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Ricordiamoci di mettere sempre la mascherina

Il finale dell’articolo di M. Rita Gismondo del 6 ottobre, nella rubrica “Antivirus”, termina con la frase: “Le mascherine all’aperto non hanno alcun fondamento scientifico e un negativo impatto psicologico”. Ora credo che qualcuno in redazione, ancora meglio, il Direttore, avrebbe dovuto – pur rispettando il diritto di opinione – intervenire per prenderne le distanze. Infatti l’impatto psicologico sarebbe (e sarà dopo l’auspicabile Dpcm) del tutto positivo, rendendo finalmente consapevole e responsabile tutta la popolazione del grave momento che stiamo attraversando.

Gianni Girotti

 

Gismondo è stata molto superficiale

La dottoressa Gismondo cavalca argomenti con sorprendente superficialità: oggi (6 ottobre) ha scritto che “le mascherine all’aperto non hanno alcun fondamento scientifico e un negativo impatto psicologico” ça va sans dire…

Roberto Censi

 

Caro Roberto, e Gianni, anch’io penso che la mascherina all’aperto quando si è soli serva a poco. Ma rispetto la nuova misura che la rende obbligatoria; i divieti in emergenza non possono sottilizzare e distinguere troppo tra le varie situazioni, perché poi la gente più disinformata e imprudente non lo fa. Meglio un divieto troppo generalizzato, ma chiaro e netto, che una serie di prescrizioni dettagliate ma facili da aggirare o da fraintendere.

M. Trav.

 

Consiglio una lettura al grillino Di Battista

Ascoltando Di Battista ad Accordi & Disaccordi non ho potuto fare a meno di pensare che, se il grillino “rivoluzionario” avesse letto il saggio di Lenin L’estremismo, malattia infantile del comunismo, avrebbe già fatto pace con i propri tormenti interiori. Il capo della Rivoluzione d’Ottobre, nell’opera, attaccava l’ala sinistra dei bolscevichi, i quali, come Di Battista, si sentivano “duri e puri”, dimostrando la debolezza dello slogan “niente compromessi”. Accettare tale assioma significherebbe interpretare l’attività politica come “un dogma”, piuttosto che come una “guida all’azione”. Con riferimento, inoltre, alla Gran Bretagna, Lenin proponeva a tutti i principali gruppi socialisti britannici di formare un unico Partito Comunista al fine di presentarsi alle elezioni alleati dei Laburisti. In un passo famoso del saggio, infatti, scrive che i comunisti inglesi avrebbero dovuto sostenere il Segretario nazionale dei Laburisti “allo stesso modo nel quale una corda sostiene un impiccato”. È passato esattamente un secolo dalle parole di Lenin, ma ancora oggi l’alleanza politica tra il M5S e il Pd “impiccherebbe” Zingaretti obbligandolo a seguire politiche di sinistra, emancipandosi dalle derive destrorse del renzismo.

Carmelo Sant’Angelo

 

Mancini fa soltanto speculazione sullo sport

Ho letto la dichiarazione di Roberto Mancini: “Anche lo sport è un diritto come la scuola”. Questa farneticante dichiarazione da uno che arriva da Bologna con le pezze nel culo, di gamba buona ma con poco cervello, ha la fortuna di arrivare dove è arrivato o permettendosi barche di grande stazza, pieno di milioni, racimolati in quello che lui chiama sport inteso come calcio, una fogna di speculazioni e intrallazzi potendola definire una succursale della borsa. Lo sport a cui tutti hanno diritto è altra cosa, dove non esiste speculazione.

Ennio D’Altri

 

La storia di “Irishman” può insegnare molto

Uno degli episodi più oscuri, drammatici e inquietanti del XX secolo è stato, senza dubbio, quello della sparizione di J. Hoffa il 30 luglio 1975. Premesso che su questo caso non c’è ancora nessuna verità “ufficiale” e “definitiva”, né di carattere processuale né di altre dimensioni. La ricostruzione fu fornita dal libro I heard you paint houses del 2004. In quel libro, preso poi a fondamento per la realizzazione del bellissimo The lrishman di Martin Scorsese, viene data da Sheeran una versione dei fatti che è entrata nell’immaginario collettivo. A parer mio diventa fondamentale la lettura del libro The Hoffa Wars, del 1978, di D. Moldea, il più grande esperto al mondo sul “caso Hoffa”. Leggendo quel testo si capisce come le cose andarono diversamente.

Marco Scaroponi

 

La sanità è in stallo, il Covid-19 è solo un alibi

Ho constatato, sulla mia pelle, che la sanità pubblica, laddove non ci siano esperti di uveite degenere, è in stallo e il coronavirus è solo un alibi. Tanti operatori si nascondono dietro “protocolli” per evitare le incombenze di base, tra questi non includo gli infermieri e i medici in prima linea, ma sicuramente molti amministrativi, che rendono difficile la convivenza degli altri settori. Sono dovuto scappare da un ospedale del Lazio dopo esser rimasto ad aspettare per una giornata intera, a vuoto. A Terni è andata meglio, ma mi sono dovuto misurare con protocolli kafkiani, soprattutto di domenica, giorno sacro della medicina: il giorno in cui non devi ammalarti, altrimenti sono razzi, ovvero il giorno in cui Ippocrate si gratta la panza.

Massimo Caprabianca

Spid. Sfida tecnologica inevitabile. Ma vanno tutelati i più “fragili”

 

Spettabile Fatto Quotidiano, giorni fa ho letto con interesse l’articolo sullo Spid di Patrizia De Rubertis. Io, come credo tanti altri, non sono assolutamente d’accordo sulla novità introdotta dall’Inps che costringe tutti quelli come me, in possesso di un telefonino non proprio all’avanguardia, a comprare un nuovo apparecchio per scaricare l’applicazione, oppure a pagare un Caf per poter continuare a usufruire dei servizi dell’Inps. A mio avviso si tratta di un’imposizione a senso unico, che non tiene assolutamente conto delle diverse realtà di ogni singolo utente. È quindi ovvio che vorrei che fosse mantenuto il sistema delle password. Anche le banche lo scorso settembre, per rafforzare la sicurezza, hanno dato la possibilità di optare per il sistema a doppia password, in alternativa all’applicazione sul telefonino. Io sono solo una persona: quasi certamente se scrivo solo io all’Inps non mi prendono neppure in considerazione, ma se fossimo in tanti… Vi sarei grato se mi poteste suggerire quale potrebbe essere il percorso più appropriato da seguire. Grazie.

Stefano Fusi

 

Gentile Fusi, non c’è possibilità di dissentire o non condividere quando si ha a che fare con una rivoluzione di questa portata. L’Italia è tra i Paesi più indietro nell’utilizzo delle tecnologie digitali che ci permettono di interagire online con lo Stato su più versanti, con grande risparmio di tempo e vantaggi in termini di sicurezza, efficienza e trasparenza. Certo, c’è ancora molto da fare, dal momento che solo 11 milioni di italiani hanno lo Spid e 17 milioni sono quelli che hanno la Carta d’identità elettronica (Cie) che ha le stesse funzioni dell’altro sistema tanto che possono essere usati entrambe per accedere ai siti della Pubblica amministrazione. Il punto è che il processo è partito ed è irreversibile. Detto questo, condivido con lei la preoccupazione di un tale cambiamento per un Paese in cui l’età media è elevata e si ha poca dimestichezza con la tecnologia. Il processo sarà comunque molto graduale: ad esempio può ancora continuare a collegarsi al sito dell’Inps con il Pin fino alla fase transitoria la cui data deve ancora essere definita. Mentre i sindacati hanno chiesto di istituire degli sportelli “fisici” per aiutare chi è più fragile tecnologicamente. È una sfida indubbiamente difficile.

Patrizia De Rubertis

Come Tiziano Renzi, anche noi vogliamo incontrare le Ferrovie

Avviso ai lettori: oggi questa rubrica verrà utilizzata a fini quasi esclusivamente privatistici. Chi scrive si sente eticamente e moralmente autorizzato a farlo dopo aver letto le carte e gli articoli sulla chiusura dell’inchiesta Consip. Documenti in cui si parla di una serie d’incontri, a cui a volte partecipò anche Tiziano Renzi, per chiedere alle ferrovie di fermare il Frecciarossa a Rignano sull’Arno, in modo di facilitare l’arrivo della clientela in un outlet con cui Renzi senjor aveva un rapporto di consulenza.

Ci rendiamo perfettamente conto di non avere parenti segretari di partito o membri dell’esecutivo. Ma essendo fermamente convinti che il rignanese Tiziano Renzi abbia ricevuto soltanto le doverose attenzioni riservate da ferrovie e governo a qualunque cittadino, avanziamo qui la nostra rispettosa, ma pressante richiesta: al pari di Tiziano desideriamo almeno 5 incontri tra noi o un nostro emissario e l’amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana (Rfi); chiediamo che ad almeno uno di questi appuntamenti partecipi un sottosegretario ai Trasporti e ci rendiamo fin da subito disponibili, se fosse necessario, a tenere i meeting pure in sedi non ufficiali, ma in bar, osterie, caffetterie, tavole calde o bettole di qualsiasi ordine e grado.

Anche chi scrive vuole infatti illustrare alle ferrovie i vantaggi (per se stesso e per la collettività) che si potrebbero ricavare da uno stop del Frecciarossa non a Rignano, ma nella stazione di Verona-Parona, chiusa nel lontano 2012. La stazione in questione è posta sulla tratta che porta a Bolzano e per lo scrivente, residente a Milano, sarebbe assai utile che venisse rimessa in funzione, prevedendo anche la fermata del treno. A Parona vivono gli anziani genitori dell’autore di Fatti chiari. Che, per questo motivo, ogni settimana perde minuti preziosi, altrimenti dedicati al lavoro, per spostarsi in taxi o in autobus dalla stazione di Verona Porta Nuova fino alla frazione di Parona di Valpolicella.

Allo stesso modo le 3.300 anime della frazione, in caso di fermata del treno ad alta velocità, potrebbero usufruire del servizio evitando pure loro stressanti spostamenti via gomma.

È vero che la richiesta di Tiziano Renzi è stata alla fine respinta. Ma nel nostro caso la situazione è oggettivamente diversa. Se Renzi senior, quando illustrò il suo progetto a Luigi D’Agostino, il costruttore dell’outlet, si sentì rispondere che “era folle l’idea di far fermare il Frecciarossa da Milano a Rignano (visto che) c’erano già polemiche per il treno che ferma ad Arezzo, città di Maria Elena Boschi”, noi possiamo invece assicurare di non essere mai stati investiti, nemmeno indirettamente, da contumelie di sorta riguardanti i mezzi di trasporto utilizzati da nostri congiunti, parenti, affini, amici, soci, estimatori e persino lettori.

Inoltre se l’amministratore delegato di Rfi, Maurizio Gentile, oggi ricorda di aver spiegato a Tiziano Renzi che quella per Rignano “era una linea ordinaria” e non ad alta velocità, a Parona il problema non si pone. Il Frecciarossa da Milano a Bolzano (sia pure su rotaie normali) esiste già. E non sarà certo un’unica nuova fermata a fare la differenza. Abbiamo insomma tutte le carte in regola.

Per cui, caro governo, care Ferrovie, non state a pensarci su due volte: ricevete lo scrivente e, se potete, accontentatelo. Dimostrate che davvero in democrazia un appuntamento non si nega a nessuno e che, soprattutto, i favori sono uguali per tutti.

 

Salvini sempre in tv: il sistema è malato (e non solo la rai)

I dati e le tabelle pubblicate dal nostro giornale e riguardanti il tempo di parola dei soggetti politici nei tg e nei programmi nel periodo di agosto-settembre fino alle recenti elezioni, ci parlano di una grave anomalia. Disparità così forti di esposizione tv non si vedevano, e anche questo è grave e significativo, da gennaio, quando c’era stata un’altra tornata elettorale importante. Nonostante la plateale recidività ciò è passato del tutto in sordina anche presso gli osservatori più attenti. La prima questione è chi e come debba vigilare visto che non è la prima volta che succede e che probabilmente non sarà l’ultima.

L’Agcom ci prova con risultati altalenanti, ma è oramai evidente come la valutazione dell’Autorità non possa più fondarsi sul monitoraggio delle presenze dei partiti in tv, un modello abbastanza anacronistico nell’era della personalizzazione politica. Una politica che parla ai cittadini con le facce e le voci dei capi, visto che da tempo l’equilibrio o lo squilibrio delle forze rappresentate, lo scrive bene Roberto Zaccaria nel suo Rai. Il diritto e il rovescio, si esprime soprattutto, come abbiamo più volte sottolineato anche noi, attraverso le presenze dei leader piuttosto che delle figure minori.

I numeri pubblicati ci dicono che il binomio comunicazione-consenso non sempre è legato da un rapporto direttamente proporzionale. Si è visto fragorosamente in questa tornata dove chi ha più comunicato, a cominciare dai numeri monstre di Salvini, non ha raccolto molto nell’urna. L’ex titolare del Viminale, che è in campagna elettorale da luglio, unico onnipresente in video per tutta l’estate, non solo non è riuscito a far saltare la Toscana e il governo, ma nemmeno a trascinare la Lega nei sondaggi. È il segno che la sua comunicazione è entrata in affanno dopo due anni di trionfi. E guarda, guarda, la parabola sembrerebbe sovrapponibile a quella di Renzi, anche lui ipercomunicatore di successo per due-tre anni prima di iniziare una parabola discendente. La sensazione che se ne ricava è che gli eccessi della comunicazione politica, coniugati alla velocità e alla immediatezza degli strumenti di cui oggi essa s’avvale, non garantiscano la durata e la stabilità nei consensi. Che così rapidamente salgono così come altrettanto velocemente scendono. Viceversa accade che la Meloni la quale, pur visibile in alcune reti, non gode della copertura ampia e generalizzata di Salvini né degli spazi di altri politici, veda il suo partito crescere nei sondaggi e nelle urne.

C’è infine un problema serio con i talk, clamoroso ed evidente. Se nei tg gli squilibri non sono stridenti, non così nei programmi dove la situazione è davvero preoccupante, soprattutto sulle tv private, Mediaset e La7, dove da tempo il capo della Lega gode di un’esposizione che non ha paragoni. Anche sotto elezioni, dove dovrebbe vigere la par condicio. Un quadro che non dà segni di mutamento. Tanto per dire sia domenica sera che lunedì e martedì Salvini era in tv da Giletti, poi da Porro infine da Giordano. E se questo è il pluralismo all’italienne non basterà la riforma della Rai a sanare un sistema tv malato.

 

Dopo il “sì” è necessario coinvolgere i cittadini

Abbiamo promosso il Sì alla riduzione dei parlamentari anticipando l’urgenza di elaborare e implementare rapidamente una serie di altre riforme costituzionali. Nelle due settimane dalla schiacciante prevalenza del Sì nel Referendum abbiamo presentato una bozza in nove punti (Il Fatto Quotidiano del 3 ottobre).

Solo il Partito democratico (Pd) sull’argomento ha tenuto una conferenza stampa e presentato in Senato un disegno di legge per una nuova legge elettorale e altre modifiche costituzionali.

1) In una conferenza stampa recente propone il proporzionale con la soglia di sbarramento al 5%, ma resta vago su quale specifico sistema scegliere per applicarlo.

2) Nel disegno di legge avanza riforme costituzionali precise, anche se forse troppo estese e magari contorte in alcuni passaggi.

Ora spetta ai partiti discutere questi temi ponendosi l’obiettivo di arrivare a una riforma elettorale e a qualche modifica costituzionale, in tempi utili per le prossime urne, tempi che, anche se non stretti, non sono lunghissimi di qui al 2023 – fine della legislatura. Peraltro in ambedue le proposte non è affrontato un tema per noi cittadini molto importante che abbiamo provato a sostenere con i nostri nove punti: come dare più spazio alle scelte dei cittadini. L’obiettivo della Democrazia rappresentativa quale migliore espressione della Democrazia liberale e quindi della Società Aperta, è di allargare la partecipazione del cittadino nelle scelte politiche. La Democrazia Diretta invece è un’utopia inapplicabile nella realtà di grandi numeri di conviventi e che, se applicata nella rete informatica, rinverdisce i fasti del “centralismo democratico” imperniato su qualche organizzazione sovrapposta al cittadino.

Il Pd, come tutti gli altri movimenti e partiti in Parlamento, non chiarisce il punto essenziale: se e come affidare al cittadino la scelta, oltre che degli indirizzi politici, dei candidati destinati a rappresentare quei principi e progetti scelti tramite l’elezione. Il Pd non esprime una posizione chiara, lasciando intendere però, che vorrebbe in un modo o nell’altro restare a forme di candidature decise dai capi partito. Noi siamo convinti invece, che siano i cittadini a dover scegliere i propri rappresentanti.

Per questo esistono solo due vie: o, con il maggioritario, i collegi uninominali piccoli in numero uguale a quello degli eletti, oppure le liste proporzionali con preferenza. In ambo i casi, naturalmente, vietando la pluricandidatura in più territori, che vanifica la volontà degli elettori.

Quanto alla proposta di ulteriori riforme costituzionali, il disegno del Pd tralascia del tutto la modifica dell’art. 71, comma 2, della Costituzione, quello secondo cui “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno 50mila elettori, di un progetto redatto in articoli”. Lo tralascia nonostante che, al riguardo, la Camera abbia già votato una modifica che introduce una forma di referendum propositivo (previa raccolta di mezzo milione di firme su un testo) e che da mesi è ferma al Senato circondata da molti emendamenti elusivi (Atto 1089).

Ora, a parte l’atto 1089 da discutere modificandolo come ritenuto opportuno, sono evidenti due aspetti.

Il primo è che il referendum propositivo non è contro la democrazia rappresentativa parlamentare, ma un suo affinamento per evitarne ogni pericolo di irrigidimento sordo ai cittadini.

Il secondo è che introdurre il referendum propositivo, andando nella giusta direzione di accrescere la partecipazione dei cittadini nel formare e nel decidere le norme della convivenza, li avvicina all’istituto rappresentativo.

In conclusione, al Pd facciamo osservare che non pensiamo possibile affrontare sia la nuova legge elettorale sia l’ulteriore riforma della Costituzione, senza risolvere positivamente l’allargare il potere del cittadino nella vita politica. Per questo abbiamo avanzato i nove punti richiamati all’inizio che risolvono il problema.

 

Limoni contraccettivi, pellicce da amplesso e scorte di prosecco

E per la serie “Fare boba”, la posta della settimana.

Dopo 10 anni di matrimonio, mia moglie mi ha confessato che le piacerebbe che le venissi in faccia, di tanto in tanto. Nulla in contrario, ma poi come faccio a baciarle le labbra glassate di sperma? (Denis Zambuto, Agrigento). Capisco. Il problema è complesso: se non la baci, potrebbe offendersi e decidere di non succhiartelo più. “Come posso ingoiare il tuo sperma, se a te stesso fa schifo?”. Se invece la baci, sperma e tutto, potrebbe considerarti un pervertito. “Puah, lecchi addirittura il tuo sperma!”. La soluzione di mio zio? Lo fa leccare al suo cane. (Un Golden retriever. Si chiama Gordon, ed è incredibile come i due si somiglino. Mio zio ha insegnato a Gordon a bere la birra, e Gordon ha insegnato a mio zio a leccarsi il pacco. Inoltre, entrambi mangiano croccantini da una ciotola sul pavimento. A differenza di mio zio, però, Gordon sa essere molto ironico. Per esempio non abbaia, ma dice “latrato” con tono di sufficienza. E fuma Gauloises. Con un lungo bocchino verde, come Crudelia Demon. Nella quale si identifica, come mio zio).

È vero che il succo di limone è efficace come contraccettivo? (Maria Sciarretta, Termoli). Sì, se glielo spruzzi negli occhi.

Ciao, Daniele! Ti ricordi quella tua compagna di liceo tanto carina di cui eri innamorato, e che una volta invitasti a una tua festa di compleanno e lei rifiutò, e quando tu le facesti la dichiarazione d’amore lei ti rise in faccia e ti disse che era già fidanzata anche se non era vero, e la verità era che si scopava tutti tranne te, e aveva un corpo da sballo con due tettine sode e un sederino da urlo? Be’, adesso ho divorziato, ho messo su un po’ di chili, vivo a Corviale coi miei sei figli e ho le vene varicose. Mi chiedevo se ti va ancora di uscire con me. Mi fai sapere? (Ingrid Semprini, Roma). Come no.

Qual è il modo migliore per misurare la febbre a un bambino? (Giorgia Signorile, Bari). Il termometro rettale è ancora il modo migliore per misurare la febbre a un bambino. Specie quando fa i capricci.

Caro Daniele, hai mai provato attrazione per le ragazzine? (Luciano Proietti, Roma). Ovviamente. Poi un giorno mi sono stancato di pagare tutto io (i suoi corsi di sociologia, la sua Vespa, la sua carta di credito, le sue lezioni di karate) solo per ricevere del gran fist-fucking. Lei mi fa: “Attento, Daniele. Qualsiasi godimento che si emancipa dal valore di scambio acquista tratti sovversivi”. “Eh?”. “Adorno, ‘Dissonanze’. E adesso scusami, devo iniettarmi il botox nel clitoride. Vuoi assistere?”. “Si paga?”. Credevo di avere imparato la lezione una volta per tutte; e invece dopo un po’ perdo la brocca per una liceale in short. Come definire il suo culo, se non termonucleare? La invito nel mio appartamento. Mi fa: “Mi piace il prosecco”. E io: “Ne ho due bottiglie in frigo”. “Adoro Beyoncé”. “Ho il suo ultimo Cd”. “Mi piace fare sesso davanti al caminetto sopra una pelliccia”. “Nessun problema. Ammazzo Gordon”.

A cosa pensano le donne quando si masturbano? (Franco Zanatta, Treviso). A te.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi! (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

E alla fine Saviano si fece Acqua

Forse siamo distratti, oppure ci siamo persi le parole di papa Saviano. Il grande fustigatore della politica italiana, etereo come un pontefice e furibondo come un predicatore, qualche tempo fa aveva attaccato a testa bassa il governo, in particolare Nicola Zingaretti, il segretario del Pd. L’ennesima scomunica di Saviano, tramandata attraverso le tavole della Stampa, riguardava i decreti Sicurezza voluti da Salvini: “Non li cambieranno mai”, pronosticava lo scrittore, perché i Cinque Stelle e Di Maio “sono intrisi di cultura xenofoba”. Ma anche perché Zingaretti e i suoi non esistono, sono il nulla: “Il Pd è succube di una gravissima mancanza di identità politica. Non ha una posizione chiara sulle questioni più rilevanti. È vapore acqueo”.

L’immagine è suggestiva, non ci sono dubbi. Ora però il vaporoso segretario del Partito democratico dovrà pur riacquistare una qualche consistenza (potrà essergli riconosciuto almeno lo stato liquido?), visto che il governo è finalmente intervenuto per mettere mano ai decreti di Salvini. Papa Saviano invece che fine ha fatto? Perché non proferisce verbo? Aspettiamo il suo monito. Si sarà vaporizzato anche lui?

Pure Feltri abiura: “Grazie a dio c’era Conte”

Vittorio Feltri, benvenuto tra noi! Sia detto, con ironia, ma persino il destrissimo direttore, incontenibile e incontinente fustigatore di Conte e dei giallorosa, s’è scoperto filogovernativo. Vittorione su Libero si scusa: “Abbiamo esagerato con le critiche al governo per come ha gestito la faccenda del Covid”. E poi sentenzia: “Dovremmo ringraziare il cielo se non addirittura l’esecutivo presieduto da Conte, antipatico come un gatto aggrappato ai testicoli, ma che tutto sommato ha fatto meglio di parecchi suoi colleghi stranieri”. Sappiamo quanto Feltri ami i gatti. È una rivoluzione. Pure Macello Sorgi della Stampa, voce critica e vagamente iettatoria sul premier, ha cambiato carro. Fino all’altro ieri pronosticava rovinose cadute e un esercito di candidati alla successione (Draghi e porci). Ora scrive così: “Politicamente, tutto ruota intorno a Conte (…) perché, come rivelano sempre più i sondaggi, la gente pensa che abbia gestito al meglio possibile l’emergenza Covid”. Ma pensa te…

Stellantis, il vero banco di prova sarà cambiare marcia in Cina

Stellantis, il colosso dell’auto che nascerà dalla fusione di Fca e Psa, sarà il quarto costruttore al mondo con quasi 9 milioni di auto prodotte e vendute, 400 mila dipendenti e un fatturato che sfiorerà i 180 miliardi di euro all’anno. Nondimeno, i due promessi sposi hanno un tratto in comune da correggere, se vorranno tentare la scalata al podio mondiale: la debolezza sul mercato più importante del mondo, quello cinese. Dove, seppur in epoche differenti, hanno provato entrambi a sfondare ma senza troppo successo. Al punto che, lo scorso anno, sommando le immatricolazioni dei due gruppi risultano circa 208 mila veicoli: poco meno dell’uno per cento del mercato. Non uno qualunque ma quello più grande del mondo, anche se non tiene più i ritmi di crescita di un tempo. Non è un caso che il futuro numero uno del sodalizio Carlos Tavares abbia più volte sottolineato come il cambiamento di rotta in Cina sia una priorità assoluta.

Il rischio è quello di (continuare a) recitare un ruolo di secondo piano, dove invece bisogna primeggiare. Come ha fatto soprattutto il gruppo Volkswagen, primo in ordine di tempo a puntare sulla Cina, e come provano a fare agli altri tedeschi del lusso. Ma anche General Motors e i giapponesi di Toyota e Honda.

Certo, ormai il mercato cinese è maturo. Ma può ancora dare soddisfazioni a chi riuscirà a intercettare le vecchie e le nuove tendenze di una clientela che nel frattempo si è evoluta. Tendenze che si chiamano lusso e auto ecologiche.

Explorer, sbarca il maxi-suv yankee

Dici Ford Explorer e pensi alla genesi del fenomeno suv, poi importato dagli Stati anche qui da noi. Quel che è successo una trentina di anni fa in America, ovvero la migrazione dei gusti dalle care vecchie station wagon proprio verso gli sport utility, un po’ è anche merito (o responsabilità, fate voi) di questo maxi taglia a ruote alte, che nel frattempo è stato scelto da ben otto milioni di automobilisti. E che ora si va a piazzare anche nell’offerta europea dell’Ovale Blu, impolpando ulteriormente una gamma che già vanta nomi del calibro di Puma, Ecosport, Kuga ed Edge. Anzi a capitanare, visto che si tratta di una vera e propria ammiraglia: oltre cinque metri di lunghezza, sette posti, connettività e infotainment al top, powertrain ibrido plug-in che sviluppa una potenza complessiva di 457 cavalli e una coppia di 825 Newtonmetri, con la possibilità di viaggiare in modalità elettrica pura per 48 chilometri. E, in più, una messe di sistemi di assistenza e sicurezza da fare invidia ai marchi premium. Dai quali, per la verità, l’Explorer mutua anche un listino non proprio a buon mercato, visto che l’unica versione in vendita da noi, stracolma di ogni diavoleria e optional, costa 81 mila euro. Merce di nicchia ed esclusiva dunque, come spiega anche il numero uno di Ford Italia Fabrizio Faltoni: “L’obiettivo è quello di competere con i large suv della concorrenza premium, dunque ci aspettiamo di venderne circa trenta al mese, arrivando ad alcune centinaia a fine anno”.

Numeri non impossibili, anche perché la tecnologia messa in campo è di prim’ordine. A cominciare da quella ibrida, che oltre alla già citata modalità di percorrenza a emissioni zero (Ev Now) ne mette a disposizione di chi è al volante altre 3: Ev Auto, Ev Later e Ev Charge, per una corretta e continua ottimizzazione di consumi ed emissioni. Ma siccome stiamo parlando di un mezzo polivalente, ecco anche il sistema Terrain Management System che offre sette modalità di guida diverse, da abbinare alla trazione integrale intelligente e a un cambio automatico a dieci rapporti che tiene il sistema sempre nelle condizioni ottimali. Al punto che questo Explorer risulta agile e divertente, nonostante le sue due tonnellate e mezzo di stazza.