Senza regole Emiliano e il Pd lottizzano Popolare Bari

I disastri del credito contengono sempre uno spaccato dell’ipocrisia della classe dirigente. Quello della Popolare di Bari non è da meno. È stata commissariata a dicembre 2019 e salvata con 900 milioni di soldi pubblici iniettati dal Mediocredito centrale (Mcc), banca della pubblica Invitalia, che fa capo al ministero dello Sviluppo ma è controllata dal Tesoro. Sul crac dell’istituto, avvenuto sotto gli occhi vigili della Banca d’Italia, soprassediamo e veniamo a oggi. Il 15 ottobre l’assemblea dei soci dovrà eleggere il nuovo cda. Per chiudere col passato, l’accordo informale tra i partiti era che fosse composto da cinque “tecnici” e presieduto da Bernardo Mattarella, ad di Mediocredito. Con la vittoria di Michele Emiliano in Puglia, il Pd ha ribaltato il tavolo. Il governatore ha annunciato l’ingresso della Regione nella Popolare con 60 milioni e imposto nel cda anche Cinzia Capano – avvocato, già deputata Pd e assessore a Bari in una giunta Emiliano – e Bartolomeo Cozzoli, avvocato e consigliere del ministro Francesco Boccia. Alla presidenza, Mattarella deve lasciare il posto all’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, ricompensato dai dem per non essere stato rinnovato alla presidenza di Leonardo. Nessuno ha esperienza di banche. Oltre alla debolezza dei 5Stelle, il Pd può farlo grazie all’assenza di regole.

FdI, per dire, ha chiesto conto al Tesoro della “lottizzazione politica” con un’interrogazione. La risposta è sorprendente: il ministero ha ricordato che a breve sarà emanato il decreto attuativo della direttiva Ue Crd IV che rivede i requisiti di onorabilità dei banchieri e permette alla vigilanza di sbarrare le porte dei cda a chi non ha esperienza nel settore. La direttiva è del 2013, l’Italia l’ha recepita nel 2015, da allora tutti i ministri si sono ben guardati dall’emanare il decreto. Ora si scopre che il testo è al Consiglio di Stato per un parere, poi sarà emanato. Arriverà dopo il 15 ottobre? Probabile. D’altronde per 5 anni non c’è stata fretta, e la vigilanza ha applicato regole à la carte

ai banchieri amici. Il Tesoro poi ha ricordato che comunque c’è la nuova direttiva sulle nomine nelle partecipate: è di aprile, e prevede che i candidati auto-certifichino che sia tutto a posto. Quando si dice il pugno duro.

Politically correct e pensiero unico. Londra contro Berlino

 

BOCCIATI

Ehy Joe. Il primo confronto tra i due sfidanti per la Casa Bianca si è svolto in settimana a Cleveland in Ohio: 96 minuti di contumelie, insulti e offese che Sgarbi in confronto sembra un timido scolaretto. “Sei un bugiardo e un clown” (Biden a Trump). “Non hai niente di intelligente” (Trump a Biden). “Sei il cagnolino di Putin” (Biden a Trump). “Sei un pupazzo in mano alla sinistra radicale” (Trump a Biden). Più che un confronto elettorale, un match di lotta nel fango: il prossimo lo modera Baffo da Crema.

Scene da un divorzio. Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore si sono lasciati ma non smettono di parlarsi. A distanza, purtroppo per noi. Breve riassunto. Lui si era incazzato con il sindaco di Arzachena, ha avuto il Covid, è stato in ospedale poi per fortuna è guarito. Mentre usciva da casa Santanché, lei è entrata nella casa del Grande fratello. E non fanno altro che mandarsi messaggi via mass media. Lei ha detto che la trascurava molto. “Quando è morta mia madre, il giorno del funerale mi ha lasciato da sola per andare in discoteca. Da lì mi è scattato tutto”. Lui l’ha criticata per le sue precedenti affermazioni sul fatto che vuol essere autonoma. “Se affrancarsi per lei vuol dire a 40 anni andare al Gf e stare con i ragazzini…”. Da che pulpito. E comunque dai, fatevi una telefonata.

Dammi tre parole. C’è un linguista a Berlino: l’amministrazione comunale ha distribuito ai suoi funzionari un testo (di ben 44 pagine) che contiene nuove linee guida per l’utilizzo di un linguaggio “sensibile alla diversità”. Gli “stranieri” dovranno essere chiamati “abitanti senza cittadinanza tedesca”, gli “immigrati illegali” saranno “migranti privi di documenti”; “richiedenti asilo” e “rifugiati” saranno “persone che richiedono protezione” o “persone protette”. Le “persone con un background migratorio” dovranno essere chiamate “persone con una storia internazionale”. Bandito anche il “cambiamento di genere” in favore di “allineamento di genere”. Dice il Times, che ha riportato la notizia, che non si potrà più usare la parola “schwarzfahren”, usata per indicare chi prende i mezzi pubblici senza pagare il biglietto, ma che viene eliminata perché letteralmente vuol dire “viaggiare in nero”. Chissà se censura si potrà ancora dire.

 

PROMOSSI

Historia magistra. Il British Museum non rimuoverà più dalle sue collezioni oggetti che vengono contestati per motivi ideologici o politici. La decisione arriva dopo una netta presa di posizione del governo britannico: i musei che ricevono finanziamenti pubblici, “non devono intraprendere azioni motivate dall’attivismo o dalla politica”, ma devono fare le loro scelte in modo “imparziale”. In una letterina alle istituzioni museali del Paese il ministro della Cultura scrive giustamente che certe scelte sono pericolose perché “minacciano la comprensione del nostro passato collettivo”. In Gran Bretagna, come ha ricordato in un bel pezzo sulla Stampa Vittorio Sabadin, il clima surriscaldato dalle proteste del Black Lives Matter ha fatto perdere la trebisonda a molti: “Il British Museum, la Tate Gallery, l’Imperial War Museum, la National Portrait Gallery, lo Science Museum, il Victoria and Albert e la British Library si erano detti pronti a rimuovere, ridiscutere o spiegare meglio al pubblico gli oggetti contestati”. Il British aveva persino spostato il busto di uno dei suoi fondatori, Hans Sloane, perché possedeva schiavi e la sua collezione di oltre settantamila pezzi (donata allo stesso museo) era stata creata nel contesto dell’impero britannico. Non è andata meglio a Charles Darwin: il Natural History Museum era arrivato a definire “offensiva” la collezione di Darwin, perché era stata raccolta in un viaggio colonialista. Morale: la Storia non si sbianchetta, altrimenti si dimentica.

 

Mister Juve Il più sexy, il più influencer, il più tutto: S.O.S., salvate il soldato Pirlo!

Parafrasando il titolo di un famoso film di Spielberg, ho deciso di lanciare un disperato appello: “Salvate il soldato Pirlo!”. Subito. Prima che sia troppo tardi. Andrea Pirlo, lo sapete, è da 50 giorni il nuovo allenatore della Juventus. Non aveva mai allenato in vita sua, ha appena preso il diploma a Coverciano e quella di ieri contro il Napoli avrebbe dovuto essere la terza partita della sua nuova vita. E anche se per volere di Andrea Agnelli ha cominciato subito dall’alto, lui vorrebbe solo fare l’allenatore. Nemmeno lui sa come andrà, se diventerà Guardiola o farà la fine di Ciro Ferrara; eppure i media lo hanno già incastrato.

Predestinato, Maestro, Direttore d’orchestra, Pirlo è il nuovo Messia venuto da cielo in terra a miracol mostrare e il mondo, sbalordito, lo segue a bocca aperta prim’ancora che le sue gesta si compiano.

“Varietà di moduli e possesso palla: nasce Pirlolandia” (Gazzetta, 9 agosto); “È già una Juve Pirlotecnica!” (Tuttosport, 17 agosto). “Mister Maestro” (Sportweek, 21 agosto), sono solo alcuni titoli letti addirittura un mese prima della prima partita di Pirlo da allenatore. La gara a farne un fenomeno da Circo Barnum, trasformandolo nel Superman delle panchine, rischia di degenerare per eccesso di partecipanti (e di melassa). Come Mosè cui Dio consegnò le tavole, Pirlo è il depositario dei Comandamenti del calcio: Sky Sport ha voluto svelarceli: 1. Comunicazione e dialogo; 2. Pirlo style; 3. Ferocia agonistica; 4. Dna Juventus; 5. Linea difensiva a tre o a quattro; 6. Jolly Cuadrado; 7. “Vai Arthur” a centrocampo; 8. Equilibrio e supporto; 9. CR7 “Fai ciò che vuoi”. 10. Tridente di lusso. Non avrete altro dio all’infuori di lui.

Sempre su Sky, gira ininterrottamente a ogni ora del palinsesto il documentario “Andrea Pirlo il predestinato”, discorso su due piedi di Giorgio Porrà. E mentre Tuttosport ci svela che “Pirlo è il tecnico più sexy della serie A: è stato il più votato nel sondaggio del portale di incontri Joyclub” (ha battuto Di Francesco e Pippo Inzaghi umiliando Gattuso, 4°, e Conte, 6°) e la Gazzetta annuncia che con lui è finalmente tornato lo stile Juve (“Andrea Agnelli è entrato in campo accanto a lui nel riscaldamento… il tecnico sembrava uno sposo che aspetta la sua dolce metà fuori dalla chiesa… Braccia conserte, abito e cravatta come era sempre stata prassi a queste latitudini prima che diventasse moda la polo blu di Maurizio Sarri… Ognuno dei suoi predecessori aveva un suo modo di vivere la partita: Pirlo ha fatto il primo significativo spostamento dopo la rete dell’1-0 di Kulusevski quando si è chinato per raccogliere una bottiglietta d’acqua”), Sky lo celebra come miglior “tecnico influencer”: “L’allenatore della Juve è un fenomeno mediatico seguitissimo sul web”, afferma Sky, che spiega come a stabilirlo siano stati gli algoritmi di intelligenza artificiale di Kpi6, qualunque cosa sia Kpi6.

Come dite? Qualcuno qui ha alzato il gomito? Ma con Pirlo si può. “I vini super sono quasi tutti blended – spiega la Gazzetta -, un mix di diversi uvaggi come il rosso di punta dell’azienda Pirlo che si chiama Arduo, e già col nome racconta qualcosa. Anche gli allenatori si misurano con qualcosa di molto arduo e in fondo sono un blended: la fusione stagionata del calcio che hanno giocato, digerito e visto, il risultato finale della loro equazione tra utopia e realtà”. Prosit. E lunga vita al soldato Pirlo. Ne ha bisogno.

 

Università. La poesia dell’aula rivive sul web: la lezione è una storia (con colonna sonora)

L’idea me l’ha data una copertina dell’Internazionale. Una fila stilizzata di studenti che entra dentro un computer. Titolo: “Come riavviare l’università”. Lungo sottotitolo: “È il momento di decidere se l’istruzione a distanza è un modo per rendere l’università più accessibile a tutti o solo un regalo alle aziende tecnologiche”. È una questione che mi intriga da diversi mesi. Da quando ho capito che l’insegnamento a distanza inaugurato a marzo non sarebbe stato un episodio, ma che sarebbe continuato ancora a lungo. Anzi, che il lockdown ci stava portando, senza alcun progetto o strategia alle spalle, verso una nuova idea di università. La tipica serendipity. A questo punto devo però fare un atto di fede: considero l’aula universitaria uno dei luoghi più belli e poetici in cui sia dato vivere. Decine o centinaia di occhi che ti scrutano, giovani menti che attingono ai tuoi studi, alla tua stessa esperienza di vita, le tue concatenazioni logiche che guidano chi ti sta davanti tra passioni, ragione e conoscenza.

Eppure… eppure è possibile immaginare una università viva anche rinunciando al valore della fisicità, al piacere di interagire con gli occhi in ogni direzione. È anzi doveroso farlo, se solo si intuisce che forse qualcosa sta cambiando per sempre. Penso con raccapriccio a marzo, a quando ci si diceva che la cosa migliore era registrare le lezioni e depositarle come un pacchetto in qualche sito in cui giovani sconosciuti potessero trovarle. A quando si veniva esortati a tenere lezioni di venti-trenta minuti “perché sul video i ragazzi di più non resistono”. Sto vedendo invece che resistono eccome, che a volte bisogna sforare l’ora e mezzo accademica per effetto delle loro domande. Che il problema è rendere le lezioni dei momenti ad alta intensità narrativa. Trasformarli, ove possibile, in storie. Da raccontare come faceva cinquant’anni fa la radio. Riscoprendo, come ho qui scritto prima dell’estate, il “c’era una volta” delle favole. Episodi, personaggi, da cui fare fluire nozioni e teoria. Capaci di sollecitare la fantasia, ed evitare una università senza sangue, piatta, dura da reggere nella società dell’immagine.

Confesso. Sono certo aiutato dalla materia che ho appena introdotto quest’anno all’Università Statale di Milano: geopolitica e criminalità organizzata. Un tema che allinea Paesi, Stati, leader politici, rivoluzioni, drammi, guerre, diritti, giustizia, spaziando dall’America latina all’Azerbaigian, dalla Germania alla Cina. Una materia che con le slides, le immagini e gli spazi immensi che suggerisce, ricolloca tutto in un’altra prospettiva, altro che “storie italiane”.

Gli studenti intervengono dalle loro stanze, che le prove orali illuminano di una luce calda, mostrandoli nelle cucine, nelle stanze da letto, nei salotti, i quadri dei genitori, i poster di Marilyn o di Mandela, il cane sul divano, addirittura il figlioletto in culla. E quale aula ti consentirà mai questo livello di intimità? Così ho osato, con un pizzico di ritrosia, una innovazione. Dare a ogni lezione una musica di sottofondo. Se stiamo tutti in una nostra stanza, è stato il ragionamento, condividiamo allora il calore di uno stesso suono. Concediamoci (lo ammetto: scegliendo io come un dittatore) il piacere di una musica alle spalle.

Così apro le mie lezioni annunciando che cosa sentiremo: “Oggi Ludovico Einaudi, Le onde”; “Oggi Benedetti Michelangeli, Beethoven”. Come è andata? Prova superata. Mercoledì proporrò un bellissimo cd di un artista di strada parigino incontrato 25 anni fa. Messaggio: evitiamo di farci dominare (e inaridire) da queste trasformazioni epocali non volute, pieghiamole invece all’idea di una università viva. E sfruttiamone tutte le opportunità impreviste. Anche per non perdere il piacere della conquista. Si studia anche per questo, in fondo.

 

Tamponi e complotti. L’odissea di un bimbo con l’influenza: colpa “dell’omosessualismo”?

 

“Mio figlio, febbre a 39: il test tarda e il medico non lo visita”

Cara Selvaggia, ecco la mia odissea. Tutto inizia il 22 settembre, ore 15.45. Thomas, 3 anni, ha la febbre a 38 e mezzo. Chiamo la pediatra che mi dice di attendere 24 ore. Il giorno dopo, ore 16, richiamo la pediatra perché la febbre è ancora alta. La dottoressa mi dice che non c’è l’obbligo del tampone per mio figlio; ma visto che io sono immunodepressa, mio suocero respira con l’ossigeno e mia madre è allettata, decido di richiedere il tampone. Parte la segnalazione e aspettiamo. Intanto la febbre resta sui 39 gradi e il bambino perde il senso del gusto. Giovedì tutto tace. Venerdì vengo contattata dal centro salute che mi dà appuntamento lunedì mattina per il test. Imploro l’operatrice di non farmi aspettare tutto questo tempo ma lei risponde che il sabato è dedicato alle urgenze, quindi nessuno potrà essere a disposizione per mio figlio. Chiedo mestamente se questa non fosse un’urgenza. Evidentemente no. Richiamo la pediatra, che mi spedisce al drive in di piazzale Europa per fare il tampone. Carico mio figlio in auto e quando arriviamo troviamo una fila di 10 auto, ma scorre veloce. Al nostro turno, sorpresa: mi chiedono cosa stia facendo lì. “Una passeggiata”, avrei voluto dire. Invece spiego la situazione, e appena dico che mio figlio ha la febbre iniziano a urlarmi contro come se fossi una delinquente intimandomi di andare via subito. Allora chiedo, per curiosità, cosa stessero facendo lì. Ma niente, devo andarmene sennò mi denunciano.

Torniamo a casa e richiamo la pediatra per due ragioni: primo, chiederle il motivo secondo cui mi ha mandato a fare questa figura di merda; secondo, perché volevo venisse a visitare il bambino. Risposta: “Non possiamo venire a casa a fare visite”. Quindi? Che devo fare? Se non fosse Covid ma magari polmonite lo lascio abbandonato a se stesso??? Che faccio, do l’antibiotico in via precauzionale? No, meglio di no. Ore 17: mi richiamano dal centro salute. Mi danno appuntamento per il tampone lunedì, 8.30 a piazzale Europa. Segue un lungo silenzio da parte mia, poi l’apoteosi. Dico che se non mi mandano qualcuno il giorno seguente chiamo i carabinieri e ribadisco che il bambino ha 38 di febbre. L’operatrice, allibita, risponde: “Ah, ha la febbre?”. Eh, sono 3 giorni che ve lo dico…! Un minuto di attesa e appuntamento fissato per il giorno dopo. Sabato, ore 11.54, arrivano a casa a fare il tampone. Durata dell’intervento: 30 secondi. La sera avrei potuto scaricare la risposta. Per fortuna tampone negativo. Domenica, fine dell’odissea. Almeno per ora. In conclusione: se ti serve il tampone devi minacciare gli operatori, tu però puoi andare a lavorare, lasciando tuo figlio minore a casa con febbre alta. Se hai altri figli puoi tranquillamente mandarli a scuola, poi però se il tampone fosse stato positivo avremmo fatto chiudere due scuole. Tuo figlio ha la febbre alta? Lascialo morire solo nel letto perché nessun pediatra ti viene a casa a visitarlo… facciamo medicina fai-da-te sperando in una botta di culo sulla terapia scelta. Ma di cosa vogliamo parlare? Siamo solo alla fine di settembre e non sappiamo gestire un cavolo di niente. Vi auguro solo una cosa, che nessuno dei vostri figli prenda mai l’influenza. È davvero il più grande augurio che possa farvi. In bocca al lupo ad ognuno di voi.

Elvira

La prossima volta chiedi a tuo figlio di tre anni di scriversi un’ autocertificazione da solo. Sono certa che ne uscirà fuori qualcosa di più sensato di questo iter caotico e avvilente.

 

“Il Covid è tutta colpa del Papa, della massoneria e dei vegani”

Ciao Selvaggia, a proposito di negazionismi e complottismo sul Covid, ti racconto una cosa molto divertente. Mia cugina (l’unica di sei fratelli che studia all’università, quindi teoricamente quella con più strumenti) l’altro giorno mi raccontava seriamente di come il Covid sia stato introdotto nella società dalla massoneria per controllare i cittadini e diminuire numericamente la popolazione di fascia bassa. Questo sarebbe uno degli escamotage, appunto, della massoneria “insieme al veganismo, all’omosessualismo e all’ambientalismo per controllare il popolino”, diceva lei. Il dettaglio più divertente del suo racconto, argomentato con un’espressione molto profonda, è che Papa Francesco, in tutto questo, sarebbe complice (vedi come si batte per i diritti degli omosessuali?).

Tutte queste teorie, ti assicuro, non sono frutto della fantasia di mia cugina universitaria, bensì di canali di informazione che quotidianamente pubblicano idiozie folli. Ho provato a controbattere visto che mia cugina studia, è sempre stata in gamba ed è al terzo anno di ingegneria, ma non c’è stato verso: è colpa della massoneria. Speriamo si riprenda!

Anna

Cara Anna, oltre al fallimento della sanità, a quanto pare ci tocca fare i conti pure col fallimento dell’Università.

 

L’altruismo per egoismo di Merkel e Gates: vaccino per tutti o moriamo tutti

La manna tedesca. Se la Merkel non ci fosse bisognerebbe inventarla. Qualcuno dice che se la Cancelliera tedesca si sbraccia per andare incontro alle esigenze dell’Italia è solo perché è consapevole che l’economia tedesca è profondamente connessa a quella italiana, e quindi di fatto aiutando noi non fa altro che aiutare se stessa: a questi campioni di realismo rispondiamo che è possibile, ma intanto la determinazione tedesca a nostro favore è di grandissima utilità. Mentre è impegnata ad impedire che il vecchio Rutte e i suoi sodali frugali, in combutta involontaria con Ungheria e Polonia, impediscano le erogazioni del Recovery Fund accapigliandosi sullo Stato di diritto, la Merkel non dimentica di riconoscere all’Italia i meriti della sua gestione sanitaria, suggerendo ai tedeschi di venire in vacanza da noi: “In Europa ci sono molte zone a rischio. Sarebbe poco indicato andarci per le vacanze. Si può viaggiare in Germania e si può andare in zone non a rischio in Europa. In Italia, ad esempio, si agisce con grandissima cautela”. In un momento così delicato, trovare la sponda tedesca per uscire dalla crisi economica è la manna dal cielo, anzi la manna dalla Germania, e quando si ha fame il cibo inatteso è sempre benedetto: che il motore sia l’altruismo o l’individualismo, onestamente, poco ce ne cale.

Voto 8

Se la generosità conviene. Nella confusione comportamentale e, a tratti, etica, che questo virus ha generato in tutto il mondo, arriva come un faro di luce l’appello che Bill Gates ha rivolto a tutti i Paesi nel corso dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. L’intervento dell’imprenditore-filantropo, dal noto interesse nei confronti della scienza alla quale ha spesso donato ingenti risorse attraverso la Fondazione creata con la moglie Melinda, era volto a spiegare quanto sia fondamentale che anche i Paesi più poveri abbiano la possibilità di accedere al vaccino anti Covid, affinché esso possa essere davvero efficace per tutti. Nel suo discorso, Bill Gates ha indirettamente contraddetto tutti i riduzionisti, egoisti, nazionalisti del coronavirus, che hanno creduto di trovare nel contagio un ulteriore argomento a favore dell’individualismo sovranista: “La battaglia per sconfiggere il Covid-19 ci consentirà di mettere in piedi un sistema che potrebbe ridurre il rischio di nuove pandemie negli anni a venire. Studiandone la storia, ho imparato che le pandemie tendono a creare una dinamica assai sorprendente tra interesse personale e altruismo. Le pandemie rappresentano quei rari casi in cui la reazione istintiva di un Paese a salvare se stesso va di pari passo con l’impulso ad aiutare gli altri. E scopriamo che interesse personale e altruismo – garantire cioè l’accesso ai vaccini anche alle nazioni povere – sono la stessa identica cosa”. Del resto, quello che Gates spiega efficacemente riguardo ai vaccini è ciò che da mesi si cerca di comunicare ai più scettici riguardo alle mascherine: interesse personale e altruismo, in una pandemia, sono la stessa identica cosa.

Voto 8

 

Fratelli tutti. Critiche a populisti, nazionalisti e liberali: l’enciclica tutta politica di Francesco

La politica com’è oggi: “Ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace”. E la politica come dovrebbe essere: “Carità, cuore dello spirito della politica”. La terza enciclica di papa Francesco è anche e soprattutto un documento di altissimo valore politico, nell’accezione più ampia del termine. Pagine che restituiscono una dimensione nobile della cosa pubblica quasi dimenticata in questo tempo di nazionalismi e populismi animati dall’odio.

Com’è ormai noto da settimane, l’enciclica ha un titolo francescano, nel senso del santo d’Assisi: Fratelli tutti. E il suo svolgimento tende alla fraternità e all’amicizia sociale, nel solco di “un amore che va al di là delle barriere della geografia e dello spazio”. Papa Bergoglio pone all’inizio la visita di San Francesco al Sultano Malik-al-Kamil in Egitto come critica alle guerre dialettiche che vogliono imporre dottrine. Insomma nessuna paura del diverso che sia un islamico, un migrante, un povero. Qui c’è anche la citazione dell’abbraccio ad Abu Dhabi nel febbraio del 2019 tra lo stesso pontefice e il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb.

Ma è appunto il cupo quadro politico di oggi, più che il timore di una guerra religiosa, a muovere il pensiero di Francesco. Ché il dissolversi della “coscienza storica” mette in pericolo, per esempio, l’ideale di un’Europa veramente unita e umana. Sotto accusa ci sono i “nazionalismi chiusi, esaperati, risentiti e aggressivi” che arrivano finanche a manipolare e svuotare espressioni fondamentali come democrazia, libertà, giustizia, unità. Oggi, in politica, “vincere è sinonimo di distruggere”. Da qui la rinascente xenofobia, perché “il razzismo è come un virus che muta facilmente”. Francesco si sofferma su quei nazionalismi che da Trump agli italiani Salvini e Meloni fanno leva sui sentimenti cristiani dei loro elettori: “È inaccettabile che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede”.

Alla “migliore politica” è dedicato l’intero quinto capitolo della Fratelli tutti. Qui, attenzione, il pontefice argentino (mèmore delle sue radici peroniste, anti-liberali e anti-globaliste) rifiuta la “divisione binaria” tra populista e non populista e fa perno sulla carica positiva della “categoria mitica” del popolo, da contrapporre alle “visioni liberali individualistiche” ossessionate dal profitto e dalla riduzione dei costi del lavoro.

Insomma c’è un populismo “insano”, quello chiuso e che deforma la parola popolo, e uno invece che identifica “coloro che difendono i diritti dei più deboli della società”. Il termine giusto, per Francesco, è “popolare”: “Ci sono leader popolari capaci di interpretare il sentire di un popolo, la sua dinamica culturale e le grandi tendenze di una società”. Ovviamente, la costruzione di una nuova fraternità (“un’unica umanità”) non può non tenere conto di un’emergenza, quella pandemica, che sta cambiando il mondo. In ogni caso, il Coronavirus, al contrario di quanto sostengono i clericali di destra, non può essere un “castigo divino”. Semmai è “la realtà che geme e si ribella”.

 

La partita di pallone val bene una pandemia

Per carità, ci rendiamo perfettamente conto che mettersi a parlare di calcio, che è materia effimera e superficiale, in un contesto come quello attuale può indurre a qualche scandalizzato scuotimento di testa; tanto più che intendiamo farlo con tono serio, come se invece si trattasse di argomento importante. E tuttavia siamo anche convinti che quello che scuote l’interesse popolare e coinvolge tanta gente sia comunque degno di attenzione, soprattutto quando stimola riflessioni ben più profonde, sui massimi sistemi. Sì, perché quello che è accaduto negli ultimi giorni culminando nella mancata disputa della partita clou del turno di campionato, Juventus-Napoli, e il dibattito che si è aperto e che terrà banco nei prossimi giorni minaccia di essere assai più rilevante di se stesso perché, di fatto, contrappone salute e soldi, prevenzione ed economia, contagio e impoverimento.
Che poi, a ben considerare, è la madre di tutte le questioni, lo stesso conflitto di cui da mesi si dibatte in ogni sede e che sarà sperabilmente risolto da uno dei due dei ex machina attesi, vaccino e recovery fund, magari entrambi.

Solo che adesso la questione si pone in termini di bruciante urgenza, contrapponendo addirittura due ordinamenti, quello dello Stato rappresentato dall’Asl Napoli 1 e quello sportivo e privato, rappresentato dalla Lega Calcio Serie A. Come dite? Che in termini di diritto lo Stato prevale su ogni ordinamento privato operante sul territorio? Sì, così dovrebbe essere e così risultava anche a noi. Ma a fronte della prescrizione all’isolamento fiduciario dell’Asl inflitta al Napoli, per avere un rischio elevato di positività al Covid-19 in incubazione avendo registrato due calciatori positivi, la Lega ha detto: no, amici cari, si gioca. Perché lo spettacolo deve continuare e girano un sacco di milioni di euro, quindi se non vi presentate perdete tre a zero a tavolino. E poco importa se non potete partire, se vi state attenendo a una prescrizione che ha valore di legge, se non volete commettere un reato. Noi dobbiamo andare avanti, e non ci possiamo fermare davanti a una bazzecola come la salute vostra e dei vostri avversari, che potreste contagiare come peraltro è successo a voi la settimana scorsa, quando il Genoa che aveva una ventina di positivi è venuto al San Paolo ugualmente, immolandosi in un risultato tennistico ma facendo girare comunque la ruota dell’ingranaggio.

Immaginiamo la faccia incredula del lettore che non si interessa di calcio e che legge comunque queste note. Mai possibile? Esiste una simile arroganza? Sì, caro lettore. Esiste eccome. E opera in piena tranquillità, ignorando raccomandazioni e indicazioni. E addirittura vorrebbe, questa incredibile supponente arroganza, aprire agli spettatori almeno il venti per cento della capienza degli stadi, ventimila persone assembrate all’ingresso e all’uscita anche se all’interno assai ipocritamente distanziate di un metro, tanto chi se ne frega se gli ospedali traboccano di nuovo, se in terapia intensiva ci sono tanti pazienti e se c’è il dubbio se tenere aperte le scuole o meno.

Tutto si può fermare, in Italia, tranne il calcio. Che vince sempre il campionato della faccia tosta e della strafottenza.

Egitto. La diga etiope che toglie il sonno al Cairo

La lastra di granito risalente al tempo dell’antico re egiziano Djoser, scoperta anni fa nei pressi di Assuan, è tornata alla ribalta grazie alla crisi della diga etiope sul fiume Nilo. La pietra racconta la storia di una siccità verificatasi durante il regno di Djoser che durò sette anni, durante i quali il Nilo cessò le inondazioni durante la sua solita stagione per l’irrigazione provocando siccità e carestie. La pietra – incisa in caratteri geroglifici in 42 colonne. – raffigura il sovrano dell’epoca mentre offre doni a tre divinità per scongiurare la siccità durante l’era dei Tolomei, che governarono l’Egitto dal 332 al 31 aC.

L’Egitto, la cui terra è principalmente un deserto con scarse precipitazioni, dipende dal fiume Nilo Azzurro per oltre il 95% del suo fabbisogno idrico e per la grande diga di Assuan che fornisce l’elettricità alla gran parte del Paese. Il Cairo nutre preoccupazioni per la sua sicurezza idrica dal 2011, quando l’Etiopia ha iniziato a costruire la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) al costo di 6 miliardi di dollari, che tratterrà 74 miliardi di metri cubi all’anno di acqua dal Nilo. Addis Abeba cerca di trasformare il GERD nel più grande progetto energetico del continente africano, ma il Cairo denuncia che ciò avrebbe un impatto devastante sulle sue quote di acqua che superano i 55 miliardi di metri cubi l’anno, la maggior parte delle quali proviene dal Nilo Azzurro. Per trovare una soluzione alla crisi l’Egitto si è rivolto al Consiglio di sicurezza dell’Onu denunciando che la questione della diga avrà enormi conseguenze sul popolo egiziano – e anche su quello sudanese – e che sono necessari sforzi e cooperazione da parte della comunità internazionale per trovare una soluzione equa a questa crisi.

L’Etiopia ha annunciato lo scorso luglio il completamento del primo riempimento della diga senza aver raggiunto un accordo né con il Sudan e né tantomeno con l’Egitto, aprendo una crisi di difficile soluzione. L’ ultimo incontro tripartito si è tenuto alla fine di agosto sotto gli auspici dell’Unione Africana senza produrre nessun risultato. La parola ora passa all’Onu.

 

Green New deal: troppe liti, la salute può attendere

La strategia europea per le sostanze chimiche, fulcro del Green New Deal per l’Europa, divide la Commissione Ue. Secondo documenti interni a cui Mediapart ha avuto accesso, la Direzione generale per la Salute si oppone con forza ad una proposta della Direzione generale per l’Ambiente: quella di estendere, in via precauzionale, la possibilità di vietare delle sostanze chimiche unicamente sulla base della loro pericolosità intrinseca. Al contrario, la DG Salute preferisce che siano effettuate delle valutazioni del rischio mirate, in funzione dell’uso della sostanza. Questa battaglia – molto tecnica, ma anche molto politica – si sta combattendo dietro le quinte, nell’ambito dell’elaborazione della “Strategia per la sostenibilità dei prodotti chimici”, un documento che sarà presentato dall’esecutivo di Bruxelles il 14 ottobre.

Il testo, per un ambiente “non tossico”, al centro del Green New Deal caro alla Commissione di Ursula von der Leyen, ha generato, lo si può immaginare, grandi aspettative tra gli ambientalisti che chiedono da anni di colmare le lacune delle legislazioni sulle sostanze chimiche. Uno degli esempi più noti riguarda il Bisfenolo A. La sostanza è riconosciuta come “tossica per la riproduzione” e come perturbatore del sistema endocrino dal regolamento europeo Reach (“Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche”). Sappiamo dunque che è pericoloso. Ma è vietato solo nella produzione della carta termica per gli scontrini fiscali e dei biberon. È presente invece anche nei rivestimenti delle lattine, nei cartoni delle pizze o in alcune bottiglie d’acqua. “Non sono stati effettuati studi prospettici dal 2001 – spiega Pelle Moos, dell’Ufficio europeo delle associazioni di consumatori -. È un’opportunità per tutta una generazione”. “Questa strategia potrebbe cambiare le carte in tavola”, aggiunge Tatiana Santos, della ONG European Environmental Bureau (EEB). Dal punto di vista delle industrie, invece, ci si comincia a preoccupare di una “rivoluzione della legislazione, piuttosto che di un’evoluzione”, come sostiene Sylvie Lemoine, direttore esecutivo della gestione di prodotto del Cefic, il Consiglio Europeo Industrie Chimiche. La posta in gioco è alta. In Europa circa 140.000 sostanze chimiche sono presenti sul mercato nella maggior parte degli articoli che consumiamo, il 74% dei quali presenta delle proprietà pericolose per la salute. Ma la chimica è anche un settore economico potente, con un tessuto di 2.000 aziende in Europa e 1,2 milioni di lavoratori. La regolamentazione del settore dà quindi luogo a un intenso braccio di ferro tra imperativi sanitari e realismo economico. “La sfida è scegliere tra un sistema incentrato sul pericolo intrinseco delle sostanze, basico ma molto pratico e protettivo, e un sistema in cui tutto deve essere provato, attraverso valutazioni dettagliate dei rischi e studi lunghi non sempre necessari”, spiega uno specialista di un’agenzia di uno Stato membro dell’Ue. Oggi il diritto europeo si basa su una combinazione dei due approcci.

La DG Salute ha fatto sapere che non darà il suo “sostegno all’espansione generalizzata di un processo decisionale basato sul pericolo”, si legge nei documenti consultati da Mediapart. Queste tensioni si cristallizzano attorno a un concetto noto solo agli addetti ai lavori: la valutazione del rischio.

L’idea è semplice: quando una sostanza è classificata in Europa come cancerogena, mutagena o tossica per la riproduzione (CMR), una serie di divieti vengono attivati quasi automaticamente. Lo scopo è di agire in fretta e prendere decisioni sulla base di queste proprietà pericolose, senza entrare nei dettagli di valutazioni approfondite che consentirebbero, molto teoricamente, un uso “sicuro” della sostanza. Questa possibilità esiste già nel regolamento Reach. Quando una sostanza è riconosciuta come “CMR”, non può più essere venduta nei negozi così come è, né sotto forma di miscele liquide. Di recente, 33 sostanze “CMR” sono state vietate nei prodotti tessili. Ma non è tutto. Una classificazione “CMR” fa scattare divieti anche in alcune legislazioni di settore, come quelle sui giocattoli, i cosmetici o i pesticidi, ma non in altri settori, come quello dei materiali a contatto con gli alimenti. La DG Ambiente propone di estendere questa “valutazione generica del rischio” a sostanze neurotossiche, agli allergeni e soprattutto ai perturbatori del sistema endocrino i cui effetti nefasti sulla salute sono sempre più documentati. Stime scientifiche parlano di 1.400 perturbatori del sistema endocrino nel nostro ambiente. Oggi solo 19 sono considerati “sostanze estremamente preoccupanti” dal regolamento Reach. La valutazione generica del rischio si applicherebbe a tutta la legislazione, compreso il diritto alimentare, settore di competenza quasi esclusivo della DG Salute, che, come gli industriali, si oppone alla proposta della DG Ambiente. I funzionari della DG Salute si basano in realtà su un corpus legislativo, il diritto alimentare dell’Agenzia europea per la sicurezza degli alimenti (Efsa), precedente al Reach e basato in generale su valutazioni del rischio mirate. Per la DG Salute dunque: “Il sistema attuale funziona bene”, si legge nel documento. Eppure le carenze di questo sistema sono state dimostrate in numerose occasioni. Nel 2018, quattro ftalati sono stati soggetti a restrizioni nel regolamento Reach, in particolare perché alterano il sistema endocrino. Queste sostanze, usate per rendere flessibili le plastiche, si trovano nelle tende da doccia, nei pannolini o ancora nei guanti di plastica. Ma a queste restrizioni, che si applicano alla maggior parte dei beni di consumo, sfuggono i materiali a contatto con gli alimenti. Secondo Barbara Demeneix, endocrinologa, specialista indiscussa di perturbatori del sistema endocrino, è “assolutamente necessario che la Commissione europea non rinunci alla proposta di un approccio basato sul pericolo intrinseco delle sostanze, anche nella legislazione relativa al diritto alimentare. Secondo la società di endocrinologia – aggiunge Barbara Demeneix -, il perturbatore del sistema endocrino dovrebbe essere vietato appena identificato”.

Dai documenti consultati da Mediapart, la DG Salute è contraria anche all’introduzione di un “fattore di valutazione delle miscele”. Eppure “tutti – sottolinea ancora Barbara Demeneix – siamo esposti a molteplici sostanze i cui effetti combinati sono più pericolosi degli effetti di ciascuna sostanza presa singolarmente”. La questione delle miscele è invece stata totalmente ignorata finora. La DG Ambiente propone una ricetta generale valida per tutto: nel momento in cui una sostanza viene registrata, le verrebbe applicato un “fattore” per calcolare il suo potenziale impatto sulla salute umana, combinato con altre sostanze alle quali potrebbe essere associato, e di cui si dovrebbe tenerne conto nelle valutazioni. Ciò permetterebbe, a titolo precauzionale, l’obbligo di abbassare la concentrazione considerata “accettabile” di molte sostanze nei prodotti di consumo. La DG Salute invece ritiene che sia troppo presto per imporre un tale “fattore” e si appoggia sul lavoro che l’agenzia per la sicurezza alimentare svolge da più di quindici anni per cercare di affrontare in modo più mirato la questione delle “miscele”. “Il problema è che è impossibile definire con precisione gli effetti combinati di decine di migliaia di sostanze. Il “fattore” è una risposta scientifica alle incertezze”, spiega una fonte europea. L’impatto di una tale misura sarebbe immediato sull’industria, per esempio nel settore degli additivi alimentari, la cui concentrazione dovrebbe essere ridotta quasi immediatamente. I punti di vista delle diverse amministrazioni ormai sono noti. Spetta ora ai commissari europei prendere la decisione. È il momento di fare una scelta politica. Una scelta che impegnerà l’Europa – e la salute di 448 milioni di europei – per i prossimi quindici anni.

(Traduzione di Luana De Micco)