The Donald, lo show è del genere di serie Z

Una musica patetica e trionfale, da momento clou di un reality show – la prova nella fossa dei serpenti, l’approdo dei naufraghi sull’isola – confeziona il video promozionale della resurrezione del Re. La mini-epopea di Donald Trump, scopertosi giovedì positivo al virus di cui ha negato per mesi l’esistenza, salvo poi assicurare di poterlo curare con iniezioni di candeggina, anzi di non poterlo prendere grazie all’assunzione preventiva di (inutilissima) idrossiclorochina, è un pezzo di Storia, a patto di considerare questa piega di Storia un ibrido tra la realtà e il fumetto manga, trash, zombie, distopico, insomma la serie B della serie Z. C’è ancora qualcuno, pure da noi, che crede che questo miliardario sociopatico che non paga le tasse sia un amico dei popoli, la talpa che scava e rovescia le élite. Dopo aver ricevuto le migliori cure previste dalla scienza, questo paziente senza mondo interiore, che costretto a letto guarda la Tv e twitta compulsivamente, fa i capricci per uscire contro il parere dei medici (quelli veri, non l’osteopata bugiardo delle cui cure si avvale) e consegna al mondo via Twitter lo sfregio impensabile: “Non abbiate paura del Covid, mi sento più giovane che 20 anni fa”. Lo twitta, perché sul balcone della Casa Bianca l’anziano obeso e truccato per ora miracolosamente graziato non parla, ansima, sopprime la tosse, scatenando l’euforia vitalista dei fruitori di Tv via cavo, deresponsabilizzando vieppiù i deboli di testa. Chissà se ci sarà una Norimberga simbolica (non per impiccarlo: per fargli rimangiare le criminali farneticazioni) per uno che chiama “patrioti” i seguaci di QAnon, i complottisti convinti che lui lotti contro una setta di pedofili cannibali che ha diffuso il SARS-CoV-2 al fine di microchippare l’umanità coi vaccini.

Trump entrerà nella Storia in coda alla serie degli imperatori pazzi, di quelli resi lunatici e feroci dall’avvelenamento da piombo contenuto nelle botti di vino, con l’inedita caratteristica che lui è un prodotto concentrato della follia universale in un sol punto, un campione di narcisismo da manuale diagnostico che i media amici già chiamano “eroe invincibile”, producendosi in un cortocircuito formidabile: avendo preso il virus, egli ha una competenza che Biden non ha, cioè non ha avuto il midollo di acquisire. I 215mila americani morti sono la prova che la giustizia non è di questo mondo.

Crozza, una hit a suon di pirla

Al contrario della vita, la stagione televisiva comincia dove finisce, ossia con la nazionale schierata da Fratelli di Crozza (La9, venerdì, 21.30). Maurizio Crozza non è solo un imitatore esilarante, non è solo il commissario tecnico a cui non sfugge nessun tocco di classe, è soprattutto l’erede di Lelio Luttazzi, e la sua diretta di fine settimana è la prosecuzione con altri pirla della mitica Hit Parade. Politici, opinionisti e da qualche tempo anche i virologi sono l’equivalente dei cantanti degli anni 60; al posto del Cantagiro hanno i talk quotidiani, al posto delle canzoni hanno i loro ritornelli da ripetere tutta la settimana. Poi il venerdì arriva la Hit Parade: Crozza sceglie tormentone da tormentone, fregnaccia da fregnaccia, e gli interpreti migliori vengono replicati come si conviene ai vincitori.

Prima passa un blob degli originali, quindi la versione di Crozza, e non si può apprezzare l’una senza l’altra.

L’estate e il coronavirus hanno imposto di forza due emergenti: il professor Zangrillo, specialista dei covip (la versione Vip del Covid, molto attiva negli ultimi tempi), e la ministra Lucia Azzolina, travolta dall’importanza assunta dalla scuola in Italia per la prima volta in settant’anni (forse non se l’aspettava nemmeno lei, e soprattutto non se lo aspettava chi la ha nominata).

Di recente è sfrecciato dalle retrovie fino a conquistarsi di prepotenza una pole position il team manager della Ferrari, Mattia Binotto (“Deve esserci sfuggito qualcosa” è la sua hit).

Rispetto ai tempi di Luttazzi, nella parata di Crozza c’è forse meno varietà, ma questo si spiega con la capacità di alcuni big di superare regolarmente se stessi. Ci sono i senatori a vita, ma ci sono pure le macchiette a vita: in Fratelli di Crozza un seggio settimanale a Vincenzo De Luca e a Vittorio Feltri non glielo toglie nessuno. Come dice la hit del governatore Luca Zaia: “Ragionateci sopra.”

 

Decreti Sicurezza finalmente superati. Ma nessuno esulta

Alla fine, i decreti Sicurezza sono stati modificati. Il Consiglio dei ministri lunedì sera ha dato il via libera alle norme che superano le multe milionarie alle Ong e riformano il sistema dell’accoglienza in molti punti contestati. Niente più sanzioni e confisca della nave se vengono informate le autorità italiane e il Paese di cui battono bandiera, se non sono italiane. Torna la “protezione speciale” per chi, tornando nel proprio Paese, rischierebbe “trattamenti inumani”. Sarà possibile convertire in permesso di soggiorno per motivi di lavoro alcune tipologie di permessi “per protezione speciale, per calamità, per residenza elettiva, per acquisto cittadinanza o apolidia, per attività sportiva, per lavoro di tipo artistico, per motivi religiosi, per assistenza minori”, come si legge nel comunicato stampa sul sito del governo. Il testo interviene anche “sulle sanzioni relative al divieto di transito delle navi nel mare territoriale” e sul sistema delle competenze che cancella la titolarità esclusiva del ministro dell’Interno su alcuni provvedimenti. “Si prevede che, nel caso in cui ricorrano i motivi di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico di migranti via mare, il provvedimento di divieto sia adottato, su proposta del ministro dell’Interno, di concerto con il ministro della Difesa e con il ministro delle Infrastrutture, previa informazione al presidente del Consiglio”.

Come i lettori ricorderanno, il superamento dei decreti Salvini ha incendiato il dibattito pubblico. E giustamente: la gestione dei flussi migratori è un tema centrale. Perfino il presidente della Repubblica solitamente silenzioso, controfirmando il decreto Sicurezza del 2018, aveva riscontrato “rilevanti criticità” con una lettera al premier e ai presidenti delle due Camere. L’opinione pubblica si è spaccata in due: da destra si esultava per i porti chiusi, da sinistra si chiedeva con condivisibile insistenza la revisione delle norme soprattutto dopo che è cambiata la maggioranza di governo. Tanto che Repubblica, a gennaio di quest’anno, si è fatta portavoce della campagna per l’abolizione dei decreti, con giganteschi titoli d’apertura in prima pagina (tra cui il celebre “Cancellare Salvini”). Ieri un tassellino in prima richiamava il pezzo di cronaca sui decreti, a pagina 15. Nessun cenno invece sulla home page del sito dello stesso quotidiano, ieri pomeriggio. Magari oggi sarà un’altra musica. Ma le Sardine? Ricordate anche voi di aver sentito Mattia e soci in ogni piazza, in ogni talk show, chiedere il superamento dei decreti disumani e indegni di un Paese civile? Ieri niente, silenzio assoluto. Sulla loro pagina Twitter fino a sera era fissato un post su Trump che siccome si è tolto la mascherina offende i morti di Covid. Sui siti dei quotidiani si parla di tutto fuorché di questo, sui social, a parte qualche esponente della maggioranza di governo che rivendica il risultato come una vittoria (compreso Matteo Renzi che s’intesta il risultato, sic), si leggono prevalentemente interventi di leghisti incazzati (Salvini li ha ribattezzati “decreti clandestini”). E quelli che come le Sardine pensavano che fossero “decreti assassini”? Prendono in giro Conte, presidente del Consiglio double face. Invece di salutare con gioia la riaffermazione di un valore – l’accoglienza – si storce il naso perché il premier non è coerente. Ma può essere più importante del ripristino di norme di civiltà? Funziona troppo spesso così: la simpatia prevale sui principi, perfino quando in gioco ci sono battaglie capitali come questa. Molto rumore per cosa, ci si domanda? Il dubbio è che fosse solo rumore di fondo nell’eterno protagonismo degli opportunismi di parte. Ma così facendo non si è mai credibili, anche quando si affermano cose giuste.

 

Lombardia Mission impossible: trovare un vaccino anti-influenzale

È l’ora delle missioni impossibili, delle avventure estreme, delle battaglie disperate. Tipo trovare un vaccino anti-influenzale nella Regione più ricca d’Italia, la Lombardia, quella che ha avuto quasi 17.000 morti per Covid, quella delle mancate zone rosse, delle Rsa, quella dei camici del cognato e della moglie di Attilio Fontana, the president, quella dell’assessore al Welfare (ahahah) Giulio Gallera. Premunirsi, insomma, fare in modo che due lineette di febbre e il naso che cola non ti regalino la paranoia della peste in corso, ma vengano riconosciute come malanno di stagione, ed evitate con una semplice profilassi che da mesi tutti ci consigliano. La tivù, la radio, i giornali, i dottori, gli infermieri, i medici di base, le mamme, le nonne, ripetono indefessi che quest’anno il vaccino contro l’influenza bisogna farlo. Giusto. Bene. Ma il vacchino non c’è.

Chi volesse sperimentare l’Odissea Lombarda può partire dal proprio medico di base, che risponde allargando le braccia e consiglia di provare in farmacia, dove ti guardano come la mucca che guarda passare il treno: Eh? Cosa? Ripassi, telefoni, chieda in giro. Una settimana fa l’assessore Gallera aveva avvertito che la Regione Lombardia non potrà occuparsi del “cittadino generico”. Tradotto in italiano: lombardi, cazzi vostri.

Anche per i cittadini “non generici”, però, le cose non vanno benissimo. La Regione Lombardia – dove tutti i boss della sanità sono nominati dalla politica e sono quasi tutti della Lega – non ha dosi sufficienti nemmeno per i cittadini “non ordinari”, che sarebbero gli operatori della sanità, gli over 60, i bambini da zero a sei anni: i calcoli dicono che si tratta di cinque milioni di persone e i vaccini disponibili non arrivano alla metà, poco più di due milioni. La storia delle gare per assicurarsi i vaccini è un rosario mesto e dolente di fallimenti: alcune annullate, altre andate deserte, qualcuna incredibilmente declinata dalla stessa Regione, che voleva comprare vaccini (in marzo) al prezzo di 4,5 euro l’uno e, vista l’offerta di 5,9 euro, ha preferito fermarsi. Eh, no, troppo cari! Come volevasi dimostrare: nell’ultima gara (la nona), il prezzo era salito a 10 euro, quasi il doppio, ma nemmeno la promessa del pagamento anticipato ha funzionato. In più, l’esimia Regione di mister Fontana, ha escluso dalle possibili forniture i lavoratori del settore pubblico (si arrangino) e gli operatori della sanità privata, che fino all’anno scorso erano compresi nelle forniture e quest’anno no: si arrangino pure loro.

Ridursi a indire gare di fornitura a metà ottobre è semplicemente folle: una prova di inadeguatezza politica macroscopica. A pensarci bene, Fontana & Gallera, la premiata ditta, dopo averne fatte più che Carlo in Francia, detenere il record di decessi (la metà di tutta Italia), pasticciare con gli interessi privati e famigliari, dire “va tutto bene” quando andava malissimo e “siamo stati bravi” quando facevano schifo e compassione, una cosa dovevano fare. Una sola. Una sola fottuta cosa: procurare per tempo e in abbondanza i vaccini antinfluenzali. Non l’hanno fatto.

Nel frattempo, campeggiano sulle home page dei maggiori operatori privati lombardi i severi ammonimenti: “Vaccino antinfluenzale, perché è importante farlo”, e si potrà prenotare, pagando s’intende: 50 euro (l’anno scorso costava tra i 12 e i 14). Così anche chi avrebbe diritto al pubblico correrà dal privato, persino ringraziando. Fine della storia dal fantastico mondo di Fontana & Gallera.

 

Il partito del cemento vince sulle alluvioni

Commentando nel luglio scorso il decreto Semplificazioni, notavo come non vi si rinvenisse traccia “dell’unica Grande Opera utile, la messa in sesto del dissestatissimo territorio italiano: l’unica cosa che una politica che davvero si assumesse le proprie responsabilità, dovrebbe decidere. Non si arrestano le frane, non si governano i fiumi, non si fa manutenzione nelle foreste”. La conclusione era ovvia: “Saranno le piogge, le alluvioni, le frane e le relative, (in)evitabili morti del prossimo autunno a dirci che, come sempre, non funzionerà”. Non era una profezia difficile: le cronache-fotocopia degli ultimi decenni certificano che, a ogni autunno l’Italia si sgretola.

Ha ragione Luca Mercalli: l’intensità spaventosa delle piogge provocate dal cambio climatico imporrà prima o poi di lasciare luoghi ormai indifendibili. Ma sarà un passo terribile: tra rischio idrogeologico e innalzamento del mare, sono molti i paesi e le città che dovremmo abbandonare, abbandonando noi stessi. Un nome su tutti: Venezia, che nessun Mose potrà salvare se il riscaldamento globale continuerà ad alzare il livello delle acque. Ma, d’altra parte, non sono due sfide diverse: le ragioni per cui non riusciamo a fermare una crescita che trascina il pianeta verso la fine, sono le stesse per cui in Italia continuiamo a pensare che semplificare significhi cementificare, e non mettere in sicurezza il territorio e fare manutenzione. Sono ragioni che hanno a che fare con la totale disarticolazione tra la politica (intesa come decisionismo al servizio degli interessi privati forti) e la vita delle comunità (l’interesse generale).

Si penserebbe che, scendendo dalla politica nazionale verso quella locale, le ragioni della vita e della morte di chi vive e muore di territorio contino di più. Ma non è così. I liguri hanno appena bocciato la candidatura di Ferruccio Sansa, che nel suo libro sul Partito del cemento aveva svelato impietosamente queste dinamiche, ed è stato confermato un governo, quello presieduto da Giovanni Toti, che chiede di esasperare ancora il modello ligure: dove il consumo di suolo (cioè la cementificazione) è ancora in crescita (+ 1,9% nel 2019), essendo già il più alto d’Italia in rapporto al numero di abitanti. La Liguria di Toti chiede di entrare nel club delle regioni ad autonomia differenziata (con Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna: non a caso le altre massime mangiatrici di suolo) anche per liberarsi dagli ultimi freni in questa corsa verso l’abisso. Infatti tra le materie su cui la Liguria vorrebbe decidere da sola ci sono l’urbanistica e il territorio. Per difenderli? No, per avere “maggiore autonomia anche sulla pianificazione paesaggistica e autorizzazioni paesaggistiche, con il superamento del parere vincolante della Soprintendenza”. Cioè per tagliare le dita delle istituzioni che vegliano sul paesaggio, cioè sull’ambiente: in soldoni, per cementificare senza rotture di scatole. E la Liguria di Toti vuol decidere anche sull’ambiente: per semplificare (guarda un po’…) i procedimenti, per una “maggiore efficacia ed efficienza in termini di risposta al territorio, in particolare alle imprese e agli operatori”. L’ambiente, dunque, visto ancora una volta come merce, come un bene inesauribile su cui le imprese (i costruttori) devono poter mettere le mani in fretta, senza intralci. È facile dire a cosa porterà, infallibilmente, una simile autonomia: più morti in Liguria, ad ogni autunno.

Insieme alle vite, perdiamo la memoria, la storia: l’identità collettiva. Ad Airole e a Olivetta, le acque della Roja si sono portate via due meravigliosi ponti medioevali che resistevano da quasi mille anni. Non so se sarà possibile ricostruirli con le loro pietre, e non so nemmeno se abbia un senso, visto che questi eventi straordinari diventeranno ordinari. So che la perdita non è estetica: è morale, interiore, esistenziale. È come se avessimo perso le storie, gli sguardi, le vite che quei ponti in qualche modo trattenevano tra noi. Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, Ugo Foscolo parla proprio del “Roja, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V’è un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell’Alpi altre Alpi di neve che s’immergono nel Cielo e tutto biancheggia e si confonde”. Mentre perdiamo questi infiniti, piccoli ponti (cioè il territorio, che essi legano e ci consegnano) continuiamo a pontificare sullo scellerato Ponte (o tunnel, nulla cambia) dello Stretto. Mai come oggi bisogna cambiare: per non morire.

 

Scuola “Fa bene alla salute psicofisica dei bimbi: non chiudiamola ancora”

Sono una mamma di due bambini che frequentano la seconda e la quinta elementare di una scuola pubblica di una delle città maggiormente colpite dalla pandemia, Brescia. Sono anche un medico e ricercatore universitario, che ha operato, durante la pandemia, in uno degli ospedali pubblici maggiormente coinvolti dall’emergenza, moglie di un medico impegnato in Pronto Soccorso, madre di bambini inevitabilmente trascurati in quel periodo. Ho vissuto e sofferto, come persona, come madre, come cittadino e come medico, le conseguenze della pandemia e per questo sono turbata dalla leggerezza con cui vengono ignorati, dalla politica e dalla società civile, i rischi sanitari conseguenti alla mancanza di istruzione dei nostri figli.

Curioso scoprire che l’articolo della nostra Costituzione che sancisce il diritto all’istruzione viene enunciato subito dopo il diritto alla salute. I nostri Padri costituenti avevano capito, molto prima di noi, quanto salute e istruzione sono strettamente correlate. È intuitivo comprendere come la mancanza di buona salute possa rendere più faticoso l’accesso all’istruzione, mentre invece non tutti colgono come una buona istruzione sia un valido presupposto per una buona salute e di come la frequenza della scuola sia fondamentale per la salute fisica e psichica dei nostri figli… È importante considerare l’apertura delle scuole come una priorità assoluta: sebbene i bambini giochino un ruolo importante nell’amplificare epidemie influenzali questo non sembra accadere per Sars-Cov-2 (Public Health England, Lancet, “Scienziate per la Società”)… È giusto cercare, con cautela, una nuova normalità. Questo vale a maggior ragione per i nostri bambini che fino a oggi sono stati chiamati in causa come potenziali untori e mai come vittime silenziose di questa pandemia e delle misure adottate per contrastarla… Tra i tanti report, quello della Royal Society riassume le evidenze scientifiche dei rischi del lockdown per i nostri figli e di come questo possa influenzare la loro capacità di apprendimento (Associazione dei Pediatri Lombardi, American Accademy of Pediatrics). Da anni la comunità scientifica internazionale riconosce la scolarità come un fattore protettivo per lo sviluppo di malattie neurodegenerative. E nel dibattito si ignora che i dati che correlano il livello di istruzione con la povertà (tanto inferiore è il livello di istruzione maggiore sarà la probabilità di essere povero) che a sua volta è terreno fertile per cattiva salute e morte precoce. Inoltre la scuola per i nostri figli non è solo istruzione, scandisce le loro giornate, offre loro un ritmo importante per il loro benessere psicofisico. Non ultimo la scuola aiuta ad abbattere le diseguaglianze, e le diseguaglianze, tra cui quelle scolastiche, hanno una valenza sia per i risultati nell’immediato che nella loro prospettiva a lungo termine. La non riattivazione a tempo pieno (forse il virus è più aggressivo al pomeriggio?) o la richiusura delle scuole avrebbe un impatto importante sulla salute dei nostri figli e sulla loro crescita psicologica, affettiva, emozionale e sociale. Non solo sui nostri figli, ma su tutta la comunità.

 

Mail box

 

Salvini è a processo come qualsiasi cittadino

Caro Direttore, Hegel sostiene che la lettura del giornale è la preghiera del mattino dell’uomo laico. Ebbene, parafrasando l’annotazione, posso senz’altro affermare che la lettura del Suo editoriale è la preghiera dell’uomo moderno. Desidererei che lei rammentasse ai vari smemorati dei giornali di destra, che oggi scrivono della vittoria di Salvini in quanto la Procura ne chiede l’archiviazione, che lei già lo aveva scritto mesi addietro e che Salvini doveva andare a processo per esser giudicato da un Tribunale della Repubblica Italiana come qualsiasi altro cittadino.

Pasquale Beatrice

Caro Pasquale, fatica sprecata: questa è gente che scrive troppo e non legge nulla.

M. Trav.

 

Ecco cosa imparare dall’enciclica del Papa

Papa Francesco, nella sua nuova enciclica Fratelli tutti, prospetta la possibilità d’una buona politica, basata sul dialogo e non sugli insulti. È sferzante contro i populismi. Invoca una riforma dell’Onu, per poter gestire davvero oculatamente la democrazia. Bergoglio si rivolge, altresì, alle religioni affinché non incoraggino forme di nazionalismo violento. Il Papa ritiene che sia necessario rivedere l’architettura economica internazionale. E afferma, con coraggio, che la proprietà privata debba essere messa a servizio delle persone e non viceversa. Francesco, di certo, è il più credibile leader politico di questo mondo gravemente malato.

Marcello Buttazzo

 

È l’ora di sciogliere i nodi irrisolti del M5S 

I nodi irrisolti al pettine. Casalegggio non vuole mollare il suo potere. Il pentolone ribollirà ancora per un po’ e alla fine Grillo dirà la sua. Vale a dire che il Movimento sarà nel campo del centrosinistra. È necessaria una segreteria con una decina di componenti ed un portavoce nazionale. Ovviamente sarà consultata la base tramite Rousseau. È il minimo per impostare il lavoro politico e presentarsi alle prossime politiche con la propria identità rinnovata. Chi vede le cose da fuori si puo permettere quella lucidità che all’interno del M5S manca.

Salvatore Giallongo

 

Necessaria una legge elettorale imparziale

C’è un’esigenza di funzionamento della democrazia che sottragga ai partiti veti incrociati in tema di legge elettorale. Guardando quelle finora approvate, i partiti si sono dimostrati incapaci di trovare soluzioni super partes nel solco della Costituzione. Vorrei una legge elettorale simile a quella dei sindaci dove i primi due vanno al ballottaggio e chi vince governa.

Paolo De Gregorio

 

La salute vale di più dei soldi del calcio

Osservo con tanto rammarico l’andamento degradante del calcio. Credo che, in tempi di questa grave pandemia, lo Stato debba fare sentire al meglio la sua voce. Ricordo che Margaret Thatcher chiamò un consiglio di guerra per combattere l’Hooliganism. La Thatcher non guardo al giro d’affari del calcio Britannico, ma andò avanti e decise la guerra e la vinse. Era la sua dimostrazione che lo Stato non si piega a nessuno, costi quel che costi. Non c’è tempo per trattare con chi vuole far valere più i soldi che la salute.

Ahned M. Nahhas

 

Largo a una nuova generazione nei 5Stelle

Secondo me, visto l’arrivo della New Generation dei 5Stelle con i vincitori alle Comunali, i capi del Movimento devono comportarsi come padri di famiglia e preparare i loro “figli” per sostituirli a breve. Tra qualche anno toccherà ad altri, bravi e onesti come loro. Agli Stati Generali i capi dovrebbero cominciare a spianare la strada adesso per i loro sostituti. Le liti attuali fra il capi 5 Stelle mi ricordano le liti durante le riunioni condominiali e sembrano legate più alla gestione del potere dentro il Movimento che ad altro.

Claudio Trevisan

 

DIRITTO DI REPLICA

Con riferimento all’articolo “‘I politici? Come le banche’: Siri rischia il processo”, apparso a pagina 6 sul Fatto Quotidiano di ieri, faccio presente che non ho mai “esercitato pressioni” né mi sono mai prestato ad “esercitare pressioni” di alcun tipo su chicchessia.

Avv. Lamberto Cardia

 

Avvocato, il suo nome è citato nel capo di imputazione della Procura di Roma a carico di Armando Siri. Sono i pm a scrivere che Siri “esercitava pressioni direttamente e per interposta persona (l’avv. Cardia Lamberto, persona di sua fiducia) sul comandante generale della Guardia costiera, Ammiraglio Pettorino Giovanni, al fine di determinarlo a rimuovere il Contrammiraglio Pellizzari” e via dicendo. Nell’articolo ho specificato che lei non risulta indagato.

Val. Pac.

Gesù Cristo, Figlio di Dio, s’è dimesso dall’incarico di capo della Chiesa

La religione e la politica (“Come se fossero due cose diverse!”, ridacchia mia zia nel leggere questo incipit), ci ammette a bere al di qua del bancone, ma col divieto di scostare la tenda che dà nel retrobottega.

Giovedì scorso, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, si è dimesso dall’incarico di capo della Chiesa universale. Secondo quanto ricostruito dai giornali, la decisione di Cristo sarebbe legata a una grossa inchiesta sulle sue operazioni finanziarie, fra cui l’acquisto di un immobile di lusso a Londra per alcune centinaia di milioni di euro. L’acquisto avvenne nel 2014, quando Cristo era impegnato con alcuni apostoli in un tour dei luoghi mitici dei Beatles. “In verità, in verità vi dico: a quel tempo, John Lennon era più famoso di me,” aveva detto nell’attraversare le strisce pedonali di Abbey Road, fermando il traffico con un gesto imponente, come Charlton Heston le acque del Mar Rosso. In completo bianco, era seguito da Giovanni, Pietro (i cui piedi nudi alimentarono la leggenda che fosse morto e poi rimpiazzato da un sosia) e un allibito Tommaso.

Ora però il caso si sta allargando, e dai documenti che l’Osservatore Romano ha potuto visionare sembrerebbe che Cristo abbia sottratto alla Chiesa i soldi di elemosine e donazioni per finanziare le attività di persone a lui vicine, nonché dossieraggi contro chi si era messo a ficcanasare. Avvenire ha scritto che al momento “nessuno conosce le vere motivazioni” delle sue dimissioni. Cristo inizialmente ha preferito, a un invito nel programma della D’Urso, il silenzio di un ritiro spirituale a Camaldoli, ma durante la conferenza stampa di ieri ha affermato, mescolando un mazzo di carte con una mano sola, di non aver commesso peculato e di non aver distratto i fondi dalla loro destinazione; e ha concluso trasformando quattro assi in quattro re, fra gli applausi di alcune suorine in deliquio. Cristo si è difeso sostenendo che qualcuno abbia approfittato della situazione, e ha indicato con un cenno della testa Giuda, al suo fianco, che però non se n’è accorto. Attualmente nessuno dei due è indagato. Cristo ha detto di avere la coscienza a posto e di aver “agito sempre nell’interesse dell’Altissimo”, mai nel proprio. Secondo le ultime rivelazioni dell’Osservatore Romano, tuttavia, Cristo avrebbe usato i soldi ricavati dall’otto per mille e dall’Obolo di San Pietro – denaro donato dai cattolici di tutto il mondo – per investirli in fondi speculativi, o dirottandoli verso cooperative gestite da suoi parenti: già una decina di anni fa aveva fatto assegnare l’appalto per gli arredi di diverse chiese in Angola alla ditta del suo patrigno Giuseppe, falegname. Inoltre, a partire dal 2013, Cristo avrebbe sottratto consistenti somme di denaro, girando 600mila euro come finanziamento a fondo perduto all’azienda di suo cognato, che produce la birra JeezUp, distribuita solo “in alcuni oratori selezionati”. Interrogate sulla vicenda, le persone coinvolte hanno ammesso che “l’indicazione di acquistare quella birra portentosa (foglie di coca) proveniva direttamente da Cristo, o da persone a lui vicine”. L’indagine sulle misteriose operazioni finanziarie di Gesù era iniziata lo scorso ottobre su richiesta di Papa Francesco, e aveva portato a perquisizioni negli uffici del Figlio unigenito e dell’Autorità di informazione finanziaria, l’organismo del Vaticano per la lotta al riciclaggio; ma il caso non è di semplice soluzione. C’è chi crede che la prigione tonifichi la coscienza degli irresponsabili, ma come lo applichi, questo prospero, al Figlio di Dio? Uno che sa risorgere dai morti! Figurati se non sa allargare le sbarre come fossero strisce di liquirizia.

 

I “Partigiani” della libertà di infettarsi

Dopo la Strage degli Ugonotti e la Notte dei lunghi coltelli, Giuseppe Conte sta scrivendo una nuova, infame pagina del terrore: la dittatura sanitaria delle mascherine. L’allarme viene lanciato dalle colonne della libera stampa, imperituro baluardo delle libertà democratiche, nonché sentinella indefessa dei diritti umani. Titolone gramsciano de La Verità: “No alle mascherine all’aperto. Si prepara l’ennesimo decreto che limita le libertà a capocchia”. Sul Giornale, un fiammeggiante sermone di Marco Gervasoni, il Martin Luther King del sovranismo: “Le minacce del premier. Dietro il regime “sanitocratico” le idee liberticide”. Pazzesco. Mentre su Libero spicca il travolgente appello di Francesco Bellomo, omonimo del magistrato paladino dei diritti delle donne (soprattutto se sue assistenti), a misura di minigonne e tacco 12: “Oltre i divieti c’è il nulla. Lasciateci liberi”, singhiozza disperato il maestro di vita. Ieri mattina, poi, allo sgomento per le inaudite imposizioni governative, ha dato voce commossa Massimo De Manzoni (vicedirettore de l’indomita Verità) affermando che per molto meno i nostri vecchi presero il fucile e salirono in montagna. Mentre uno sdegnato Benedetto Della Vedova (Più Europa) evocava la repressione castrista e l’oppressivo regime cinese.

A questo punto la ferma obiezione del sottoscritto – che gradirebbe non essere contagiato dal primo coglione che passa sprovvisto di mascherina – è purtroppo caduta nel vuoto. È davvero sconcertante come in poco tempo un tranquillo avvocato si sia trasformato nel Ceausescu di Volturara Appula. Un tiranno che si mostra sordo e insensibile alla preveggente dottrina Trump (“il virus è poco più di un’influenza”) e che mostra di non tenere in alcun conto le straordinarie, febbrili esperienze di personaggi come Bolsonaro, Johnson, Briatore. Ci conforta la nuova Resistenza che si va organizzando contro l’odiosa angheria. Già ci sembra di vederli i partigiani Belpietro, Sallusti e Senaldi mentre marciano verso la nuova Liberazione, con le mascherine a brandelli sulla punta delle baionette, intonando: “Una mattina mi son svegliato o virus ciao, ciao, ciao”.

Clima Oggi si vota la legge a Bruxelles

Puntare alto per la lotta alle emissioni: oggi nel Parlamento europeo ci sarà il voto finale per la legge sul clima che, secondo le intenzioni, dovrebbe rispettare quanto già preannunciato dopo il lavoro nella commissione ambiente (46 a favore, 18 contro e 17 astensioni), ovvero il raggiungimento del target di taglio delle emissioni inquinanti del 60 per cento entro il 2030 e una “rivisitazione” dei contributi a iniziative e opere inquinanti. Si tratta di un punto importante: nel suo discorso sullo stato dell’Unione, qualche settimana fa la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen aveva annunciato l’intenzione di arrivare al 55 per cento, da molti considerato un obiettivo limitato. Il voto di oggi darà non solo un messaggio chiaro sull’orientamento “coraggioso” dell’Europarlamento, ma dovrà comunque essere preso in considerazione durante le negoziazioni col Consiglio europeo. “Non ci sono più scuse” ha detto nel suo intervento l’europarlamentare Eleonora Evi (M5S) aggiungendo che “un percorso serio verso la neutralità climatica non può permettere il finanziamento di progetti infrastrutturali dal forte impatto ambientale, come ad esempio il Tav”.

Intanto, venerdì 9 ottobre torna lo sciopero nazionale del movimento Fridays for Future invitando “tutte e tutti a scioperare da una giornata di scuola o di lavoro e a unirsi alla mobilitazione della propria città, od organizzandone una da zero”.