Il leghista Roberto Marti non pare certo preoccupato ché il fato, diciamo così, è dalla sua parte. Dopo che per nove mesi, lo scorso anno, Camera e Senato si erano rimpallati la responsabilità su chi dovesse decidere su alcune intercettazioni compromettenti che i pm di Lecce chiedono di poter utilizzare, poi ci ha messo del suo pure il Tribunale salentino, dove c’è stato un cortocircuito surreale che fa il paio con quello di Roma. Risultato? Il gip Giovanni Gallo ha scoperto pochi giorni fa, il 25 settembre, che a novembre la Camera aveva dichiarato la propria incompetenza a favore del Senato dove Marti è attualmente eletto. Ancorché Montecitorio ne avesse informato sin da novembre il presidente del Tribunale. Ora Gallo, a 20 mesi dalla prima richiesta di autorizzazione poi andata a vuoto, ne ha vergata un’altra all’indirizzo di Palazzo Madama: al ras salentino del Carroccio sono contestati i reati di tentato abuso di ufficio, falso ideologico aggravato e tentato peculato per aver favorito illecitamente l’assegnazione di una casa popolare al fratello di un boss .
Salire in montagna evitando le balle
Nella Costituzione Italiana l’Articolo 44 recita che “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. Può darsi ce ne siano, ma fatico a trovarli.
Da trent’anni partecipo a convegni, seminari, lezioni, scuole estive, corsi di formazione e di aggiornamento, incontri della commissione europea sul futuro della montagna, sia come uditore sia come relatore.
Da trent’anni sento dire che occorre un nuovo modello di sviluppo, più equilibrato, che il recupero e la riabitazione delle antiche borgate abbandonate è prioritario, che la sostenibilità ambientale deve essere il nuovo faro contro la speculazione edilizia dei comprensori turistici basati sullo sci totale, che l’agricoltura e l’allevamento di qualità devono rivitalizzare terreni abbandonati e frammentati, che nuovi mestieri devono nascere sulle terre alte, che il turismo dolce deve sostituire quello competitivo. A mia volta ho aggiunto in queste riflessioni il tema della fragilità del territorio di fronte al cambiamento climatico e la necessità di progettare una resilienza energetica, climatica e alimentare a lungo termine.
Produciamo pensiero, redigiamo programmi e firmiamo petizioni e manifesti. Su queste zone scriviamo dichiarazioni altisonanti tipo: “un’esperienza interattiva, multidimensionale, trasversale e inclusiva per rinnovare linguaggi e strumenti, per riannodare fili tra teoria e pratica, per costruire nuovi spazi di produzione della conoscenza così da individuare tracce di uno sviluppo diverso e alternativo”. Sante parole, che appaiono logiche e concrete quando il convegno è a Bruxelles o in Francia, Svizzera, Austria o Slovenia, che sembrano ancora realizzabili in Sudtirolo, in Trentino e in Val d’Aosta e che diventano improvvisamente aria fritta, inapplicabili, lontane e irraggiungibili nel resto della montagna italiana, tanto alpina quanto appenninica.
Gli enti nazionali e locali lanciano progetti di legge per la montagna, strategie per le aree interne, finanziamenti mirati, progetti transfrontalieri per macroregioni, con siti internet pieni di loghi di cooperazione tra organismi ufficiali, associazioni internazionali. Un gran capitale di conoscenza scientifica, sociale, tecnologica, culturale e di entusiasmi quasi sempre genuini che indubbiamente esiste ma rimane sottoutilizzato e soprattutto non entra nel sistema circolatorio della quotidianità montana. Ovvero, nel momento in cui svesto i panni del ricercatore e torno normale cittadino cosa mi arriva di tutto ciò? Nulla.
Ho voluto con questa mia esperienza provare a realizzare in concreto ciò che teorizzavo sulla carta e nelle sale riunioni, e la verifica è stata drammaticamente deludente. Sei sempre un escluso. I bandi non sono mai adatti al tuo profilo, manca sempre qualche credenziale, qualche appartenenza a una categoria. Se vuoi occuparti dei tuoi terreni ma non sei agricoltore o allevatore di professione, zero aiuti. Ma quanti alpeggi hanno animali-numero solo per prendere i contributi comunitari e non per fare formaggi sopraffini? E quante piccole attività artigianali condotte con passione languono invece sotto i colpi di una burocrazia asfissiante e implacabile? Se vuoi ristrutturare a regola d’arte la casa di montagna ma non sei un imprenditore, nessuna particolare facilitazione. Per fortuna ci sono gli sgravi fiscali per il risparmio energetico, ma non c’è alcuna distinzione tra montagna e pianura, sono incentivi che valgono per tutti.
Se – ora che dimostri concretamente di fare ciò che si chiede ai convegni di politica montana – credi di meritare qualche agevolazione, scordatelo. Vedrai tutti i problemi e gli ostacoli della montagna rimanere tali, accanto all’assenza dei vantaggi di chi opera più facilmente a bassa quota. Limiti tanti, facilitazioni nessuna. La strada è stretta, non si può passare con mezzi pesanti perché crolla, non si può passare d’inverno perché non ci sono soldi per lo sgombero neve, non si può far manutenzione programmata dei muretti a secco sempre per mancanza di soldi pubblici, non si può passare il martedì mattina d’estate perché è riservata ai ciclisti, non si può lavorare con il cantiere ad agosto per non disturbare i turisti, non c’è la raccolta rifiuti e te li devi portare a valle da te, però tutte le altre norme valgono esattamente come a Torino o a Milano. E le tasse ovviamente sono più alte: seconda casa, secondo contatore dell’elettricità.
A me sta bene avere dei servizi in meno perché per mille motivi in alta quota non è razionale disporne. Ma allora vorrei pagare un po’ meno tasse! Talora mi sembra di essere percepito come un banale vacanziere, da spremere e buttare quando non serve più. I fondi comunitari, nazionali, regionali, locali, comunali sono sempre destinati a qualcun altro che ha i titoli formali per accedervi. Se vuoi fare un impianto di innevamento artificiale, una nuova funivia, una pista di guida sicura, le Olimpiadi, le gare di qualsiasi cosa, una via ferrata, i soldi ci sono.
Basta che tu “faccia”, nel senso di aggiungere qualcosa di nuovo al territorio, provocare crescita materiale vistosa. Se il tuo progetto è invece quello di manutenere ciò che già c’è, curare in dettaglio un pezzetto di montagna con passione, amore e competenza, non sei tra gli aventi diritto. Nei formulari da compilare non c’è la casella da uno a dieci barrare quanto amore hai per la montagna.
Ho guardato sconsolato la montagna di atti di convegni, di relazioni e dotte pubblicazioni piene di condizionali sul futuro delle terre alte, accumulata come un antico sedimento geologico nei miei scaffali. Ho capito perché restano lì: perché si tratta di una montagna di balle! Parole, aspettative, proposte, auspici. Ma i sogni delle persone, soprattutto dei giovani che vogliono tornare a vivere e lavorare in montagna si infrangono nel confronto con la realtà, fatta di burocrazia estenuante, spese notarili e balzelli medievali, frammentazione dei terreni e degli immobili, diffidenze e invidie dei residenti locali, indifferenza e pigrizia dei pubblici funzionari: ce n’è abbastanza per desistere ancor prima di iniziare. Manca un progetto corale, che sia desiderato e accudito a tutti i livelli della società, dal ministro all’assessore comunale. Le modeste risorse per lo sviluppo montano (e sottolineo sviluppo e non crescita) tanto trionfalisticamente annunciate, sono dirette quasi sempre ai pochi amici degli amici o a chi è disposto a scendere a opachi compromessi o veri e propri imbrogli. Così la montagna non è certo aiutata ma parassitizzata.
Lo spread sta male, non s’alza più
Ma ve li ricordate i bei tempi dello spread? No, mica solo perché non c’era il coronavirus: non ricordate come sembrava razionale il mondo? Fai così, più spread. Fai colà, meno spread. Deficit? Sale. Tagli? Scende. Pure i famosi mercati non erano mai parsi così a misura di avventore di bar: sensati, accorti, buoni padri di famiglia. Sì, è vero, anche allora non tornava proprio tutto, ma era molto più rilassante: quarte o quinte file delle scienze economiche apparivano in tv in prima serata incensate come premi Nobel e circonfuse di certezze teleologiche (anche ora, ma sempre meno). La storia non era che una lunga lotta contro il debito pubblico cattivo. Finalmente l’economia tornava a essere una branca della filosofia morale: chi ha fatto la formica gode (non troppo, si sa) e le cicale a letto senza cena.
Diciamocelo, adesso non si capisce più niente: ma vi ricordate che casino quando volevamo fare 2,2% di deficit invece che 2,04%? Oggi invece 10,8% quest’anno, 7% il prossimo e quello cala: lo spread è cambiato, ha qualcosa che non va, non s’alza più, forse ha il Covid, chissà. Ieri mattina, per dire, sul Sole 24 Ore abbiamo letto che “per la prima volta nella storia della Repubblica il Btp triennale sarà a cedola zero e l’obiettivo è di abbassare ancora il costo medio all’emissione, che con le aste di fine settembre si è ridotto allo 0,69%”. Dirà il lettore “montiano”: tanto non dura. Be’, pare invece che “fattori tecnici quali il bilancio fra l’ammontare dei titoli in scadenza e le emissioni e gli acquisti della Bce” potrebbero “innescare un ulteriore moderato calo dei rendimenti”. E infatti: “Aggiorna il minimo storico il tasso del Btp a 10 anni, toccando un rendimento dello 0,71%” (Ansa, ieri pomeriggio). Questo per dire che – tanto più che un quarto dei titoli di Stato italiani è in mano a Bankitalia, che ci retrocede gli interessi – tra poco quei poveracci che all’angolo di ogni studio tv invocano “i risparmi del Mes” dovranno farseli calcolare con le monete di rame: e questo dei risparmi, per capire quanto lunare sia quel rito tribale detto dibattito pubblico, non è neanche il terzo o quarto motivo per cui prendere quel prestito sarebbe una cazzata.
Reggio Calabria, il ri-sindaco Falcomatà vince un posto da Sala
Idoneo. Il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà è risultato idoneo alla prova del concorso per istruttore amministrativo del comune di Milano. Il colloquio orale, sostenuto il giorno seguente la proclamazione a sindaco, che era già un bel bis, si è concluso felicemente e adesso se tutto andrà bene Falcomatà potrebbe essere chiamato a fare l’impiegato di categoria C a Milano e poi scegliere: fare il dipendente di Beppe Sala o il compagno di partito di Beppe Sala? È tutto così straordinario e anche così disperante in questa scelta che misura, se ce ne fosse bisogno, non solo la distanza che separa il Sud dal Nord, ma lo stile di vita, e i pensieri e i programmi di un giovane e vincente professionista meridionale. Perchè Giuseppe, classe 1983, figlio d’arte (suo padre Italo è stato il sindaco più amato della città) laurea in Giurisprudenza e tessera del Pd, guarda il futuro e per la sua vita non vede oltre la categoria C del municipio meneghino. Consolazione non da poco per Sala (nelle scorse settimane ha visitato Reggio) che così arricchisce la pianta organica con un buon acquisto a basso costo. L’ingaggio del sindaco-impiegato costituisce così l’intruglio perfetto del malanimo, col sospetto tipico dell’aiutino data la vicinanza politica e perfino per un ruolo così modesto. Ed è questo ruolo anche il segno di un lifestyle, la percezione di un modello che si tramanda e testimonia, in una delle città sicuramente più povere d’Italia, il segno del successo: il posto sicuro, la pubblica amministrazione, il concorso e la fuga al nord. Falcomatà, fresco di un successo elettorale squillante, pensa al futuro e vede nero.
È un sindaco in cerca di una occupazione. Ha provato con l’ufficio di assistente parlamentare, funzione più gratificante, ma ha fatto centro con l’impiego milanese.
Anche il pavé s’è preso il virus: Parigi-Roubaix rinviata al 2021
Amalincuore, gli organizzatori della Parigi-Roubaix hanno annullato la 118esima edizione della corsa prevista domenica 25 ottobre, dopo la cancellazione dell’11 aprile scorso. Decisione sollecitata dal governo che ha inserito la regione metropolitana di Lille nelle zone pandemiche di massima allerta. È lì che si snoda il tracciato finale e cruciale dell’Enfer du Nord, lastricato di infame pavé. Arrivederci al 12 aprile 2021, promette l’Amaury Sport Organisation, patron anche del Tour de France. Forse. Peccato. La “Regina delle Classiche” ciclistiche avrebbe dovuto infatti chiudere la stagione della resilienza di uno sport che ha nelle strade il suo popolare palcoscenico e che è riuscito, pur tra mille difficoltà, a vincere una scommessa epocale: disputare le competizioni che rappresentano il fior fiore del ciclismo, nonostante il lungo stop pandemico.
Solo due guerre mondiali avevano stoppato la Roubaix. Ora ci è riuscito il Covid-19. Lo sport è assai fragile, come tutti noi. E non si può soccombere in nome del dio business. Le corse ciclistiche sono state fatte “in sicurezza”, per garantire corridori e pubblico: ma resta pur sempre uno sport a stadio aperto, nessuno sinora ha contingentato le folle lungo i percorsi. Sarebbe snaturare il ciclismo. Tuttavia, il rischio è sempre più alto: i contagi dilagano e le dinamiche dell’emergenza si inaspriscono. L’audace Giro d’Italia è alla boa della prima settimana: arriverà all’ultima tappa? Paga la sudditanza al Tour con un calendario sfavorevole (per clima, per evoluzione pandemica). Ma merita di finire. Per dimostrare che siamo più bravi.
Bisogna rifare i “tetti” dell’editoria: occhio alle concentrazioni
“Un bit non ha colore, dimensione o peso, e può viaggiare alla velocità della luce. È il più piccolo elemento atomico del DNA dell’informazione. È un modo di essere: sì o no, vero o falso, su o giù, dentro o fuori, nero o bianco”.
(da Essere digitali di Nicholas Negroponte – Sperling & Kupfer Editori, 1995 –pagg. 3-4)
Con l’intenzione annunciata di smobilitare ciò che resta dell’ex gruppo L’Espresso, vendendo al miglior offerente i giornali locali a cui teneva tanto Carlo Caracciolo, il gruppo Gedi (Fiat-Agnelli) ha buttato giù la maschera. Era chiaro fin dall’inizio che la maxi-fusione fra Repubblica e La Stampa – quell’ircocervo denominato “Stampubblica” – avrebbe trasformato un glorioso gruppo editoriale in un gruppo di potere. E ora gli eredi dell’“Avvocato di panna montata” mettono in liquidazione le testate dislocate sul territorio, dal Tirreno di Livorno alle Gazzette dell’Emilia Romagna, per puntare al Sole 24 Ore, il quotidiano economico-finanziario della Confindustria.
Già nel 2016 risultava evidente a tutti, tranne che all’Agcom e all’Antitrust, che quella concentrazione editoriale superava i limiti fissati dalla legge sull’editoria, superando di almeno tre punti il “tetto” del 20% delle tirature complessive. E infatti le due Authority si limitarono a fissare alcuni “paletti” nella sabbia, come ombrelloni esposti alla furia del vento, prescrivendo la dismissione di qualche testata provinciale. Ma adesso l’operazione va completata e si aprono perciò i grandi saldi.
Quello che si prospetta, dunque, è un network padronale che metterebbe insieme un quotidiano nazionale come la Repubblica, due quotidiani regionali come La Stampa in Piemonte e Il Secolo XIX in Liguria, più il glorioso settimanale L’Espresso, a cui si aggiungerebbe ora Il Sole confindustriale.
Un volume di fuoco, per usare un’espressione del gergo militare, che può influire sul potere politico e su quello economico come nessun altro in Italia. E dunque, una distorsione del mercato editoriale e pubblicitario, ma anche un’insidia per la dialettica democratica nel nostro Paese.
Urge, come qui abbiamo già auspicato, una nuova legge sull’editoria per regolare le concentrazioni e gli incroci. Sono passati più di trent’anni dall’ultima legge in materia (la n. 67 del 1987) che a sua volta richiamava i “tetti” fissati dalla riforma-madre del 1981 (n. 416). Ma con l’avvento di Internet, la conseguente crisi del settore e il crollo delle tirature, ormai quei “tetti” sono completamente da rifare.
La verità è che le tirature non bastano più come criterio o parametro per definire un’efficace normativa antitrust, in difesa del pluralismo dell’informazione e della libera concorrenza. I giornali di carta si vendono sempre meno e le edicole chiudono o si trasformano in minimarket. L’informazione online, invece, tende a crescere, ma i ricavi non coprono i costi. La digitalizzazione unifica nel “bit” i contenuti editoriali, scritti e audiovisivi, modificando il linguaggio e il codice della comunicazione. È necessario allora fare riferimento all’audience complessiva dei gruppi editoriali, carta stampata e online, radio e televisione, rivedendo anche le quote e i limiti nella raccolta pubblicitaria.
L’informazione di qualità, attendibile e autorevole, costa in termini di lavoro e di produzione. Ma senza un’informazione indipendente la democrazia è a rischio. E il pluralismo ne è la condizione e la garanzia.
Le liste bloccate sono solo un pessimo ritorno al passato
L’appello dei docenti di diritto costituzionale per la campagna “Ora li scegliamo noi” induce sentimenti contrastanti. Da un lato la totale e grata condivisione dei contenuti e della forma di quel manifesto, dall’altro un certo scoramento che esige una breve spiegazione. Il documento richiede la sollecita definizione di una nuova legge elettorale che garantisca ai cittadini di individuare e scegliere i propri parlamentari, non escluda con soglie troppo elevate alcune rappresentanze minori ma significative e bandisca lunghe liste bloccate come peraltro sancito da due sentenze della Corte costituzionale. Quella richiesta riafferma principi intrinseci alla nostra Costituzione e, per questo, intangibili e non opponibili, a meno che il critico non sia il signor Lukashenko. In sintesi: l’appello si concentra su una specie di “minimo sindacale”, negato, all’evidenza, dalle leggi elettorali succedutesi dal “Porcellum” in poi. Ciò significa che nel nostro Paese si è operato negli ultimi quindici anni con un elevato deficit di democrazia rappresentativa, con effetti deleteri sull’esercizio della funzione pubblica propria dello Stato di diritto. Da qui uno sconcerto, che aumenta con vibrazioni da diapason al pensiero della riforma elettorale assunta quale testo base in esame alla Camera. Il sistema di liste bloccate, concepito in quella proposta, rievoca infelici momenti storici nei quali l’elettore doveva dire sì o no ad un elenco di nominativi. Secondo quel progetto, ogni partito individua i candidati che saranno eletti in una gamma tra un minimo e un massimo in ragione dei voti effettivamente ricevuti. Si riproduce così pro quota e senza sovrastrutture coercitive l’archetipo dell’orrido listone. Il sistema viene gabellato per “Germanicum”, mentre in realtà ha in comune con il modello tedesco solo la preferenza per il proporzionale. Mentre in Germania, tuttavia, sono salvaguardati sia i valori del territorio ripartito in 299 collegi uninominali (con il c.d. primo voto), sia quelli di adesione alla lista (con il c.d. secondo voto), nel progetto in discussione gli uninominali spariscono a favore dei plurinominali, che, in realtà, sono al servizio e/o celano un collegio unico nazionale, cioè la forma più arretrata ed autoritaria di organizzazione del consenso elettorale. Se si pervenisse all’approvazione di quel testo, le conseguenze sarebbero devastanti: la Corte costituzionale, in coerenza con le proprie pronunce e ai valori che tutela, non potrebbe che dichiarare illegittimo l’impianto di tale legge, ma un Parlamento illegittimamente eletto avrebbe buon gioco a prendersi tutto il suo tempo (cioè l’intera legislatura) per riscrivere una legge elettorale. Questo significa rubare non solo il tempo, ma anche il futuro agli italiani, privati del diritto di individuare e scegliere i propri rappresentanti, con l’implicita negazione, da parte di tracotanti oligarchie partitiche, della sovranità popolare. I sistemi elettorali susseguitisi dal 2006 , fondati sulla prevalenza del proporzionale, non hanno assicurato la governabilità e non hanno dato buona prova a livello di produzione normativa e di elevata qualità istituzionale non solo per intrinseche cause tecniche ma anche perché la scelta dei candidati è stata espropriata al territorio. Il problema di fondo, trasversale all’intero sistema Paese e origine del deterioramento della competitività nazionale, è proprio quello della mancanza di regole adeguate per investire della cosa pubblica una classe dirigente seria e preparata: nel caso nostro tramite la partecipazione essenziale dei cittadini, come l’art. 49 Cost. impone. Ciò non significa optare per la c.d. democrazia diretta, che può trovare propri degni spazi in un contesto concreto e non visionario, ma per la c.d. democrazia partecipativa come definita dal grande giurista statunitense Ronald Dworkin: ossia quale forma di governo nel quale ognuno partecipa come socio a pieno titolo di un’impresa politica collettiva così da garantire decisioni della maggioranza capaci di soddisfare alcune condizioni che tutelano lo status e gli interessi di ogni cittadino. Una legge elettorale che non riconosce quel titolo ad ogni “socio” e gli impedisce di perseguire così quel risultato si qualifica di per sé contraria o quanto meno inidonea ad assicurare l’esercizio dei diritti politici in modo da presidiare al meglio l’uguaglianza, radice ultima della democrazia, come John Stuart Mill ci ha insegnato centosessanta anni fa.
Bignami da trionfo in questa tv-covid
Il piccolo bignami di Marco Travaglio, a uso dei conduttori di talk show alle prese con ospiti “disinformati e/o esagitati” ha un grave e insuperabile limite. A proposito dello stato d’emergenza Covid (e dei Dpcm) il prontuario è basato esclusivamente, e precisamente, su dati di fatto che appartengono alla realtà e dunque, purtroppo, del tutto verificabili. Mentre l’ospitata televisiva conforme alla dimensione fantasy dell’irrealtà deve essere immaginaria, infondata, arbitraria, irragionevole, ancorata a opinioni qualunque, umorali e possibilmente espettorate a vanvera, meglio ancora se corredate da smorfie disgustate e vigorosi pugni sul tavolo. Codici, come si vede, che sono esattamente il contrario di quanto sostenuto dal direttore di questo giornale. Infatti ecco qui di seguito alcune figure vincenti dell’autentico, inimitabile piccolo bignami con cui farete una porca figura su tutte le reti, conquisterete le donne più belle e otterrete uno sconto dal pizzicagnolo.
Incipit modello standard. Prima di ogni affermazione, anche la più avventata e imbecille rivolgere il più caloroso elogio al popolo italiano “che sta dando una prova di esemplare compostezza e disciplina”. Aggiungere (a piacere) la frase “siamo un grande Paese” (si raccomandano voce turbata e sguardo umido). Per i sovranisti è disponibile la confezione tricolore: “sono orgoglioso/a di essere italiano/a”.
Format l’emergenza è comunista. Aborrite Giuseppe Conte e i suoi annunci ma con il contagio in crescita esponenziale aggirate l’ostacolo con descrizioni terrificanti di quanto avviene nelle famiglie italiane, martoriate per lo stato d’emergenza da regime bolscevico. Efficace la frase: “non tutti hanno la tata”, che combatte la sinistra con argomenti di sinistra. Nel caso un qualche virologo rosso provi a confutare la tesi (trumpiana) “è poco più di un’influenza”, descrivendo la drammatica situazione delle corsie ospedaliere ci si può togliere l’auricolare e abbandonare sdegnosamente lo studio (cfr. “La strategia del tampone che ha creato la finta emergenza”. Silvana De Mari. La Verità).
Format mascherina liberticida. Si porta con il cipiglio e il pullover cattedratico. Costretti all’obbedienza forzata, come Papillon nell’Isola del Diavolo, si esprime la più viva protesta per violazione della Costituzione, dei diritti fondamentali della persona (o dei principi della democrazia liberale, nella versione soft). Dopodiché, ci si chiude in un corrucciato silenzio.
Format mascherina inutile e dannosa. È la teoria propugnata con vigore da Novax, terrapiattisti ed Enrico Montesano. Funziona se accompagnata da un vigoroso starnuto sulla faccia degli altri ospiti (possibili reazioni violente).
Mario Giordano sarà nudo e tenterà di farsi circoncidere in diretta
E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:
Discovery, 9.25: Come fanno gli animali, documentario. La puntata di oggi è dedicata al pitbull, uno degli animali più mansueti che esistano in natura. Ovviamente, se un bambino gli infila un dito su per il culo, il pitbull s’incazza e lo sbrana. Oppure se una ragazza fa jogging nel parco quando ha le mestruazioni, un pitbull potrebbe essere attratto da lei in modo morboso. Una volta un pitbull inseguì fino a casa mia cugina, che aveva il tampax imbevuto di sangue, e quando lei lo fece accomodare nel tinello lui si mangiò un cappello di paglia della nonna e si inculò la nonna. Ma non in quest’ordine. A parte questi casi eccezionali, il pitbull è un gattino.
Rete 4, 21.25: Fuori dal coro, attualità. Anche in questa nuova stagione Mario Giordano non si smentisce, inventandosi ogni settimana qualche puttanata sorprendente per attirare l’attenzione del pubblico sui temi del programma. In questa puntata, per introdurre il reportage sulla pace fra Israele ed Emirati Arabi, Giordano si spoglierà nudo e tenterà di farsi circoncidere in diretta da un lanciatore di coltelli.
Rai 1, 10.15: La Santa Messa, reality. Gesù testa quattro ristoranti situati in Galilea alla ricerca del migliore con degustazione “bollicine”. Non è quello di Cana.
Rete 4, 16.40: Il giorno della vendetta, film-western. Lo sceriffo Matt Morgan riesce ad arrestare l’uomo che ha violentato sua moglie. Ma dovrà vedersela con la moglie, decisa a difendere l’uomo.
Sky Cinema 2, 23.20: Cleopatra, film-storico. Avete presente la scena finale, quando Liz Taylor prende l’aspide, se lo avvicina alla tetta e gliela fa mordere? Finita la scena, ci sono volute tre ore prima che riuscissero a riarrotolare l’aspide.
Rai 1, 11.30: Passaggio a Nord Ovest, documentario. Questa settimana Alberto Angela ci porta al Museo delle Civiltà pre-classiche della Murgia Meridionale, dove scopriremo un sacco di vasi di terracotta in frantumi, perché nell’antichità erano tutti un bel po’ imbranati.
Rete 4, 21.25: Quarta Repubblica, attualità. Anche stasera Nicola Porro propone un’analisi approfondita dei maggiori eventi della settimana. Si parlerà fra l’altro della confessione ottenuta con la tortura a Guantanamo che ha portato alla scoperta di una cura contro il cancro.
Canale 5, 21.20: Grande Fratello Vip, reality. Un programma dove tutto può succedere, ma non succede mai.
Rai Storia, 20.30: Passato e presente, documentario. Berlino, 1945. Quando la disfatta della Germania hitleriana è ormai imminente, Himmler suggerisce di testare una nuova arma segreta: zanzare tigre addestrate dalla Gestapo. Ne parlano nella puntata odierna Paolo Mieli e Alessandro Barbero.
Canale 5, 14.35: Il segreto, telenovela. Isabel e Inigo, entrambi con in mano una padella, hanno un brusco chiarimento sulla loro relazione.
La7, 21.15: Grey’s Anatomy, telefilm. Alex deve affrontare le conseguenze del licenziamento per frode assicurativa. AVVOCATO: Lei è davvero laureato in medicina? ALEX: Praticamente sì, se non avessi interrotto gli studi dopo la terza media. AVVOCATO: Perché allora ha fatto il medico? ALEX: Mi piace infilare aghi nella gente.
Rai 1, 20.35: Ballando con le stelle, varietà. Uno show stupendo. Per gli standard di Rai 1, almeno.
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Vorrei leggere un suo editoriale più lungo
Egregio Direttore Travaglio, veda di lavorare un po’ di più. Il suo mezzo editoriale su una pagina non mi piace: gradirei averlo tutti i giorni per intero su due colonne. Grazie.
Alfonso Di Domenico
Caro Alfonso, lei è uno schiavista e un negriero, lo sa?
M. Trav.
Basta dileggiare il lavoro della ministra Azzolina
Sono un prof. che lavora con ragazzi delle superiori, non ragazzini né sempliciotti (non me ne voglia nessuno). Ieri ho nominato la ministra dell’istruzione, credo che a scuola si possa fare, e non ho potuto non notare le smorfie di disgusto e il “la odio” espressi da alcuni studenti. Visto che parlavamo delle misure anti Covid e i ragazzi si lamentavano della “densità abitativa” nei pullman, ho chiesto se sapessero chi si celasse dietro il cognome De Micheli. Silenzio, nessuno la conosce. Né del resto ho visto polemiche continue contro di lei sugli organi di stampa o televisivi. Mi sono chiesto il perché e mi sono dato una risposta… Voi che ne dite?
Romano Frigo
Caro prof. , ci siamo capiti!
M. Trav.
Le parole del ct Mancini sono fuori luogo
Il mio commento è alle parole che hanno avuto un coro di consensi mentre per me sono inammissibili, del commissario della nazionale di calcio Mancini, rivolte al ministro della Salute Speranza. Andare allo stadio per vedere giocatori che guadagnano milioni sarebbe fare Sport?! Il calcio è un business immenso che arricchisce scandalosamente pochi e impoverisce economicamente e culturalmente il resto d’Italia. Basti pensare al calcio scommesse in larga parte in mano alla criminalità organizzata, alla montagna di soldi dati a Sky, Dazn o ai botteghini degli stadi. Ho notato però come i commenti dei media siano unanimemente allineati in favore del Calcio: questo nume intoccabile che deve sempre essere difeso, che fa audience, popolarità, voti e .. profonda incultura.
Paolo Mezzelani
Inaccettabile l’attacco a Conte della Casellati
Mi riferisco all’articolo di Padellaro del 6 ottobre sull’incredibile attacco (perché di questo si tratta) che la presidente del Senato Casellati ha sferrato contro il governo e contro il presidente Conte. A parte che mi stupisce il fatto che la notizia non sia apparsa anche in altri giornali, mi domando: ma la seconda carica dello Stato conosce bene i poteri e le prerogative che la Costituzione le dà? Le risposte sono due. La prima è No, ma questo sarebbe un grosso guaio. La seconda è Sì, ma se ne frega e va avanti comportandosi come se fosse il capo dell’opposizione, e questo sarebbe un guaio ancora più grande. D’altra parte che ti potresti aspettare da un personaggio che a suo tempo trovammo a manifestare davanti al Palazzo di giustizia di Milano contro i giudici e a favore di Berlusconi e che si dichiarava folgorata sulla strada di Arcore?
Alberto Eusepi
Nel governo giallorosa c’è maggiore concordia
Seguendo in questi giorni le vicende che ruotano attorno agli scenari futuri dei pentastellati, usciti dalle ultime elezioni politiche come prima forza in Italia, mi viene da fare una riflessione partendo proprio dalle due esperienze di governo che li hanno visti e li vedono tutt’ora protagonisti. Con buona pace di Di Battista, io penso che la differenza, formale ma di fatto sostanziale, tra la coalizione gialloverde e quella giallorossa consiste nel fatto che la prima si basava su un contratto tra le parti e la seconda su una alleanza delle parti. Nel governo M5S-Lega ognuno dei due sodali aveva infatti dei punti da realizzare e ciascun obiettivo raggiunto dall’uno aveva come conseguenza l’approvazione di un provvedimento caro all’altro. Nell’esecutivo M5S-Pd, invece, si ha l’impressione, almeno come intenzione e ricerca, di un’applicazione condivisa di leggi e normative. Restano comunque ancora da affrontare quelle questioni su cui le due forze partono da posizioni molto distanti, come il Tav, il rapporto con i Benetton, il costo della casta e altre. Rimane sullo sfondo, ahimè ancora molto opaco, una seria politica di tutela ambientale.
Giuseppe Raspanti
I deputati sono dipendenti pubblici
Leggo spesso che alla Camera non si raggiunge il numero legale per parlamentari assenti ingiustificati (e anche giustificati) ma per i primi non si potrebbe porre rimedio come a qualsiasi dipendente del settore privato o in qualsiasi ente pubblico, perché vuoi o no i nostri parlamentari sono stipendiati con soldi pubblici, pertanto ritengo giusto che devono avere gli obblighi di qualsiasi dipendente pubblico.
Gilberto Ugolini
Con Luigi Berlinguer i primi guai della scuola
La crisi della scuola è antica, ma il colpo di grazia venne dato dall’ex ministro L. Berlinguer con l’introduzione nella scuola di categorie aziendalistiche, svilendo la funzione del docente. Un’operazione politica che ha favorito alcune categorie della scuola, presidi e segretari, entrambi assurti alla dirigenza.
Maurizio Burattini