L’Aifa boccia i vaccini cinesi, la Lombardia butta altri milioni

Gare aggiudicate a prezzi stratoferici a società non in regola con Aifa e Anac. Un milione e mezzo di persone che rimarrà senza vaccino. In Lombardia la situazione precipita per l’ormai stato confusionale dei vertici regionali.

L’ultima tegola su Attilio Fontana e Giulio Gallera è caduta ieri, con la scoperta che la società cinese LifeOn – vincitrice il 6 ottobre scorso dell’ultimo affidamento per la fornitura di 100 mila dosi di vaccino antinfluenzale “Split Virion” – è priva della certificazione Aifa. Certificazione che certamente non avrà, come ha fatto sapere ieri in tarda serata la stessa Agenzia italiana del farmaco.

Una scorta che il Pirellone a trazione leghista aveva pagato 11,90 euro a dose, per un conto totale di 1.199.000 euro (oltretutto da un’azienda cinese, proprio quando a Roma, Matteo Salvini tuonava contro il commissario Arcuri per gli acquisti in terra cinese). Un prezzo alto, ma non quanto il vaccino proposto dall’altra vincitrice della stessa gara, la svizzera Falkem Swiss, che dovrebbe fornire 400 mila dosi di vaccino antinfluenzale quadrivalente a 26 euro la dose, per un totale di 10.400.000 euro. Un costo totalmente fuori mercato, visto che in media quel vaccino costa tra i 4,60 e i 6 euro, iva inclusa. Dovrebbe fornire, dicevamo, perché neanche la Falkem Swiss ha tutte le carte in regola, priva della necessaria registrazione Anac.

Aria, la centrale degli acquisti della Regione, ieri è stata costretta ad ammettere che “non verrà acquisito, e quindi distribuito, alcun vaccino che non abbia ottenuto le autorizzazioni previste dalla legge”. Anche perché quella gara, indetta in fretta e furia il 30 settembre, partita il 1° ottobre senza però apparire sul sito di Aria, chiusa il giorno successivo, aggiudicata definitivamente il 6 ottobre scorso, era già sotto la lente della procura dei Milano. I pm infatti hanno aperto un fascicolo per ora senza indagati, per capire come mai Regione Lombardia si fosse ridotta a pagare prezzi cinque volte superiori per dei semplici vaccini antinfluenzali. Da febbraio 2020 il Pirellone ha indetto ben 10 gare: cinque andate a buon fine, una positiva solo in parte perché non completa e quattro tra annullate e deserte. Una lista da rivedere, visto che la decima gara non è andata bene.

Ma quest’ultimo annullamento potrebbe avere effetti anche sulla campagna vaccinale della Regione in partenza il 19 ottobre, già al centro di numerose critiche perché oltre un milione di lombardi rientranti nelle categorie a rischio rimarrà senza vaccino. Venerdì scorso il dg della sanità, Marco Trivelli, presentando la campagna ha sostenuto che quel buco da un milione di dosi non è un problema. Visto che il target è il 75% delle classi a rischio, e che mai in Lombardia si è superata quota 49%, non dobbiamo preoccuparci, aveva detto. Il problema è che negli anni passati non c’era la pandemia. E ora, a quel milione mancante bisognerà aggiungere i 500 mila vaccini in meno che dovevano arrivare dalla gara annullata ieri.

Iga vince Parigi 19 anni, e neanche un set perso

Da ieri c’è un nuovo nome da scrivere nella terra rossa del Roland Garros. La giovanissima Iga Swiatek, classe 2001, ha battuto in due set per 6-4 6-1 la statunitense Sofia Kenin di 21 anni, sesta nella classifica WTP, conquistando così il suo primo Grande Slam in carriera. Per la prima volta il nome di un tennista polacco si iscrive nell’albo d’oro del torneo francese. Per comprendere il talento di Swiatek basta guardare alle statistiche, porta a casa il titolo, infatti, non avendo mai perso un set e soltanto 28 giochi nell’intera competizione. Soltanto altre 13 tenniste erano riuscite nell’impresa; grandi atlete tra le quali Chris Evert (1974), Steffi Graf (1988) e Arantxa Sanchez (1994). Nata a Varsavia, la campionessa è figlia di Tomasz Swiatek, canottiere presente alle Olimpiadi del 1988, alle sue spalle poi i due coach polacchi, Piotr Sierzputowski e Jolanta Rusin-Krzepota. Swiatek era già riuscita a farsi notare nei tornei juniores in doppio, tra cui la finale dell’Open d’Australia in coppia con la connazionale Maja Chwalinska nonostante la sconfitta, nel 2017, e l’altra finale Roland Garros vinta invece nel 2018 in coppia con la statunitense Caty McNally. Quattro anni fa poi raggiunse i quarti di finale al Roland Garros in singolare e la vittoria del torneo di Wimbledon 2018. Da ieri, suo quindi il 17esimo posto della classifica Wta, avanzando di ben 37 posizioni. Nell’albo d’oro del singolare femminile prima di lei si trovavano solo due vincitrici non comprese tra le prime dieci teste di serie: Margaret Scriven nel 1933 e Francesca Schiavone nel 2010, la giocatrice con la più bassa classifica nell’era Open alla Porte d’Auteuil. Negli ultimi quattro anni, è la quinta volta che vince uno Slam una tennista che mai in precedenza aveva raggiunto i quarti di finale: l’ultima a farlo era stata proprio la sconfitta, Sofia Kenin.

Coming-out day: perché è sempre un giorno importante

In principio erat Verbum. Impopolare che sia l’opinione, preme dire che già il termine è, per certi versi, guasto. Come out of the closet (letteralmente, “venir fuori dall’armadio”) da cui è mutuato il termine coming-out presuppone l’idea di segreto, di nascondimento. Ma le parole sono lo strumento con cui si dà forma alla realtà e l’omosessualità, da sempre, è inquadrata come un buio straordinario da vivere lontano dalla luce del sole: lo provano i film, i romanzi, le storie. Semplicemente, lo dice la vita. E tacciano i cittadini di Utopia che, con i prosciutti sugli occhi rispetto al mondo reale, ancora sostengono che dichiarare la propria omosessualità è inutile e che i gay non sono discriminati, insultati (se va bene), e ancora aggrediti, uccisi se va male (basti ricordare Maria Paola Gaglianone, a soli 20 anni). Per questo, oggi che è il coming out day, va sottolineato che dichiararsi gay è una cosa seria, due parole “Sono gay” rivoluzionarie come solo le parole sanno esserlo. Ma no, non si parla di Garko e il suo “segreto di pulcinella”. La storia del movimento omosessuale è fatta di coraggio. Penso a Karl Ulrichs, il primo della storia: è il 1867, e di fronte un’adunata di giuristi tedeschi, parla contro lo statuto anti-sodomia prussiano. A Oscar Wilde, che nell’Inghilterra di fine 800 è incarcerato solo perché ama il giovane Bosie. E ancora, ad Harvey Milk, il primo politico americano apertamente gay ucciso nel 1976 per la sua lotta in favore dei diritti civili; alla campionessa di tennis Martina Navrátilová che si dichiara lesbica negli Anni 80 e infrange il tabù nello sport; alla più recente grazia della pallavolista Paola Egonu.

Ogni coming out dice “noi ci siamo”: a chi vorrebbe gli omosessuali chiusi al buio nell’armadio, ma soprattutto a ogni ragazzo o ragazza di provincia o di città che aspetta un segnale per non sentirsi più sbagliato e decidere di lottare per trovare il proprio posto nel mondo.

Smaltire eternit nelle miniere mai bonificate. La beffa del “Piano amianto” della Sicilia

L’annuncio eclatante, “dopo 28 anni la Sicilia avrà il Piano amianto”, ha fatto saltare di gioia i cittadini dei paesi che sull’isola combattono da tempo il problema. Tutti ma non quelli di Serradifalco, Milena ed Enna. Dagli Anni 80, quando furono chiuse le miniere, i cittadini nelle valli della cava di Pasquasia (Enna) e quelli di Serradifalco hanno ricevuto promesse di bonifiche mai realizzate degli immensi capannoni di amianto, il cui sbriciolamento ha rilasciato nell’aria l’asbesto, sostanza che provoca tumori alle vie respiratorie. Con due processi per disastro ambientale, mai conclusi, quelle miniere chiuse hanno cosparso di asbesto diverse cittadine, che fanno i conti con tassi di tumore superiori alla media. Ebbene, dopo 40 anni di mancate bonifiche, l’idea della Regione per lo smaltimento del materiale presente in grandi quantità in Sicilia, è quella di utilizzare i siti minerari dismessi e mai bonificati, per farne delle discariche e dei depositi di eternit.

Paradossalmente, infatti, oggi le mancate bonifiche rappresentano un fattore determinante nella scelta dei siti (4 in totale) in cui si vuole smaltire l’amianto dell’intera isola. “Com’è noto, in Sicilia sono presenti alcuni siti minerari oggi dismessi – si legge nel nuovo piano – che hanno alcune criticità dovute alle condizioni in cui sono stati lasciati i manufatti, nonché alla presenza di discariche di residui delle lavorazioni dei minerali. In questi siti – continua il piano – sono presenti capannoni e altri fabbricati con coperture in cemento amianto, ormai in pessimo stato, che per la loro grande estensione renderebbero antieconomico lo smaltimento in siti molto lontani”. Quindi: se non possiamo smaltire l’amianto delle ex miniere, mettiamone ancora. Così queste due aree diventerebbero “impianti di smaltimento dell’amianto”. Pasquasia, la miniera un tempo sede di esperimenti coperti da segreto da parte dell’Enea, intanto mostra già i segni dell’inefficienza dei piani di smaltimento: migliaia di tonnellate di amianto infatti oggi sono dentro i sacchi da 5 anni, in attesa di uno smaltimento che non avverrà mai. Il materiale un tempo in voga nell’edilizia, fino alla scoperta della sua pericolosità, è destinato anche a Milena, in provincia di Caltanissetta, dove verrebbero qui usate le gallerie per depositare e nascondere l’amianto. Il quarto sito è quello di Biancavilla, in provincia di Catania: città costruita interamente con fluoroedenite e amianto, già dichiarata Sin (sito di interesse nazionale) e devastata dai tumori. In questo caso, mentre le bonifiche sono lontane dall’essere realizzate, si propone nel piano la realizzazione di una discarica, già proposta dal Comune nel 2018.

Restituisce reperti rubati a Pompei: “Portano sfortuna”

“Ho preso alcuni tasselli quando ho visitato Pompei nel 2005. Ero giovane e stupida. Volevo avere un pezzo di storia che nessuno poteva avere. Non ho effettivamente pensato o realizzato cosa stessi prendendo. Ho preso un pezzo di storia cristallizzato nel tempo e che in esso ha tanta energia negativa. Persone sono morte in un modo così orribile e io ho preso tasselli legati a quella terra di distruzione. È da allora che la sfortuna ha giocato con me e la mia famiglia”. Racconta tutto, Nicole, nella sua lettera inviata dal Canada. Racconta di aver rubato reperti al Parco Archeologico di Pompei e racconta la sua storia che da quel giorno, dice, sembra essere stata quasi segnata da una sorta di maledizione. Da qui la decisione di restituire tutto. La lettera e i reperti sono arrivati a Pompei in un plico consegnato al titolare di un’agenzia di viaggi. “Ora ho 36 anni e ho avuto il cancro al seno due volte, l’ultima volta finito in una doppia mastectomia. Io e la mia famiglia abbiamo anche avuto problemi finanziari. Siamo brave persone e non voglio passare questa maledizione alla mia famiglia o ai miei bambini. Per questo perdonatemi per il gesto fatto anni fa, ho imparato la lezione – scrive Nicole – sto chiedendo il perdono degli Dei. Voglio solo scrollarmi di dosso la maledizione ricaduta su di me e la mia famiglia. Per piacere accettate questi reperti così da fare la cosa giusta per l’errore che ho fatto. Mi dispiace tanto, un giorno tornerò nel vostro bellissimo Paese per scusarmi di persona”. Nel plico anche un’altra lettera dal Canada sempre di scuse per un altro furto. È scritta da Alastain e Kimberly G. “Ciao, vi restituisco queste pietre che io e mia moglie abbiamo preso mentre visitavamo Pompei e il monte Vesuvio nel 2005. Le abbiamo prese senza pensare al dolore e alla sofferenza che queste povere anime hanno provato durante. Siamo dispiaciuti e per piacere perdonateci per aver fatto questa terribile scelta! Possano le loro anime riposare in pace”.

Dal Pil ai sindacati Bonomi attacca ancora il governo

“Se si investe, il Pil cresce. Ma per investire un imprenditore ha bisogno di vedere qual è la direzione del Paese”, così ieri il presidente di Confindustria Carlo Bonomi nel giorno della presentazione del Rapporto del centro studi di viale dell’Astronomia. Un’uscita diretta al governo e al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, presente in sala, a evidenziare ancora una volta una presa di distanza rispetto alle strategie dell’esecutivo. Lo scontro va ben oltre il punto percentuale che divide le previsioni di decrescita per l’anno in corso: -9% per Gualtieri, -10% per Bonomi, e che si concretizza nell’ennesima richiesta di una moratoria a sugar tax e plastic tax, già previste per il 2020 e slittate al prossimo 1 gennaio. “Gli imprenditori mi dicono che è necessaria una moratoria al 1 luglio per le nuove tasse”, spiega Bonomi. “Il confronto è doveroso vista la crisi – continua – perché quando parliamo di un pil che crolla del 10% stiamo parlando di 180 mld. Serve una valutazione condivisa sugli effetti che si prospettano”. Il leader degli industriali ha poi snocciolato il solito refrain confindustriale sul bisogno di “un serie di riforme strutturali con cui sciogliere i nodi principali del mancato sviluppo del Paese”, e liberare le imprese da lacci e lacciuoli (“per fare un’opera pubblica serve il triplo rispetto ad altri Paesi…”). Obiettivo polemico del numero uno di viale dell’Astronomi anche i sindacati: “Il patto per la fabbrica, firmato dai sindacati, prevedeva due regole: il tec, trattamento economico minimo che si determina con l’inflazione, che se è bassa non dipende da Confindustria; e il tem che prevede una serie di interventi di welfare”. “Se il sindacato non ha più interesse a queste regole – conclude – dica che vuole solo un aumento del salario come variabile indipendente”. Laconico il commento di Gualtieri alla fine del meeting: “Rifletteremo sulle richieste presentate”.

Arrestato e pure truffato: su Twitter c’è chi finge di regalare i Bitcoin di McAfee

È stato arrestato a inizio settimana, John McAfee, 75enne creatore dell’omonimo software antivirus che, con l’accusa di evasione fiscale anche attraverso le criptovalute (Bitcoin&C.), rischia 30 anni di carcere. Ebbene, dopo poche ore e per poche ore, la creatività criminale via Twitter ha pensato bene di sfruttare il mito dell’eccentricità del personaggio per una truffa al limite del perfetto creando un profilo con il nome “John McAfee”, la sua foto e addirittura la spunta blu che serve proprio a identificare l’ufficialità del profilo. Paradosso. Da quell’account, il finto McAfee (con poco più di mille seguaci) spiegava che, considerata la sua critica situazione, aveva ben pensato di regalare tutte le sue criptomonete a chiunque avesse voluto. Partecipare era facile: bastava inviare un quantitativo di Bitcoin (pari circa a mille euro) per riceverne il doppio. Una truffa magistrale e credibile, data la propensione “anti sistema” del personaggio. Che invece dal suo profilo reale (1 milione di follower) postava storie simboliche per i suoi follower tramite l’avvocato.

Esami e interventi: le altre vittime del virus

Arriverà e sarà probabilmente evidente tra qualche anno il conto dell’altro volto del Covid-19 e del lockdown: morti e malattie per mancanza di tempestività di diagnosi e cure in un momento in cui le strutture sanitarie o erano oberate o erano da evitare per non essere contagiati.

In questi giorni l’allarme è stato lanciato dalla Società Italiana di Chirurgia (Sic), ma i conteggi erano già stati effettuati da Nomisma: nei primi 5 mesi del 2020, sono stati circa 410mila gli interventi chirurgici rimandati sia perché anestesisti e infermieri erano al servizio dei reparti Covid sia per ridurre il rischio di esposizioni al virus. È stato rinviato il 56 per cento dei ricoveri per interventi legati a disturbi del sistema cardiocircolatorio, la quasi totalità di quelli legati all’otorinolaringoiatria, al sistema endocrino, nutrizionale e metabolico, circa 135mila casi dell’area ortopedica. E il recupero è meno veloce di quanto si immaginava. “Finita l’emergenza – ha spiegato Paolo De Paolis, presidente della Sic in un intervento su Italia Oggi – le sale operatorie avrebbero dovuto lavorare al 120 per cento ma i blocchi operatori stanno operando solo al 70 per cento”.

Altro ambito dove i ritardi della diagnostica produrranno effetti irreversibili è la prevenzione oncologica, dove il tempismo nella diagnosi è fondamentale per i risultati delle terapie. Secondo le stime dell’Osservatorio nazionale screening, disponibili sul suo sito, nei primi cinque mesi del 2020 sono stati quasi un milione e mezzo in meno gli esami di screening effettuati: 472mila screening mammografici in meno (con un ritardo medio di 2,7 mesi e un numero di carcinomi non diagnosticati stimato superiore a 2mila casi), 587mila di screening colorettale (con un ritardo medio di 2,7 mesi e numero di carcinomi non diagnosticati stimato superiore a 600, che arriva a oltre 4mila con gli adenomi avanzati non identificati), 371mila screening cervicali in meno (con un ritardo medio di 2,8 mesi e un numero di lesioni CIN 2 o più gravi non diagnosticate stimato in 1.676 casi).

A peggiorare il quadro, i dati dell’Istituto superiore di Sanità arrivati poche ore fa sull’andamento dei tumori in Italia: 377 mila le nuove diagnosi di cancro nel 2020 con 7mila casi in più tra le donne, una preoccupante crescita del carcinoma del polmone (+3,4% annuo) e una rinfrancante riduzione di quello al colon-retto grazie proprio a quei programmi di screening che, negli scorsi mesi, sono stati rimandati e di cui bisognerà tenere conto.

“La mia visita diagnostica fissata a ottobre del 2021”

Avolte un po’ d’immaginazione è necessaria. Quindi immaginate come potreste vivere costretti su una sedia a rotelle, sin da bambini, perché avete i muscoli delle gambe paralizzati. E come vi sentireste se, da un giorno all’altro, improvvisamente iniziassero a tremarvi le mani. Impedendovi di tenere una penna tra le dita. Di digitare un tasto al telefono. Di utilizzare il computer.

Questa è la vita di Lorenzo Torto, un ragazzo chietino di 32 anni, affetto da tetraparesi spastica sin dalla nascita. Quando ha scoperto che anche le braccia e le mani iniziavano a cedere, ha fatto quello che avremmo fatto tutti: ha contattato un medico che gli ha prescritto un esame clinico piuttosto semplice. Non a caso si chiama elettromiografia semplice. E così il 23 settembre ha chiamato il centro unico prenotazioni (Cup) della Asl di Chieti. Esame prenotato per il 5 ottobre. Tutto bene, direte voi. Niente affatto. Gliel’hanno fissato per il 5 ottobre 2021. Lo Stato nei fatti ha chiesto a Lorenzo Torto di aspettare ben 377 giorni per un esame diagnostico. Sì, diagnostico.

La diagnosi, secondo il dizionario Garzanti, serve alla “identificazione di una malattia in base ai sintomi, alla storia medica del malato e agli esami strumentali e di laboratorio”. Il servizio sanitario pubblico quindi ha disposto che soltanto per identificare la sua malattia – non per curarla, il che di solito avviene dopo la diagnosi – Lorenzo Torto debba attendere ben 377 giorni. Nei fatti, significa obbligarlo a rivolgersi alla sanità privata. E oltre a essere tetraplegico, Lorenzo non naviga nell’oro. “Ho un sussidio per l’accompagnamento da 700 euro e una pensione di invalidità da 250 euro”, ci spiega, “ma tra antidolorifici e altre medicine non coperte dal Servizio sanitario nazionale spendo in media tra i 400 e i 500 euro al mese soltanto per i farmaci. Per fortuna ho la famiglia che mi aiuta e lavoro part time in una casa di cura privata. Comunque l’esame l’ho fatto pagando di tasca mia 150 euro il 30 settembre. Ma la questione economica è il meno. L’importante è che adesso ho potuto iniziare una terapia adeguata all’aggravamento della malattia”.

Il punto non è la questione economica in sé, ma quel che Lorenzo ha provato nel sentirsi dire che avrebbe dovuto aspettare oltre un anno: “Quando una persona che ha bisogno di cure si sente rispondere in questo modo può fare soltanto una riflessione: l’Italia, o almeno la mia città, non è un Paese per chi soffre. Se non hai soldi resti indietro. E se già hai delle difficoltà, come nel mio caso, devi retrocedere ancora di più. Non è tollerabile dover aspettare un anno. Tanto più nelle mie condizioni. Non è sufficiente la sofferenza e la malattia: devo anche subire l’umiliazione che mi infligge lo Stato. Non credo che sia questa la democrazia immaginata nella nostra Costituzione. Oppure mi chiedo se l’Abruzzo appartenga alla democrazia vigente nel resto d’Italia. Infatti ho scritto anche al presidente della Repubblica”.

Ecco alcuni passaggi di quella lettera: “Sono rimasto incredulo e senza parole nel leggere la mia prenotazione” e nel sapere che “per fare una semplice elettromiografia devo aspettare fino al 5 ottobre 2021. Provo un dolore indicibile nel constatare che tale prenotazione rappresenta di fatto un’umiliazione per tutte le persone che soffrono”. “Questa non è sanità ma disumanità volta a umiliare le persone bisognose di cure a vantaggio probabilmente degli operatori della sanità privata”. E infine: “Le chiedo umilmente un suo intervento deciso a tutela delle persone bisognose”.

A volte un po’ di immaginazione è necessaria, certo, quanto meno per provare a indossare i panni degli altri. Ma non sarà mai sufficiente per comprendere realmente la sofferenza e l’umiliazione di Lorenzo. Che merita almeno una risposta da chi ha la responsabilità di gestire la sanità pubblica. Se possibile, prima del 5 ottobre 2021.

Quarantena, verso i 10 giorni Per la libertà basterà un test

Dopo un mese torna oggi sul tavolo del Comitato tecnico scientifico (Cts) il tema dell’accorciamento della quarantena. L’ipotesi è passare dagli attuali 14 a 10 giorni, seguiti da un tampone, per i contatti stretti dei positivi: se il tampone sarà negativo si potrà tornare a lavorare, a scuola, alla vita di tutti i giorni. Anche per i contagiati le regole potrebbero cambiare: basterebbe un solo tampone negativo, in luogo degli attuali due a 24 ore l’uno dall’altro, per uscire dall’isolamento.

Sono le regole recentemente introdotte in Germania. Della quarantena si stanno occupando i professori Silvio Brusaferro e Giovanni Rezza, rispettivamente presidente dell’Istituto superiore di sanità e direttore della Prevenzione del ministero della Salute, incaricati dal ministro Roberto Speranza. Saranno loro a riferire al Comitato. Non sarà una discussione facile, né dall’esito scontato. Il Cts ha già rinviato una volta, ai primi di settembre, il tema della quarantena breve, sollevato allora dal viceministro della Salute Pierpaolo Sileri. Tra gli specialisti che affiancano il governo alcuni sono contrari alla riduzione del periodo di isolamento e all’abbandono del doppio tampone. Peraltro il primo Paese ad accorciare la quarantena, passando da 14 a 7 giorni, era stato la Francia, dove il virus corre più che da noi. Gli studi scientifici più accreditati dicono che una quota fino all’8 per cento dei potenziali contagiati si positivizza tardi, quindi il rischio di “perdere per strada” fin quasi un positivo su 10 esiste. Ma esiste anche il problema di non chiudere in casa migliaia di persone e tutti sanno che c’è chi evita di fare il tampone proprio per non doversi fermare.

Test. Regole sui rapidi per evitare l’ingolfamento

Il Cts dovrà tornare anche sui test rapidi, già autorizzati dal ministero della Salute per la diagnostica nelle scuole. La scelta di non procedere a un rafforzamento delle Asl e dei laboratori per fare un numero molto più consistente di tamponi tradizionali molecolari, ritenuti più affidabili, costringe il governo ad accelerare sui test rapidi, cosiddetti antigenici, che hanno una sensibilità minore. È la strada imboccata con decisione dal commissario straordinario, Domenico Arcuri: è appena scaduto il bando per acquistare cinque milioni di test rapidi, anche salivari, reclamati da gran parte della comunità scientifica anche perché il sistema dei tamponi è in piena crisi come dimostrano le lunghe attese per i prelievi e per i risultati di laboratorio, anche al di là dei costi. Al Cts spetta però un parere sull’utilizzo dei test rapidi, impiegati inizialmente con successo per lo screening – quindi su soggetti per lo più asintomatici – negli aeroporti. Poi il governo deciderà quando si può fare il test rapido e quando sarà ancora necessario il tampone molecolare, probabilmente per la certificazione della negatività. È l’altro tema su cui Sileri, nei giorni scorsi, aveva criticato il Cts per il ritardo nelle valutazioni. L’incidente è superato.