Elif Shafak vince il Grinzane n. 10 Alla Protezione civile lo Speciale

Un anno fa, in questo stesso Teatro Busca di Alba, una folla assai considerevole, e tutta prenotata da mesi, applaudiva Murakami Haruki, che era sul palco, presente in carne e ossa, come vincitore del Premio speciale Lattes Grinzane dedicato a “una vita per la letteratura”. Un anno dopo, nello stesso teatro, nella stessa città e al medesimo Lattes Grinzane, tutto cambia.

La differenza, non da poco, si chiama Covid. Ecco i posti contingentati, il controllo della temperatura; i finalisti stranieri del premio classico, quello del concorso, rimasti a casa (erano collegati in streaming): al Busca si sono visti solo i due italiani, Giorgio Fontana e Valeria Parrella, dei cinque della rosa. Soprattutto, poi, in luogo di un altro Murakami, per la Sezione speciale è stata premiata la Protezione civile, per “testimoniare che anche la letteratura deve contribuire a creare un nuovo futuro”. A ricevere il riconoscimento è stato Angelo Borrelli, peraltro in missione in Piemonte dopo l’alluvione della scorsa settimana.

Per il resto, la decima edizione sotto virus del concorso Lattes Grinzane ha rispettato il copione del “nuovo futuro”: ha vinto infatti Elif Shafak, la narratrice turca, con il romanzo I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo, edito da Rizzoli. Cioè un libro che è stato definito “un atto d’amore, da lontano, alla città di Istanbul e soprattutto alla sua anima femminile”. L’autrice ha prevalso su Fontana, Parrella, Daniel Kehlman ed Eshkol Nevo.

Nata nel 1971 a Strasburgo, Shafak cerca di coniugare nella sua narrativa “la tradizione occidentale e quella orientale”, e nei suoi libri “affiora la difesa dei diritti civili, di libertà di parola e delle minoranze”. Tra le sue opere edite in Italia, La bastarda di Istanbul (2007); Il palazzo delle pulci (2008); Le quaranta porte (2009); Latte nero (2010); La casa dei quattro venti (2012); La città ai confini del cielo (2014); Tre figlie di Eva (2016) e La bambina che non amava il suo nome (2018).

Sadico e diffidente, ma non avaro: l’inedito Albertone, eroe borghese, ritratto da Anile

Alberto Anile, di nascita catanese, è uno dei migliori storici del cinema che vi siano. Accede con grande pazienza alle fonti, che sono archivî, archivî privati che per lui si aprono, epistolarî editi e inediti, ricordi confidatigli da vivi o defunti. Cultura e memoria gli sono concesse in modo non consueto. È Autore, tra l’altro, di due libri su Totò (1998 e 2017), che mi sono stati utilissimi e mi hanno donato gioia, vista la mia adorazione per il Sommo: sebbene ogni tanto i nostri giudizî non collimino. Adesso, per il centenario della nascita di Alberto Sordi, ne pubblica uno su Albertone: Alberto Sordi. Edizione di lusso, in carta patinata, con un imponente apparato iconografico. E c’è da credere che tale volume Anile da lunga pezza preparasse, vista la profondità e l’acribia dei riferimenti storici; e non solo, perché il libro non è una semplice biografia, ma contiene un discorso estetico e sociale profondo e complesso.

Gli inizî di Sordi! Naturalmente, furono teatrali, come quelli di Totò, sebbene Alberto provenisse dalla successiva generazione. Come i suoi, furono segnati dalla più nera fame. “Un cappuccino e una brioche, ecco il nostro sostentamento quotidiano”. Tali inizî sono rievocati in Polvere di stelle, un film meraviglioso ancorché girato sotto la stessa regia di Albertone. E qui si apre un discorso ove Anile funge da medico severo. La diffidenza di carattere lo portò, a un certo punto, a voler liberarsi dai registi: e sì che ne aveva avuti di grandissimi. I films suoi girati sotto la sua direzione, specie quelli dell’ultimo periodo, sono mediocri insieme e velleitarî. Non s’immagina con quanto dolore ciò debba ammettersi, specie da parte degli ammiratori di un vero e proprio genio quale egli è. La parte sugli esordî e poi le prime affermazioni dimostra non solo la difficoltà che anche un talento palese, si dovrebbe dire, agli occhi di tutti, incontra; contiene una parte assai spassosa sugli scherzi, sovente pesantissimi, ch’egli infliggeva ad amici e sconosciuti. Diciamo che cominciarono a prenderlo in considerazione con I Vitelloni: e, si faccia caso, in un ruolo terribilmente tragico, non in quello del vero o fittizio cordialone. Gli scherzi, a loro volta, testimoniano di un lato, dirò così, sadico, della sua personalità: il quale, combinandosi con la sua diffidenza e la sua pretesa avarizia, ha portato i più a credere che l’uomo Sordi non differisse dalla gran parte dei suoi personaggi.

Incominciamo col dire che la sua avarizia era una odiosa leggenda: praticava la carità ampiamente, ma in forma anonima. Il discorso intorno al suo essere o meno come i suoi personaggi, molto discorde, è quello più complesso affrontato da Alberto Anile. Un’analisi sociologica dell’Italia del dopoguerra, e anche degli anni Sessanta e Settanta, porta il nostro Autore a concludere che Sordi si fabbricasse un personaggio su misura per un pubblico piccolo-borghese in ascesa, o ch’era ossessionato dal terrore di discender dal grado sociale al quale era pervenuto. Un catalizzatore d’un non nobile sentimento collettivo, Alberto.

Seni rifatti e ovuli solitari: com’è difficile essere donne

“Makiko che quel 20 agosto era in arrivo da Osaka, è mia sorella e ha nove anni più di me. Dunque trentanove, per essere precisi. Midoriko è sua figlia e ha quasi dodici anni. Mia sorella l’ha avuta a ventisette anni e l’ha cresciuta da sola”.

A raccontare è Natsuko, protagonista di Seni e Uova di Kawakami Mieko – atteso romanzo (che ha riscosso grande successo dentro e fuori il Giappone) della scrittrice nata nel 1976 a Osaka – nella traduzione di Gianluca Coci, pubblicato in Italia dalle edizioni e/o.

E Natsu (estate in giapponese) è anche la stagione da cui prende nome e cognome la scrittrice di cui narra Kawakami lungo le 696 pagine del romanzo, densissime quanto accattivanti. Due storie: la prima si svolge nel 2008 e l’altra nel 2016 .

Scene di vita familiare complicate, ricordi del passato, ambizioni per il presente e il futuro, interrogativi senza risposta, decisioni risolutive, e innumerevoli prese di posizione per nulla scontate né presenti solitamente nella narrativa contemporanea giapponese. Ci voleva Kawakami Mieko per parlare con franchezza e senza giravolte di temi al femminile, ma non si tratta di Chik-lit. Lei scrive di donne che scelgono da sole e per loro stesse, parla di isolamento sociale, di professioniste del sesso, di madri single, con stile e sincerità. Il tutto avvolto dal caldo umido e asfissiante delle estati nipponiche, quando non è possibile fare a meno di sorseggiare in continuazione tè freddo e bevande energizzanti, e il solo rifugio si trova entrando nei caffè dei grandi magazzini, che spandono aria condizionata a profusione.

Natsuko è una giovane scrittrice trasferitasi a Tokyoō da Osaka, l’altra grande metropoli del Giappone, per tentare il successo e allontanarsi da ciò che rimane della sua famiglia. Il senso di solitudine e la difficoltà a emergere l’accompagnano nella quotidianità, caratteristiche che tuttavia le lasciano la libertà di elaborare il proprio trascorso, confermandole quanto il legame d’affetto con la sorella e la nipote sia prezioso e necessario. Non sente la necessità di un amore con un uomo, i rapporti sessuali la spaventano, le fanno fisicamente male. Nei tre giorni trascorsi insieme a Makiko e Midoriko irrompe la decisione della sorella maggiore di farsi operare per ottenere un seno bello, morbido e decisamente più grande di quello che ha, al cospetto dell’incredulità di Natsuko, e dell’afasia della nipote adolescente come protesta verso la madre e l’esterno. Nella seconda parte Natsuko raggiunge il successo come autrice e sente l’esigenza di avere un figlio ricorrendo alla fecondazione assistita, rimanendo però da sola. Ci riuscirà?

Tre donne più altre di contorno, grazie alle quali Kawakami mette in luce i ruoli di genere della contemporaneità, e non è un caso che a raccontarli sia una scrittrice giapponese, luogo dove la letteratura a mano femminile è più che mai feconda, attiva e lontanissima dagli stereotipi solitamente condivisi. Il suo romanzo “ha tolto il fiato” perfino al notissimo collega Murakami Haruki, con il quale condivide il magico talento del narrare.

“Il primo grazie a Costanzo poi ai consigli di Amendola. Ma dovevo rischiare di più”

L’impresa eccezionale è essere normale, cantava Lucio Dalla, e Ricky Memphis è ancorato alla sua normalità con un atteggiamento neorealista, piuttosto che figlio delle commedie in cui spesso viene coinvolto: a cinquanta anni e poco oltre appare un uomo stupito dei suoi traguardi; quasi crede di aver vinto alla lotteria, di essere ancora il ragazzo che trent’anni fa si sedeva sul muretto sotto casa, circondato da amici, a discutere “solo di tre argomenti: calcio, donne e un po’ di politica”.

Eppure, nonostante un numero di film importante – è in sala con Divorzio a Las Vegas, Andrea Delogu protagonista e all’esordio sul grande schermo “ed è bravissima” – non ha un ufficio stampa, non ama andare in televisione (“ho l’ansia”), alle domande risponde in maniera breve e secca (“Se vado oltre, se mi inerpico nei concetti, sbaglio di sicuro”).

Quando parla è più vicino alla romanità indolente e borbottona di Aldo Fabrizi che a quella ridanciana e mitomane dei personaggi interpretati da Alberto Sordi. Si stupisce di se stesso. E teme se stesso.

Sogni da ragazzo?

Diventare attore.

Da sempre?

Sì, per questo ho creato la figura del ‘poeta metropolitano’ perché non sapevo come cominciare: non avevo alcun aggancio, non conoscevo nessuno, e non capivo nulla.

Però…

Ero convinto che bastasse stare in mezzo agli ambienti artistici, all’underground romano, per ottenere una chance. E su questo ho avuto ragione.

La sua chance.

Grazie a un gruppo di amici e alla loro band: suonavano nei locali, una volta mi hanno portato con loro. Da lì è iniziato tutto, con la prima ospitata al Maurizio Costanzo Show.

Lei in tv.

I miei amici seduti nelle prime file; dal palco li guardavo e dentro di me sorridevo perché eravamo ancora tutti insieme. Da lì mi ha notato Ricky Tognazzi e mi ha coinvolto nel film Ultrà.

Primo giorno di set .

Lo ricordo come un sogno, iniziato con una macchina che mi viene a prendere all’alba, e dentro trovo Claudio Amendola; a un certo punto mi sono estraniato da me stesso, volevo guardarmi anche da fuori.

E poi?

Ho iniziato a recitare e non sentivo l’ansia, era tutto come un gioco; (sorride) l’ansia è arrivata con il secondo film quando dovevo confermare ciò che avevo trattato con incoscienza.


Ultrà
causò polemiche, con Amendola costretto a non andare più in curva. Lei?

E chi me conosceva? Claudio era famoso, io no: i problemi si concentrarono su di lui.

Lei da giovane.

Cresciuto in un ambiente particolare, di ragazzi che cercavano di capire, di andare oltre il pensiero comune: leggevamo tra le righe, e i più grandi erano politicizzati. Io sognavo sempre il cinema.

Cosa credeva di trovare?

Immaginavo una realtà faraonica, hollywoodiana, invece ho scoperto una quotidianità artigianale, ma nel senso più positivo. Un mondo sommerso composto da un numero incredibile di maestranze pronte a inventare l’impossibile con il fil di ferro.

La magia.

Grazie al cinema ho incontrato un’umanità che altrimenti non avrei mai sfiorato.

Tipo?

Già togliere il culo dal muretto sotto casa, e scoprire persone che parlavano in maniera diversa, vestivano in maniera diversa e ragionavano in maniera diversa; trovarmi in luoghi a me sconosciuti dove, fino a poco tempo prima, avrebbero chiamato la polizia per uno come me.

Perfetto.

Al di là del clamore, che non me ne frega niente, tutto questo mi ha aperto la mente.

Il set ha spesso lunghi tempi morti.

E che, non lo so? Ma uno ne è consapevole e si organizza, anche se non mi sono mai trovato in situazioni eccessive, pure perché non mi sono mai messo completamente alla prova.

Cioè?

Avrei dovuto rischiare maggiormente, magari ruoli minori, anche meno pagati, ma più interessanti a livello professionale.

E come mai?

All’inizio ho rinunciato per timore di un fallimento, o di non venir preso sul serio, poi ho aggiunto l’aspetto economico; è come se avessi indossato le pantofole.

Lei rideva e ride poco: indole o ruolo?

Sono proprio così; non sono un ridanciano, poi ci sono le occasioni in cui mi lascio andare.

Da giovane, meno.

Ero in paranoia e timido: andare in televisione, e non era facile; (ci pensa) in realtà non lo è ancora: quando ho un’ospitata in un programma, il giorno prima sono assalito dall’ansia, come se dovessi scendere in guerra. Infatti evito il più possibile.

Sfugge.

Al massimo reggo le interviste al telefono.

All’inizio della carriera, chi le piaceva?

Fantastichini; per uno stage dovevo scegliere un modello attoriale e riproporlo: puntai su di lui.

Poi ci ha lavorato.

Persona di una simpatia rara, di una forza e di una dolcezza spiazzanti; probabilmente quando s’incazzava poteva diventare pericoloso, ma non l’ho mai visto in quella situazione. Sembrava un poeta maledetto.

Torniamo a Costanzo.

Gli devo tutto, se poi vedeva qualcosa di positivo, ti esaltava, altrimenti bastavano tre parole ed eri finito. Con me è stato unico, mi ha spinto senza raccomandarmi con nessuno, in maniera indiretta: è bastata la sua stima e simpatia.

Volonté sosteneva: ‘Il mestiere dell’attore serve a combattere le tenebre dell’ignoranza’.

(Sorride) Vabbè, ma è Volonté, non poteva dire una stronzata; comunque non serve solo allo spettatore, ma all’attore stesso; (sorride ancora) visti i film in cui recito, di tenebre ne combatto poche.

Insomma…

Questo lavoro mi ha regalato la cultura, ma resto un ignorantone.

Invece la strada cosa le ha insegnato?

Il rispetto di ciò che ho ottenuto, e di quelli che lavorano intorno a me; il rispetto per il lavoro e la lealtà.

Sul set da chi ha imparato?

Inizialmente mi ha aiutato Amendola, poi Giancarlo Giannini: vedere la sua umiltà, la sua professionalità, mi ha segnato; con Giancarlo ho passato nottate intere a parlare, poi lui è un grande oratore, e io assorbivo quanto più potevo.

E con Amendola?

Il primo scambio con lui fu una sentenza: “Rispetta sempre quelli che ti stanno intorno perché sono lì per te”. Tutto quello che realizzano va a vantaggio tuo”. Mi colpì.

Come mai?

Allora ero un po’ coatto, e per me Claudio era un mito, uno che c’era riuscito; poi ammiravo il suo essere ‘di bosco e di riviera’.

Tradotto?

Uno in grado di nuotare in ogni acqua: se sta con un principe, è più principe dell’altro, se sta con un bandito, è più bandito dell’altro. Con lui sono uscito tantissimo: ci siamo divertiti.

Ancora amici?

Sì, ma ci vediamo giusto allo stadio, per la Roma.

Anche lei orfano di Totti?

(Silenzio) Un dolore che non credevo di poter provare, negli anni precedenti ho rimosso il suo addio, poi quando è arrivato quel maledetto giorno… (altro silenzio) Ancora oggi se vedo le immagini della sua ultima partita, piango come un ragazzino.

A cosa è sopravvissuto?

Boh. La domanda è bella ma sono spiazzato; (dopo un po’) sono un uomo fortunato e sicuramente sarò sfuggito a tante situazioni brutte; (ci pensa ancora) forse a me stesso, ma ancora non è detto.

Si reputa faticoso?

Porca miseria! Vivere con me è una tragedia, essere me stesso è un’altra tragedia.

Sempre, tradotto.

Sono paranoico, ansioso, cagadubbi, pigro, ma profondamente pigro, zero spirito di sacrificio. E penso sempre negativo.

Come fa con il lavoro?

È una lotta continua.

La memoria?

Quella è buonissima, le stagioni in Distretto di polizia sono state una scuola meravigliosa: dovevo studiare dieci pagine al giorno per dieci mesi l’anno, quindi ho imparato a lavorare con la memoria fotografica. Pure oggi leggo una volta e vado, poi dimentico tutto.

Dopo la morte del suo personaggio, i fan sono insorti.

Ancora mi fermano e chiedono: ‘Torna?’. Eppure la serie non c’è più.

La confondono mai con un collega?

Ogni tanto qualche folle o tossico mi chiama Mastandrea, ma non è una questione di somiglianza, solo di cervello fracico.

Non si offende.

Macché! Valerio è un attore e persona straordinaria; poi lui è alto e snello, io basso e grasso, già quello dovrebbe dare un’indicazione oggettiva.

La fama all’inizio della carriera.

A volte faticosa: avevo l’ansia di comportarmi bene, evitavo le parolacce, poi ho lasciato perdere, ho capito che se voi campa’ te devi comporta’ come sei. Accada quel che accada.

Timore di perdere il successo?

Eccome, soprattutto la notte, quando sono sdraiato e penso a tutte le stronzate che ho combinato e continuo a perpetrare; è quella lucidità terribile che mi chiarisce come dovrei stare più attento rispetto al lavoro.

Nello specifico…

Rischio sempre di uscire dal giro, non mi curo della carriera, non seguo certe logiche…

Non ha un ufficio stampa.

Non lo vojo, perché serve se vuoi uscire sui giornali, andare in televisione, e situazioni simili, mentre a me non va.

Come mai questa intervista?

Perché sono a casa, e poi posso dire alla produzione che ho fatto qualcosa. Magari posso barattare questa chiacchierata con qualche “no” ai passaggi in tv.

Bugie?

Solo quando serve a salvarmi la vita, o il quieto vivere, non quelle da mitomane.

Un attore o regista che l’ha intimidita.

Sorrentino, ma non lui come persona, piuttosto come mito, come ambiente, e soprattutto come set: è talmente enorme, talmente differente dagli altri, così calcolato e professionale, da portarti mentalmente da un’altra patte.

E Sorrentino?

È bello vederlo, come costruisce il suo quadro, la sua attenzione; dedica più tempo a come un attore muove un dito o la mano rispetto alla battuta stessa.

Il suo supereroe.

Superman: è l’unico imbattibile, gli altri hanno punti deboli.

Personaggio letterario di riferimento.

Da ragazzo tutti mi consigliavano di leggere Bukowski, e in effetti mi ha folgorato, poi con il passare degli anni l’ho relativizzato.

Primi soldi guadagnati.

Molti li ho spesi in alberghi, erano il mio sogno sin da bambino. Una fissazione. Così ho iniziato a girare le suite più belle di Roma, e non solo; (ride) uno dei miei alberghi preferiti era accanto a casa mia, eppure affittavo la stanza e ci portavo amici e donne. Soprattutto donne. Poi acquistavo stivali texani, in pelle di serpente.

Soldi vissuti?

No, buttati.

Chi è lei?

Spero soprattutto di essere un buon padre.

I suoi figli come vivono la sua fama?

Non gli interessa proprio.

Usiamo il Recovery per sostenere davvero il lavoro delle donne

Next Generation Eu è uno strumento per tamponare i problemi delle generazioni di oggi o per dare respiro a quelle future? Il nome è una dichiarazione d’intenti, ma chi sta davvero pensando agli investimenti che cambieranno la prospettiva del prossimo futuro? Certo programmare è complesso perché l’elaborazione di un piano nazionale richiede un grande lavoro di concertazione strategica. L’impressione – a oggi – è che la confusione regni sovrana. Sappiamo ancora poco di come verranno spesi i fondi che stiamo aspettando con ansia. Le notizie sono poche e imprecise. Sappiamo, per esempio, che le aree in cui l’Europa sta scommettendo sono il digitale e il verde. Non c’è dubbio che questi siano due settori chiave per le trasformazioni produttive e occupazionali che interesseranno l’economia. Tuttavia sappiamo anche che in un Paese come il nostro – nel quale gli anziani sono molti e i bambini sono pochi – è necessario introdurre un ulteriore pilastro “concettuale” che agevoli una transizione basata sulla cura. Sì proprio così. La cura. Perché se è vero che ci troviamo da anni in quello che l’Istat definisce un “inverno demografico” (le famiglie italiane hanno pochi figli), è anche vero che, senza una capillare diffusione di servizi di base – uno per tutti, gli asili nido – il tasso di occupazione femminile rimarrà sempre ben distante da quello maschile. La potremmo chiamare transizione demografica ed è una terza via da prendere in esame. È necessario modulare gli investimenti in questo senso perché altrimenti non riusciremo ad ottenerne gli effetti auspicati (e doverosi) e Next Generation EU rappresenterà l’ennesima occasione mancata.

Per questo motivo abbiamo fondato il movimento “Il Giusto Mezzo” (ilgiustomezzo.it), che con una lettera inviata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiede interventi programmatici e strategici in tre ambiti chiave per il futuro: servizi di cura della persona, occupazione femminile e disparità di genere. Attraverso questo appello, che ha superato le 40 mila firme, desideriamo sottolineare che il nostro interesse non è la questione femminile ma l’efficienza del sistema, degli investimenti che faremo e il loro reale impatto sulle generazioni future. Come dimostra anche lo studio Next Generation EU Leaves Women Behind, commissionato dai Greens/Efa su iniziativa dell’europarlamentare tedesca Alexandra Geese e realizzato, oltre che da chi scrive, dalla collega Elisabeth Klatzer, la disparità di genere costa ogni anno 370 miliardi.

L’unico modo per ridurre questa disuguaglianza è investire nel settore dei servizi di cura agli anziani, ai bambini, ai malati, ricordando che questi investimenti sono un importantissimo volano per la crescita. La recente letteratura dimostra che se si investisse il 2% del Pil nel settore della cura, questo investimento avrebbe un effetto moltiplicativo maggiore (quindi, un maggiore beneficio per il sistema economico) rispetto a quanto avverrebbe se si investisse la stessa quota del Pil in un settore tradizionale, come per esempio quello delle costruzioni. Le richieste de “Il Giusto Mezzo”, quindi non sono e non vogliono essere rivendicazioni di una (seppur condivisibilissima) richiesta di parità di genere, ma anche e soprattutto spunti legati a un corretto uso delle risorse di NgEu. La prospettiva è la massima efficienza per il Paese, per tutti.

Dulcis in fundo, sarebbe opportuno pensare al costo della burocrazia della pubblica amministrazione, altro settore sul quale i fondi potrebbero avere un impatto importante. Non ci possiamo permettere sprechi da una parte, e dall’altra la carenza totale di servizi. L’Università di Göteborg, ogni anno, pubblica il Quality of Government Index. L’ultimo rapporto racconta l’Italia in caduta libera (per efficienza burocratica, siamo passati dalla 20° posizione del 2000 alla 33° del 2018) ed evidenzia un dato su cui riflettere. Tra il 2000 ed il 2018, se l’efficienza della burocrazia fosse stata dello stesso livello di quella tedesca, il tasso di crescita del Pil, anziché al 2,3%, sarebbe volato al 6,2%: 70 miliardi persi. Cifra con cui si sarebbe potuta impostare una copertura al 100% degli asili nido pubblici, coprire le rette scolastiche per gli studenti fino alla fine delle elementari, finanziare il congedo di paternità pari a quello di maternità. È necessario, quindi, che questi fondi vengano spesi con un piano strategico integrato, adottando una prospettiva di genere e garantendo l’esplosione del pieno potenziale produttivo del Paese.

Metafore col cuore in mano, e quei polsini insanguinati

Ogni volta che finisco di scrivere uno di questi articoli mi viene da urlare: “Bravo!” Proseguiamo dunque l’esplorazione degli argomenti divertenti (metalogismi).

 

ARGOMENTI DI COESISTENZA

Questi argomenti giocano con la relazione atto/persona. Ne abbiamo visto diversi esempi: l’argomento d’autorità, la scelta fra i diversi aspetti della persona, l’influenza dell’attributo sull’essenza, la qualificazione attraverso l’atto, il legame simbolico e le doppie gerarchie. Di queste, ecco l’ultimo caso:

Simboli/cose simbolizzate. “Che razza di cane hai?”. “La peggiore”. “Davvero?”. “È un bassotto. Sai, è un sostituto del pene, per me.” “Oh, nel tuo caso avrei pensato a un alano”. (Woody Allen)

 

ARGOMENTI DI ANALOGIA/CASO PARTICOLARE

L’ANALOGIA

Sottolineare una relazione. Una donna senza uomo è come un pesce senza bicicletta. (slogan femminista anni ’70)

L’accento sui termini invece che sulla relazione. Schopenhauer, a proposito di un predicatore noioso: “È il pastore fedele di cui parla la Bibbia: lui solo veglia, mentre il suo gregge già dorme”.

L’analogia prolungata. In Amore e guerra di Woody Allen, durante la battaglia, un moderno venditore di snack s’avvicina ai soldati inginocchiati in batteria, come fosse allo stadio. VENDITORE: “Caramelle!” BORIS: “Hai da bere?” VENDITORE: “No, sta arrivando quello delle birre. (un soldato paga con una banconota) Non hai spicci? Ho appena cominciato!”

IL CARDINAL LAMBERTINI: “Guardate quella donna che discorre con il conte Davia”. DE BROSSES: “Quella che ha sul petto quella bella croce?” CARD. LAMBERTINI: “Ah! Se è per questo, è bello anche il Calvario!”

Tendere all’identità. Affamati com’erano, mangiavano anche i cavalli. Appena un cavallo rallentava un pochino, gli saltavano addosso: “È morto! È morto!” (Dario Fo, 1987)

Napoli in agosto è un po’ come Parigi a maggio: ricorda Pescara in aprile. (A. Bergonzoni)

La metafora presa alla lettera. BORIS: “Mio padre, oltre alla nostra tenuta invernale ed estiva, possedeva un prezioso pezzo di terra”. (Il padre cava dal cappotto una zolla e la mostra.) (Woody Allen)

Ve lo dico col cuore in mano, perciò con i polsini completamente insanguinati. (A. Bergonzoni)

La metafora mista. Vendesi isola deserta in cui mano d’uomo non ha mai messo piede.

La metonimia mista. Vedo tante facce a cui vorrei stringere la mano.

IL CASO PARTICOLARE

L’esempio. Se Dio potesse solo darmi un segno! Per esempio intestandomi un grosso conto in qualche banca svizzera. (Woody Allen)

Sottolineare il caso particolare. È un espediente alla base di molti anti-joke, le battute che parodiano la comicità stessa. Ne è un esempio la battuta apposta alla vignetta di P.C.Wey.

ARGOMENTI DI DISSOCIAZIONE

Questa specie di argomenti gioca con le coppie concettuali antitetiche (apparenza/realtà, forma/sostanza, soggettivo/oggettivo, particolare/generale, &c.).

LA COPPIA CONCETTUALE

Inversione. Non posso essere presente in spirito, così vengo di persona.

La dissociazione mancata. Stati Uniti, 1950. Un piazzista arriva di notte in una città della Carolina del Sud. Gli alberghi sono tutti al completo, tranne una pensione per gente di colore. Il piazzista si annerisce la faccia con del nerofumo, ottiene una bella stanza e si raccomanda di essere svegliato l’indomani alle 7 perché deve prendere il treno. Il portiere se ne dimentica, e corre a svegliarlo appena cinque minuti prima della partenza del treno. L’altro si veste in fretta e furia e si precipita in stazione senza neppure lavarsi la faccia. Sul treno, un controllore vuole cacciarlo perché quel vagone è riservato ai bianchi. “Ma io sono un bianco!” protesta il piazzista. Si passa sul volto il fazzoletto. Sorpresa! Sul fazzoletto non c’è traccia di nerofumo, la pelle resta nera. Nella fretta, il portiere aveva sbagliato stanza.

Uno dei due gemelli muore. Un amico incontra l’altro e gli chiede: “Ma chi è morto, tu o tuo fratello?” (Ierocle, V sec. a. C.)

La dissociazione fittizia. Solo le parole contano, il resto sono chiacchiere. (Ionesco)

Mai uccidere un uomo, specie se questo significa togliergli la vita. (Woody Allen)

LA DISSOCIAZIONE ESPEDIENTE/REALTÀ

Ogni argomento fa ridere, se percepito come espediente. Ecco alcuni esempi:

Rovesciare il verosimile. Due ebrei alla stazione. “Dove vai?” “A Cracovia.” “Che bugiardo! Se dici che vai a Cracovia, vuoi farmi credere che vai a Leopoli. Ma io so che vai davvero a Cracovia. Perché menti, dunque?” (Freud)

L’ironia. Sono innamorato di una ragazza. È sposata, ama un altro, e lui è sposato. Una situazione davvero salutare. (Woody Allen)

Più sofisticato il caso del personaggio che subisce l’ironia dell’autore, come spesso in Plauto: nell’Aulularia, Eunomia si lamenta della eccessiva loquacità femminile con uno sproloquio che ne è un esempio tipico (Aul., 120-134); nelle Bacchidi, il moralista Lido deplora una scena di depravazione, e non s’accorge di descriverla come un pornografo (Bacc., 477-483).

LO STILE

La forza degli argomenti

L’argomento loffio. AGENTE SMART: “In questo momento, sette cutter della Guardia Costiera stanno convergendo su di noi. Ci crederesti?” MR. BIG: “Trovo difficile crederlo”. AGENTE SMART: “Mmm. . . Ci crederesti sei?” MR. BIG: “Non proprio”. AGENTE SMART: “Che ne dici di due poliziotti su una barca a remi?” (Mel Brooks & Buck Henry)

(25. Continua)

Quando la vittima è donna i numeri non diminuiscono

La pandemia fa decrescere il numero dei reati ma non quando le vittime sono donne. Non sempre, almeno. Il terzo rapporto dell’Organismo permanente di monitoraggio e analisi analizza il flusso dei delitti e il loro rapporto con la pandemia da Covid-19. Nel terzo capitolo si sofferma sul fenomeno delle violenze di genere confrontando il numero dei reati dei cinque mesi che vanno dal primo marzo al 31 luglio 2020 – quindi include sia il lockdown che l’allentamento delle restrizioni – con lo stesso periodo del 2019. L’analisi riguarda innanzitutto i “reati spia”: atti persecutori, maltrattamenti contro i familiari e i conviventi, ai quali si aggiunge la violenza sessuale. “Nei mesi di marzo e aprile 2020, con l’inizio del lockdown” si legge nel rapporto “appare evidente come l’andamento dei reati connessi abbia subìto una generale flessione rispetto agli analoghi periodi del 2019”. Il dato complessivo passa infatti da 3.319 a 2.417 e da 3.125 a 2.417. “Nei mesi successivi, in corrispondenza del progressivo allentamento delle misure restrittive” si legge nel rapporto “si assiste a un incremento con un picco a maggio 2020”. Il dato si fa ancora più interessante se consideriamo che le cifre di maggio 2020 superano quelle del 2019 passando da 3.280 a 3.363. Fa davvero impressione sapere che ogni giorno, nello scorso mese di maggio, ci sono state in media 180 denunce contro le 105 dell’anno precedente. Il totale di reati da marzo a luglio 2020 è stato di 14.913 a fronte dei 17.174 del 2019: 2.261 casi in meno dovuti alla flessione che si è registrata nei mesi di lockdown. Il report – che analizza la tendenza media dell’andamento per ogni singolo reato – stima in 7.983 i casi di maltrattamenti contro familiari e conviventi tra marzo e luglio 2020. Nello stesso periodo del 2019 si attestano a 8.810. Gli atti persecutori passano dai 6.978 del 2019 ai 5.480 del 2020. Passiamo infine alle violenze sessuali. Il dato del 2019 è pari a 2.086 casi che diventano 1.450 nel 2020. La media mensile dimostra che dopo la flessione tra marzo e aprile (rispettivamente 171 e 153 casi nel 2020 contro i 401 e 334 del 2019) le cifre tornano a impennarsi da maggio in poi con una media che si riallinea proprio a luglio (481 casi nel 2020 e 506 nel 2019). Le stime del raffronto – in attesa dei dati consolidati del 2020, per un confronto su base annua – in questo momento dimostrano quindi che le segnalazioni di reato sono diminuite durante il lockdown per tornare in aumento nei mesi successivi. Parabola inversa per le richieste di aiuto pervenute alle cosiddette “helplines” (linee di aiuto) come nel caso del numero 1522 attivo dal 2006 al Dipartimento per le Pari Opportunità. “Le richieste di aiuto alle helplines – si legge nel rapporto – aumentano nel periodo di lockdown e si riducono in quello successivo”. Dal 22 marzo 2020 si è registrato un incremento delle chiamate non paragonabile all’andamento degli anni precedenti. Il report evidenzia che 8 chiamate di richieste di aiuto su 10 pervengono dalle 9 alle 20. In pieno lockdown, tra marzo e aprile, aumentano però le telefonate ricevute di notte o alle prime ore del mattino: le chiamate tra le 21 e le 5 della mattina sono aumentate del 7,4% rispetto allo stesso periodo del 2019. “La maggior parte delle chiamate – si legge nel documento – viene effettuata da chi chiede aiuto in prima persona come vittima di violenza o di stalking ma cresce anche il numero di coloro che si rivolgono al numero di emergenza per chiedere informazioni, in particolare si tratta di operatori di servizi pubblici, a volte parenti o amici”. Nel 96,3% dei casi si tratta di donne, di tutte le età e di ogni fascia sociale. E ancora: il 48,5% delle vittime dichiara di essere coniugata mentre il 32,3% è single.

 

La pandemia criminale: meno reati ma più usura

La pandemia ha limitato la socialità e allargato le distanze. Inevitabile che anche il crimine, in Italia e nel mondo, ne subisse le conseguenza: i delitti nel primo semestre del 2020 sono diminuiti rispetto all’anno precedente: lo rivela il terzo report dell’“Organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso” (organismo istituito dal governo ad aprile e presieduto dal prefetto Vittorio Rizzi) sul tavolo del governo dal 15 settembre.

I delitti complessivi diminuiscono del 27%

Nella stagione del Covid-19 i delitti crollano di oltre un quarto: “L’andamento ha evidenziato una diminuzione del 27,2%: 836.937 nel 2020 contro i 1.149.414 del 2019”.

I reati informatici raddoppiano

L’incidenza dei reati informatici è invece aumentata sia a livello nazionale (si passa dallo 0,6 del 2019 all’1,1 del 2020) sia a livello mondiale, soprattutto durante il lockdown per l’“aumento esponenziale delle transazioni commerciali in rete”.

I reati contro la persona

I maltrattamenti contro familiari e conviventi passano da 9.809 a 9.728 (-0,8%). Gli omicidi volontari da 161 a 133 (-17,4%). Gli atti persecutori da 8.110 a 6.597 (-18,7%). La pornografia minorile da 281 a 221 (-21,4%). Le lesioni dolose da 30.773 a 23.466 (-23,7%). Le violenze sessuali da 2.254 a 1.705 (-24,4%). La detenzione di materiale pedopornografico da 173 a 129 (-25,4%)

Reati contro la persona nel mondo

“Le misure restrittive della libertà di circolazione – si legge – e la relativa crisi economica hanno esasperato conflittualità presenti e latenti, tanto da determinare una minore riduzione (quando non un aumento) di queste fattispecie delittuose con particolare riferimento agli omicidi e ai maltrattamenti in famiglia”. I valori si sono poi riallineati con la “graduale riapertura delle attività” e “la riduzione delle misure di contenimento del virus”. Ma non è stato ovunque così.

Usa, coprifuoco e circolazione delle armi

“Negli Stati Uniti – si legge – oltre alla pandemia, si sono registrate le violente proteste del movimento Black Lives Matter, che hanno costretto le amministrazioni a fare ampio ricorso del coprifuoco”. La situazione complessiva ha avuto un forte “impatto anche sull’andamento dei crimini”.

“Il prolungato lockdown e l’altissimo tasso di disoccupazione che ha interessato le classi più povere hanno contribuito ad elevare immensamente la tensione sociale, che da una parte ha trovato sfogo nelle manifestazioni di piazza, dall’altra ha sicuramente contribuito all’innalzamento del numero delle sparatorie e degli omicidi”.

L’incremento dei reati violenti “ha interessato soprattutto le grandi città. Nel luglio 2020 a Chicago le vittime delle sparatorie sono state 573 (58 i minori coinvolti), con 106 omicidi. Un aumento di omicidi del 139% rispetto a luglio 2019 e del 75% di sparatorie.

Portogallo e violenza domestica

In Portogallo “le segnalazioni sulle linee telefoniche di assistenza hanno registrato, nel periodo marzo/ giugno, un aumento di richieste pari al 180% rispetto al 2019”.

Reati contro il patrimonio in Italia

Diminuisce tutto, tranne l’usura, che passa da 92 a 98 casi (+6,5%). Le truffe passano da 68.164 a 60.227 (-11,6%). Il riciclaggio e impiego di denaro da 971 a 755 (-22,2%). I danneggiamenti da 136.508 a 102.752 (-24,7%). Le estorsioni da 4.912 a 3.643 (-25,8%). Le rapine passano da 12.308 a 8.609 (-31,1%). La ricettazione da 8.079 a 5.631 (-30,3%). I furti da 530.849 a 309.927 (-41,6%). La contraffazione da 2.655 a 1.325 (-50,1%).

Reati contro il patrimonio nel mondo

La chiusura delle attività commerciali e le misure di distanziamento sociale hanno comportato inizialmente una generale riduzione dei reati contro il patrimonio. Ma ben presto un più forte bisogno di approvvigionamento di beni di prima necessità ha provocato un aumento dei furti all’interno degli esercizi commerciali. Ed è accaduto in molti paesi in tutto il mondo.

Traffico di stupefacenti

Anche in questo caso siamo di fronte a un decremento. In Italia si passa in totale da 20.419 a 17.833 (-12,66%) casi denunciati. Riduzione anche nel resto del mondo. In realtà è solo apparenza, spiega il report, perché si tratterebbe di “una diversa modulazione delle condotte criminali” e “l’attività produttiva” non ha “subìto battute d’arresto”. Un rapporto dell’Agenzia europea per la droga (Oedt) ha analizzato il traffico di droga nel periodo del lockdown in Europa: i prezzi sono saliti, malgrado una minore purezza per alcune droghe, e si è registrata una “continua violenza tra fornitori e distributori”.

I consumatori e i rivenditori hanno usato metodi alternativi per entrare in contatto: mercati darknet, piattaforme social media, applicazioni per comunicazioni crittografate, pagamenti cashless.

Traffico di migranti

I reati inerenti la tratta di esseri umani passano da 1.202 a 685 (-43%): “La crisi globale ha già mostrato di avere un impatto sul fenomeno delle migrazioni ed è prevedibile che ne possa avere sulla tratta di persone. (…) La rotta migratoria proveniente dal nord Africa sta vivendo una rinnovata attrazione per i flussi irregolari e la Tunisia rappresenta il primo Paese di provenienza dei migranti illegali in Italia negli ultimi mesi con flussi in deciso aumento rispetto allo stesso periodo del 2019. (…) La Libia, con un conflitto civile in corso e principale hub per le partenze verso le coste europee, sta subendo la crisi conseguente all’epidemia e quella connessa all’interruzione dell’esportazione di petrolio. Il business illegale del favoreggiamento della migrazione clandestina potrebbe rappresentare, pertanto, un’attività ancora più attrattiva per le organizzazioni criminali già presenti ed operative nel Paese (…)”.

I dati dal Primo marzo al 31 luglio 2020

“L’analisi dei dati – si legge nel rapporto – mostra una diminuzione più rilevante per alcuni reati quali le rapine in banca (-68,07%) e quelle in uffici postali (-64,47%) e per i furti in genere (…) e un decremento meno accentuato per altri reati quali le rapine in genere (-35,55%, di cui quelle in abitazione -33,33%, in esercizi commerciali -39,55%). Inoltre, benché continuino a verificarsi furti e rapine ai danni di farmacie, i dati relativi al 1 ° marzo – 31 luglio 2020, rispetto al 2019, evidenziano un accentuato decremento del numero dei furti, che passano da 442 a 338 (-23,5%) nonché delle rapine che scendono da 273 a 161 (-41%). Furti e rapine si sono concentrati, in particolare, sulle attività commerciali che non hanno mai sospeso la loro attività, come le farmacie, approfittando anche della possibilità della mascherina”.

I reati informatici “evidenziano un incremento del 31,86% (67.287 casi dal 1 marzo – 31 luglio 2020 a fronte dei 51.030 del 2019)”. Capitolo a parte l’usura: “Nella nuova dimensione economico-finanziaria delle organizzazioni criminali e malgrado la stessa possa sembrare ormai residuale, stante il ridotto numero di segnalazioni presenti nella banca dati interforze, alcune conseguenze della sua pratica destano ancora un rilevante allarme sociale soprattutto in una società che tuttora risente degli effetti del lockdown e dell’emergenza sociale post Covid-19”. Qualche cifra: “Gli episodi di usura, rilevati in Italia dal 1 marzo al 31 luglio 2020, sono stati 67 con una generale flessione del 10,67% rispetto allo stesso periodo del 2019 (75 casi)”. C’è però un dato sul quale riflettere: “In alcuni contesti territoriali, infatti, l’avvento del Covid-19 ha ampliato le condizioni favorevoli alla diffusione dell’usura, in uno scenario già compromesso da povertà e disagi economici, acuendoli ulteriormente. Dalle spese primarie al pagamento di dipendenti e fornitori, questi i campi in cui si annida il rischio dell’usura, sia familiare sia d’impresa. Inoltre, essendo al cospetto anche di realtà imprenditoriali, la preoccupazione principale risiede nella capacità della criminalità di offrire denaro a facili condizioni a imprenditori che non riescono ad accedere, o quantomeno a farlo velocemente, al credito legale; l’usura è il grimaldello che apre la porta per entrare nel mondo economico: dall’immissione di ‘soldi sporchi’ nell’economia legale fino ad arrivare all’‘esproprio’ delle imprese utilizzate, a loro volta, per fare riciclaggio, in un sordido circolo vizioso”.

Trump lancia la “Blexit”, ma il partito se la squaglia

“Se la sinistra va al potere, lancerà una crociata contro la polizia. È ora di respingere la campagna di diffamazione dei liberal contro le forze dell’ordine e di riportare la sicurezza nelle nostre strade”: è un passaggio del ‘discorso dal balcone’ pronunciato ieri sera da Donald Trump. Lo stesso balcone su cui, lunedì sera, appena rientrato alla Casa Bianca dall’ospedale militare dove lo avevano curato per il coronavirus, s’era teatralmente tolto la mascherina. Che non si è rimesso ieri sera. Trump ha parlato davanti a 2.000 invitati con la mascherina, radunati sul South Lawn: fuori dalla Casa Bianca invece, fra la folla dei supporter di mascherine neppure l’ombra. Il presidente ha rilanciato la sua campagna, riproponendone alcuni temi forti, Law & Order e l’auto-celebrazione dei successi nella lotta contro la pandemia.

“Con la forza della scienza e della medicina americane, sradicheremo il virus sinese”. Alle 12 ora della East Coast, la Johns Hopkins University contava nell’Unione oltre 7.670.000 contagi e quasi 214.000 decessi: in Cina, 4.739. Il magnate candidato alla sua rielezione, risultato positivo al coronavirus il 1°ottobre – si ignora se lo sia ancora – ha voluto, ieri pomeriggio, alla Casa Bianca un evento in presenza, a due settimane esatte da quello nel Rose Garden per la scelta della giudice Amy Coney Barrett alla Corte suprema, quando si accese il focolaio che ha contagiato Trump e la first lady Melania e una quindicina d’altri. Chris Christie, l’ex governatore del New Jersey, oggi consigliere della campagna del presidente, una delle ‘vittime’, è uscito ieri dall’ospedale. Contrariamente a quanto avvenne il 26 settembre, però, tutti i presenti ieri dovevano portare con sé la mascherina e indossarla nel complesso della Casa Bianca e compilare un questionario. Il che non ne ha però diminuito l’entusiasmo: disponibili a sottolineare con applausi ogni passaggio, a scandire “Altri quattro anni” e “Ti amiamo”.

Dal balcone della Casa Bianca, Trump, giacca e cravatta, parla per soli 15 minuti e annuncia la ‘Blexit’, movimento di abbandono dei democratici da parte dei neri e degli ispanici. “Tutti coloro che sono qui questo pomeriggio sono parte del crescente movimento nazionale chiamato Blexit. Gli afroamericani e gli ispanici d’America stanno rigettando la sinistra socialista radicale e stanno abbracciando la nostra agenda pro-lavoro, pro-lavoratori, pro-polizia e pro-America”. Ma il magazine Politico fa la conta dei repubblicani che, temendo una disfatta il 3 novembre, stanno mollando il presidente: senatori e deputati che devono difendere il seggio ne prendono le distanze, Il senatore del Texas Ted Cruz vede il rischio d’un “bagno di sangue alla Watergate”; i suoi colleghi Susan Collins, Maine, Martha McSally, Arizona, John Cornyn, Texas, e vari altri fanno campagna senza Trump, se non contro Trump.

C’è da recuperare il tempo perduto in una settimana da ammalato; e da riempire il vuoto in agenda lasciato dalla commissione dei dibattiti presidenziali, che ha cancellato quello del 15 ottobre, dopo che Trump s’è opposto alla trasformazione del duello da ‘in presenza’ a virtuale. Si va direttamente al 22 ottobre. Il candidato democratico Joe Biden ha ricevuto l’endorsement di Greta Thunberg, la suffragetta svedese del clima, che sta con chi “tutela la scienza invece di distruggerla”. Il presidente è stato elusivo sui suoi test Covid in interviste radiofoniche e televisive. Trump ha detto di non conoscere i risultati più recenti: “Sono stato nuovamente testato, ma non so i numeri o altro, so che sono alla fine libero”. E nega problemi respiratori, mentre i medici ammisero due crisi. I sondaggi? “Alla grande”, dice alla radio e in tv e al suo popolo.

L’Amazzonia saccheggiata “Incendi, è il momento di speculatori e narcos”

L’ultima del presidente Jair Bolsonaro in merito alla situazione dell’Amazzonia è di qualche giorno fa; Bolsonaro ha invitato i gringos (gli stranieri) a visitare la regione per verificare che non ci siano incendi, rispondendo indirettamente alle polemiche in corso con i governi dell’Unione Europea e le ong ambientali. “Perché non apriamo, non stimoliamo il turismo in Amazzonia? Per mostrare ai gringos che lì non c’è fuoco”. La realtà, per Paulo Roberto de Souza Moutinho, esperto di ambiente che da vent’anni lavora in Amazzonia è ben diversa e conferma il desiderio dei brasiliani di volere la foresta pluviale preservata. Ma per Moutinho, co-fondatore dell’Ipam, l’Istituto di ricerca ambientale sostenibile, il governo Bolsonaro adotta una politica ferma agli anni Cinquanta e Sessanta, quando la selva era considerata una barriera allo sviluppo. La riforma fondiaria e agraria – secondo l’ambientalista che tra il 2005 e il 2012 ha contribuito a ridurre il disboscamento all’80 per cento e raddoppiare la produzione d’alimenti nella regione – potrebbe contribuire a frenare il saccheggio della foresta “patrimonio pubblico dei brasiliani”. Saccheggio che attira l’attenzione dei magistrati, tanto da spingerli a chiedere che sia allontanato il ministro dell’Ambiente, Salles.

Moutinho, cosa ne pensa della richiesta del pubblico ministero federale che ha chiesto al Tribunale di pari grado d’analizzare la possibilità di rimuovere Ricardo Salles dalla carica di ministro dell’Ambiente?

La politica ambientale è drasticamente cambiata con il governo Bolsonaro; una preoccupazione crescente non solo in Brasile, ma anche fuori del Paese. Il tema ormai coinvolge altre parti dello Stato e anche la magistratura interviene. Le azioni non trasparenti del ministero dell’Ambiente hanno suscitato interrogativi e accertamenti sia del settore giudiziario che di quello legislativo, fino al punto d’arrivare a chiedere l’allontanamento del ministro.

Quali sono le dinamiche dietro alla devastazione in Amazzonia?

La dinamica del disboscamento illegale è stata alterata, quello che accade oggi in Amazzonia non è più una deforestazione che ha come obiettivo l’aumento della produzione agricola, ma è fondamentalmente realizzato per appropriarsi di terre pubbliche.

Chi sono i responsabili di questo attacco alla foresta?

Il disboscamento illegale vuole agevolare la speculazione immobiliare dei grileiros: sono privati che acquisiscono illegalmente terreni falsificando documenti di proprietà. Insomma, questi personaggi entrano nella foresta, la disboscano e l’incendiano per poi venderla. Quest’azione è legata allo sfruttamento dei giacimenti d’oro. Questi due fattori, oro e grileiros, sono legati poi al traffico di droga e armi nella regione. Il racket è molto difficile da combattere, perché convive con il potere pubblico locale. Il finanziamento delle attività illegali inizia da città come São Paulo, Rio de Janeiro e persino dall’estero. Per aprire e gestire l’impianto di un giacimento d’oro con efficienza e rapidità, hai bisogno di piste di atterraggio, aeroplani e bulldozer. Servono soldi e mezzi.

Perché le inchieste non avvengono o se iniziano non sono incisive?

È difficile dire se questa è una politica deliberata del governo, ma quello che accade oggi è un fatto. La polizia federale, ma soprattutto l’Ibama, l’Istituto per il medio ambiente e le risorse naturali, sono stati estremamente indeboliti.

Pensa che il network criminale che aggredisce la foresta abbia lobby politiche di riferimento a Brasilia?

Credo che esista una parte dell’antica lobby agroindustriale che vede nella speculazione immobiliare dentro la foresta una maniera per incrementare gli affari.

Non crede che i grileiros abbiano complici negli uffici pubblici, così da agire indisturbati?

Sicuramente c’è una convivenza di interessi ambigui in alcuni settori degli uffici catastali, sia regionali che locali. Nel catasto ambientale rurale del governo si trovano più di 100 mila dichiarazioni di proprietà private o immobili rurali totalmente illegali, presenti in foreste pubbliche. L’Ipam e la magistratura federale cercano di cancellare queste registrazioni ed evitare che il presunto proprietario di un pezzo di foresta si presenti in banca per richiedere un finanziamento, così da disboscarla. È un problema serio, ma si può combattere identificando chi sono i presunti proprietari: poiché nel registro c’è il loro codice fiscale.

Il ministro Salles ha tolto la protezione ambientale agli istmi e le foreste di mangrovie, la misura favorirà la speculazione?

Non sono certo che sia stata una azione pensata dal ministro Salles, ma di sicuro permetterà l’occupazione di fasce di spiagge per investimenti immobiliari, mentre le foreste di mangrovie saranno destinate alla produzione di gamberi. Il ministro può persino dire che non era questa la sua intenzione e che la misura era stata prevista in un’altra legislatura, ma la conseguenza è facilmente immaginabile: non vi saranno più vincoli in ambienti fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio della vita marina, e di conseguenza della sopravvivenza dei pescatori.