La strategia europea per le sostanze chimiche, fulcro del Green New Deal per l’Europa, divide la Commissione Ue. Secondo documenti interni a cui Mediapart ha avuto accesso, la Direzione generale per la Salute si oppone con forza ad una proposta della Direzione generale per l’Ambiente: quella di estendere, in via precauzionale, la possibilità di vietare delle sostanze chimiche unicamente sulla base della loro pericolosità intrinseca. Al contrario, la DG Salute preferisce che siano effettuate delle valutazioni del rischio mirate, in funzione dell’uso della sostanza. Questa battaglia – molto tecnica, ma anche molto politica – si sta combattendo dietro le quinte, nell’ambito dell’elaborazione della “Strategia per la sostenibilità dei prodotti chimici”, un documento che sarà presentato dall’esecutivo di Bruxelles il 14 ottobre.
Il testo, per un ambiente “non tossico”, al centro del Green New Deal caro alla Commissione di Ursula von der Leyen, ha generato, lo si può immaginare, grandi aspettative tra gli ambientalisti che chiedono da anni di colmare le lacune delle legislazioni sulle sostanze chimiche. Uno degli esempi più noti riguarda il Bisfenolo A. La sostanza è riconosciuta come “tossica per la riproduzione” e come perturbatore del sistema endocrino dal regolamento europeo Reach (“Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche”). Sappiamo dunque che è pericoloso. Ma è vietato solo nella produzione della carta termica per gli scontrini fiscali e dei biberon. È presente invece anche nei rivestimenti delle lattine, nei cartoni delle pizze o in alcune bottiglie d’acqua. “Non sono stati effettuati studi prospettici dal 2001 – spiega Pelle Moos, dell’Ufficio europeo delle associazioni di consumatori -. È un’opportunità per tutta una generazione”. “Questa strategia potrebbe cambiare le carte in tavola”, aggiunge Tatiana Santos, della ONG European Environmental Bureau (EEB). Dal punto di vista delle industrie, invece, ci si comincia a preoccupare di una “rivoluzione della legislazione, piuttosto che di un’evoluzione”, come sostiene Sylvie Lemoine, direttore esecutivo della gestione di prodotto del Cefic, il Consiglio Europeo Industrie Chimiche. La posta in gioco è alta. In Europa circa 140.000 sostanze chimiche sono presenti sul mercato nella maggior parte degli articoli che consumiamo, il 74% dei quali presenta delle proprietà pericolose per la salute. Ma la chimica è anche un settore economico potente, con un tessuto di 2.000 aziende in Europa e 1,2 milioni di lavoratori. La regolamentazione del settore dà quindi luogo a un intenso braccio di ferro tra imperativi sanitari e realismo economico. “La sfida è scegliere tra un sistema incentrato sul pericolo intrinseco delle sostanze, basico ma molto pratico e protettivo, e un sistema in cui tutto deve essere provato, attraverso valutazioni dettagliate dei rischi e studi lunghi non sempre necessari”, spiega uno specialista di un’agenzia di uno Stato membro dell’Ue. Oggi il diritto europeo si basa su una combinazione dei due approcci.
La DG Salute ha fatto sapere che non darà il suo “sostegno all’espansione generalizzata di un processo decisionale basato sul pericolo”, si legge nei documenti consultati da Mediapart. Queste tensioni si cristallizzano attorno a un concetto noto solo agli addetti ai lavori: la valutazione del rischio.
L’idea è semplice: quando una sostanza è classificata in Europa come cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione (CMR), una serie di divieti vengono attivati quasi automaticamente. Lo scopo è di agire in fretta e prendere decisioni sulla base di queste proprietà pericolose, senza entrare nei dettagli di valutazioni approfondite che consentirebbero, molto teoricamente, un uso “sicuro” della sostanza. Questa possibilità esiste già nel regolamento Reach. Quando una sostanza è riconosciuta come “CMR”, non può più essere venduta nei negozi così come è, né sotto forma di miscele liquide. Di recente, 33 sostanze “CMR” sono state vietate nei prodotti tessili. Ma non è tutto. Una classificazione “CMR” fa scattare divieti anche in alcune legislazioni di settore, come quelle sui giocattoli, i cosmetici o i pesticidi, ma non in altri settori, come quello dei materiali a contatto con gli alimenti. La DG Ambiente propone di estendere questa “valutazione generica del rischio” a sostanze neurotossiche, agli allergeni e soprattutto ai perturbatori del sistema endocrino i cui effetti nefasti sulla salute sono sempre più documentati. Stime scientifiche parlano di 1.400 perturbatori del sistema endocrino nel nostro ambiente. Oggi solo 19 sono considerati “sostanze estremamente preoccupanti” dal regolamento Reach. La valutazione generica del rischio si applicherebbe a tutta la legislazione, compreso il diritto alimentare, settore di competenza quasi esclusivo della DG Salute, che, come gli industriali, si oppone alla proposta della DG Ambiente. I funzionari della DG Salute si basano in realtà su un corpus legislativo, il diritto alimentare dell’Agenzia europea per la sicurezza degli alimenti (Efsa), precedente al Reach e basato in generale su valutazioni del rischio mirate. Per la DG Salute dunque: “Il sistema attuale funziona bene”, si legge nel documento. Eppure le carenze di questo sistema sono state dimostrate in numerose occasioni. Nel 2018, quattro ftalati sono stati soggetti a restrizioni nel regolamento Reach, in particolare perché alterano il sistema endocrino. Queste sostanze, usate per rendere flessibili le plastiche, si trovano nelle tende da doccia, nei pannolini o ancora nei guanti di plastica. Ma a queste restrizioni, che si applicano alla maggior parte dei beni di consumo, sfuggono i materiali a contatto con gli alimenti. Secondo Barbara Demeneix, endocrinologa, specialista indiscussa di perturbatori del sistema endocrino, è “assolutamente necessario che la Commissione europea non rinunci alla proposta di un approccio basato sul pericolo intrinseco delle sostanze, anche nella legislazione relativa al diritto alimentare. Secondo la società di endocrinologia – aggiunge Barbara Demeneix -, il perturbatore del sistema endocrino dovrebbe essere vietato appena identificato”.
Dai documenti consultati da Mediapart, la DG Salute è contraria anche all’introduzione di un “fattore di valutazione delle miscele”. Eppure “tutti – sottolinea ancora Barbara Demeneix – siamo esposti a molteplici sostanze i cui effetti combinati sono più pericolosi degli effetti di ciascuna sostanza presa singolarmente”. La questione delle miscele è invece stata totalmente ignorata finora. La DG Ambiente propone una ricetta generale valida per tutto: nel momento in cui una sostanza viene registrata, le verrebbe applicato un “fattore” per calcolare il suo potenziale impatto sulla salute umana, combinato con altre sostanze alle quali potrebbe essere associato, e di cui si dovrebbe tenerne conto nelle valutazioni. Ciò permetterebbe, a titolo precauzionale, l’obbligo di abbassare la concentrazione considerata “accettabile” di molte sostanze nei prodotti di consumo. La DG Salute invece ritiene che sia troppo presto per imporre un tale “fattore” e si appoggia sul lavoro che l’agenzia per la sicurezza alimentare svolge da più di quindici anni per cercare di affrontare in modo più mirato la questione delle “miscele”. “Il problema è che è impossibile definire con precisione gli effetti combinati di decine di migliaia di sostanze. Il “fattore” è una risposta scientifica alle incertezze”, spiega una fonte europea. L’impatto di una tale misura sarebbe immediato sull’industria, per esempio nel settore degli additivi alimentari, la cui concentrazione dovrebbe essere ridotta quasi immediatamente. I punti di vista delle diverse amministrazioni ormai sono noti. Spetta ora ai commissari europei prendere la decisione. È il momento di fare una scelta politica. Una scelta che impegnerà l’Europa – e la salute di 448 milioni di europei – per i prossimi quindici anni.
(Traduzione di Luana De Micco)