Il mare troppo caldo favorisce gli uragani come “Delta e Laura”

In Italia – Nei giorni scorsi il sole è tornato a splendere sul Nord-Ovest alluvionato il 2-3 ottobre da piogge eccezionali fin’oltre 600 mm in 24 ore. I fiumi in piena hanno devastato le Alpi Marittime italiane e soprattutto francesi (500 mm a St-Martin-Vésubie, un record, danni catastrofici) nonché l’alto Piemonte (piena secolare del Sesia paragonabile solo a quella del novembre 1968), almeno nove vittime tra Italia e Nizzardo; bilancio dell’evento su www.nimbus.it. Intanto lo stesso scirocco che subissava di pioggia il Settentrione portava il termometro a 38,2 °C a Palermo, record per ottobre in oltre due secoli di misure. Rovesci e temporali mercoledì 7 lungo la penisola per una ventosa perturbazione da Ponente, oltre 60 mm in Campania e Basilicata, ma allagamenti e alberi caduti anche a Pescara. Pausa radiosa e tiepida, ma aria più fredda e instabile ci attende da oggi e nella nuova settimana.

Nel mondo – “Delta” ha attraversato il Mar dei Caraibi intensificandosi da depressione tropicale a uragano di categoria 4 (venti a 233 km/h) in appena 36 ore come nessuna altra tempesta aveva mai fatto in Atlantico. Indebolito, ha investito lo Yucatan mercoledì 7 causando danni ma non vittime dirette, poi ha ripreso vigore sul Golfo del Messico prima di toccare la Louisiana venerdì sera solo 21 km a Est rispetto al landfall di “Laura” a fine agosto. Raffiche di vento a 170 km/h, edifici in riparazione di nuovo danneggiati, black-out per 800 mila utenze sulla costa del Golfo e maree di tempesta da oltre 2 metri. Il mare troppo caldo favorisce queste pericolose intensificazioni esplosive degli uragani, rendendone ardua la previsione su zone costiere sempre più affollate ed esposte a inondazioni per l’aumento dei livelli marini, diceva già nel 2017 l’esperto di uragani Kerry Emanuel sul Bulletin of the American Meteorological Society (Will Global Warming Make Hurricane Forecasting More Difficult?). A sorvegliare intorno al Nord America c’è il National Hurricane Center, emanazione dalla Noaa, l’ente meteorologico statunitense che proprio il 3 ottobre ha compiuto 50 anni di eccellente ricerca scientifica, monitoraggio e previsione, contribuendo a salvare migliaia di vite. Nonostante il freddo anomalo in Groenlandia e Pacifico equatoriale (“La Niña”), settembre 2020 è stato il più caldo nel mondo stando al servizio Copernicus con 0,6 °C sopra media, appena superiore ai recenti massimi del 2016 e 2019. A scala regionale, settembre più bollente in California, Oregon, Turchia e Medioriente. Intanto a inizio ottobre è proseguito il caldo inedito in Medioriente, Nord Africa e Sud America, con nuovi record nazionali di temperatura massima per il mese in Giordania (44,6 °C), Turchia (40,6 °C), Cipro (40,4 °C), Tunisia (44,3 °C) e Brasile (44,5 °C). Con la votazione di mercoledì all’europarlamento prosegue l’iter della nuova legge europea sul clima, che mira a ridurre in modo vincolante le emissioni serra degli Stati membri del 60 per cento entro il 2030 rispetto al 1990, per poi giungere alla neutralità delle emissioni nel 2050. La politica deve fornire strumenti concreti per lottare contro i cambiamenti climatici, mentre scienziati e scrittori hanno il ruolo di diffondere informazione e consapevolezza. Come fa l’attivista islandese Andri Snær Magnason nel libro Il tempo e l’acqua (Iperborea): sullo sfondo di ghiacciai e mari nordici, una variegata narrazione che intreccia storie di famiglia (i nonni partecipavano alle spedizioni sui ghiacciai d’Islanda), aggiornate acquisizioni scientifiche su clima e ambiente, ma anche poesia e mitologia, passando per un arricchente dialogo con il dalai-lama. Una visione trasversale che tutti dovremmo avere per interiorizzare i rischi che corriamo. E reagire subito.

 

“Fratelli tutti” L’enciclica del Papa si ispira anche al buon Samaritano

Il principale paradigma biblico su cui si basa la recente enciclica di papa Francesco Fratelli tutti è la parabola del buon samaritano che Gesù racconta per rispondere alla domanda su chi sia il nostro prossimo: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: ‘Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno’” (Luca 10,30-35). La parabola termina con la domanda che Gesù fa a chi gli aveva posto il quesito iniziale: “‘Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?’. Quello rispose: ‘Chi ha avuto compassione di lui’. Gesù gli disse: ‘Va’ e anche tu fa’ così’”.

Gesù opera un doppio ribaltamento: alla domanda su chi sia il mio prossimo egli contrappone la domanda su chi sia il prossimo degli altri; non si tratta, cioè, di delimitare in categorie predefinite il prossimo verso cui si hanno dei doveri (il mio familiare e amico, il mio connazionale, il confratello religioso ecc.), ma di chiedersi se di fronte al bisognoso, che puoi anche incontrare per caso e quando meno te lo aspetti (un bisognoso che un giorno potresti anche essere tu), tu sia disposto a esserne prossimo oppure no. Il secondo ribaltamento è la conseguenza del primo: se pensi che la categoria del prossimo si limiti al tuo familiare o connazionale o confratello religioso può capitarti di rimanere ferito per strada senza che nessuno ti soccorra (il “vide e passò oltre” dei primi due passanti della parabola), mentre se lasci aperta la categoria di prossimità (il “vide e ne ebbe compassione” del samaritano) ci può essere maggiore e più efficace solidarietà per tutti.

Papa Francesco chiede: “Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli?”. E continua: “Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente”. Così è stato per l’esperienza dell’epidemia Covid19: l’abbiamo ignorata finché riguardava altri, poi abbiamo avuto grande difficoltà ad agire insieme, e oggi che l’epidemia è in ripresa c’è chi sostiene il “si salvi chi può”.

Un’icona della chiesa ortodossa illustra la parabola del buon samaritano dipingendo lo stesso identico viso sia per il viandante ferito dai banditi sia per il samaritano soccorritore, viso che è poi quello di Gesù. Perché? Perché noi tutti, come esseri umani, siamo sia soccorsi sia soccorritori – come ci risulta evidente quando ci troviamo nel mezzo di grandi tragedie – e, come credenti, siamo sia soccorsi dalla grazia di Dio in Gesù Cristo sia soccorritori nell’amore del prossimo. In sostanza Fratelli tutti, al di là del luogo del mondo in cui siamo nati o abitiamo e al di là della fede che professiamo.

* Già moderatore della Tavola Valdese 

Trump, attentati e bugie: la guerra è in Michigan

Una notizia assurda ha attraversato come un razzo malgiudicato la settimana americana (e la settimana di tutti), una notizia stupefacente che è rimasta “appesa” (come si dice dei caffè di Napoli pagati ma non consumati). Non sappiamo ancora se ci saranno altre notizie e chiarimenti, ma per il momento ecco i fatti.

L’Fbi ha scoperto e fermato in tempo un gruppo o milizia di estrema destra che avrebbe (niente è certo) il nome di Wolverine Watchmen, operante nel Michigan, ma, come vedremo, con intenti politici nazionali, non legati al territorio. L’intento era di compiere una grave azione provocatoria che avrebbe potuto portare a una scintilla di guerra civile. Ci sono parecchie ragioni di stupore in questa notizia, al di là del senso di pericolo grave che suscita. Il primo è che il progetto terroristico sarebbe iniziato con il rapimento della governatrice del Michigan, Stato operaio che Gretchen Whitmer, da quando è stata eletta, tiene (con grande seguito) ben fermo a sinistra, al punto da guidare migliaia di cittadini a Washington, per gridare a Trump, il più vicino possibile alla Casa Bianca, quel che pensano di lui e della sua politica, specialmente (parliamo di prima della malattia presidenziale) del disprezzo niente affatto nascosto del primo cittadino per il misterioso virus e i contagiati da quel virus, che hanno continuato a morire nonostante il diverso parere della Casa Bianca (“È una influenzetta”).

L’evento progettato è estraneo alla storia americana (compare solo nelle serie televisive di quel Paese), difficile da spiegare come sostegno politico per chi si ispira a Trump e, se compiuto, sarebbe stato irreversibile. Ma la seconda ragione di stupore è che la macchinosa operazione che ha portato a scoprire l’attentato, i protagonisti, le armi e le modalità dell’impresa, è stata condotta dalla Polizia Federale (la Fbi, appunto). La polizia federale fa capo al presidente degli Stati Uniti. Ma il presidente, fino a questo momento, non risulta né coinvolto nel piano rivoluzionario né a conoscenza di indagini di una simile gravità. E non ha detto una sola parola di condanna.

Resta la strana frase pronunciata da Trump nel dibattito contro Biden, quando ha detto a un gruppo fascista (la definizione è della Cnn) che gli offriva sostegno: “Adesso state indietro, verrà il momento”. Una terza ragione di stupore, persino per coloro che hanno sempre pensato a Trump come portatore evidente di un disordine mentale (che, questo sì, non è di destra né di sinistra, è un serio disturbo che ha invaso la politica), è la scossa di caos che ha portato alla Casa Bianca e dunque al Paese, dopo lo sgradevole evento del suo contagio. Trump, deliberatamente, lo passa in giro il più possibile, espone coloro che gli devono obbedire, compie gesti teatrali e allarmanti, come quando si toglie la mascherina con un gesto da spettacolo, proprio mentre arriva nel luogo in cui è circondato da un numero alto di persone dipendenti (la Casa Bianca è sorprendentemente piccola, nei suoi interni, e non ha saloni di tipo europeo). Tutta la sequenza dei suoi gesti e delle sue decisioni è vistosamente incoerente e le sue rabbie hanno un furore infantile, come il rifiuto iniziale al dibattito con Biden da luoghi differenti, visto che gran parte dei medici americani non credono ai bollettini dei medici militari da film argentino che lo hanno avuto in cura al Walter Reed Hospital. Non credono all’avvicinarsi della guarigione in tempo per il dibattito in persona.

I problemi di Trump, se questa descrizione è attendibile, non sono pochi e costringono deputati e senatori repubblicani (una parte di essi devono essere rieletti) a guardarsi le spalle. Trump dovrà decidere sull’indagine della Fbi sul tentato colpo di Stato. Dovrà prendere una posizione ragionevole e comprensibile sul dibattito con Biden. A distanza o di persona? Dovrà dire che cosa intende fare e come con il tentativo di nominare e far approvare la nomina dal Senato della “cattolicissima” nuova giudice della Corte suprema prima delle elezioni (mentre si moltiplicano le testimonianze di coloro che non l’hanno mai vista in una chiesa cattolica). Dovrà dimostrare di essere davvero sano “come quando avevo vent’anni”. La presidente della Camera, Nancy Pelosi, ha chiesto una inchiesta formale delle Camere per sapere la verità (la verità finora ignorata). Non ci riuscirà perché il Congresso, a causa delle elezioni, non è attivo. Ma la pesante domanda resta.

 

Informare non significa allarmare

“Il governo studia il coprifuoco alle 23”.

“La Stampa”

“Voi giornalisti siete interessati a ciò che non va bene, ed è giusto, ma perché ignorate le tante cose che funzionano”, mi dice un medico di famiglia. “Passo più tempo a tranquillizzare le persone che a occuparmi dei contagi”. Cerco di spiegargli che in un Paese libero l’informazione serve proprio a questo, a segnalare le carenze e le disfunzioni del sistema – in questo caso sulle misure di contrasto al Covid-19 – perché chi ne ha la responsabilità ponga rimedio. Cito le file di ore per i tamponi, documentate in tv. “Certo”, m’interrompe, “esistono situazioni pessime, e si spera rimediabili, servono milioni di tamponi veloci, sicuramente si è perso del tempo, ma non mi risulta che siamo nel caos più completo”.

Chi mi parla non è consulente del governo e neppure un fan sfegatato del ministro Speranza, però al di là dello sfogo contro “i soliti giornalisti” pone il problema reale della psicosi che si va diffondendo nella popolazione per difetto d’informazione. Fateci caso, gli scienziati (o presunti tali) preferiscono restare sulla modalità pessimismo vago, come quei dottori che di fronte a un raffreddore ci dicono che sarebbe meglio restare a casa coperti ma se proprio si vuole rischiare una polmonite sono fatti nostri. Tante grazie. Mentre il governo usa tre marce diverse, a seconda delle esigenze politiche del momento: ammonire, rassicurare, minacciare. E a noi disgraziati all’ascolto ci sembra di muoverci bendati in una stanza oscura. Perché allora ci si meraviglia del diffondersi dell’allarme e dell’incertezza? Nei mesi peggiori del lockdown la conferenza stampa pomeridiana della Protezione civile non si limitava a snocciolare i dati su contagi, decessi e terapie intensive. Ma era anche l’occasione per chiarire meglio il contenuto delle misure di contenimento e di profilassi adottate.

C’eravamo abituati al linguaggio, un po’ esoterico ma competente e prudente, del professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità. E una volta spenta la tv ci sembrava che la situazione fosse un po’ più sotto il nostro controllo. Perché non ripristinare quell’appuntamento, magari non tutti i giorni per non stressarci troppo ma con cadenza regolare? Potrebbe essere l’occasione per aggiornarci sullo stato della pandemia ma anche per disinnescare i tanti ordigni carichi di paura che ci vengono lanciati addosso, spesso immotivatamente. Per rispondere ai tanti interrogativi che ci assillano. Per esempio sul vaccino antinfluenzale. Ci viene detto che, soprattutto in età avanzata e per le persone ad alto rischio esso può costituire un’efficace barriera di contrasto al Coronavirus. Domanda: conviene vaccinarsi subito, oppure per non disperdere l’immunità è meglio farlo a ridosso di dicembre-gennaio, nei mesi cioè a maggiore rischio influenza? Ah saperlo.

Antonio Padellaro

Mail box

Dove sono finiti i 49 milioni della Lega?

Caro Direttore, nelle intricate vicende giudiziarie leghiste relative alla ricerca dei 49 mln di euro rubati allo Stato e alla rateizzazione concessa al partito di Salvini per restituire il maltolto, non è dato sapere se e in che modo vengono saldate queste rate. Sarebbe utile non solo per averne contezza, trattandosi di denaro pubblico, ma anche per capire qual è la provenienza di questo denaro. Sarebbe il caso di richiedere alla Lega copia dei versamenti sin qui effettuati per una trasparenza dovuta su una questione tanto delicata quanto imbarazzante per l’aspirante presidente del Consiglio sovranista che non dà mai conto di ciò che gli viene chiesto riguardo i vorticosi giri di denaro che coinvolgono uomini a lui vicini. C’è bisogno di rendere pubblica conoscenza della restituzione dei soldi. Proviamoci almeno!

Vincenzo Califano

Conte ha saputo resistere alle sirene negazioniste

Le misure del governo vanno nella direzione giusta. Guai a minimizzare! Bravo Conte! Hai saputo resistere alle testoline negazioniste che, al fine di spostare l’attenzione dalla lotta contro il virus a quella contro la demenziale “dittatura sanitaria”, rischiano così di vanificare i sacrifici fin qui fatti. Il governo, resosi conto che la diffusione del virus aumentava la curva dei contagi ha adottato misure più rigorose per fronteggiare al meglio la situazione. È la realtà dei fatti a dirci che, se il contagio si diffonde ulteriormente, il sistema sanitario è destinato al collasso con conseguenze catastrofiche per la salute dei cittadini. Le drastiche misure di contrasto al virus dimostrano che il premier ispira la sua azione all’art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

Maurizio Burattini

 

Ci sono evidenti legami tra mafia e neo-fascismo

C’è sempre stato un sottile filo rosso che ha unito tutti gli episodi oscuri e drammatici della cosiddetta “Prima Repubblica”. Sto parlando dell’ “abbraccio” tremendo della mafia con il variegato mondo del neo-fascismo e dell’eversione nera, che tante stragi ha compiuto nel nostro Paese. Questi due universi hanno sempre “collaborato” e sono sicuro che il legame che intercorre tra loro verrà, inevitabilmente, messo sempre più in luce dagli storici nei prossimi anni.

Marco Scarponi

 

Smettiamola di incolpare sempre e solo le donne

Da Eva in poi è sempre stata colpa della donna. In questo caso, secondo i media, è stata Hope Hicks a contagiare quel “gran clown” di Trump. E se invece fosse stato lui a contagiare lei? Visto che è sempre andato in giro senza mascherina dando la mano a tutti. È molto più probabile che sia stato lui il colpevole. Forse dar la colpa alla bella Hope è l’ultima speranza del Grande Clown per vincere le prossime elezioni.

Claudio Trevisan

 

Gli italiani in bolletta pagano Confindustria

Come da voi ben ricordato nei giorni scorsi in merito ai sussidi statali che sono finiti nelle tasche delle imprese, vorrei ricordare al dottor Bonomi come 25 milioni di famiglie italiane contribuiscono ulteriormente a sussidiare le imprese italiane, soprattutto quelle energivore. Mi riferisco alle bollette della luce e del gas dove, sotto la voce “oneri di sistema”, gli italiani sono costretti per legge a contribuire al funzionamento delle suddette imprese, per centinaia di milioni all’anno.

Luigi Zanetti

 

La nostra classe politica ha abbandonato i giovani

Aboliamo il capitalismo italiano. Di fatto per moltissimi giovani con un lavoro precario alla mercé dei loro datori, che di italiano hanno solo il loro interesse, sono già state abolite le loro vite e il loro futuro. Se arriveranno alla vecchiaia con le condizioni attuali, saranno costretti ad elemosinare, in quanto non avranno maturato né pensione né altri diritti. Le leggi in vigore, comprese quelle fatte dai governi Berlusconi, hanno consentito che fosse spianata la via all’illegalità e all’impunità di moltissimi. Ricordiamoci che la maggioranza degli italiani ha prima voluto il Fascismo, poi la DC, collusa con la mafia, Berlusconi e infine Matteo Renzi che ha spostato la politica del Pd dal centrosinistra al centrodestra. Anche l’attuale governo è composto da politici a me non graditi, ma lo salva il suo presidente che, unico ad oggi, è riuscito a dare qualcosa pure a chi non ha niente. I 5Stelle, pur con i loro errori e contraddizioni, sono comunque riusciti a realizzare diversi importanti obiettivi politici.

Ivo Bagni

I tormenti del giovane Michelangelo, la vedova scaltra e Adamo eccitato

Dai racconti apocrifi di Mary Berry. C’era anticamente un boia che era così esperto da riuscire a decapitare le vittime con un fendente fulmineo della sua sciabola senza che se ne accorgessero. “Ah!” disse una volta un testimone. “Questo l’avete mancato!”. Il boia sorrise: “Aspettate che starnutisca”.

Dalle novelle apocrife di William Harrison Ainsworth. Quando il commesso viaggiatore, dopo una giornata fruttuosa, rientrò in albergo, fu molto stupito dal vedere nella sua camera tre belle donne che giocavano a canasta in lingerie. Si era sbagliato? Non era la sua camera? Verificò di nuovo il numero sulla porta e quello sulla chiave. No, era la sua camera. Le tre donne erano delle intruse. “Sentite, ragazze”, disse entrando, “sono un uomo sposato, rispettabile, con una certa posizione. Non ho alcun bisogno di scandali. Mi dispiace, ma una deve andarsene”.

Dagli aneddoti apocrifi di Adelaide Kemble. Una giovane moglie era seduta al capezzale del marito adorato, più vecchio di lei di 30 anni, che stava morendo. Gli giurava che non sarebbe sopravvissuta, e che, come aveva condiviso il letto nuziale, così avrebbe condiviso fedelmente la tomba. Il vecchio marito la pregò di non giurare una cosa del genere. Allora la giovane moglie gli giurò che non sarebbe mai diventata la moglie di un altro. Il vecchio marito la pregò di non giurare neanche questo. Allora la giovane moglie, singhiozzando, gli giurò che non si sarebbe sposata per un anno. Il vecchio marito la pregò di non pensarci neppure: un anno è lungo. “Ma se proprio vuoi giurare qualcosa”, le concesse, “giura che mi sarai fedele finché la terra non sarà asciugata sulla mia tomba”. La giovane moglie glielo giurò, e il vecchio morì contento. Una settimana dopo il funerale, un amico del defunto si recò al cimitero, dove vide la vedova in lutto, inginocchiata sulla tomba del marito. La donna stava sussultando, come in preda a singhiozzi. L’amico si avvicinò per dirle qualche parola di conforto, ma si fermò di colpo: la giovane vedova, con un ventaglio, stava facendo aria sulla terra fresca, per asciugarla.

Dalle Vite apocrife di Giorgio Vasari. Il padre di Michelangelo, quando il ragazzino vide per la prima volta una donna nuda che faceva il bagno in un fiume, gli diede un ceffone, affinché non dimenticasse mai più la bellezza di quella donna.

Dai racconti apocrifi di William Motherwell. In una città della Danimarca fu ucciso un uomo, e il suo cadavere, avvolto dall’assassino nel tappeto orientale del salotto, fu gettato in mare. Proprio il giorno in cui le onde restituivano alla riva il fagotto col cadavere, il colpevole fu scoperto e condannato al carcere. Il tappeto, che figurava fra i corpi del reato, passò in un deposito, e dopo alcuni anni, dovendosi vuotare il locale, fu venduto all’asta. Lo comperò un signore, che lo distese nel suo tinello. Un giorno, a causa di un’amnistia, il colpevole uscì di prigione; ma, mentre camminava per la città, fu assalito da un rapinatore, che gli infilò un coltello nell’addome. Raccolto moribondo, fu portato nella casa più vicina, dove morì, disteso sul tappeto del tinello. Ci credereste? Non era quel tappeto.

Dai racconti apocrifi di Wilkie Collins. Due fidanzatini, molto poveri, si adoravano. Una vigilia di Natale, la ragazza, che aveva dei capelli bellissimi, andò dal parrucchiere, e tornò a casa senza. Confessò al suo ragazzo, dandogli un pacchettino: “Li ho venduti per comprarti un cinturino d’oro per il tuo orologio”. Ma lui aveva venduto l’orologio per comprarle una spazzola.

Dalla Genesi apocrifa di Israel Zangwill. Quando Adamo seppe che Dio gli aveva fabbricato una compagna, disse a se stesso: “Speriamo sia un po’ troia”.

 

M5S, crisi da Nord: “Gli Stati generali sono l’ultimo treno”

Questa volta vogliono essere ascoltati. Perché il crollo nelle urne e gli sguardi di attivisti e iscritti urlano che non c’è più tempo, per i grillini del Nord. “Gli Stati generali sono l’ultimo treno” scandisce Dario Violi, consigliere regionale e facilitatore del M5S in Lombardia. Un vagone essenziale, per il Movimento che sopra Roma soffre ancora di più la distanza dai Palazzi e la crisi d’identità del M5S, che dopo 11 anni di vita deve decidere cosa fare da grande. Così ecco il veterano Violi: “Le assemblee provinciali e regionali a febbraio le avevamo proposte noi lombardi, in previsione degli Stati generali di marzo. Avevamo anche fissato le date”. Poi è stato il Covid, e tutto ciò che ne consegue. Ma ora bisogna riprovarci, partendo dalle assemblee territoriali previste a fine mese in tutta Italia, prima dell’assemblea nazionale a Roma del 7 e 8 novembre. “In Lombardia – prosegue Violi – faremo tre o quattro assemblee provinciali, i nostri vogliono portare avanti le nostre istanze. Il tempo ha dimostrato che quanto chiedevamo da 10 anni era giusto”. E cosa chiedevate dalla Lombardia? “Serve una struttura, un radicamento sui territori come i partiti tradizionali. I gruppi locali devono sapere quanti e chi sono gli iscritti, e serve una connessione con il governo, con Roma. E poi va fatta un po’ di formazione, bisogna trasmettersi le competenze e magari alcuni trucchi di base per gestire i rapporti inter-personali”. Ma la gente perché vi vota sempre di meno? Il consigliere 5Stelle non ha dubbi: “Il nodo è l’identità, i cittadini sono spaesati, non capiscono più cosa siamo noi del M5S. Prima ci siamo schiacciati sulla Lega, e tanti dei nostri voti sono andati al Carroccio. Ora ci stiamo schiacciando sul Pd, e infatti parte dei consensi vanno ai dem”. Quindi no a intese strutturali con il Pd? “Non dico questo, io sono un governista, le intese con i dem vanno fatte. Ma tenendo fermi i nostri principi e programmi: con gli accordicchi non si va da nessuna parte”.

Dalla Lombardia al Veneto, ecco Jacopo Berti, membro del collegio dei probiviri, ex capogruppo in Regione. Nelle Regionali di settembre il Movimento veneto si è fatto malissimo: 2,7 per cento, a fronte del 12 di cinque anni prima, e una sola consigliera regionale eletta. Berti sospira: “C’è poco da dire, dobbiamo essere i veri portavoce del nostro territorio, dei veneti, e il M5S deve tornare a essere democrazia dal basso e partecipazione. Se siamo crollati così nelle urne qualcosa va cambiato: i cittadini hanno sempre ragione”. Ma come si fa a essere portavoce dei veneti? “Dobbiamo essere la voce delle partite Iva e dei piccoli imprenditori. La Fiat riceve subito un prestito da sei miliardi con la garanzia pubblica e invece le imprese fanno maledettamente fatica a ricevere prestiti e la cassa integrazione. E in uno scenario del genere i provvedimenti che spostano lo zero virgola non sono sufficienti”.

Intanto sono in arrivo le assemblee locali: in Veneto come andranno? Berti fa una pausa, e riprende: “I nostri sentono che serve una visione di società e di Paese, da qui a dieci anni”. Ma fuori del Movimento, i veneti vi vedono come il partito del Sud? “Sì, del Sud e assistenzialista. Questo non è vero, va detto. Ma questa è la percezione della gente nella mia Regione. E allora, lo ripeto, bisogna cambiare qualcosa. Però in fretta: questa mi pare l’ultima chiamata”.

Zinga “disinnesca” Calenda e aspetta il conclave dei 5S

Se Carlo Calenda “mette la testa a posto”, “rientra nei ranghi”, “non gioca contro di noi”, il Pd lo può prendere in considerazione. I ragionamenti – che filtrano dai piani alti del Nazareno – significano che i Dem sarebbero disponibili ad accettare una candidatura del leader di Azione “se partecipa a un percorso unitario”.

Apertura vaga, per non dire fumosa. Anche perché, in generale, il Pd si fida poco di Calenda. “È lui che deve scegliere, no il Pd. Vuole contribuire alla costruzione di un progetto di rinnovamento? O vuole dividere e disarticolare l’arco di forze che si sta preparando alla battaglia?”, si chiede Andrea Casu, segretario dem cittadino. L’unica cosa concreta in cui si potrebbe tradurre il percorso allo stato sono le primarie a sindaco di Roma. A invitare il “Calenda furioso” a competere e a misurarsi è Monica Cirinnà, una dei 7 che dovrebbero correre (insieme ai tre presidenti di Municipio, Sabrina Alfonsi, Giovanni Caudo e Amedeo Ciaccheri, i due consiglieri regionali Michela Di Biase e Paolo Ciani e il giovane attivista Tobia Zevi). Però intanto a mettere in discussione l’utilità dei gazebo è stato il vicesegretario dem, Andrea Orlando. Senza contare che anche Zingaretti ha il sospetto che quella di Calenda sia una candidatura “alla Scalfarotto” per disturbare il Pd con l’aiuto di Renzi.

Dal canto suo, l’interessato non ha nessuna intenzione di partecipare a eventuali gazebo. “Se mai si faranno le primarie, saranno fatte male perché cadranno in piena recrudescenza Covid, visto che si parla del 7 dicembre”. Quindi, “se decido, non posso stare appeso al Pd. Parto e loro poi vedranno”. Siamo già al braccio di ferro. Ma d’altra parte per il segretario del Pd decidere di puntare su Calenda vorrebbe dire rinunciare allo schema al quale lui e Goffredo Bettini stanno lavorando dall’inizio del governo giallorosso: alleanze con M5S ovunque sui territori. Non a caso, a Beppe Fioroni che invita il Pd a “rompere gli indugi” e a scegliere l’ex ministro, “il candidato più autorevole”, chiamando in causa Bettini, questi risponde piccato: “Sul candidato a sindaco di Roma del centrosinistra non sono intervenuto e non interverrò nel futuro”. Come spesso accade, negare a volte serve soprattutto a evidenziare un problema o una verità scomoda.

Ieri gli staff di Zingaretti e di Luigi Di Maio si sono affrettati a smentire il Tempo che parlava di un patto tra i due per far fuori Virginia Raggi dalla corsa. Eppure nel Pd romano sono in molti a dire che per prendere una posizione definitiva su Roma bisogna aspettare gli Stati generali dei Cinque Stelle e vedere se la ricandidatura dell’attuale sindaco regge. Se fosse lo stesso Movimento a chiedere alla Raggi di fare un passo indietro, per Zingaretti le cose sarebbero più semplici. E infatti anche al Nazareno ammettono che per adesso la cosa più importante è prendere tempo. In quest’ottica va vista la riunione di coalizione convocata da Casu, mercoledì per il dopo Raggi.

Lo schema nazionale continua ad essere quello di presentare magari due candidati distinti per Pd e M5S per poi convergere ai ballottaggi. Esattamente lo schema che Calenda a Roma vuole rompere: è convinto che i Dem siano pronti a schierare un nome debole per consentire alla Raggi di essere competitiva al secondo turno.

In questi giochi di incastri, non c’è da trascurare un dato: nessun big del Pd vuol guidare la Capitale. Tanto che in molti si divertono a mettere in mezzo il segretario, dicendo che dovrebbe correre lui. Zingaretti non ne ha nessuna intenzione. Rispetto al vuoto, Calenda potrebbe risolvergli un problema, ma con effetti collaterali pesanti. Anche per questo non ha smesso di cercare un big. Per ora, hanno detto tutti di no. Eppure nei corridoi romani si continua a dire che un ripensamento del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli non è escluso. Che è la figura su cui si sta riflettendo in vista della campagna elettorale. Lui ha detto di no privatamente e pubblicamente più volte, in maniera categorica. E anche se il suo mandato a Bruxelles scade tra un anno, non vuole dimettersi prima. E allora? C’è chi è pronto a scommettere che le cose cambierebbero se fosse certo di avere l’investitura di tutti, di essere incoronato tipo Papa. Per adesso, neanche questo si vede all’orizzonte.

La piazza No Mask: “Il Covid, una bufala di pedofili e dittatori”

Alla fine sono pochi. Relativamente pochi: un migliaio, come le giubbe rosse di Garibaldi. Solo che il popolino di San Giovanni non vuole fare l’Italia, è meno ambizioso: al massimo contagiarla. Tanto il Covid è una mezza buffonata, la pandemia è una farsa voluta dai poteri forti e confezionata dai giornalisti servi.

La piazza di Roma è chiamata a raccolta da carismatici intellettuali come Enrico Montesano e Rosita Celentano e organizzata tra gli altri dal sempre verde Moreno Pasquinelli (ex Potere Operaio, convertito al sovranismo e infine al negazionismo virale). La risposta è deludente: si aspettavano 5mila persone, se ne annunciano 7mila, ce ne sono molte, molte di meno. Mai come in questo caso, però, conta la qualità. Niente “no mask”, perché dal palco – pensando di rendersi credibili ed evitare polemiche – invitano tutti a mantenere la distanza di sicurezza e la mascherina sopra al naso. A rispettare le regole, insomma. La gente però è scesa in piazza proprio perché le regole non le vuole rispettare: le ritiene ingiuste, liberticide, il fondamento di una dittatura sanitaria. Quando i “leader” insistono sull’indossare la mascherina arrivano mugugni e qualche fischio, molti dei presenti si adeguano.

Il parterre è notevole. C’è “il Vikingo” Davide Fabbri, lo si riconosce facilmente: è vestito da prete e particolarmente su di giri. Insulta la stampa: “Vi paga bene Soros, vi paga bene!”. Poi prova a inseguire i giornalisti, promettendo di regalargli un po’ della sua viralità: “Sono portatore sano di Covid!”. I cronisti tentano una fuga disordinata.

Spicca una giovane con una veste di stoffa e un cappuccetto rosso, tiene in mano la Costituzione italiana: difende la libertà del popolo dalla dittatura di Big Pharma e dai governi fantoccio. Vicino a lei un signore avvolto da un cartello a stelle e strisce: “In Trump we trust”. Si chiama Ferdinando, è un imprenditore napoletano intriso di teorie del complotto. Poi c’è Gianni da Monza, arrivato in treno apposta per il grande evento. Sventola un bandierone con la scritta “Zitta Europa!”, si presenta come ingegnere – “parlo 4 lingue e ho un master” – ma si diletta con la geopolitica: “È chiaro che questa pandemia fasulla è uno strumento di controllo globale dei governi, a cominciare da quello italiano. Che è ‘sto Covid? È solo un virus… Tanti anni fa pure andava di moda l’Aids”.

A San Giovanni sono molto in voga le tesi di QAnon, la folle ideologia cospirazionista secondo cui – tra le altre cose – Bill Gates ha fatto diffondere il Covid per controllare l’umanità con i vaccini e i microchip sottocutanei. Per i seguaci di Q. le élite liberal sono piene di pedofili. Lo strilla un uomo sulla sessantina con berretto nero e pizzetto canuto: “Il Coronavirus serve a instaurare un nuovo ordine mondiale. Diciamo grazie alle tv, che sono tutte vendute alle case farmaceutiche. Perché non dite che scompaiono 8 milioni di bambini l’anno per uso pedofilo e uso satanico? Sono sequestrati dai politici di sinistra. Solo Trump può ripulire questa fogna”.

Questo manipolo di folgorati è pacifico – di certo non innocuo – ma in un angolo laterale della piazza si accende una miccia con la polizia. Un uomo senza mascherina si rifiuta di fornire le sue generalità, viene caricato sulla camionetta e portato in commissariato. Attorno agli agenti si crea un capannello minaccioso (“Libertà! Libertà!”), che si disperde dopo qualche minuto di insulti a “guardie” e giornalisti (uno sarà scortato fuori dalla manifestazione tra le minacce dei difensori della democrazia).

A San Giovanni si affaccia Giuliano Castellino, eterno professionista della teppa nera, ma se ne va subito: per lui la piazza è moderata, troppo ligia a regole e ordinanze. Con il passamontagna in faccia Castellino e una manciata di camerati raggiungono l’altro sit-in negazionista di fronte alla Bocca della Verità, quello dei gilet arancioni del generale Antonio Pappalardo. Ma a sorpresa Pappalardo dà buca: “Il maestro non c’è, è rimasto in Tunisia dove sta terminando delle importanti composizioni musicali”, spiega il suo vice Giuseppe Pino. Insomma, è un flop. Il bilancio finale dei “no mask” è di 50 multe da 400 euro.

Tamponi, focolai e contagi: in tilt i presidenti-fenomeni

I “lanciafiamme” e i sorrisetti beffardi contro la Lombardia “degli aperitivi sui Navigli” di Vincenzo De Luca sono solo un lontano ricordo. Gli inviti a “riaprire tutto” di Giovanni Toti e l’elogio del “sistema Veneto” di Luca Zaia hanno lasciato spazio ai volti scuri e alla preoccupazione per una curva di contagi che ha preso pericolosamente a salire, per i nuovi focolai e per i posti letto che ricominciano a riempirsi fino a far parlare De Luca di un nuovo lockdown “imminente”. Sicché nel giro di pochi giorni i tre presidenti di Regione rieletti a furor di popolo – Vincenzo De Luca in Campania, Giovanni Toti in Liguria e Luca Zaia in Veneto – sono diventate le pecore nere d’Italia per la gestione della nuova ondata da coronavirus. E pensare che fino a poche settimane fa tutti e tre parlavano del proprio come un “modello”. Oggi, conquistata la rielezione con percentuali bulgare, da (presunti) fenomeni sono i governatori più in difficoltà.

Campania.Insieme alla Lombardia, la nuova “malata” d’Italia è la Campania, toccata marginalmente dal virus in primavera. E così Vincenzo De Luca non ha più tempo di fare ironia su “Milano che si è fermata a contare i morti” e per le intemerate da sceriffo contro i “cinghialoni” che corrono sul lungomare di Napoli. Ora c’è da pensare ai nuovi contagi (l’Rt è il più alto d’Italia con 1,24) ma soprattutto alle Asl che fanno pochi tamponi: secondo il rapporto Altems della Cattolica, la Campania è la regione d’Italia che fa meno test in rapporto alla popolazione con il 7,19% rispetto a una media nazionale dell’11,98%. E le scene dei napoletani che fanno ore di fila, anche durante la notte, davanti al Frullone per fare il tampone dicono tutto insieme alle storie di chi aspetta anche un mese per il test.

Ma De Luca prova a mascherare le difficoltà mostrando i video delle feste di “giovani irresponsabili che ballano” o individuando il nemico: i giornalisti. “È in corso un attacco mediatico contro la Campania” dice prima di mettere il bavaglio ai medici: da tre giorni solo l’Unità di crisi può comunicare i dati e rilasciare dichiarazioni. Quindi lui e nessun altro. Ma il “modello Campania” traballa. Oggi il tasso di saturazione dei posti letto in Regione è molto simile a quello del 20 marzo, nonostante siano passati sei mesi: 9% contro 12% di allora, il tasso più alto d’Italia. E così anche il sindaco di Napoli Luigi de Magistris attacca De Luca: “Ha usato il Covid per la sua campagna elettorale”. Come dire: per questo minaccia un nuovo lockdown.

Liguria. Non va meglio a Giovanni Toti, rieletto col 56% dei voti. La Liguria, secondo l’ultimo rapporto Gimbe, ha numeri pesanti: il record per numero di positivi sui tamponi effettuati (7,7%) e il tasso di ospedalizzazioni ogni 100mila abitanti con il 13%. Ma anche qui il tracciamento non va per niente bene: viene testato solo l’11,3% dei residenti. Inefficienza di cui è stato protagonista anche il consigliere regionale Ferruccio Sansa chesu Facebook ha raccontato la sua vicenda: dopo la positività del figlio e i tamponi a tutta la famiglia, la Asl “non fa nessun tracciamento di nostro figlio e dei nostri contatti” racconta Sansa, risultato negativo mentre non si hanno notizie del tampone della moglie che ha la febbre a 38 da giorni. “Così è impossibile tentare una quarantena familiare” conclude Sansa che per rifare il test da un privato dovrebbe aspettare una settimana. Ma Toti è serafico: “Stiamo attenti a ventilare a caso misure restrittive. Anche il Pil non cresce”.

Veneto.Se la regione di Luca Zaia, rieletto con il 75%, fa più tamponi di tutti, il “modello Veneto” è in crisi per i focolai: ieri la Regione era la terza in Italia per contagi (+561) con gli strascichi del focolaio in Val Comelico. Ma Zaia se la prende con i “comportamenti irresponsabili” e con il nemico esterno, la Svizzera, che ha imposto la quarantena da quattro regioni: Sardegna, Liguria, Campania e Veneto. Le nuove malate d’Italia.