Che fine ha fatto il caso dei furbetti del bonus? La domanda è semplice quanto lecita, in un Paese abituato a un frullatore politico (e mediatico) che mastica i suoi scandali per il tempo che serve all’indignazione quotidiana, per poi destinarli all’oblio come nulla fosse.
Due mesi fa – era il 9 agosto – Repubblica dava notizia di cinque deputati che avevano fatto domanda per ottenere il bonus Covid da 600 euro destinato alle partite Iva, non contenti di ricevere ogni mese stipendi parlamentari da circa 12 mila euro. Dei cinque furbetti ne sono noti soltanto tre, ovvero coloro i quali il bonus lo hanno ricevuto: i leghisti Andrea Dara ed Elena Murelli e il 5Stelle (poi cacciato dal Movimento) Marco Rizzone. Una manciata di consiglieri regionali – anch’essi percepiscono assegni superiori ai 10 mila euro mensili – si sono poi autodenunciati, credendo che di lì a poco l’Inps avrebbe diffuso i nomi di tutti i politici coinvolti (si parlava di 2 mila tra deputati, consiglieri regionali e comunali), ma in realtà ancora oggi siamo fermi a quel che sapevamo a Ferragosto: l’ente previdenziale, responsabile dell’erogazione del bonus e quindi in possesso dei dati dei richiedenti, ritiene ancora di non poter rendere pubbliche le identità dei furbetti.
i dubbi del garante. Il motivo dello stallo è un’istruttoria che l’Autorità garante per la protezione dei dati personali ha aperto ormai più di un mese fa nei confronti di Inps e del suo presidente Pasquale Tridico, con l’obiettivo di capire non se l’ente abbia facoltà di divulgare i nomi oppure no, ma se l’Inps abbia raccolto in maniera illegittima i dati sui politici.
Il tema è questo: per quale motivo – si chiede il Garante – l’Inps ha scandagliato parte delle domande ricevute scoprendo e isolando quelle inviate dai politici? Se i deputati e i consiglieri regionali sono cittadini come tutti gli altri ai fini dell’ottenimento del bonus – è il ragionamento – allora non c’era motivo per trattarli separatamente.
La versione di inps. A questa obiezione Tridico ha già provato a rispondere in Commissione Lavoro alla Camera, quando prima di Ferragosto fu convocato per chiarire i termini dello scandalo e – si pensava –per fare i nomi di tutti i furbetti. In quella sede il presidente spiegò come la task force antifrode dell’ente, guidata da Antonello Crudo, aveva avviato verifiche su oltre 40 mila richiedenti, anche perché per vedersi accogliere la domanda era necessario “non essere titolari di un trattamento pensionistico né essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie”. Secondo Tridico, era necessario porre l’attenzione sui politici proprio in quanto potenziali soggetti iscritti ad altre casse, anche se molti considerano invece le pensioni di Camera, Senato e Regioni (il vecchio vitalizio, ora riformato) non assimilabili alle altre forme previdenziali, visto il loro anomalo funzionamento.
Lo stallo. Chiunque abbia ragione, siamo ancora fermi qui. “Finché il Garante non concluderà l’Istruttoria – è quanto fatto sapere più volte dall’Inps – i nomi non ci saranno”. Se infatti l’ente dovesse divulgarli e poi, in un secondo momento, l’Authority dichiarasse illecito il modo in cui quei nomi li ha ottenuti, l’Inps e Tridico passerebbero guai, esponendosi a facili ricorsi da parte degli interessati.
Se invece il Garante dovesse non ravvisare illeciti, l’Inps avrebbe mani libere, dato che più volte la stessa Autorità ha chiarito – pur senza fornire pareri formali – che l’interesse pubblico e la funzione elettiva dei richiedenti giustifica la divulgazione dei nomi, come specificato dalla giurisprudenza e dalle Linee guida di Anac.
tutti zitti. In questa partita tra istituti, il grande assente dell’ultimo mese è la politica. Dopo aver fatto un gran baccano, adesso tutti tacciono. I leader chiedevano espulsioni per i furbetti e trasparenza sulla loro identità, la Commissione Lavoro guidata dalla dem Debora Serracchiani sembrava voler risolvere la questione entro pochi giorni. E invece siamo alla calma piatta.
Dopo l’audizione di Tridico, in cui il presidente aveva chiesto tempo per ricevere ulteriori delucidazioni dal Garante, la Commissione ha scritto di nuovo all’Inps, lasciando intendere la necessità di una imminente convocazione.
Tridico però – e siamo a fine agosto – ha ribadito di non potersi muovere prima della chiusura dell’istruttoria, motivo per cui a settembre l’ufficio di presidenza della Lavoro aveva deciso di chiamare in audizione direttamente Pasquale Stanzione, il presidente dell’Autorità. Doveva essere una formalità, con il deputato FdI Walter Rizzetto – uno dei più agguerriti – che aveva pure chiesto la diretta streaming della seduta. Ma un mese più tardi il Garante non è ancora mai stato invitato formalmente: prima la melina in vista delle elezioni del 20 e 21 settembre, ora – pare – un’attesa legata proprio all’indeterminatezza dell’istruttoria in corso.
Accesso civico.Il problema è che il Garante ha tempi tutt’altro che rapidi e l’indagine ha richiesto finora un intenso scambio di carte con l’Inps proprio sulla controversa questione delle casse previdenziali dei politici, motivo per cui è probabile che la chiusura dell’istruttoria non ci sia prima di un paio di mesi. Troppo, per una politica che giurava di aver fretta.
Visto l’immobilismo dei partiti, la soluzione potrebbe arrivare per altra via. Ad agosto Il Fatto aveva presentato richiesta di accesso civico agli atti, chiedendo all’Inps di rivelarci l’identità dei furbetti in nome del diritto all’informazione. La risposta è stata interlocutoria – il solito rinvio a tempi migliori, a istruttoria chiusa – ma nelle prossime settimane il nostro giornale rinnoverà la richiesta, sperando che la stampa possa anticipare i tempi biblici della burocrazia e quelli (dolosamente) lenti della politica.