Ricco snob e vanitoso Alighieri. “Dante” secondo lo storico

Nessuna concessione alla dantologia pop; documenti della storia cittadina di Firenze, atti notarili, registri dell’esercito fiorentino che conservano la prova del passaggio di “Durante, olim vocatus Dante”, un uomo che avrebbe inciso sui secoli a venire. Dante di Alessandro Barbero (ed. Laterza, da oggi in libreria), è un’opera poderosa, un lavoro di scavo, con 100 pagine di note per la delizia di studiosi, curiosi e feticisti.

Professore, chi è e come vive “Durante anche chiamato Dante” da giovane?

Vive di rendita. Il nonno e il padre hanno avuto le mani in pasta negli affari per tutta la vita, comprato, venduto, prestato a usura, e Dante, che ha ereditato, appartiene all’élite dei cittadini agiati che possiedono abbastanza terra – nel suo caso, due poderi, più altri possedimenti sparsi – per vivere senza lavorare.

Nella Commedia ci sono riferimenti sprezzanti, snob, a “la gente nuova e i sùbiti guadagni”. Che rapporto ha con la nobiltà di sangue?

Controverso. Lui è un plebeo, ma è nato già ricco; finché vive a Firenze e fa politica in un comune di popolo, dove i nobili cavalieri sono stati allontanati dal governo, affetta di disprezzare la nobiltà di sangue, anzi dichiara che non esiste; ma nei vent’anni dell’esilio, frequentando le corti dei principi, preferirà insistere sul fatto che anche lui ha degli antenati.

Che opinione ha del volgo?

Pessima, dice che “latra”; ma non intende il volgo come i poveri, ma come tutti quelli che sono immersi negli affari e non hanno la testa per occuparsi d’altro; tutti quelli che non sono intellettuali.

Ma faceva parte di un governo del popolo. Soffriva di vanità personale?

Certo che sì! Aveva un’idea altissima di sé, e dagli torto! Sapeva di essere un intellettuale come ce n’erano pochi e che la Commedia era un capolavoro; godeva già in vita di una certa fama a livello italiano. Nella maturità, quando quel governo di popolo lo aveva condannato all’esilio, si sfoga convincendosi che per di più è anche nobile.

A 25 anni conosceva il latino scolastico e non aveva letto quasi niente. Poi che succede?

Che alla morte di Beatrice, disperato, cerca un modo, diremmo noi, per elaborare il lutto. E si ricorda che il suo maestro Brunetto Latini gli aveva parlato di una cosa misteriosa che si trovava nei libri degli antichi, la filosofia, capace di consolare da tutti i mali.

Lei definisce il rapporto con Beatrice “quasi inesistente sul piano pratico, immensamente importante su quello interiore”. Cos’è successo tra loro?

Niente. Si sono incontrati da bambini a una festa, poi si sono a mala pena incrociati per strada, e anche quello molto di rado. Lui si è costruito tutto da solo l’immenso lavorio mentale ed emotivo che ha fatto di Beatrice l’ispiratrice della Vita nuova e poi della Commedia.

Nella Vita nuova scrive che dopo averla vista si mette a letto e la sogna nuda che mangia il suo cuore. In una famosa lezione lei spiega come pensava un uomo del Medioevo. Ma come desiderava? Il desiderio era mediato socialmente? C’era un immaginario erotico cui attingere?

Domanda difficile. Nel Medioevo si parlava di sesso, e lo si descriveva, con estrema libertà. Boccaccio è castigatissimo rispetto a certi testi francesi. E si riconosceva tranquillamente la forza del desiderio, fra l’altro anche di quello femminile. Però, l’impressione è che l’immaginario sessuale e la grammatica del desiderio non fossero molto variati: siamo lontanissimi dal Kamasutra. Beninteso, Dante è un poeta cortese, e scrive dentro un sistema di convenzioni di genere per cui all’aspetto erotico si allude a mala pena: è per questo che mi sembra così importante il fatto che lui stesso abbia voluto dire esplicitamente che nel suo sogno lei era nuda.

Come si mantiene in esilio?

I partiti erano strutture trasversali, internazionali, in grado di mantenere i loro membri anche in esilio, grazie a una rete di appoggi. Quando ha litigato anche con la Parte Bianca, ha dovuto cercare ospitalità presso i gran signori. L’ideologia nobiliare dell’epoca dava per scontato che attorno a un marchese o a un “tiranno” cittadino vivesse un gran numero di persone, mantenute da lui per dar lustro alla sua corte; e Dante era un intellettuale e un poeta notissimo, oltre che uno specialista della lettera politica, del manifesto e del discorso; non gli mancavano gli inviti.

Si trasforma in una specie di buffone di corte?

Corre il rischio. In realtà buffone è troppo: nelle corti viveva tanta gente, anche personaggi di una certa caratura, magari nobili, ma poveri, che i signori impiegavano anche in missioni diplomatiche, e che però per restare a galla dovevano anche essere capaci di far bella figura a tavola, e raccontare barzellette divertenti; ecco, il terrore di Dante dev’essere stato di essere visto dagli altri come uno di quelli.

In cosa consiste il genio di Dante?

Nell’avere l’ampiezza di visione, la costanza, l’energia creatrice per produrre un’opera vasta, differenziata, originalissima, e che culmina in un capolavoro che nessun altro avrebbe saputo creare.

È eccitante per lo storico muoversi tra così poche fonti certe?

Il nostro lavoro è sempre eccitante proprio perché è un’inchiesta, un’indagine: è lo sforzo di ricostruire una verità interrogando testimoni inaffidabili e mettendo insieme un puzzle a cui manca la maggior parte dei pezzi.

Matteo Bassetti, il Lady Gaga del Covid più virale del virus

“Matteo Bassetti, fatteli tu 7 vaccini, sei basso, sei piccolo. Lo dice anche il cognome”. Scrisse così, un gruppo di no-vax, sulle vetrate della clinica di Infettivologia dell’Asiud di Udine, dove Matteo Bassetti, fino a ottobre 2019, era primario di Infettivologia.

E non era mica una scritta a caso. Il gruppetto di no-vax magari era pure convinto che i vaccini contenessero mercurio collegato a un microchip sotto pelle che può abbassare o alzare la nostra temperatura corporea, ma su quale fosse la leva giusta per ferire il professor Bassetti aveva le idee chiarissime. E quella leva è la vanità. Perché Matteo Bassetti, l’infettivologo di riferimento del centrodestra, quello che tutti consultano per avere la frase a effetto da mettere in un titolo o la bordata del giorno al governo, si piace tantissimo. Corre voce che lui combatta i virus non per passione e competenze, ma perché non tollera che esista qualcosa di più virale di lui. Se l’Ansa non batte entro cinque minuti la sua frase “Il Genoa è la Waterloo dei tamponi” o “Abbiamo a che fare con un virus fornaio. Contagia solo di notte!”, Bassetti va in auto-quarantena fiduciaria nella toilette finché non partorisce una frase ancora più d’effetto da consegnare ai giornalisti. Ci aspettiamo da un momento all’altro che dica “Il Coronavirus mi ha parlato” o “Le mascherine vanno ingoiate e con il pesto sono più digeribili”. Matteo Bassetti si piace così tanto che in piena pandemia diventa testimonial di un’azienda di cravatte o appare la sua foto nelle certificazioni di sanificazione e derattizzazione di un’azienda privata, e a chi glielo fa notare con una certa perplessità risponde “Ho la mia popolarità e ne faccio quello che voglio”. La Lady Gaga delle pandemie, insomma.

E tanto si piace, Matteo Bassetti, che finisce per piacere pure agli altri. Abbastanza opaco durante la prima ondata del Coronavirus, ha acquistato più forza e consensi in questa seconda fase, in cui serve ottimismo. Se a marzo ci si affidava più al realismo di Massimo Galli, al rigore senza sconti di Andrea Crisanti, alle raccomandazioni tecniche e materne di Ilaria Capua, ora vince il pragmatismo scorbutico e vanesio di Bassetti e Bassetti è, di fatto, lo scienziato della seconda ondata. Quello meno virale dei primi, ma più subdolo, più furbo, più necessario. Serve, adesso, un professore che dica “basta terrorismo”, “un secondo lockdown non ci sarà”, “Le mascherine all’aperto sono inutili”, uno che aiuti l’economia a ripartire, tranquillizzi la gente e che soprattutto si piaccia. Le tv se lo litigano, Dagospia scrive che gli omosessuali sono pazzi di lui e interpretano le teorie lombrosiane per cui il suo naso e le sue mani sono la spia delle sue virtù, lui ha la pelata sempre più lucida, la barba sempre più disegnata. E che sia sempre più convinto di essere il più figo, il più affascinante, il più autorevole lo racconta bene la scenetta di due sere fa a #Cartabianca. Gli ospiti sono lui e Crisanti, la Berlinguer concede un paio di minuti in più di spazio a Crisanti e lui, piccato come una Belen qualunque a cui hanno tagliato il balletto finale per far fare una battuta alla Ferilli, protesta: “Parla sempre lui, cosa mi avete invitato a fare?”. Del resto, Bassetti ha fatto della spocchia il suo cavallo di battaglia, e guai a contraddirlo, perché nel caso non gli si dia ragione su qualcosa, ricorda a tutti che lui è titolato, mentre chiunque non abbia il suo curriculum deve dedicarsi a pulire le incrostazioni sui fornelli. E questo nonostante sia tra quelli che sostengono tesi bislacche e assai vicine a quelle del negazionismo più azzardato, tipo: “Non possiamo sapere quanti sono stati i morti per il Coronavirus a marzo e aprile perché non si facevano le autopsie”.

Certo, peccato che i dati Istat spieghino che a Bergamo ci siano stati 5.000 morti in più dello scorso anno (+600%), tra fine febbraio e fine marzo, e così in varie città del nord. Ma all’infallibile Bassetti andrebbero ricordate anche le tante dichiarazioni scivolose della prima ora e non solo, da “Non c’è epidemia, non saremo chiusi in casa, non moriremo tutti, a questo gioco io non ci sto!”, “Il vaccino forse arriverà tra 6/12 mesi” (24 febbraio), “Precauzioni? Non servono”. “Gli anziani? Facciano la loro vita normale”. “Chi ha programmato viaggi li faccia tranquillamente”. “È più simile all’influenza che alla peste bubbonica” (9 marzo). E ancora: “La chiusura delle scuole? Hanno preso una decisione politica per uniformare il Paese, finora il governo non ne ha imbroccata una”, “È una forma un po’ più impegnativa di influenza, “Burioni il gufo”, “Abbiamo affrontato ben di peggio in passato. L’influenza suina H1N1 nel 2009 ha provocato nella sola città di Genova 100 ricoveri in terapia intensiva con oltre 10 morti. Il sistema è perfettamente in grado di gestire queste situazioni!”, “I numeri alla fine daranno ragione a chi dice che questa è molto simile a un’influenza pandemica, che non vuol dire influenza stagionale. Ma parleremo alla fine di chi ha ragione”. Ecco, ne stiamo parlando adesso. E non aveva ragione lui. Però spera che tutti se lo scordino, magari perdendosi nei suoi occhi.

“Stop ai nominati pure con collegi ed eletti residenti”

“L’autorevolezza di un parlamentare dipende dalla fonte di investitura…”.

Ovvero, professor Ainis?

Se a far eleggere un parlamentare è il segretario di partito o la sua corte la sua autorevolezza è dimezzata, se l’investitura viene dal corpo elettorale la funzione del parlamentare assume un prestigio molto maggiore.

Michele Ainis, 65 anni, è uno dei più noti costituzionalisti italiani e si è espresso per il Sì al referendum, ma ha sempre pensato che il problema della rappresentanza si risolvesse con un sistema elettorale in grado di far scegliere ai cittadini gli eletti. Per questo, aderisce all’appello di dieci costituzionalisti per eliminare le liste bloccate lanciata dal Fatto Quotidiano.

Dopo il Sì si pone la questione della legge elettorale: come farla?

Da tempo dico che bisogna eliminare le liste bloccate e poi io ho votato Sì perché mi auguro che un Parlamento meno numeroso sia anche più autorevole: ogni parlamentare sarà più riconoscibile, si distinguerà e sarà più responsabile. Ma questo dipende dalla legge elettorale: bisogna rendere più forte il rapporto tra il parlamentare e il territorio.

Come?

A me piace il doppio turno alla francese, che lascia libero l’elettore di votare per il meno lontano. Ma con il proporzionale abbiamo o le preferenze o i collegi come il Senato della Prima Repubblica.

Cosa preferisce?

Avere le preferenze significa spendere un sacco di quattrini e il rischio è che la politica diventi uno sport solo per ricchi. Il collegio invece fa venire meno questo problema. Si possono pensare meccanismi proporzionali: si può dare il premio di maggioranza al primo e il premio di minoranza al secondo. In Champions League non ci va solo il primo ma anche il secondo, terzo e quarto. Poi c’è un altro correttivo da fare…

Dica.

I collegi di per sé non sono una garanzia del buon rapporto con il territorio perché non eludono il fenomeno dei paracadutati: se la Lega vince sempre in Veneto potrà candidare chi vuole in quei collegi. Per questo va introdotto un criterio di residenza per un certo periodo di tempo come avviene per le elezioni locali. Poi servirebbe una legge per garantire le primarie interne ai partiti. Tu puoi anche reintrodurre le preferenze, ma se chiedi agli elettori di scegliere tra Totò Riina o Al Capone, poco cambia.

C’è un vulnus di rappresentanza con meno parlamentari?

Se riduco i seggi avrò un effetto maggioritario. Per dare forza all’opposizione ci sono congegni premiali, come il diritto di tribuna. In Inghilterra l’opposizione ha uno statuto riconosciuto e il leader riceve lo stipendio. Ma questo significa che la dialettica maggioranza-opposizione deve essere riprodotta in assemblea: non può essere una marmellata di piccoli partiti.

Domanda secca: proporzionale o maggioritario?

Con il proporzionale è stata eletta l’Assemblea costituente e l’Italia ha funzionato per 45 anni, ma le leggi elettorali sono delle camicie che si devono adattare a un corpo. Posso avere una camicia bellissima che però non mi abbottono perché è troppo stretta. Se in quegli anni c’erano due poli, oggi il rischio è che il proporzionale porti a una marmellata di piccoli partiti. Se vogliamo il proporzionale, la soglia deve rimanere al 5%: se vogliamo il modello tedesco, prendiamocelo tutto.

Il Pd ha presentato una proposta per superare il bicameralismo perfetto. Che ne pensa?

Come ci ha insegnato il passato, le riforme vanno fatte una per una senza grosse modifiche organiche. Il bicameralismo perfetto poi è una garanzia: quante leggi ad personam di Berlusconi avremmo subito senza il Senato? Per usare un paragone giuridico, il Senato è come un secondo grado di giudizio per correggere gli errori del primo. Sarebbe ragionevole eliminare l’Appello nei processi?

Il tesoro di Gheddafi nascosto nelle porcellane di Limoges

Parigi

Una parte del “tesoro” di Gheddafi, cioè di quei 160 milioni di euro saccheggiati dai ribelli nelle banche di Bengasi nel 2017, è stata ritrovata in Francia. A Limoges, città insospettabile nella campagna del centro, che fa parlare poco le cronache, se non per aver dato i natali a Renoir e per la sua porcellana famosa nel mondo. A gennaio, rivela Le Parisien, un francese di 39 anni viene fermato in Belgio per un controllo di identità e nell’auto gli agenti trovano 15 mila euro in banconote sgualcite e ammuffite. Inizia l’inchiesta. Altri 20 mila euro vengono trovati poi a inizio ottobre nella casa della compagna di lui, 42 anni, a Limoges, e si scopre che il “cervello” della truffa è proprio lei, che aveva effettuato vari viaggi in Turchia, tornando ogni volta con pacchi di migliaia di euro, e che, tramite società di copertura, aveva riciclato nel 2020 circa 40 mila euro. “Il denaro era troppo sporco per passare inosservato”, scriveva ieri Le Parisien. In effetti, i milioni di Gheddafi, tutti in banconote da 100 e 200 euro, fabbricate in Germania, erano conservate nei caveau delle banche di Bengasi. Quando, nel 2017, anni dopo la morte del colonnello, assassinato nel 2011, il maresciallo Haftar prende la città, i ribelli mettono le mani sul “tesoro”. Una fonte spiega a Le Parisien che 80 milioni “in buono stato” sono serviti “a comprare armi e materiale. Dilapidati in fretta o depositati in altre banche”. È andata diversamente per l’altra metà dei soldi che ha passato dei lunghi mesi sott’acqua: una bomba ha fatto scattare il sistema di sicurezza della banca e il caveau è stato inondato. I ribelli hanno recuperato banconote macchiate, annerite e un po’ cancellate. “Per pulirle sono stati usati prodotti abrasivi”, ha spiegato la fonte. Un rapporto citato da Le Parisien spiega che “la quasi totalità di questi 80 milioni di euro sono stati venduti al 20%-40% del valore alla mafia turca”. Le prime banconote ammuffite sono comparse in Germania nel 2018, prima di circolare in tutta Europa.

Atene, l’Alba non è dorata ma nera come il crimine

“L’ha reso possibile Pavlos, l’ha fatto Pavlos, mio figlio!”, ha urlato di gioia la mamma di Pavlos Fyssas quando la Corte d’appello di Atene ha reso noto il verdetto di condanna per “organizzazione criminale” a carico del partito neonazista Alba Dorata e di “omicidio” nei confronti di uno dei suoi membri, Giorgos Roupakias, su mandato del fondatore del partito, Nikos Michaloliakos. Il nodo cruciale del processo è stato quello di stabilire se la serie di attacchi violenti potesse essere collegata alla leadership di Alba Dorata e se il partito operasse come organizzazione criminale.

Dopo cinque anni e mezzo di udienze, anche per il Tribunale di secondo grado, questi due energumeni sono i responsabili della morte del rapper e attivista di sinistra Pavlos Fyssas, ucciso a coltellate nel 2013 quando aveva 34 anni.

Inoltre Alba Dorata è stata ritenuta responsabile dei tanti raid avvenuti a partire dal 2012 contro pescatori egiziani, venditori ambulanti stranieri, immigrati e militanti di sinistra. Mentre fuori dall’edificio almeno 15mila persone attendevano la storica sentenza, i giudici hanno dunque messo fuorilegge l’organizzazione nata negli anni 80 e che sette anni fa era diventata il terzo partito greco. Anche a Salonicco, migliaia di greci sono scesi in piazza in attesa del verdetto. Intanto quando all’esterno del tribunale è arrivata la notizia facendo esultare i manifestanti, la polizia li ha attaccati con lacrimogeni e manganelli. Del resto è nota la simpatia, per usare un eufemismo, dei poliziotti greci nei confronti di Alba Dorata. Nella serata del 18 settembre 2013 il quartiere del Pireo, dove Fyssas stava per cadere vittima di un’imboscata tesa da decine di militanti di Alba Dorata, era presidiato dalle squadre antisommossa della polizia. Ma, sarà stato un caso, queste arrivarono davanti al bar Coral, dove Fyssas era stato accoltellato a morte, quando il rapper era già deceduto dopo aver detto il nome del suo assassino.

Secondo la Corte, Alba Dorata, che dopo l’omicidio di Fyssas ha tentato di spacciarsi come partito sovranista e non neonazista pur professandosi ancora antisemita, operava dunque come organizzazione criminale. La magistratura ha quindi stabilito che 18 ex parlamentari, incluso il leader del partito Michaloliakos, sono colpevoli di aver guidato un’organizzazione criminale, mentre il resto è colpevole di aver partecipato alle attività. I condannati per la guida di un’organizzazione criminale rischiano tra i 5 e i 15 anni di carcere, mentre gli altri possono essere condannati fino a 10 anni. Gli imputati erano in tutto 68.

Altri 15 imputati – nessuno dei quali ex legislatori – sono stati condannati come complici dell’omicidio di Fyssas.

Sono state giudicate colpevoli anche tutte e cinque le persone accusate di tentato omicidio contro i pescatori stranieri, mentre le quattro persone accusate di tentato omicidio per gli attacchi contro attivisti di sinistra sono state giudicate colpevoli solo di lesioni personali

“La sentenza dimostra che erano solo una banda di delinquenti armati di coltelli che prendeva ordini dall’alto”, ha detto Thanassis Kambayiannis, uno degli avvocati che rappresentano i pescatori. In ogni caso “questa giornata segna un’enorme vittoria per la giustizia”, ha commentato Eva Cosse, ricercatrice greca di Human Rights Watch.

Omicidio Floyd, l’agente accusato torna libero su cauzione

Nell’America che attende di conoscere le reali condizioni di salute del presidente Trump, arriva la notizia che può incendiare di nuovo le città: Derek Chauvin, il poliziotto accusato di aver ucciso l’afroamericano George Floyd il 25 maggio a Minneapolis – delitto che ha dato il via alle proteste della comunità afroamericana e alla reazione dei gruppi bianchi conservatori –, è stato scarcerato dietro cauzione. L’agente torna in libertà a poche ore dall’inizio del dibattito per le presidenziali previsto fra i due vice, Mike Pence per i repubblicani e Kamala Harris per i democratici. Ma l’attenzione è tutta verso il 15 ottobre; Donald Trump sta affilando la dialettica in vista del suo secondo dibattito televisivo con Joe Biden, se mai si farà. Del suo rivale, dice: “È un matto, tutti lo sanno, e ha un quoziente intellettivo molto basso”. E di Kamala Harris, la vice di Biden: “È molto più a sinistra del pazzo Bernie Sanders. Biden non durerà un mese”. Il presidente rilancia un post della sua campagna, secondo cui la Harris ha “un’agenda radicale che non è al passo con i valori del nostro straordinario Paese.” Trump vuole esserci il 15 al dibattito da Miami con Biden, anche se i medici dicono che il decorso del coronavirus resta imprevedibile. S’ignora se la commissione organizzatrice avallerà la presenza di Trump, risultato positivo il 2 ottobre, e che standard definirà per il confronto. Persino i movimenti del presidente dentro la Casa Bianca, dopo il suo rientro dall’ospedale militare, lunedì sera, non sono chiari. Larry Kudlow, il suo consigliere economico, dice che The Donald è sceso nello Studio Ovale, nonostante sia in quarantena e in isolamento. Un portavoce ha poi precisato. “Il presidente voleva andare nello Studio Ovale, ma non ci è mai sceso, ha continuato a lavorare dalle stanze dov’è ora”, al primo piano. Con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, molti dipendenti se ne sono andati: con il presidente ancora positivo e contagioso, la West Wing rimane semi-deserta. E la lista dei contagiati s’allunga: Stephen Miller, un consigliere politico di Trump, è l’ultimo di cui si ha conoscenza. Miller è il falco dietro alla strategia sull’immigrazione dell’Amministrazione. Fronte vaccini, la Food and Drug Administration, Fda, l’agenzia del farmaco Usa, l’ha spuntata sulla Casa Bianca e ha pubblicato le sue linee guida per lo sviluppo del vaccino per il Covid, che Trump ha subito bollato come “una montatura politica” perché rendono più difficile autorizzarlo prima dell’Election Day, il 3 novembre.

Quel che resta dei “Beatles”. Usa, i boia Isis a processo

Stanno volando ora verso gli Stati Uniti. Dopo essere stati caricati su un aereo militare in Iraq. Finisce così la parabola jihadista di Alexander Kotey ed El Shafe Elsheikh, entrambi miliziani inglesi dello Stato Islamico (Isis) e conosciuti come due dei “Beatles”. Verranno processati per l’uccisione di quattro ostaggi americani in Siria. Il Dipartimento di Giustizia americano ha infatti escluso la pena di morte per convincere l’Inghilterra ad accettare l’estradizione oltreoceano e condividere elementi per l’inchiesta.

A entrambi è stata cancellata la cittadinanza inglese. Il via libera è stato dato il mese scorso da una Corte britannica che ha rigettato il ricorso della madre di Elshikh. Con il loro trasferimento ad Alexandria, Virginia, comincerà uno dei processi per terrorismo più importanti degli ultimi anni. I due infatti facevano parte di una cellula di quattro persone, e sono stati soprannominati “Beatles” per il loro forte accento inglese. Tra il 2014 e il 2015 hanno gestito quasi due dozzine di rapiti da tutto il mondo, molti dei quali giornalisti. I sopravvissuti hanno raccontato di torture quotidiane, waterboarding, finte esecuzioni e sadismo. Era loro la responsabilità di trattare con i diversi governi per chiedere i riscatti. I loro video di propaganda hanno contribuito a costruire l’immagine terroristica dello Stato Islamico. Venivano ripresi in piedi, vestiti di nero e incappucciati, spesso con gli ostaggi occidentali inginocchiati di fianco a loro che con il coltello in mano minacciavano l’occidente con l’accento inglese. Poi l’esecuzione. Il più famoso dei quattro, Mohamed Emwazi, soprannominato “Jihadi John”, ha tagliato la testa in mondovisione a James Foley: è stato ucciso da un drone nel 2015, mentre il quarto, Ain Lesley Davis, è in una prigione in Turchia. Nel 2012 Kotey ed Elsheikh si sono trasferiti in Siria da Londra e si sono uniti allo Stato Islamico. Ad Aprile 2018 sono stati catturati dalle Forze Democratiche Siriane (Fds) e consegnati ai militari americani. Nell’ottobre dello scorso anno sono stati trasferiti in una base americana in Iraq dopo che la Turchia ha attaccato diverse strutture di detenzione durante l’invasione del Nord-Est della Siria.

“Non ho mai visto nemmeno un briciolo di rimorso nei loro occhi”, racconta Shed Zan, giornalista curdo-siriana, che ha intervistato entrambi in una prigione nel Nord Est della Siria prima che fossero trasferiti. Durante i diversi colloqui, Zan ha chiesto conto delle loro attività terroristiche. “Hanno sempre risposto con freddezza e calma a ogni domanda, non hanno mai raccolto nessuna provocazione”, continua. “Hanno ammesso di aver gestito gli ostaggi, ma mai di averli torturati”.

Durante le interviste non la guardavano mai negli occhi, essendo lei una donna che non porta il velo.

Tira un sospiro di sollievo Diane Foley, madre di James, che da anni si batte per avere giustizia e fare pressioni sul governo americano. In un comunicato firmato anche dai genitori di Peter Kassig, Kayla Mueller and Steven Sotloff, tutti uccisi dai “Beatles”, spiega: “L’estradizione e il processo di Kotey ed ElSheikh negli Stati Uniti saranno il primo passo per perseguire la giustizia per i presunti orribili crimini sui diritti umani contro questi quattro giovani americani”. Per due miliziani che riescono a essere trasferiti, migliaia sono ancora in un limbo giuridico in Siria. Nel regione autonoma del nord est della Siria, sono detenuti tra campi e prigioni, almeno 13mila tra uomini, donne e bambini: un tempo erano parte dell’Isis, ora sono in attesa dei loro governi che continuano a prendere tempo. L’Amministrazione Autonoma dopo aver chiesto per mesi ai partner internazionali nella lotta contro i jihadisti di aiutarli a formare un tribunale internazionale in loco, ha deciso di avviare i processi e uscire dallo stallo. Il Covid ha rallentato la burocrazia, ma da Qamishlo fanno sapere di essere quasi pronti. Anche perché i detenuti continuano a fare rivolte, cercano di scappare e la violenza nel campo di Al Hol è quotidiana. In più l’Isis si sta riorganizzando grazie al caos portato dall’invasione turca. Le cellule dormienti sono sempre più attive.

Solo lo scorso mese gli estremisti islamici hanno rivendicato 15 omicidi mirati e continuano a piazzare esplosivi e mine sulle strade.

Questi sindacati, signora mia…

Lo stato d’animoqui noto come “Tamurriata nera mood” è quel momento di stupore oceanico nel quale a “chello ca se vede, nun se crede, nun se crede”. Spesso, durante la mattutina lettura della meglio stampa italiana, sentiamo appunto rimbombare la tammorra nella testa e così ci è capitato ieri leggendo un trafiletto del prestigioso Corriere della Sera. Breve premessa. Come il lettore saprà, molti contratti di lavoro sono scaduti da anni e tra questi c’è quello del settore alimentare: trattasi, sia detto en passant, di una delle categorie definite “indispensabili” durante il lockdown. A luglio la situazione di stallo è stata sbloccata da tre associazioni datoriali – Assobirre, Ancit (conservieri ittici) e UnionFood, cioè Barilla, Lavazza, Ferrero, Danone e altri big del settore – che hanno firmato un accordo coi sindacati da 119 euro lordi di aumento tra salario e altre voci in busta paga. La cosa è molto spiaciuta a Federalimentare, cioè a Confindustria, specie dacché in viale dell’Astronomia è stato eletto Carlo Bonomi, una versione 4.0 del Sciur padrun da li beli braghi bianchi. Il nostro ha preso in mano direttamente la trattativa: prima ha cazziato il signor Lavazza di UnionFood senza particolari esiti, poi lunedì ha convocato direttamente le associazioni che non hanno firmato il contratto. E qui – ci informa il CorSera, che da settimane s’è fatto voce delle “Pmi del pomodoro e dei carciofini” – succede che chi non vuole l’aumento resterà con Confindustria “a condizione che riprenda le redini del negoziato” e, insomma, faccia sparire dal tavolo quell’aumento. “Saprà Federalimentare farsi interprete di questa istanza?”, s’interrogano a via Solferino. Eh, purtroppo “molto dipende anche dal sindacato” che invece di tener conto dell’istanza di cui sopra lavora addirittura “a spaccare il fronte dei dieci: diverse sarebbero le aziende, dalle acque minerali al conserviero, interessate a convergere sul contratto UnionFood per evitare agitazioni” (da domani è previsto uno sciopero). È effettivamente inaudito: l’80% del settore sta accettando l’aumento da 119 euro e il sindacato non dà una mano a Bonomi e al 20% che vuole far avere meno soldi ai suoi iscritti? Ma dove siamo, nel Sussidistan?

L’Rt è chiaro: niente seconda ondata

L’attenzione dei telespettatori mattutini da anni è stata polarizzata sulle previsioni meteo e sull’oroscopo. Il Covid ha cambiato anche queste abitudini. La nostra vita è oggi regolata da sigle che non tutti comprendiamo a pieno ma che, semplificando, ogni giorno controlliamo che non aumentino. In particolare, Rt e R0. Difficilmente ce ne libereremo presto, dunque è bene fare chiarezza. Il numero di riproduzione di una malattia infettiva (R0) è il numero medio di infezioni trasmesse da ogni individuo infetto a inizio epidemia, in una fase in cui normalmente non sono effettuati interventi per il controllo del fenomeno. R0 rappresenta quindi il potenziale di trasmissione di una malattia infettiva quando non è ancora controllata. Semplificando è la probabilità che avvenga un contagio, per singolo contatto, tra una persona infetta e una suscettibile. La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo, dandoci l’idea di come si stia contenendo la diffusione di un’epidemia. A oggi, pertanto, ciò che interessa è Rt.

Questo deve essere calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo , sulle ospedalizzazioni, sui casi sintomatici. Se, a monte, i dati non sono corretti, l’Rt non lo sarà. Ma Rt è l’unico parametro attendibile, se solidamente fondato. Fatti i dovuti calcoli, la corretta valutazione dell’attuale Rt non permette di parlare di “seconda ondata”, né di paragonare il numero di positivi a quello (uguale) di inizio pandemia. Il loro significato è assolutamente diverso e lo chiarisce l’ISS “Rt ci dice che, nonostante sia osservato un aumento continuo dei casi totali da metà luglio (…) vi è stata stabilizzazione e solo recentemente un lieve aumento della trasmissibilità. (…) Sebbene il numero di casi sia simile a quelli di fine febbraio 2020, la fase epidemiologica è completamente diversa con casi diagnosticati quasi esclusivamente in sintomatici” .

È sufficiente per chiedere ai catastrofisti di riposarsi nelle loro esternazioni che hanno solo un effetto panico? Il futuro dipenderà in gran parte da noi, ma anche dalla fiducia che sapremo affidargli.

 

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All’Asl di Bolzaneto situazione inaccettabile

Sono diabetica, insulinodipendente, asmatica e con fibrillazione atriale e mi sottopongo al vaccino da ormai oltre 6 anni. Nei giorni scorsi mi sono recata all’Asl di Bolzaneto per informazioni sulle vaccinazioni. Mi è stato detto di tornare il 5 ottobre. Mi sono presentata, ma lì ho scoperto che il Cup è aperto solo due giorni a settimana. Quindi ho telefonato al numero verde dove però mi è stato detto che non era possibile e di riprovare al mattino molto presto. Arriviamo al 6 ottobre; mio marito, anche lui soggetto a rischio, si è recato alle 6.45 presso l’ufficio dove gli è stato detto che i vaccini sono terminati, che al momento non ci sono informazioni sulle prenotazioni e di chiedere al medico di famiglia. Interpellato anche lui, mi ha detto di non saperne niente e di non saper cosa fare, poiché le dosi da lui prenotate coprono solo i pazienti che hanno sempre fatto il vaccino al suo studio. Mi chiedo quindi come sia possibile che gli ambulatori che hanno vaccinato negli anni scorsi le persone con patologie, non hanno un elenco in modo da aver a disposizione le dosi sufficienti. I medici di base non avrebbero dovuto quanto meno essere istruiti sull’aumento dei pazienti da vaccinare? A me pare di capire che il numero di vaccini messo a disposizione è quello che è e quindi chi ci riesce lo fa e gli altri si arrangino. Morale della favola: ci ritroviamo che il vaccino non riusciremo a farlo nemmeno con il lanternino! Figuriamoci cosa succederà quando e se ci sarà il vaccino anti-covid! Con buona pace per la prevenzione e la salute pubblica!

Rosa Romeo

 

A Salvini farebbe gioco essere rinviato a giudizio

Egregio direttore, due parole soltanto. Pienamente d’accordo con il contenuto dell’editoriale, ma non bisogna dimenticare quel che tutti sappiamo, Lei per primo. Che a Salvini, farebbe molto più gioco essere rinviato a giudizio (e magari pure condannato), piuttosto che essere prosciolto.

Giuliano Checchi

 

Caro Giuliano, non lo sa nemmeno Salvini cosa vuole Salvini.
M. Trav.

 

Fuori dalle classi regole non rispettate

Vorrei esprimere un mio giudizio. Nella settimana appena conclusa mi è capitato di incontrare alcune scolaresche nel parco e ho notato che nessuno degli studenti delle classi da me incrociate aveva la mascherina o osservava il distanziamento. Ritengo sia inutile osservare tutte le precauzioni in classe o nei bus quando poi nei bar o come nel caso descritto fanno come se il coronavirus non esistesse. Mi darebbe molto fastidio se ci confinassero ancora e chiudessero di nuovo i parchi per questi comportamenti sconsiderati.

G. F. B.

 

Fermiamo la tragedia della strage di animali

Concordo pienamente con Lei: i 5 stelle più di Pd e Lega “dall’una e dall’altra alleanza, han portato a casa un bel pezzo del loro programma”. Davvero complimenti per il giornale, rarissima voce libera e intelligente in questo panorama di televisioni, radio e giornali italiani. Unico aspetto per me deludente è il taglio troppo antropocentrico. Ricordiamoci la tragedia di miliardi di animali, esseri senzienti e coscienti, fatti nascere artificialmente solo per essere uccisi e diventare cibo per uomini, dopo una breve vita di inaudite sofferenze. Non è solo una questione etica riguardo a come ci relazioniamo con gli animali non umani, ma anche di sostenibilità ambientale, di sostenibilità climatica e di aggravio di morti (umane) per fame nel mondo.

Marina Capri

 

Abbiamo una mentalità da 1820 non da 2020

L’italiano, tra l’Essere e l’Avere ha scelto l’apparire. Essere lo professano 4 gatti, Avere lo vogliono tutti. Siamo nel 2020 con la mentalità del 1820! L’altro giorno, a proposito della tragedia che è accaduta a Lecce, un vostro giornalista ha scritto: “Niente è piu vero perché tutto è merce, anche la dignità del singolo”. Malgrado gli strilli di grandi e medi giornaloni potremmo dire come Galileo Galilei: Eppur si muove!

L. Danieli

 

Di Battista dimentica il referendum sul taglio

Al picconatore Di Battista vorrei chiedere questo: come mai nelle sue acute analisi fa riferimento solo ai risultati negativi del M5S alle Amministrative e non al referendum? Forse la risposta è semplice. Della realtà ognuno preferisce leggere solamente i dati che consentano di portare acqua al proprio mulino.

Floriana Giannetti

 

Le criticità del RdC non sono solo a Roma

Vengono criticate le sindache di Roma e Torino per il flop del RdC, per l’uso delle ore che ogni beneficiario del reddito dovrebbe fornire per il lavori di utilità collettività. Nel comune in cui abito non è stato preso in considerazione, eppure abbiamo tanti lavori utili alla collettività da svolgere.

Afro Sarafini