Conley, più che un medico, lo “spin doctor” del presidente

Più realista del re. O, in questo caso, più negazionista del negazionista in capo. Così Sean P. Conley, medico della Casa Bianca ha perso credibilità agli occhi del mondo, mentendo ripetutamente sulle condizioni di salute di Donald Trump. “Stavo cercando di riflettere l’atteggiamento ottimista della squadra”, si è giustificato, quando il reale stato del presidente era ormai trapelato per bocca delle fonti interne allo Studio Ovale. “Il suo è stato un discorso da spin doctor, più che da medico”, l’ha criticato il dottor Carlos del Rio, esperto di malattie infettive di Atlanta. Sì, perché il 40enne medico omeopata, sostituto di Ronny Jackson – il contrammiraglio della Marina ritiratosi per aver dispensato antidolorifici e ora in corsa per i repubblicani in Texas – non ha mai pensato di dire la verità su Trump, anzi, forse, sulle orme del predecessore, si è esposto in prima persona in uno strenuo, nonché vano occultamento della verità sul presidente. Sabato mattina, uscito dal Walter Reed Medical Center ha assicurato che lui e il suo team erano “soddisfatti dei progressi di Trump. Restiamo cautamente ottimisti. Sta andando alla grande”. Pochi minuti dopo, a smentirlo è il capo dello staff del presidente, Mark Meadows: “Le condizioni di Trump sono molto preoccupanti, le prossime 48 ore sono critiche”. Per non parlare della cronologia “creativa” del contagio. Inizialmente aveva detto che erano passate “72 ore” dalla diagnosi di Trump – il che avrebbe significato che il presidente era risultato positivo mercoledì, 36 ore prima di annunciare l’infezione –, ma Conley si è poi corretto: “Intendevo dire il terzo giorno”. Domenica l’ultima gaffe. “Il presidente ha assunto ossigeno”, dopo averlo negato. I messaggi contraddittori hanno sollevato preoccupazioni sulla trasparenza della Casa Bianca circa la salute del presidente in un momento cruciale per il Paese. Ma non è la prima volta che Conley fa il politico anziché lo scienziato. Nel febbraio 2019, a capo del team di 11 medici che controlla lo stato del presidente, annunciò: “Gode di ottima salute. Prevedo che rimarrà così per tutta la durata della presidenza e oltre”. Quando Trump si recò in ospedale per un dolore al petto, Conley giurò che “si trattava di un controllo di routine”. Ultimo, l’appoggio alle teorie sull’idrossiclorichina per curare, anzi, prevenire il Covid. Quando Trump annunciò di assumere il farmaco, lui assicurò che “il potenziale beneficio del trattamento ha superato i rischi relativi”. Peccato sia stato smentito da uno studio mondiale e dal suo stesso paziente.

“Sto meglio di 20 anni fa”. Trump show pure sul virus

“Devo uscire da qui”. Così aveva detto ai suoi collaboratori il presidente Trump ieri pomeriggio. Poi lui stesso ha annunciato: “Mi sento meglio di 20 anni fa: oggi lascerò il grande Walter Reed Medical Center alle 6.30” (mezzanotte e mezza in Italia).

Qualche minuto dopo, segue il tweet del medico del presidente: “Come ha detto lui, lo rimandiamo a casa. Non è ancora fiori pericolo ma può tornare alla Casa Bianca”.

Eppure, ore prima, erano stati proprio i consiglieri di The Donald a cercare di dissuaderlo: non tornare, se peggiori le cose non si metteranno bene per la campagna elettorale. Questo era il messaggio. Ma Trump, al contrario, ha fretta proprio per rientrare in campagna e sfruttare al meglio questa esperienza, tanto da scrivere ai suoi fan: “Non dovete avere paura del Covid, sotto la mia amministrazione abbiamo sviluppato farmaci eccezionali”.

Messaggi che si ricollegano a quella quindicina di ‘cinguettii’ scritti domenica, per affermare che il prossimo anno “sarà il migliore di sempre”, ma solo se, ovviamente, lui sarà ancora presidente; che la Borsa sta per battere tutti i record; che votare democratico vuole dire avere più tasse e meno armi. “Forze armate più forti. Vota!”, “Law&Order. Vota!”, “Libertà religiosa. Vota!”, “Il più grande taglio delle tasse di sempre e un altro in arrivo. Vota!”. E così via.

Era stato il senatore Lindsay Graham, che gli è molto vicino, ad anticipate: Trump è “pronto a tornare al lavoro, molto coinvolto, alla grande”.

L’incuranza del presidente e dei suoi collaboratori di fronte ai rischi connessi al coronavirus è anche testimoniata dalla sortita di Trump dall’ospedale, domenica pomeriggio, su un suv blindato e con la mascherina, per salutare centinaia di fan che sostano fuori dal Walter Reed da quando s’è avuta notizia del suo ricovero: il magnate candidato li ha salutati da dietro il finestrino alzato, mentre loro applaudivano, sventolavano bandiere, mostravano gadget della sua campagna e scandivano: “Altri quattro anni”. In precedenza, il presidente aveva diffuso un breve video per ringraziare i ‘tifosi’, “grandi patrioti con le bandiere che portano il mio nome, che amano il nostro Paese”. La bravata di Trump ha creato sconcerto e irritazione nel Secret Service, alcuni dei cui agenti sono già risultati positivi dopo spostamenti al seguito del presidente. Se gli agenti positivi sono stati costretti a mettersi in isolamento, gli altri sono stati costretti a lavorare di più per coprire le assenze.

“Non avrebbe dovuto accadere”, denuncia un agente in servizio, rilevando che i due suoi colleghi che erano in auto con il presidente non sono stati messi in quarantena: “Siamo frustrati… non siamo merce usa e getta”. I mugugni nel Secret Service hanno indotto la Casa Bianca a precisare d’avere adottato “misure appropriate… per tutelare il presidente e coloro che lo proteggono… L’équipe medica ha dato il via libera allo spostamento come sicuro”.

Sul Washington Post, Ishaan Tharoor scrive: “Prosegue quello che da giorni è un torrente di falsità, mezze verità, elusioni, imprecisioni, indicazioni sbagliate da parte di quanti sono intorno a Trump mentre lui sta affrontando la più grave minaccia alla salute di un presidente americano da decenni. Dal dottore in capo della Casa Bianca al capo dello staff (Mark Meadows, ndr), l’indisponibilità a fornire chiare e coerenti informazioni sulle condizioni di Trump è stata generale, da quando il virus ha cominciato a circolare rapidamente nella West Wing della Casa Bianca”. “Non fatemi parlare di questo, non fatemi commentare”, ha risposto Anthony Fauci ai giornalisti che volevano un suo parere sulla sortita presidenziale, da molti giudicata una spericolata photo op. “Un’irresponsabilità sbalorditiva”, ha twittato il dottor James Philips, docente alla Georgetown, capo della Disaster Medicine al dipartimento di Medicina d’emergenza e analista della Cnn. A un mese dal voto, s’allarga nei sondaggi il vantaggio del candidato democratico Joe Biden, che è appena risultato negativo a ulteriori test. Secondo l’ultimo rilevamento Wall Street Journal-Nbc, Biden è avanti a Trump di ben 14 punti a livello nazionale: 53% a 39% fra gli elettori registrati. Si tratta del margine più ampio registrato nell’intera campagna da questo sondaggio. La pandemia sarebbe già costata agli Stati Uniti più che vent’anni di guerra in Afghanistan.

Pace in Libia, alla conferenza tedesca l’Onu si sbraccia: ma al-Sarraj preferisce Erdogan

“Imploro tutti di incoraggiare e sostenere gli sforzi per la pace in Libia non solo a parole, ma con i fatti”. Così il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha esortato i rappresentanti di 16 Paesi durante la conferenza virtuale sulla crisi libica indetta dalla Germania, dopo quella dello scorso gennaio. “È in gioco il futuro della Libia – ha ribadito – e chiedo a tutti i libici di continuare a lavorare per un cessate il fuoco duraturo”. Buoni propositi e auspici sono stati espressi anche dall’ospite del meeting, il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas. L’obiettivo è sempre lo stesso: arrivare a una tregua permanente per aprire la strada a una soluzione politica. Durante i 9 mesi fin qui trascorsi, il cessate il fuoco del 12 gennaio – sottoscritto solo dal presidente del governo di Accordo nazionale, riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Sarraj – non ha registrato progressi significativi. Sul terreno le forze rivali del generale Khalifa Haftar non hanno mai smesso di attaccare Tripoli, prima di indietreggiare a causa dell’arrivo dei miliziani inviati dalla Turchia a sostegno di Sarraj. Il premier libico, che dovrebbe lasciare l’incarico entro la fine del mese, continua ad avere un interlocutore privilegiato, e domenica scorsa è volato per l’ennesima volta a Istanbul per incontrare il presidente Erdogan. A dimostrazione del ruolo chiave ricoperto dalla Turchia, Erdogan gioca a tutto campo: all’Unione europea ha ricordato innanzitutto che 5 giorni fa le Nazioni Unite hanno registrato l’accordo marittimo tra Turchia e Libia. Siglato nel novembre scorso, questo accordo bilaterale è stato rigettato da molti Paesi, in primis la Grecia cui verrebbe sottratta parte della Zona Marittima Esclusiva. L’accordo tra Erdogan e Sarraj riguarda infatti la delimitazione delle aree di giurisdizione marittima nel Mediterraneo. Secondo indiscrezioni da parte libica, il governo di Accordo nazionale (GNA) e la Turchia hanno stabilito di allargare ulteriormente “l’orizzonte di cooperazione congiunta”. I legami bilaterali riguarderebbero diversi settori economici e di sviluppo e, nello specifico, l’implementazione degli accordi raggiunti in passato. Tradotto: le società turche potranno completare i progetti interrotti. Le prime a riprendere i lavori saranno le imprese specializzate in progetti infrastrutturali e di servizio soprattutto nel settore sanitario ed elettrico in seguito alla distruzione causata dalla guerra che di fatto dura dalla caduta di Gheddafi nel 2011. Senza contare gli aspetti della cooperazione militare.

Addio Carla, antifascista anche dal letto d’ospedale

L’ultimo scambio WhatsApp è di venerdì scorso: “Come stai, Carla?”. Risposta: “Così così”. Non avrebbe mai scritto cose tipo “Sto male, sono disperata”.

Due giorni dopo, domenica pomeriggio, Maria Grazia ha intuito che sua sorella era immersa ormai in un sonno troppo profondo. Alle 2.30 di notte la telefonata dall’ospedale: Carla Nespolo, 77 anni, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, ci aveva lasciati.

Sapeva di essere agli ultimi istanti, Carla, dopo tanta chemio retta con vitalità straordinaria, una tempra che ci illudeva sempre fosse prossima a venirne fuori, la sequenza micidiale delle ricadute, sempre aggrappata però al suo impegno militante. La missione della sua vita di donna di sinistra e di antifascista. È rimasta attiva nell’esercizio della sua missione di presidente anche nei momenti di sofferenza più acuta. Se non riusciva a parlare, scriveva. Pretendeva di essere informata. Dava indicazioni. I compagni della segreteria nazionale dovevano restare in costante collegamento col suo letto d’ospedale. Non smetteva di dettare ad Andrea Liparoto, il responsabile dell’ufficio stampa, i suoi comunicati.

Una settimana prima di morire, il 25 settembre: “Che ne dici delle dichiarazioni di Grillo? Non pensi che dovresti rispondergli?”. Seguiva articolata discussione nel merito. Quando andavamo a raccogliere la testimonianza inedita di una partigiana o di un partigiano per il Memoriale della Resistenza in via di allestimento, puntuale voleva sapere com’era andata. Il 2 settembre chiese di mandarle il filmato del nostro incontro col carabiniere Aldo Costantini che nel 1943 si era rifiutato di sparare sui partigiani ed era evaso dal carcere militare per poi arruolarsi nella XVI Brigata Garibaldi.

Oggi dobbiamo riconoscere che senza quella sua straordinaria energia, intessuta di combattività, visione ambiziosa, sapienza tattica, oltre che da una buona dose di autoironia, difficilmente avrebbe camminato – proprio negli anni della sua malattia – il progetto di “Noi, Partigiani”: nonostante l’interruzione provocata dal Covid, in questi giorni stiamo superando la soglia di 450 interviste a donne e uomini che da giovanissimi misero a repentaglio le loro vite per conquistare democrazia e libertà.

Parlamentare di lungo corso, Carla Nespolo aveva imparato a muoversi nei palazzi romani senza mai rinunciare alla sobrietà dei suoi costumi di dirigente popolare piemontese; certo, rispettosa delle istituzioni, gelosa custode dei principi costituzionali, ma perché vi riconosceva gli strumenti con cui lottare contro le discriminazioni e le ingiustizie sociali.

Chi denigra l’Anpi descrivendola come un’associazione beneficiaria di chissà quali sostegni dall’alto, dovrebbe visitare il modesto alloggio alla periferia di Alessandria in cui Carla Nespolo viveva in compagnia dei suoi gatti e dei suoi libri.

Chi voglia sapere a quale livello di resistenza personale possa giungere una militante animata da passione civile, avrebbe dovuto recarsi al suo capezzale nel reparto Oncologia dove, immobilizzata in corsia, non smetteva di incoraggiare le sue compagne di sventura.

Carla Nespolo provava autentico entusiasmo quando avvertiva che la scelta partigiana, l’abc dell’antifascismo, entravano in relazione feconda con la generazione dei giovani. Era felice per l’inaspettata diffusione del libro in cui abbiamo raccolto cinquanta storie di vita della Resistenza, al quale aveva scritto la prefazione. Più di una volta ha dovuto rinunciare proprio all’ultimo alle presentazioni pubbliche, cui teneva molto.

Se l’Anpi negli anni dell’offensiva di una destra populista e illiberale ha assunto un inedito ruolo di protagonismo politico – riempiendo il vuoto dovuto alla sparizione dei grandi partiti antifascisti – è perché ciò corrispondeva a un bisogno diffuso: tenere ben saldi principi e valori da altri dismessi. Si deve a personalità come Carla Nespolo se in tanti hanno scelto di prendere la tessera dell’Anpi: nel segno di una memoria antifascista da onorare, certo. Ma soprattutto nel riconoscimento di un impegno che ci è richiesto contro i fascismi e i razzismi di oggi.

 

La camera ardente sarà allestita giovedì 8 ottobre dalle ore 10 nel palazzo della Prefettura di Alessandria, dove alle ore 16 si svolgerà la cerimonia funebre con rito civile

Processo escort: Patrizia D’Addario va in Cassazione

Sarà la Corte di Cassazione a decidere se Patrizia D’Addario aveva diritto a partecipare come parte civile al processo di secondo grado sulle 26 donne – tra le quali la stessa D’Addario – portate tra il 2008 e il 2009 nelle residenze di Silvio Berlusconi affinché si prostituissero.

L’udienza in camera di consiglio è fissata per il 2 dicembre. In quella data i giudici valuteranno il ricorso promosso da Patrizia D’Addario contro l’ordinanza con la quale la Corte di Appello di Bari l’aveva estromessa dal processo. Nelle scorse settimane la Corte di Appello di Bari, dichiarando la prescrizione di più della metà dei reati contestati agli imputati, aveva ridotto a 2 anni e 10 mesi di reclusione (dai 7 anni e 10 mesi inflitti in primo grado) la condanna nei confronti di Gianpaolo Tarantini, confermando invece la condanna a 1 anno e 4 mesi di reclusione nei confronti di Sabina Began, la cosiddetta “ape regina” dei party berlusconiani.

La Maraventano lascia la Lega dopo gli elogi alla mafia

Alla fine Angela Maraventano deve lasciare la Lega. Troppo gravi le sue parole, quelle che nei giorni scorsi, durante la kermesse salviniana a Catania, aveva utilizzato per elogiare la mafia di un tempo: “La nostra mafia ormai non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima”.

Dopo le forti critiche arrivate soprattutto da sinistra, ieri anche il Carroccio aveva chiesto alla sua ex senatrice di lasciare il partito: “Il suo è stato un intervento pasticciato – ha detto Stefano Candiani, responsabile della Lega in Sicilia –, non si possono avere certe ambiguità, deve lasciare la Lega”. Di lì il passo indietro della Maraventano, per la verità non troppo convinto: “Sì, lascio la Lega, accolgo la richiesta del partito, è giusto così”. Poi ancora un infelice ritorno sulle mafie, ribadendo una sorta di interesse selettivo: “Continuerò a fare la mia battaglia contro le mafie dei tunisini e dei nordafricani, vado avanti per la mia strada”.

“Poste Casellati”: in Senato nuovo bando da 175 mila euro per assumere portalettere

AAA postini cercansi, citofonare Casellati. Che sonda il mercato per reclutare portalettere che dal lunedì al sabato possano consegnare e ritirare plichi e biglietti istituzionali in giro per Roma per conto dei piani alti del Senato: servono insomma figure simili ai pony express, anche se rigorosamente a cinque stelle. Ché la frequentazione di Palazzo Madama e degli altri palazzi del potere con cui necessariamente dovranno venire in contatto, per conto di Sua Presidenza, non consentono cadute di stile. Nessuna improvvisazione, nemmeno sul look: il servizio se lo aggiudicherà la ditta in grado di garantire la massima professionalità e il massimo decoro.

E così l’amministrazione guidata da Maria Elisabetta Alberti Casellati ha pubblicato un avviso pubblico per capire chi sia in grado di rispondere a tutti i requisiti necessari per aggiudicarsi l’appalto per il servizio di recapito da e per gli uffici del Senato: in palio 175 mila euro.

Ben poca cosa rispetto alla cifre che questo ramo del Parlamento già spende ogni anno per corrispondenza (250 mila euro), per il servizio di trasporto e spedizioni (quasi 1,2 milioni) e per la cosiddetta indennità di Palazzo che spetta al personale di altre amministrazioni ed enti per i servizi svolti per il Senato, tra cui Poste Italiane: una voce che corrisponde a una spesa per l’amministrazione di circa 3,5 milioni di euro all’anno. E che, stando ai resoconti di ormai qualche anno fa, frutta per i dipendenti dell’ufficio postale all’interno di Palazzo Madama tra i 200 e 1.000 euro al mese in più in busta paga rispetto ai loro colleghi in giro per l’Italia. Ora, a quanto pare, serve rafforzare le truppe per star dietro alle comunicazioni più urgenti, con un servizio assicurato dal lunedì al venerdì tra le 9 e le 17 e il sabato dalle 8 alle 13.

“Il servizio dovrà essere svolto da personale qualificato, regolarmente e direttamente impiegato dalla ditta affidataria e in possesso di doti di correttezza e riservatezza”, si legge nell’annuncio curato dall’Ufficio del cerimoniale della Casellati. Che ha pensato proprio a tutto: i suoi postini dovranno essere rintracciabili in ogni momento e quindi avere in dotazione un cellulare di servizio; dovranno poi conoscere a menadito l’urbe ed essere ovviamente provvisti di tutti i permessi per accedere o rientrare in centro. Di rigore giacca e cravatta, altrimenti niente da fare.

Mail Box

 

Suicidio 11enne a Napoli, evitiamo allarmismi

Ha sconvolto tutti la notizia del bambino di 11 anni di Napoli che si è tolto la vita. A scuotere le coscienze vi sarebbe il fatto che molto probabilmente dietro questo gesto estremo si nasconderebbe una pericolosa sfida sul web. Dopo il caso “Blue Whale”, di qualche anno fa, parrebbe celarsi dietro la vicenda “Jonathan Galindo”. Un profilo online, attivo su varie piattaforme, che contatterebbe alcuni bambini e li spingerebbe a una serie continua di prove, fino a spingerli al suicidio. Le prime segnalazioni risalgono al 2012 in america latina. Ma è probabile che negli ultimi anni siano nati molti profili emulativi soprattutto in Europa. È necessario quindi che tutti tengano alta l’attenzione. Perché il web può risultare molto pericoloso, soprattutto per i bambini e adolescenti. Ma colpevolizzare Internet è sbagliato. Come dice Roberto Vacca, uno dei più noti divulgatori del tempo, “Internet offre una ricchezza inestimabile di informazioni, conoscenza, contatti umani. È così grande che ha gli stessi pregi e gli stessi difetti che si ritrovano anche nel mondo reale”.

Gaspare Jucan Sicignano

 

Montanari ha ragione, il ministro intervenga

Grazie per lo splendido articolo di Montanari su Perugia. Speriamo illumini i bui sentieri su cui annaspa il ministro Franceschini, gli appetiti dell’associazione costruttorie e la cecità della Lega.

Alfredo Antonaros

 

Le banche continuano a non erogare prestiti

Le banche erogano prestiti con grande difficoltà, a fronte di tutele e garanzie di ogni tipo, con tassi di interesse più che remunerativi. Le piccole aziende sono costrette a rivolgersi alle finanziarie, spesso collegate alle banche stesse, che erogano prestiti con un Taeg superiore al 9%. Quindi, alcune banche acquistano denaro a un tasso prossimo allo 0% e lo rivendono, attraverso le finanziarie, a un tasso superiore al 9%. Tutto questo senza che la politica, da destra e da sinistra, 5S inclusi, dica niente. Si potrebbe porre rimedio facendo di Cdp una “banca sociale”, in grado di fornire a tutti noi i servizi di base: conto corrente con un numero congruo di operazioni a bassissimo costo o gratuito per chi non se lo può permettere, prestiti e mutui non speculativi, carta di debito e di credito, acquisto e vendita di buoni del tesoro, non tassati, specifici per proteggere dalla sola inflazione, pensioni, domiciliazioni bancarie, servizi on-line. La “Banca Sociale” sarebbe il canale perfetto per gli interventi emergenziali e di welfare come il reddito di cittadinanza. Ultimo, ma non meno importante, la disponibilità generalizzata di carte di credito e di debito favorirebbe i pagamenti elettronici. Ma chi in Italia ha il coraggio di limitare il potere delle banche?

Francesco Filippini

 

Basta odio e menzogne: uniamoci contro il virus

Ho letto l’intervista di Antonello Caporale a Enrico Giovannini. Tradotto, si evince che nell’avvicendarsi di crisi, migranti, Covid e ignoranza saremo un popolo con più cattiveria e violenza. Ogni giorno siamo in balia delle menzogne dei politici e di certi giornali, delle rabbie vomitate dai vari palchi di piazza e stampate. Saremo sempre più guidati da politici incapaci di usare la testa perché limitati nella conoscenza e trascinate dai media nell’ignoranza più assoluta. Purtroppo la maggioranza delle persone sta sempre più cercando un gerarca che sappia vomitare da un balcone la loro rabbia e dia voce alla loro disabilità di comprensione. Dobbiamo imparare, invece, ad affidarci e a collaborare di più tra noi per insegnare a chi ci governa di cosa abbiamo veramente bisogno. Non abbiamo bisogno di violenza e disuguaglianze.

Gianni Dal Corso

 

Riformiamo le pensioni non guardando all’età

Ho letto nella sezione “Piazza Grande” del vostro giornale che un lettore sostiene sia “giusto” andare in pensione dopo 41 anni di lavoro per cui chi avesse iniziato a lavorare a 15 anni potrebbe andare in pensione a 56. Un buon sistema per determinare l’età pensionabile potrebbe essere questo: ognuno dovrebbe poter decidere in totale autonomia il momento in cui poter andare in pensione, anche a trent’anni di età. Naturalmente l’entità della pensione deve essere calcolata in base all’entità dei contributi versati e della speranza di vita dell’interessato al momento del suo pensionamento. A chi decide di andare in pensione prima di una certa età però dovrebbe essere vietata per legge e per sempre l’erogazione di qualsiasi tipo di contributo pubblico.

Pietro Volpi

 

Le destre vogliono il “darwinismo sociale”

Le destre, in ogni parte del mondo, Trump, Bolsonaro, Johnson ecc. non potendo più negare l’evidenza di una ecatombe planetaria, hanno aggiustato il tiro cercando di minimizzare la gravità dell’epidemia, con la motivazione che il virus si rivelerebbe letale solo nei confronti degli anziani con patologie pregresse. Sembrano subire il perverso fascino della criminogena teoria del “darwinismo sociale”, abbracciata nel passato dai nazisti per giustificare lo sterminio dei disabili.

Nicodemo Settembrini

Lombardia. La Regione è troppo confusa sui casi di contagi a scuola

Gentile redazione, sono una donna, un’educatrice e una madre residente in un paese della provincia di Lecco, nella prospera Lombardia… Qui i nostri figli erano a casa dal 22 febbraio, hanno ripreso a vivere la loro “normalità” da meno di un mese, rispettano tutte le regole senza fiatare, sono felici ed entusiasti. Noi adulti abbiamo l’inviolabile dovere di non permettere che questo gli venga tolto! Prima di tutto ognuno di noi deve comportarsi in modo corretto e consapevole anche e soprattutto fuori dalla scuola, ma al contempo la nostra Regione deve iniziare ad agire con chiarezza e responsabilità.

Da ormai un mese le indicazioni di Regione e Ats per la gestione dei sospetti e dei casi Covid-19 all’interno delle scuole sono in incessante e incongruente variazione. Siamo arrivati a inizio ottobre senza indicazioni chiare. A oggi un bambino può tranquillamente accedere a scuola (parliamo anche di scuole dell’infanzia e nidi) anche se un suo familiare convivente (mamma, papà o fratello) è a casa con sintomi di Covid-19 e magari anche in attesa di esito di tampone! Ecco le testuali parole del Dipartimento di igiene: “In presenza di un familiare ammalato e in attesa di esito del tampone il bambino può frequentare. Poi naturalmente è sempre il buon senso che deve orientare le singole scelte”. Da madre lavoratrice mi rendo conto del disagio che comporterebbe l’isolamento dei familiari, pertanto ridurre al minimo i tempi per ottenere l’esito del tampone sarebbe un ottimo compromesso per tutti…

Regione Lombardia ci ha fornito un elenco di sintomi suggestivi di Covid-19 in presenza dei quali un bambino non può accedere alla struttura o deve essere allontanato per poi, eventualmente, essere sottoposto a tampone: tosse, mal di gola, raffreddore, dissenteria, congiuntivite, forte mal di testa, dolori muscolari, febbre >=37,5°… Essendo io la referente Covid del mio nido, ho chiesto chiarimenti in merito a tale sintomatologia: per allontanare un bambino basta un sintomo o ce ne vogliono almeno due? Nel caso, quali? Ecco la risposta del Dipartimento di igiene: “I sintomi sono quelli elencati, ma non è facile capire. Giusto tenere la guardia alta, senza esagerare”. In sostanza nessuno si è assunto la responsabilità di definire una linea comune, tutto viene lasciato alla libera interpretazione di insegnanti, educatori e pediatri. Di conseguenza ogni scuola si sta muovendo autonomamente interpretando a proprio modo le varie indicazioni.

Le istituzioni in primis devono assumersi i propri obblighi e oneri mettendo nero su bianco i criteri di prescrivibilità di un tampone: al momento è tutto lasciato all’iniziativa del singolo. Anche con tutto il buon senso, così non può funzionare!

 

La città del futuro è testa e popolo

Nessun essere umano è un’isola. Anzi, non esistono isole, ci sono solo arcipelaghi o continenti. E quando un’isola è davvero lontana da tutto, può anche crescervi una grande civiltà, ma condannata a crollare su se stessa: fu questo il destino dell’Isola di Pasqua.

Anche fra le comunità umane, quel che ne fa la tessitura e ne assicura il futuro non è una chiusa e cieca identità fondata sull’esclusione, ma piuttosto l’interscambio con altre culture, con altre comunità. Un’idea inclusiva di cultura, in cui il dare e l’avere si incrociano secondo equilibri sempre mutevoli, ma nei quali non c’è mai un polo attivo che ne ingoia uno passivo, ma una continua osmosi di temi, pensieri, esperimenti, progetti sul futuro. E il luogo massimo di ogni interazione culturale è la città, suprema invenzione degli umani: un luogo dove gli scambi di esperienze e di progetti avvengono per forza di natura, grazie all’accoglienza e alla fecondità sociale dei luoghi e non solo all’immediata convenienza (economica o politica) di chi prende la parola.

Non stiamo gettando sul tappeto principi astratti, ma il seme fecondo di un futuro possibile. Con esso è in piena sintonia l’inedita convergenza fra scienze umane e scienze naturali che va delineandosi in questi anni. Antropologi e biologi, genetisti e filosofi riconoscono nel disegno della natura e in quello della storia una potente tendenza all’interconnessione (interconnectedness è la parola-chiave, che – è vero – è diventata di moda, ma con ottime ragioni dato quel che esprime). Tutti gli organismi viventi (le piante e gli animali, inclusi gli umani) interagiscono di continuo, sono complementari secondo catene di relazione ma anche di causa-effetto. Formano un unico gigantesco ecosistema che abbraccia anche quel che pensiamo come ‘inanimato’ ma non lo è : aria, acqua, terra. Chi ne considera solo un aspetto isolandolo dall’insieme dovrà arrendersi all’evidenza di una strettissima interconnessione che è indispensabile a spiegare, in termini scientifici o filosofici, quel che avviene intorno a noi. E c’è appena bisogno di ricordarlo in un tempo come il nostro, dove la veloce diffusione di pandemie ha origine nel mondo animale, è favorita e accelerata dagli allevamenti intensivi voluti dagli uomini, e colpisce le popolazioni in tutto il mondo. E non può esserci una vera ‘soluzione del problema’ che tenga in conto solo gli aspetti economici (la riduzione della produzione, la difficoltà di ripensare gli allevamenti intensivi, la disoccupazione) o solo l’affannosa ricerca di terapie, senza analizzare le cause prime di questo fenomeno che è destinato a crescere nel tempo.

Nella città, o nel rapporto fra le città in quelle più vaste comunità che sono gli Stati o gli organismi interstatali, questa stretta interconnessione avviene mediante la cultura, ed è qui che la Carta di Roma 2020, lanciata prima della pandemia, rivela la propria attualità e la propria urgenza. Le parole con cui comincia (“Noi, il popolo, siamo la città”) colgono da subito un punto essenziale: prima che strade e piazze, cattedrali e palazzi, istituzioni e industrie, le città sono folle di donne e uomini con la loro esperienza, con le loro gioie e dolori, aspirazioni e fallimenti. Parlare di ‘rigenerazione urbana’ nel senso di recupero o gentrification dei quartieri storici ha poco senso: non si dà rigenerazione urbana senza rigenerazione umana. Ed è per questo che (lo ha detto Luca Bergamo nel suo discorso introduttivo) la cultura non dev’essere confinata a una dimensione privata, ma comporta necessariamente l’impegno e l’investimento delle istituzioni pubbliche.

I principi della Carta di Roma 2020, che si può leggere online (https://www.2020romecharter.org/it) , saranno sottoposti, è da sperare, a verifica e miglioramento mediante progetti concreti: e il ventaglio dei partecipanti virtuali all’incontro di Roma (dalla Cina all’Africa, dalle Americhe all’Europa) è in questo senso molto promettente. Ma è in ogni caso importante che un appello come questo sia partito dall’Italia, il Paese dove la Costituzione ha la più esplicita e netta formulazione della funzione della cultura come ingrediente essenziale di una società che aspiri all’eguaglianza. Questo dice infatti l’art. 9 della nostra Costituzione, quando stabilisce fra i principi fondamentali dello Stato la triangolazione fra cultura, ricerca scientifica e tecnica e tutela dei paesaggi e dei beni culturali. Letto nella tessitura della Carta, questo principio appare mirato alla riduzione delle disuguaglianze e alla crescita della giustizia sociale. In una parola, a quella “pari dignità sociale” proclamata dall’art. 3 della nostra Costituzione molto prima della dichiarazione Onu sui diritti umani.

La cultura, lo dice già la Costituzione, se rettamente intesa è strumento di eguaglianza, motore di democrazia, spinta all’inclusione. Se davvero principi come questi verranno adottati da reti e associazioni di amministrazioni municipali, quella straordinaria formazione storica che si chiama città potrà essere non solo il luogo privilegiato di diffusione delle pandemie, ma anche l’incubatore di un nuovo pensiero positivo che faccia leva sull’analisi dei meccanismi di interconnessione nella natura e nella cultura per generare un nuovo pensiero creativo. Da esso dovrà venire la forza di affrontare la crisi che viviamo non come il rassegnato ritorno a un passato immutabile, ma come la progettazione di un miglior futuro.