando Pagnoncelli fa ricerca e analisi dell’opinione pubblica e da tempo ci spiega, misurando la pressione degli elettori, quanto gli italiani siano meno furbi di quanto crediamo e molto più ignoranti di ciò che penseremmo.

La maggioranza assoluta di chi va a votare (il 54 per cento del totale) ha una istruzione che raggiunge al massimo il titolo di terza media. E di questa bella metà il venti per cento non ha nessun titolo di studio.

Neanche la quinta elementare?

Nessuno.

Una parte anche cospicua di coloro che votano centrodestra – secondo la sua ultima stima – ritiene che Conte sia il miglior presidente del Consiglio possibile? È grande la confusione sotto questo cielo.

Invece no. Il giudizio sul governo e su questo premier attiene al modo in cui sta gestendo questa pandemia. C’è consapevolezza che sia un grande guaio e che lui stia facendo il meglio possibile.

Sta facendo il meglio possibile, però una porzione anche robusta dei sostenitori poi vota i partiti che accusano Conte di fare il peggio possibile.

Perché distinguono la politica dalle istituzioni. Separano la passione personale dalla valutazione fredda della realtà. E infatti non c’è altra spiegazione se prendiamo in esame la percentuale di coloro che danno un giudizio positivo (63%).

A me sembrano semplicemente scollegati dalla realtà.

Praticano la contraddizione. Che è anche il frutto di una conoscenza approssimata, di una formazione culturale che per molti si è fermata ai livelli più bassi e che per troppi non è manco iniziata a scuola.

Gli elettori sono canne al vento.

È certo che subiscono il “contagio” televisivo principalmente. La notizia di un minuto che passa al tg della sera, magari sostenuta da immagini di repertorio.

Se ascoltano un servizio sui migranti che manda in onda le immagini di un vecchio barcone colmo di corpi disperati crederanno all’invasione permanente.

Esatto. Se quell’immagine di repertorio è mandata e rimandata, il repertorio sarà l’attualità. Il passato diverrà il presente e anche il futuro. Infatti nel 2014 fu misurata l’esatta distanza tra la percezione e la realtà. Fu chiesto agli italiani quanti stranieri fossero in Italia. Risposero che almeno il 30 per cento della popolazione non era nativa (e in un’altra indagine risultò che i clandestini, secondo la percezione popolare, fossero poco meno della metà di tutti i migranti!). Il dato reale di chi è giunto da noi e qui risiede si ferma all’otto per cento del totale. E i disoccupati? La metà degli italiani, secondo gli intervistati, sarebbe senza lavoro (il 48 per cento per la precisione) a fronte della realtà che fissava a quel tempo la disoccupazione al 10 per cento. E gli anziani sarebbero addirittura il 49 per cento (il dato reale situa invece la terza età al 22 per cento).

Appare ciò che non è.

La paura è un sentimento prevalente. L’allarme sociale è la turbina, il propulsore di ogni azione. Poi l’età avanzata, la bassa istruzione e il canale televisivo monotematico (telegiornale delle venti in prevalenza) come fonte principale dell’informazione, accrescono una dimensione alterata di quel che esiste e si dovrebbe fare.

Internet non ha prodotto scossoni?

Non allarga il pensiero tra opposti ma tende a chiudere il confronto nelle rispettive case comuni.

Parlo solo con chi la pensa come me.

Esatto.

Così irrobustisco la convinzione di essere nel giusto. E magari invoco riforme, cambi di rotta.

Altro che! A patto però che non incidano sulla mia condizione.

Rivoluzionari col portafogli degli altri.

Su questo non c’è discussione.

Il suocero Verdini e la fuffa “liberale” del nuovo Salvini

Giovedì mattina, esterno giorno. In via della Vite, a pochi passi da Montecitorio, due parlamentari che frequentano il Palazzo da più di un decennio compulsano avidamente i propri smartphone come quei ragazzini attratti da un videogioco. Sui loro schermi campeggia la prima pagina del Corriere in cui Matteo Salvini annuncia la sua “rivoluzione liberale”. “Qui c’è lo zampino del suocero…” commenta ilare di uno dei due. E in questo caso, il suocero in questione non è uno qualunque ma l’anima nera di Silvio Berlusconi che per vent’anni ha tessuto trame, creato relazioni e conosciuto tutti i protagonisti della politica italiana: Denis Verdini. Che la “svolta moderata” à la Giancarlo Giorgetti e la – ben poco originale – “rivoluzione liberale” di matrice berlusconiana siano realmente nella testa di Salvini è difficile da credere, ma tant’è. Una cosa è certa: a spingere il leader nel Carroccio nelle braccia – destrorse, conservatrici e anti-bergogliane – del filosofo lucchese e ideologo di Forza Italia Marcello Pera è stato proprio Verdini che ormai fa il consigliori politico a tempo pieno di Salvini visto che quest’ultimo, volente o nolente, in casa sua ci bazzica spesso da quando si è fidanzato con la figlia Francesca. Verdini, come al solito, rimane nelle retrovie: distaccato, senza dare troppo nell’occhio. Ché il 20 novembre il suo processo sul crac del Credito cooperativo fiorentino arriverà in Cassazione e lui rischia grosso,dopo la condanna a 6 anni e 10 mesi in Appello. Chi lo conosce bene racconta: “A Denis ora non conviene farsi notare e i Palazzi non li frequenta più da tempo, ma lui è un homo politicus e con Salvini ormai ha un rapporto particolare”. E allora i due si sono sentiti e anche visti diverse volte durante l’estate quando il leader del Carroccio ha preso casa in Toscana, a Forte dei Marmi, per unire le vacanze alla campagna elettorale per sostenere Susanna Ceccardi (poi sconfitta).

Durante uno di quegli incontri sarebbe stato proprio Verdini a portare il discorso sulla questione: “Matteo, te lo dico io: o cerchi i voti dei moderati o il governo lo vedi col binocolo” gli avrebbe detto con quel tono scanzonato che lo contraddistingue. L’ex sherpa berlusconiano gli ha fatto conoscere Pera con cui Salvini aveva avuto un primo contatto nel dicembre 2019, a Roma, all’Hotel Minerva, al convegno intitolato: “La conferenza delle idee del centrodestra”. Il leader del Carroccio era rimasto folgorato dalla lectio di Pera, ratzingeriano ed euro-scettico quanto basta per piacere, e molto, al leghista. È stato lui, dopo la sconfitta elettorale delle Regionali, a consigliargli di virare al centro, verso il Ppe in Europa e verso ciò che resta dell’elettorato che una volta votava Berlusconi in Italia. Con quella “rivoluzione liberale” ideata da Pera, Giuliano Urbani, Antonio Martino e da tutto il “Gruppo dei Professori” che nel 1993 organizzava riunioni carbonare ad Arcore. Perché, va dicendo Pera da mesi, “deve essere Salvini a raccogliere l’eredità di Berlusconi”. Il “suocero” poi gli ha fatto segnare sul taccuino altri nomi con cui parlare: la costituzionalista cattolica dell’Università di Firenze Ginevra Cerrina Feroni, il politologo Marco Tarchi, una serie di imprenditori vicini alla destra e altri esponenti del mondo cattolico come il solito Camillo Ruini. Il mantra di Verdini è chiaro: “Liberarsi di Borghi, Bagnai e Rinaldi e presentarsi coma una destra votabile”. Quindi, sostiene Verdini: “Basta citofoni, basta sparate contro la droga e campi rom, più garantismo e un vero endorsement europeista in vista del governo che verrà”.

Roma, Di Maio media col Pd Si agitano i ribelli anti-Raggi

Due ore dopo già la chiama una “becera strumentalizzazione”. Luigi Di Maio è costretto a correggere il tiro, perché le parole che ha pronunciato su Raitre da Lucia Annunziata – “non mi fossilizzerei sui singoli nomi, serve un’alleanza programmatica con il Pd per le grandi città” – hanno alzato il coperchio di un pentolone che ribolle da settimane, anzi da mesi, ovvero da quando Virginia Raggi ha fatto sapere di voler tentare il bis. A Roma non l’hanno presa benissimo. Perché è vero che la sindaca aveva concordato tutto con i maggiorenti 5 Stelle, da Beppe Grillo in giù, che le hanno dato il via libera. Ed è vero pure che la base ad agosto ha benedetto su Rousseau il “bonus” sul secondo mandato per le consigliere comunali diventate sindache. Non a caso in serata ambienti del Campidoglio riferiscono che “Raggi è l’unica candidata in campo mentre gli altri non hanno nessuno”.

Ma è altrettanto vero che “l’autocandidatura” di Virginia è rimasta indigesta a tutti quelli che stavano già lavorando a un altro “percorso”, come lo chiamano in Campidoglio. Percorso, è il sottinteso, che esclude il ritorno della sindaca, non proprio amatissima tra i grillini romani e soprattutto considerata l’ostacolo numero 1 al possibile accordo con il Pd. Così da allora si moltiplicano le iniziative – sponsorizzate anche da esponenti di peso dell’area giallorosa, che pure ancora non se la sentono di metterci la faccia – per provare a invertire la strada imboccata. C’è il ruolo di Max Bugani, che in Campidoglio con la Raggi ci lavora ed è diventato nelle ultime settimane uno dei più attivi nel Movimento per il dialogo a sinistra, in particolare nella sua Bologna ma non solo. E poi ci sono i consiglieri comunali M5S, un gruppo composto da 5 presidenti ed ex presidenti delle commissioni capitoline, che è venuto allo scoperto su Facebook denunciando, tra le altre cose, la “estrema personalizzazione della contesa elettorale” che si traduce in “soluzioni semplicistiche per problematiche complesse” e che ieri ha annunciato per il 17 ottobre un primo appuntamento – dai contorni ancora poco definiti – per iniziare a parlare di “un percorso collettivo, allargato e condiviso”. Che necessariamente “non si costruisce chiudendosi all’interno del proprio ambito politico”. È l’antico adagio del “prima i programmi, poi i nomi”, che però in Campidoglio fatica a fare breccia visto che il nome c’è già ed è pure ingombrante.

“Con la Raggi mai” è anche il mantra che ripetono dal Nazareno. Da aggiungere che il rapporto tra il Movimento e il Pd locale è piuttosto “incancrenito”. Ieri infatti lo stesso Nicola Zingaretti si diceva determinato ad andare avanti con il “percorso”, in questo caso quello stabilito dal Pd. Che vede nella riunione di coalizione convocata per mercoledì dal segretario romano, Andrea Casu, il primo passo formale. Fermarsi mentre la sindaca è ancora in campo non ha senso, è il ragionamento che si fa al Nazareno. Le difficoltà del segretario aumentano. Sulla strada dell’armonia giallorossa, infatti, non c’è solo Virginia, ma anche Carlo Calenda. Zingaretti vorrebbe trovare il modo di salvare lo “schema Bettini” (candidato Pd al primo turno e eventuale convergenza su M5s al secondo), ma la discesa in campo del leader di Azione complica le cose.

Di fronte a un candidato oggettivamente forte e a un nome indigeribile per molti Dem, come quello della Raggi, il pressing per convincere il segretario a investire Calenda cresce. Lo vorrebbero Paolo Gentiloni e Lorenzo Guerini, Dario Franceschini riflette. Ieri sono arrivati gli endorsement anche dei sindaci di Brescia e di Bergamo, Emilio Del Bono e Giorgio Gori. Per restare nell’ottica di coalizione anche Matteo Renzi sarebbe pronto a sostenerlo. Il più fiero oppositore, al momento, è lo stesso Bettini.

Zingaretti sta cercando di prendere tempo. Potrebbe non averne abbastanza. Tanto è vero che ieri sera dal Nazareno filtrava l’assoluta contrarietà del segretario a un accordo con M5S su Roma, così come la mancanza di pregiudiziali su Calenda, con la condizione che partecipi all’alleanza. I sette pronti a scendere in campo (i tre presidenti di Municipio Sabrina Alfonsi, Giovanni Caudo e Amedeo Ciaccheri, la senatrice Monica Cirinnà, i due consiglieri regionali Michela Di Biase e Paolo Ciani e il giovane attivista Tobia Zevi) sono pronti a chiedere le primarie. Ma i gazebo – tra Covid e dubbi della segreteria – si allontanano.

Meno contagi. Pronto lo stop a feste, calcetto e notti di movida

Come ogni domenica, calano i tamponi (104.658, 29mila in meno di ieri), ma in proporzione non il numero dei contagi scesi ieri solo a 5.456 contro i 5.724 di sabato. I malati morti sono 26. Aumentano i ricoveri in terapia intensiva (420), cresciuti di 30 pazienti e, soprattutto, sale al 5,2% il rapporto contagi/tamponi. Una percentuale che la scorsa settima era intorno al 3,5%. È un record negativo, perché significa che il tracciamento dei contatti dei positivi tiene il passo della diffusione del virus. I dati fanno seguito a un’impennata di casi registrata a partire da mercoledì 7 ottobre con 3.678 casi; l’8 ottobre erano 4.458; il 9 ottobre 5.372 e sabato 5.724. Non si registravano più di 5.300 nuovi positivi dal 28 marzo quando i casi erano 5.974, con molti meno tamponi. Ma allora i ricoverati erano oltre 26mila e quasi 4mila i pazienti in terapia intensiva. La Lombardia resta la Regione più colpita: 1.032 positivi in più. Stabili la Campania (633 contagi) e la Toscana (517).

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio ha fornito aggiornamento sul vaccino anti-Covid: “Io non dico che siamo all’ultimo miglio. Grazie all’accordo con Oxford University, entro fine anno avremo le prime dosi del vaccino”. Anche se per il commissario Domenico Arcuri “non si quando arriverà, ci sono una decina di aziende internazionali nella fase 3, l’ultima prima della possibilità di distribuire su vasta scala”.

Avanti, dunque, con attenzione. La cabina di regia tra il governo, le Regioni e gli enti locali si terrà oggi, mentre l’approvazione del decreto della presidenza del Consiglio con le nuove restrizioni anti-contagio da Covid 19 dovrebbe arrivare martedì. Il governo sembra orientato a vietare le feste private, limitare i banchetti a massimo 30 persone, chiudere bar e ristoranti a mezzanotte e a stoppare a tutti gli sport a livello amatoriale. Allo studio una nuova misura per portare al 70% lo smart working.

“Governo inglese incapace. Non c’è la sanità pubblica”

Con quasi 13 mila contagi al giorno e 52mila vittime dall’inizio della pandemia, il Regno Unito è di nuovo il malato d’Europa. Cosa sta andato storto? Lo abbiamo chiesto al professor Gabriel Scally, docente di salute pubblica, consulente dell’Oms, presidente del dipartimento di epidemiologia della Royal Society of Medicine e membro di Indipendent Sage, un comitato di esperti alternativo a quello di nomina governativa,

Perché il Regno Unito è fra i Paesi che peggio hanno reagito all’emergenza?

Le ragioni sono molte. Ma una è decisiva: ai vertici della gestione scientifica di questa pandemia non ci sono esperti di Salute pubblica. Il chief scientific officer Patrick Vallance è un farmacologo con documentati rapporti con l’industria farmaceutica (azioni per 600mila sterline in una società sotto contratto del governo per lo sviluppo di un vaccino, ndr). Il chief medical officer inglese Chris Whitty è specializzato in malattie tropicali, e fra i consulenti principali l’unico con competenze in salute pubblica è Frank Atherton, chief medical officer del governo gallese. Dall’esordio del Covid non c’è stata e non c’è la competenza necessaria.

Queste sono nomine politiche. Qual è la logica?

Non c’è logica, al governo non importa della salute pubblica. Prima venivano nominati esperti, ma dal 2011 i governi conservatori hanno depotenziato la funzione dei presidii del servizio pubblico, prima efficienti. Ora, invece di gestire, appaltano contratti a privati, di solito loro amici. Questo ha portato alla centralizzazione dei processi decisionali e alla nazionalizzazione delle autonomie regionali. Un enorme taglio di risorse alle amministrazioni locali, la cancellazione delle infrastrutture regionali e spreco di decenni di esperienza locale. Public Health England, per esempio, che era indipendente, è stato riportato sotto il controllo del ministero della Salute ed è diventato un ente burocratico, non più scientifico né indipendente. Questo governo si può definire incompetente. Tutto quello che può fare è produrre slogan a effetto, completamente vuoti.

La prolungata assenza di controlli in porti e aeroporti e la sottovalutazione delle precauzioni di base rappresentano un approccio poco scientifico che chiamiamo “eccezionalismo britannico”?

Jenny Harrris, la vice chief medical officer per l’Inghilterra, ha dichiarato che la raccomandazione dell’Oms di dare priorità a test e tracciamento “è per i Paesi poveri, non per noi”. L’idea di essere diversi, speciali, di non avere niente a che fare con l’Europa, insomma tutta la retorica sovranista è stata corresponsabile di scelte incomprensibili e dannose.

Perché i contagi sono tuttora alti anche nella aree soggette a restrizioni locali?

Il lockdown è stato imposto e poi revocato uniformemente in tutto il paese. Ma nel Sud-Est ricco il virus non ha mai raggiunto livelli alti, mentre nel Nord-Ovest, per esempio intorno a Manchester, era ancora endemico alla fine del lockdown. In quelle zone c’è povertà, alta densità abitativa in contesti multi-generazionali, prevalenza di comunità nere o di minoranze, con livelli socio-economici più bassi.

Perché il sistema di “test and trace” non funziona?

Funziona quello gestito dal servizio sanitario, che conta su presidi locali. Poi c’è quello privato, affidato a Deloitte e Serco, basato su grossi centri di testing magari a 150 km. Siccome il campione viene mandato in laboratori centralizzati fra il tampone e il risultato passa troppo tempo ed è tutto vanificato. Downing Street ne fa una questione di record da battere: ma puoi fare tutti i test che vuoi e spargerli sul paese come polverina magica. Se non li fai in modo intelligente il virus non se ne andrà.

Sì alla quarantena breve e ai test rapidi dai medici di base. Rinvio sulle scuole

C’è il via libera del Comitato tecnico scientifico alla riduzione da 14 a 10 giorni dell’isolamento per i contatti stretti dei positivi, probabilmente con tampone o test di controllo alla fine del periodo (oggi non è obbligatorio ma in genere si fa). Ok del Cts anche all’abbandono del doppio tampone negativo per certificare la guarigione dei contagiati: ne basterà uno. Passa anche il principio che eliminerà le quarantene infinite dei pazienti ormai asintomatici ma non completamente negativizzati: dopo 21 giorni potrebbe bastare un tampone negativo con un numero limitato di amplificazioni della Pcr (polymerase chain reaction), mentre oggi si arriva a volte fino a 38/40 amplificazioni, rinvenendo quantità minime di virus che secondo numerosi specialisti rendono il soggetto non più contagioso.

Si è presentato il ministro della Salute Roberto Speranza (nella foto), alla riunione di ieri, per parlare di quarantena e test rapidi. L’aveva sollecitato anche Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna, a nome della Conferenza delle Regioni. Speranza ha seguito l’inizio dei lavori, poi ha lasciato discutere gli esperti.

Luce verde dal Cts anche ai test rapidi, compresi i salivari, che sostituiranno in parte i tamponi molecolari tradizionali, ma non per certificare la guarigione degli infetti. Il ministero, dopo lo screening aeroportuale, li ha già autorizzati per le scuole. Saranno usati per i contatti stretti dei positivi. È la risposta al fallimento del contact tracing ora che i contagi sfiorano i 6.000 al giorno, alle code e alle attese interminabili per i tamponi. Il commissario Domenico Arcuri ha spiegato che il bando per i test rapidi si è chiuso con 39 offerte per 115 milioni di test, peraltro a prezzi ritenuti molto bassi: se è vero si ridurranno i profitti per i laboratori privati. “Le Regioni hanno tutti i mezzi: tamponi e reagenti”, ha sottolineato Arcuri. Ma anche ieri è stato ricordato che le Asl non hanno personale sufficiente per testare i contatti. “A volte si tratta di ragazzi che hanno incontrato cento ragazzi ciascuno”, ha spiegato uno dei membri del Cts. Medici di famiglia e pediatri potranno somministrare i test rapidi, vedremo quanti di loro accetteranno. Le norme su quarantena e test saranno definite nel dettaglio da circolari del professor Giovanni Rezza, direttore della Prevenzione del ministero (foto sotto), forse oggi stesso.

Il Cts deciderà a breve sulla richiesta del professor Alberto Villani del Bambin Gesù di ridefinire i “contatti stretti” in modo da evitare che intere classi di bambini e adolescenti debbano mettersi in fila per fare i tamponi, con le famiglie, quando c’è un solo positivo: “È disumano e non è etico – ha sostenuto Villani –. Se in classe ci sono distanziamento e mascherine non c’è contatto stretto”. La tensione c’è, la pressione sugli ospedali sale specie a Napoli e a Roma anche se molti ricoverati non sono così gravi. Spesso il problema è garantire l’isolamento. Ma gli stessi numeri sarebbero meno rassicuranti dei bollettini: nel Lazio sabato ci sarebbero stati oltre 130 pazienti nelle terapie intensive e non 57.

A settembre il Cts aveva rimandato la discussione sulla quarantena breve, sollecitata dal viceministro Pierpaolo Sileri. La polemica su isolamento e test rapidi era arrivata in tv, con il viceministro che lamentava “ritardi”. E ieri sul Comitato è piovuta la bordata del professor Andrea Crisanti, il microbiologo di Padova che in Veneto è stato il primo a testare gli asintomatici. “Possibile che in un comitato tecnico scientifico non ci siano le migliori menti dell’università italiana?”, si è chiesto Crisanti, ospite di Lucia Annunziata su Rai3. Crisanti a fine agosto aveva proposto un piano per aumentare i tamponi (molecolari) fino a 3-400 mila al giorno per evitare che il contact tracing saltasse. Il governo ha scelto i test rapidi.

Vaccini: a Big Pharma i miliardi, ai governi rischi e risarcimenti

La corsa per creare vaccini contro il Covid-19 accelera grazie agli iter privilegiati concessi dalle autorità sanitarie, spinte dalla necessità di frenare la seconda ondata della pandemia. Con la fretta, però, aumentano i pericoli che eventuali effetti indesiderati emergano solo dopo la distribuzione di massa. Intanto, grazie al suo enorme potere negoziale, Big Pharma prima si è fatta finanziare la ricerca dai contribuenti e poi di fatto ha scaricato i rischi sui governi.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, al 2 ottobre erano 42 i vaccini candidati in fase di valutazione clinica. Di questi, 9 sono al terzo e ultimo stadio dei test, già in prevendita a molti Paesi. Uno viene sviluppato da AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford e la Irbm di Pomezia (Roma). Tre arrivano dalle società Usa Johnson & Johnson, Moderna, Pfizer insieme alla tedesca BioNTech. Quattro sono elaborati in Cina da Sinovac, CanSino e Sinopharm, che ne ha due. L’ultimo è della russa Gamaleya. Altri 151 prodotti sono in fase di valutazione pre-clinica.

I produttori rischiano ben poco. Dal punto di vista industriale, molti governi li stanno finanziando a piene mani. Gli Usa hanno già distribuito a una quarantina di aziende più di 9,35 miliardi di euro dell’Operazione Warp Speed, l’iniziativa voluta dal presidente Donald Trump per accelerare lo sviluppo di vaccini, sistemi diagnostici e terapie contro il Covid. Al medesimo scopo la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha già versato 1,01 miliardi, impegnandone per il futuro altri 3,41, 1,56 miliardi in proprio e 1,85 tramite la Banca europea degli investimenti. Il solo vaccino di AstraZeneca ha raccolto fondi pubblici per 1,35 miliardi dagli Usa e dalla fondazione sanitaria globale Cepi.

A livello commerciale, Bruxelles ha già firmato due contratti commerciali con Sanofi-Gsk e AstraZeneca, alla quale Italia, Francia, Germania e Olanda hanno assegnato una commessa per 400 milioni di dosi. Inoltre altri colloqui esplorativi si sono chiusi in modo positivo tra la Ue e Johnson & Johnson, CureVac, Moderna e BioNTech. Ma i contenuti legali di tutti gli accordi, come spiega Bruxelles, resteranno segreti. Sul fronte dei prezzi, la stessa AstraZeneca si è impegnata a vendere il suo futuro vaccino a prezzo di costo sino a quando la pandemia non sarà “finita”: ma, in base a un documento esaminato dal Financial Times, si è riservata in esclusiva il diritto di dichiarare finita l’epidemia già dal primo luglio 2021. Da quella data potrebbe vendere le dosi a prezzi di mercato, con profitti immensi.

Non basta. Nei mesi scorsi la lobby Vaccines Europe ha fatto pressione su Bruxelles perché i suoi prodotti fossero esentati dal rispetto della direttiva sui diritti dei consumatori, cancellando i rischi legali. Il 24 settembre la Commissione Ue ha sì ribadito che i vaccini non saranno esentati, ma ha passato il cerino ai governi nazionali. In base agli accordi di acquisto comunitari, se i cittadini faranno causa per chiedere i danni dovuti a eventuali reazioni avverse, i produttori potranno girare il conto ai singoli Paesi.

Così la fiducia dell’opinione pubblica, già traballante, è sempre più scossa. Negli Stati Uniti, che viaggiano verso gli 8 milioni di casi di Covid con oltre 200mila vittime, un sondaggio Axios/Ipsos del 22 settembre ha rivelato che sei intervistati su 10 preferiranno aspettare di prendere il vaccino da qualche settimana a un anno invece di assumerlo appena sarà disponibile. Ad agosto il dato era al 53%. C’è poi un 23% che non intende affatto vaccinarsi. Il rischio reale è che non si raggiunga l’immunità di gregge, facendo fallire l’obiettivo della campagna vaccinale. L’effetto paradossale garantirebbe a Big Pharma di continuare a incassare profitti per anni dai vaccini anti-Covid.

Ma mi faccia il piacere

La pulce con la tosse. “Io oggi sono talmente felice del risultato che non riesco a capacitarmi di come, col risultato impressionante di Italia Viva, non ci diciate bravi” (Matteo Renzi, segretario Italia Viva, L’aria che tira, La7, 22.10). Lo portano via.

Il portafortuna/1. “Auguri di pronta guarigione al Presidente e alla First Lady” (Renzi, Twitter, 2.10). Poi, non si sa come, Donald e Melania Trump l’hanno sfangata.

Il portafortuna/2. “Alleanza Pd-M5S a Torino: si arrende anche Fassino” (Repubblica-cronaca di Torino, 4.10). Allora l’alleanza è praticamente fatta.

Spallista. “Devo dire che riservatamente parroci, frati, suore… siamo arrivati a circa 300 rosari mandati in omaggio dopo i due strappati. Tra l’altro, io non credo a certe cose, ma dopo il ‘Ti maledico, ti maledico!’ di quell’ossessa, mi è venuta l’ernia, c’ho la spalla bloccata da una settimana” (Matteo Salvini, segretario Lega, Stasera Italia, Rete4, 30.9). Tranquillo, quelle sono le famose spallate al governo.

Avanzi di Gallera. “Vaccini, Lombardia virtuosa come l’Emilia e il Veneto” (Giulio Gallera, FI, assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Corriere della sera, 7.10). Uahahahahahah.

Facci ridere. “Sulla proroga dello stato di emergenza abbiamo bisogno di verità” (Maria Elisabetta Alberti Casellati, FI, presidente del Senato, Corriere della sera, 5.10). Lei è ferma alla verità sulla nipote di Mubarak.

L’hanno presa bene. “Mi ha parecchio colpito un sondaggio di Swg secondo il quale i ragazzi fra i 18 e i 21 anni hanno votato in prevalenza No (quasi il 53%). Fosse per loro, avremmo ancora un Parlamento non mutilato” (Mattia Feltri, La Stampa, 6.10). “Un sondaggio Swg dimostra che il No presupponeva in generale – salvo eccezioni, è ovvio – una più matura coscienza delle istituzioni, soprattutto tra i giovani. Viceversa ha vinto il Sì, nonostante la crisi già in atto del M5S” (Stefano Folli, Repubblica,7.10). Ma sì, dài, la prossima volta facciamo votare solo chi la pensa come voi: salvo eccezioni, è ovvio.

Benvenuto fra loro. “… quella vera e propria faida politico-giornalistica che furono i processi a Silvio Berlusconi” (Michele Serra, Repubblica, 7.10). Sallusti, è lei?

Intervista senza domande. “Matteo Salvini, poteva andarle peggio: potevano arrestarla”, “È che lei fa ancora paura, senatore Salvini”, “Forse, Salvini, il problema è lei”, “Attorno a lei c’è ancora un cordone sanitario”, “Il Conte2 potrebbe cadere per un incidente parlamentare?” (le domande più ficcanti dell’intervista di Annalisa Chirico a Salvini, Foglio, 5.10). Scusi, ma lei come fa a essere così bravo?

Sindaco multiuso. “Si sa che i leader del centrodestra hanno offerto a Giletti di correre a Roma o a Torino: ‘Non smentisco, mi fa sorridere che mi accostino a tutte le città’, lo stringato commento a Rtl del conduttore” (Corriere della sera, 10.10). Sapessi a noi.

Sollecitudine. “Raffaele Sollecito ancora nei guai: ‘In carcere da innocente, adesso sono sul lastrico’” (Repubblica, 10.10). Può sempre chiedere i danni alla famiglia Kercher.

Incubi. “Calenda si candiderà per ridare a Roma la possibilità di sognare” (Foglio, 8.10). Che non si candidi.

Calende greche. “Calenda, i piani per correre a Roma: ‘Qualche giorno e tutti sapranno’” (Corriere della sera, 10.10). Carle’, magna tranquillo.

Secondarie. “Roma, Calenda affossa le primarie del Pd: ‘Follia farle col Covid’” (Repubblica-cronaca di Roma, 10.10). Nel caso, si sta liberando una piattaforma Rousseau. Anche a nolo.

La parola all’esperto. “Non puoi obbligare alla mascherina, devi chiedere alle persone di essere prudenti, come quando prendono un maglione se c’è freddo, l’ombrello se piove, il preservativo se vanno a scopare… ora invece ci si mette il preservativo per farsi una sega, questa è la mascherina!” (Vittorio Sgarbi, deputato FI, Quarta Repubblica, Rete4, 28.9). Montesano, è lei?

Pizzo. “Casaleggio ora nega i servizi agli ingrati grillini che non pagano più il pizzo” (Francesco Merlo, Repubblica, 4.10). Bei tempi quando la Rai renziana pagava il pizzo a Merlo.

Radicali liberi. “Palamara radiato. Lavorerà coi Radicali” (Verità, 10.10). Dopo Toni Negri, Cicciolina, Capezzone e Taradash, non si butta via niente.

Il titolo della settimana/1. “La Cassazione sbugiarda il solito Gratteri” (Riformista, 7.10). O meglio: la solita Cassazione sbugiarda Gratteri.

Il titolo della settimana/2. “Palamara affondato, giustizia ancora marcia” (Giornale, 10.10). Non ci sono più i bei Metta, Squillante e Previti di una volta.

Il titolo della settimana/3. “Salvini diventa liberale. E conviene credergli” (Pietro Senaldi, direttore di Libero, 10.10). Se no?

Il titolo della settimana/4. “Tornano le tasse” (Giornale, 5.10). Panico tra i forzisti.