“House of Virus” con Trump anzichè Frank: è stata la Cia?

Ese fosse stata la Cia? Se fossimo già tutti seduti di fronte al set di House of Virus, nuova serie ad alto tasso di complottismo, con luci e musica adeguate ai protagonisti, oltre a Donald Trump al posto di Frank Underwood? Il presidente spaccone, la morbida assistente, la bandiera a stella e strisce che sventola sulle sciagure umane. Tutto secondo la trama dell’eterna Fiction-America che fa i conti con l’America Reale, nel perpetuo slittamento di senso a cui ci addestrano i network e le piattaforme planetarie, anche questa volta imprigionandoci al centro del centro di Washington, la capitale del mondo dove si narrano i labirinti del mondo. E quelli di Netflix.

Ci siamo: dopo la pubblicità, dopo la sigla ridondante come il coro del Nabucco, ecco le ombre dei sacerdoti del Secret Service che si muovono laggiù

In primo piano l’erba verde davanti alla West Wing, mentre atterra l’elicottero Marine One. Militari schierati in alta uniforme scattano sull’attenti. Il presidente scende barcollando. Si bilancia, saluta, caracolla. Piccole voci di allarme tra gli operatori televisivi. La Casa Bianca che si chiude alle sue spalle, è tetra come la notte che sta scendendo.

E col favore della notte eccoci al primo tratto del labirinto. Per sbarazzarsi del più ingombrante inquilino della White House non servono più allestimenti eclatanti. Basta usare il deterrente al momento più diffuso. Non il Polonio. Non il Novichok o un’altra diavoleria da laboratorio super segreto, come fanno da anni quei fessi dell’Fsb a Mosca, tutti allievi dello zar Putin, che li sacrifica volentieri per il gusto di firmare le sue minacce, e rivendicarle per il puro piacere della pedagogia politica coniugata alla sua personale propaganda omicida. No. I papaveri di Langley, Virginia, quartier generale del perpetuo potere americano che governa quello provvisorio in transito dentro la Stanza Ovale, adottano quando possibile il basso profilo e dunque l’arma più anonima di questi tempi calamitosi, una banale droplet di SarsCov2, opportunamente trasporta da un vettore inconsapevole. Meglio se con gli occhi blu della più bella tra gli assistenti del Comandante in Capo, l’adorabile Hope, che vuol dire Speranza, ex modella, 31 anni, passata da Vogue all’Air Force One in un batter di lunghissime ciglia.

Ma intanto i corrispondenti dalla Casa Bianca, chiamano le rispettive redazioni centrali: “Sta succedendo qualcosa, teniamoci pronti”.

Dopo un tempo cospicuo e concitato, arriva la prima comunicazione ufficiale ai media: “Il presidente è stato contagiato dal virus”. Squillano le trombe delle Breaking News. Segue il piccolo tweet del grande malato: “Questa sera la First Lady e io siamo risultati positivi. Inizieremo immediatamente la nostra quarantena. Ce la faremo insieme”.

Secondo colpo di scena al minuto trenta, come prevedono i manuali d’alta sceneggiatura: “Il presidente è stato trasferito nella notte all’ospedale militare Walter Reed”. Quindi non va tutto bene. Le fonti ufficiali smentiscono, rassicurano, il ricovero è solo “a scopo precauzionale”, e le condizioni di salute del presidente “non sono in deterioramento”. Brutto eufemismo che evoca il significato opposto.

Crollano le Borse asiatiche in attesa del crollo di quelle occidentali. La scala Defcom, il sistema di allarme delle forze militari americane è salito al Livello 4, che significa “allarme verde in tempo di pace”, tutti “i sistemi di sicurezza attivati”. Restano nelle mani del presidente i pieni poteri, compresa la fatidica valigetta con i codici nucleari, ma il vice presidente, un tale Mike Qualcosa è pronto a scendere in campo, vedremo.

E la campagna elettorale? Slitta, rallenta, si ferma. Meglio stemperare le tensioni accumulate nel primo faccia a faccia che sembrava wrestling, in giacca, cravatta e insulti. Meglio fermarsi e dare la sveglia ai figuranti del Palazzo, visto che le rivelazioni sulle tasse mai pagate dal miliardario presidente sono scivolate come acqua sui vetri.

Il complotto è in marcia. Nessuno per il momento sospetta anche se i segugi del Washington Post hanno appena indossato gli impermeabili da grande inchiesta. Ma intanto si allentano come d’incanto tutti i nodi scorsoi che si stavano stringendo al collo degli Stati Uniti d’America in viaggio verso il fatidico 3 novembre, il giorno elettorale, considerato dagli analisti a “rischio democrazia” per i capricci di Donald l’Ostinato che diceva: “No, non accetterò la sconfitta. Se perdo sarà per colpa dei brogli postali”.

Ecco un presidente che tira troppo la corda, devono essersi detti i capi delle Agenzie di sicurezza, qualche banchiere d’alto rango, qualche cartello di multinazionali legali e illegali, legati da flussi di contante offshore. Proprio come ai tempi di Dallas, quando per riparare i danni di un altro presidente, bastarono tre colpi di fucile da tre punti diversi di Elm Street, più un tale Lee Oswald da sacrificare davanti all’opinione pubblica in lacrime furenti.

Ce la farà Donald ad accettare la sconfitta in cambio di un vaccino? E l’adorabile Hope troverà il prossimo uomo della sua carriera? Dopo la pubblicità, inventatevi il resto.

Periferie, quel “postaccio” illuminato solo da X Factor

Se io fossi il ministro per i Beni culturali licenzierei tutti i cortigiani profumatamente pagati come suoi consiglieri (l’elenco è online), e correrei a incontrare un ragazzo perugino di vent’anni: Franco Popi Rujan, in arte Blind. Chi giovedì scorso abbia visto X Factor (che sarà pure un incartatissimo cioccolatino televisivo, ma è più istruttivo e umano di tutti i giornali italiani messi insieme), capirà subito perché. Blind ha cantato (meravigliosamente, nonostante tutte le ingenuità dell’età) l’inedito Cuore nero e, prima di cantare, ha spiegato dove affondi le radici il suo male di vivere: “Sono venuto qui a riscattare me e la mia vita, vivo a Ponte San Giovanni, la prima periferia di Perugia, si può dire un postaccio. Questo posto per me rappresenta gioia, pianti e rabbia. Dopodiché ognuno capisce il valore che ha nella vita ed esce da queste mura perché questo è un carcere. Da adolescente ho perso la testa, mi sfogavo andando via di casa per tre o quattro giorni senza dire nulla a nessuno, andavo a farmi e stavo con gente più grande di me. Con il tempo ho capito che valgo più di tutte quelle situazioni che mi circondavano. Ho fatto un percorso che non pensavo di riuscire a fare. I miei amici sono importantissimi, e il video della mia prima canzone l’ho fatto grazie a una loro colletta”.

Le telecamere di X Factor sono andate a intervistarlo, lì: a Ponte San Giovanni. E così tra le luci e i lustrini dello studio di Sky è apparsa per un attimo la realtà del Paese: una periferia pensata e costruita davvero come un carcere, con casermoni disumani a chiudere ogni via d’uscita, materiale ed esistenziale. E no, non era Milano, Roma, Napoli: no, era l’orlo della dolce e gentile, medioevale Perugia: che la nostra generazione è riuscita a sfigurare, serrandola in una squallida morsa di cemento e infelicità.

Naturalmente la storia di Blind non parla certo solo al ministro per i Beni culturali: parla dell’abbandono del progetto della Costituzione, del tradimento della Sinistra, del fallimento della scuola e del suicidio dell’università. Ma in quelle poche parole, Blind ha scelto di parlare della periferia, di un luogo fisico: “Un postaccio”. Ha di fatto parlato del rapporto tra pietre (anzi, tra cemento) e popolo: andando al cuore della missione di chi dovrebbe governare la forma delle città italiane.

Rispondendo, il giorno di Ferragosto, a un mio articolo su queste pagine, il ministro Franceschini ha scritto: “Perché non accettare che un lavoro architettonico di grande qualità possa colmare ad esempio un vuoto di un nostro centro storico… Perché essere contro tutto ciò che innova e osa? Perché attaccare la Loggia di Isozaky, vincitrice di un concorso internazionale cui hanno partecipato i più grandi architetti, solo perché è un’opera contemporanea nel centro di Firenze?”.

Ci sono molti modi efficaci per rispondere a questa domanda. Alcuni stanno dentro il perimetro di un dibattito culturale secolare sul rapporto tra nuovo e vecchio, e di una tradizione avanzatissima di leggi di tutela che hanno reso le nostre città storiche così felicemente diverse da quelle inglesi o tedesche. Ma prima di arrivare a questo, c’è – come un macigno – il discorso di Blind a X Factor. Che porta a una conclusione molto semplice: ogni centesimo di euro sottratto alla riumanizzazione urbanistica e architettonica delle periferie è un vero e proprio crimine contro la vita di chi è imprigionato in quei “postacci”. I 12 milioni di euro gettati dal ministero per i Beni culturali nella Loggia di Isozaki (la datatissima, mediocre uscita dei Grandi Uffizi) sono 12 milioni tolti alla salvezza delle Piagge (per rimanere a Firenze, e citarne una delle più dure periferie). E, per favore, non si dica che c’è posto per tutti, che una cosa non esclude l’altra: perché lo sappiamo tutti che questa è una menzogna, lo è sempre stata: ci si continua a gingillare sciupando i centri storici, mentre le periferie giacciono nel più completo abbandono.

L’Ance, l’associazione dei costruttori, tuona da settimane perché il Decreto Semplificazioni non permette di agire come vorrebbero sui centri storici. Che però sono abbastanza esposti alle ruspe da consentire al sindaco di Genova il surreale annuncio di “un nuovo centro storico”: un centro che sarà trasfigurato grazie all’aver reso “possibili anche le demolizioni”. È una semplice, e notissima realtà: i costruttori e la politica vogliono incidere dove più alta è la rendita immobiliare, cioè nelle parti delle città che nutrono, e sono nutrite da, tutti i poteri. Delle periferie, dei “postacci” non ne vogliono sapere. E non è un caso se le periferie non votano più, se i partiti un tempo di sinistra hanno consenso solo nei ricchi centri storici.

Come accadeva a Omero e a Tiresia, la cecità (in questo caso metaforica) di Blind permette di vedere e dire la verità. Che qualcuno lo ascolti, prima che il cemento inghiotta altre generazioni.

“Dopo il virus saremo più cattivi, impauriti e forse meno liberi”

Con la pandemia diventeremo più cattivi, e le strade delle nostre città si faranno più violente? Enrico Giovannini elenca, da medico non compassionevole, la quantità di rischi che stiamo per correre.

Professore, la pandemia doveva liberare le nostre energie creative. Doveva essere il nuovo inizio. Invece saremo più poveri e più cattivi.

Quando le crisi si fanno ricorrenti il sistema diventa instabile e ci si avvicina a quelli che si definiscono “punti di non ritorno”. In Europa, in dieci anni abbiamo conosciuto la crisi del 2009, quella del 2011, quella migratoria del 2015 e l’attuale da Covid.

L’Occidente traballa infatti.

Secondo la teoria dei giochi applicata alla democrazia quest’ultima è come un mercato in cui i cittadini chiedono soluzioni ai loro problemi e i politici, usando diverse piattaforme, le offrono.

Le offrono?

Le offrono prima delle elezioni. Dopo, quando non le realizzano, i politici possono spiegare i motivi dell’ostacolo: ora la recessione, ora l’Europa, ora la burocrazia e per i cittadini è difficile capire se sono motivi seri o scuse. Chi ha il potere gode di questo vantaggio informativo e questo spiega perché politici incapaci possono essere rieletti.

Il potere sta sempre al coperto, non porta mai responsabilità.

Una delle conclusioni di questi modelli è che le elezioni non sono in grado, da sole, di risolvere questa asimmetria informativa e quindi di spingere gli eletti a fare ciò che vogliono gli elettori.

Non ci resta che l’oligarchia!

No, serve aumentare l’informazione a disposizione dei cittadini. Ma a questi modelli razionali basati su logiche matematiche si contrappongono quelli basati sulle neuroscienze, che ci spiegano che le elezioni si vincono se non si parla solo alla ragione ma anche all’emozione. Drew Westen, che è stato consigliere di Obama, ha affrontato in un saggio i motivi per cui, dai tempi di Roosevelt in poi, Clinton fosse stato l’unico democratico a essere rieletto alla presidenza, mentre solo un repubblicano avesse fallito la battaglia per la rielezione. Westen fa di più: effettuando la risonanza magnetica su un gruppo di democratici e su uno di repubblicani, dimostra che la pancia conta più della testa e la ragione, che è democrat, soccombe davanti all’emozione, molto più capace di essere stimolata dai repubblicani.

Anche la paura è un’emozione.

Altro che! Ma i social media e la profilazione degli elettori grazie ai big data mettono in crisi il funzionamento stesso della democrazia perché riescono a manipolare in modo puntuale, persona per persona, l’emozione. Il politico che usa il social può riuscire invece a inoculare nel corpo elettorale una motivazione estranea all’autonoma elaborazione: così facendo induce i cittadini a domandare soluzioni ai problemi scelti dal politico. In questo modo, una questione, in sé speciosa o solo propagandistica, diverrà un tema sentito e popolare e guarda caso il politico appare come quello che ha proprio la soluzione di quel problema.

È per questo che lei chiede che i fondi del Next Generation Eu siano indirizzati al sostegno di programmi per la conoscenza?

Sì, ma non si tratta solo dello sviluppo del nostro sistema scolastico, ma di un’azione di formazione continua. L’ultima indagine Ocse sulle competenze della popolazione adulta ci pone, nella classifica degli incompetenti, al posto d’onore. Circa il 30 per cento della popolazione raggiunge solo il primo livello, quello basico, di capacità di comprendere un testo, fare calcoli matematici, ecc., mentre negli altri Paesi solo il 5 per cento di persone ricade in questa classe.

Altro che creativi e talentuosi.

Certo, i talenti non mancano. Gli incompetenti però sono tanti di più.

La paura sale.

Anche la democrazia si basa sulla paura, ma una quantità modica. Quando aumenta oltre certi limiti le persone sono pronte a tutto pur di farsi difendere, anche a dar via la libertà.

Il governo prepara la stretta, Juve e Lega A se ne fregano

Se il 23 agosto affermava sicuro che “non ci sarà un nuovo lockdown”, ora Roberto Speranza non lo esclude più in maniera categorica: “Chi è al governo – ha detto ieri il ministro della Salute a Mezz’ora in più su Rai3 – deve lavorare per evitare un nuovo lockdown”. Che, quindi, resta sul tavolo. Un cambio di tono le cui ragioni sono rintracciabili nei numeri degli ultimi giorni. I nuovi casi di Covid-19 comunicati ieri dal dicastero sono stati 2.578, a fronte di 92.714 test. Nelle 24 ore precedenti il contatore era salito a 2.844, ma i tamponi erano stati 118.932. Venerdì, poi, i 2.499 nuovi positivi erano emersi dal record di 120.301 analisi della Pcr registrato dall’inizio dell’emergenza. Tradotto: nonostante il calo di test che si verifica puntuale ogni fine settimana, i contagi sono rimasti alti. Segno che il virus continua a circolare, senza che si possa ancora quantificare appieno quanto inciderà la riapertura delle scuole.

La Campania resta osservata speciale. Ieri la Regione ha registrato altri 412 casi, in aumento dai 401 di sabato e con tamponi ancora in calo: 7.250 rispetto ai 7.498 delle 24 ore precedenti. Ci saranno “azioni mirate in relazione ai fenomeni di assembramenti pericolosi e ai problemi relativi all’apertura dell’anno scolastico”, ha annunciato ieri il governatore Vincenzo De Luca. Ma a tenere banco nella discussione pubblica è una questione calcistica. Sabato il Napoli di Rino Gattuso non era partito per Torino dove ieri sera era in programma la partita con la Juve, fermato dalla Asl dopo che due giocatori – Zielinski ed Elmas – erano stati trovati positivi. Il club bianconero aveva subito annunciato che la squadra di Pirlo sarebbe comunque scesa in campo all’Allianz Stadium e ieri, giorno in cui i dati hanno confermato le preoccupazioni degli esperti, la Lega ha ribadito che la gara doveva essere giocata: “La nota della Asl si è limitata a notificare il provvedimento di isolamento fiduciario nei confronti dei contatti stretti del giocatore Zielinski. Nel caso di specie, invece, si applica il Protocollo Figc concordato con il Cts”. La norma è “applicabile alla situazione del Napoli” ed “è la stessa utilizzata più volte nel corso della stagione per permettere al Torino di affrontare l’Atalanta, al Milan di recarsi a Crotone o al Genoa di andare al San Paolo, e all’Atalanta di scendere in campo contro il Cagliari”. “Parliamo troppo di calcio – ha chiosato Speranza –. Le cose importanti ora sono altre”. Anche se i contagi giornalieri ieri erano in lieve calo, infatti, la tendenza settimanale continua a preoccupare. Tra il 27 settembre e il 3 ottobre – ha calcolato Mario Mazzocchi, ordinario di Statistica a Bologna – le Asl hanno contato 14.647 nuovi casi, in aumento dagli 11.535 dei 7 giorni precedenti, dai 10.272 di quelli prima ancora e dai 4.698 registrati tra il 16 e il 22 agosto, 24 ore prima che Speranza escludesse il lockdown. Ieri il governo ha incontrato i capi delegazione dei partiti di maggioranza: sul tavolo le misure da mettere nel nuovo decreto tra cui le mascherine obbligatorie anche all’esterno tranne che in casi particolari (sport o luoghi isolati), la necessità di far sì che le deroghe in peius decise dalle Regioni tornino a essere valutate dal Cts e quella di insistere nella diffusione della app Immuni. In attesa del testo con le misure (tra cui anche feste, battesimi e matrimoni a numero chiuso, verifiche nelle zone della movida, chiusure anticipate dei locali) che arriva oggi in Cdm e che domani Speranza presenterà in Parlamento, diversi territori considerano nuove strette.

Ieri in provincia di Latina sono stati contati 73 nuovi contagi, 25 solo nel capoluogo. Il direttore generale della Asl Giorgio Casati ha persino invitato la cittadinanza “a uscire solo in caso di necessità”. “Non avevamo questi numeri neanche durante il lockdown”, spiega il sindaco Damiano Coletta, che aveva reso obbligatorie le mascherine in strada prima che lo facesse la Regione Lazio. Alle 12 si terrà un vertice in Prefettura tra Comune, Asl, Regione e Provincia. “Parte dei link sono dovuti a trasmissione famigliare del virus – argomenta il primo cittadino – altri sono legati a cerimonie, matrimoni e funerali. Serve responsabilità da parte dei cittadini. Probabilmente adotteremo provvedimenti restrittivi in alcuni settori, cercando di limitarne il costo economico”. Non sono escluse misure più ampie a livello territoriale.

“Basta litigare e guardarci l’ombelico: lavoriamo per organizzarci sui territori”

Che il Movimento stia diventando un partito, come sostiene Davide Casaleggio, lui non lo pensa. Fabio Massimo Castaldo, eurodeputato M5S e vicepresidente del Parlamento europeo, spinge per una segreteria collegiale vista come sbocco di una evoluzione fisiologica dei 5 Stelle. Ma chiede soprattutto che il Movimento non si faccia del male da solo, trasmettendo l’idea di essere “una nave alla deriva”.

Fabio Massimo Castaldo, state davvero diventando un partito?

Una premessa: mi metto nei panni di un cittadino che vede continue esternazioni al nostro interno e rimango esterrefatto. C’è una pandemia in corso e noi diamo l’impressione di guardarci l’ombelico, dediti al tafazzismo. Detto questo, la questione è mal posta. Il dato di fatto è che il M5S soffre una palese carenza di organizzazione che non si risolve pensando solo alla governance nazionale. Nessuno ha speso una parola sulla rete territoriale, sul perché abbiamo perso centinaia di consiglieri comunali.

Non dovevano pensarci i facilitatori?

È stata una riforma a metà. Si sono create le figure ma non le si è messe in grado di lavorare. Per incidere sui territori ci vorrebbero squadre di tecnici e adeguate risorse economiche, oltre a una formazione costante su ciò che più serve: bilancio, ambiente, mobilità, urbanistica.

Ma lei è favorevole a una segreteria unitaria?

Sostengo da anni che serva una governance collegiale in cui mi piacerebbe che fossero rappresentati eletti nei Comuni, nelle Regioni, al Parlamento e in Europa. Un organo formato sul modello delle elezioni comunali: tante liste che si confrontano e ottengono rappresentanza sulla base del voto degli iscritti, garantendo efficacia dell’azione a chi vince ma anche rappresentatività. L’importante è che si rinunci alla logica del “chi vince prende tutto”.

I cambiamenti di questi anni sono una evoluzione fisiologica o avete tradito le origini?

Come in tutti i percorsi si parte con le migliori intenzioni, ma si può constatare che l’applicazione pratica di alcuni totem cozza con la realtà ed è giusto interrogarsi e fare proposte.

Che ruolo vede per Casaleggio?

Spero ci sia un confronto attorno a un tavolo che chiarisca dirritti, doveri e poteri di tutti, salvaguardando uno strumento importante come Rousseau che può ancora continuare a consentirci di veicolare la democrazia partecipativa, che è il nostro dna. Ma tutti devono fare un passo indietro.

Si parla di abolire il finanziamento obbligatorio a Rousseau o di stabilire un contratto di affidamento per i servizi.

Sono tutte idee da prendere in considerazione. Mi piacerebbe però che la smettessimo con questa spirale di stoccate reciproche.

Il comitato di garanzia ha scomunicato Casaleggio.

Era doveroso puntualizzare la posizione di Casaleggio rispetto al Blog. Purtroppo il muro contro muro alimenta la sensazione che, al posto che organizzare meglio la nave, la stiamo mandando alla deriva.

Per Di Battista c’è futuro nel M5S?

Ha dato tanto al M5S e spero possa far parte del nostro nuovo percorso, ma non dobbiamo cadere nel dibattito sul leaderismo: il leader non è un deus ex machina. Parliamo delle idee, non solo di nomi e alleanze.

Però sulle alleanze ci si divide. Il futuro del M5S è nel centrosinistra?

Non si può dire “sempre sì” o “sempre no”, a meno che non si tratti della Lega con cui si sono già evidenziate tutte le distanze e che ha già dimostrato la sua inaffidabilità. Bisogna valutare se si possono proporre impegni programmatici agli alleati su nostre battaglie storiche, chiedendo orizzonti temporali stringenti e coperture credibili. Alle Regionali non è stato fatto, ma non per colpa di Crimi, che anzi ringrazio.

Casaleggio minaccia la scissione. I garanti M5S: “Il blog non è tuo”

Questa volta non c’è bisogno di alcun retroscena. Il malumore era noto da tempo, ma adesso Davide Casaleggio sceglie di mettere nero su bianco tutta la sua contrarietà per la direzione governista intrapresa dal Movimento 5 Stelle, minacciando per la prima volta di lasciare la creatura che fu di suo padre Gianroberto. E poco dopo arriva la replica dei vertici grillini, che scomunicano Casaleggio accusandolo di aver utilizzato il blog e il simbolo del M5S per fini personali “non condivisi con gli organi del Movimento”.

Casaleggio lancia la sua invettiva nel giorno dell’undicesimo compleanno del Movimento, per mezzo di un post sul Blog delle stelle subito rilanciato da Alessandro Di Battista (“Vi consiglio di leggerlo”), l’unico big dalla parte di Casaleggio e contrario all’ipotesi di una segreteria. È su questo che insiste Casaleggio, ricordando alcune “promesse” storiche del M5S: “La prima è che non saremmo mai diventati partito, non solo come struttura ma soprattutto come mentalità. Il M5S si autofinanzia, crede nel rinnovamento generazionale, ha il suo fondamento nell’idea che la politica non debba diventare professione”.

Insomma: “Il partitismo è incompatibile con l’idea di movimento”. Con tanti saluti all’ipotesi di una struttura collegiale. Roba che potrebbe far allontanare il guru di Rousseau dal M5S: “Qualora, per qualche motivo, si avviasse la trasformazione in un partito, il nostro supporto non sarà più garantito, dal momento che non sarebbe più necessario poiché verrebbero meno tutti i principi su cui si basa l’identità del M5S”.

Parole che richiamano quelle pronunciate nei giorni scorsi proprio da Di Battista, intervenuto a PiazzaPulita su La7 e poi ad Accordi&Disaccordi su TvLoft per ribadire il suo mal di pancia nei confronti della nuova linea 5 Stelle, paragonato all’Udeur di Mastella: “L’alleanza col Pd è la morte nera. E se passasse una linea diversa dalla mia farei altro”. Non una scissione, ma di certo neanche il capo corrente di minoranza. Il suo destino è comunque legato a quello di Casaleggio, che ieri ha anche confessato di aver “rifiutato la guida di un ministero”, rimarcando di aver dovuto “sopportare insinuazioni, attacchi e calunnie”.

Ma lo scontro interno è ormai palese. Al post di Casaleggio replica indirettamente Luigi Di Maio, che rivendica i successi del M5S di governo, ma soprattutto il Comitato di garanzia del Movimento, formato da Vito Crimi, Giancarlo Cancelleri e Roberta Lombardi: “Il Blog delle Stelle è il canale ufficiale del M5S e Davide Casaleggio non ricopre alcuna carica nel Movimento. Il post a firma Davide Casaleggio rappresenta una sua iniziativa, personale e arbitraria. Il fatto che il Blog delle Stelle sia gestito dall’associazione Rousseau non autorizza il suo presidente a utilizzarla per veicolare suoi messaggi personali non condivisi con gli organi del M5S. Il Movimento siamo noi, tutti, non è appannaggio di qualcuno in particolare”. Come a dire: la voce di Casaleggio non è (più) quella del Movimento.

La sai l’ultima?

 

Inghilterra Separati i cinque pappagalli che insultavano i visitatori dello zoo

Provvedimenti drastici contro i pappagalli bestemmiatori. Al Lincolnshire Wildlife Park di Friskney, in Inghilterra, una combriccola di cinque volatili turpiloquenti è stata separata e allontanata. Lo racconta il Guardian: i pappagalli cenerini Billy, Elsie, Eric, Jade e Tyson, riuniti in una colonia con altri 200 esemplari, avevano fatto comunella tra di loro, come ragazzini preadolescenti che si incontrano negli ultimi banchi di una classe. Gli uccellini – sostiene uno dei responsabili del parco – avevano una pessima influenza l’uno sull’altro: dopo essersi conosciuti erano diventati sempre più volgari. I cinque si radunavano nella stessa parte della gabbia e salutavano i visitatori con cordiali “fuck off” e altre imprecazioni del genere. Il pubblico in realtà si divertiva un sacco: i pappagallini erano diventati le star dello zoo. Malgrado questo, la gang è stata separata e distribuita in aree diverse del parco, con la speranza di attenuare l’effetto emulazione. I soliti perbenisti.

 

Salerno Entra nudo in chiesa per cantare “O sole mio”, viene portato via da un prete e dai carabinieri
Doveva essere un’esigenza artistica indifferibile quella che ha indotto un 48enne casertano a correre in chiesa, nudo, per cantare “O sole mio”. È successo pochi giorni fa a Ravello, in Costiera amalfitana: l’uomo, posseduto dal demone dell’estro e della creatività, si è fatto trovare senza vestiti nel sagrato, mentre celebrava un classico della canzone napoletana. I frati della chiesa di San Francesco, comprensibilmente scossi, hanno mobilitato le forze dell’ordine: sul posto sono intervenuti niente meno che carabinieri, polizia municipale e Croce Rossa. Lo racconta Salerno Today: “L’uomo è arrivato sull’altare, ha tirato la tovaglia e ha danneggiato un portafiori e il crocifisso. Uno dei frati è riuscito a farlo uscire dalla chiesa convincendolo a coprirsi ma l’uomo ha continuato ad inveire e cantare all’esterno”. Canzoni dei Beatles, di Michael Jackson e “O sole mio”. Repertorio poliedrico, esibizione stupefacente.

 

The Mirror Ragazzo inglese prenota un appuntamento con un’escort, si presenta la mamma del suo migliore amico
Ha chiamato un’escort e all’appuntamento si è presentata la mamma del suo migliore amico. Non è la sceneggiatura di un film di Boldi e De Sica, non è Rocco Siffredi che racconta una fantasia alla Zanzara: pare sia successo davvero. Lo racconta il Mirror: James è un ragazzo timido che si è arruolato nell’esercito inglese sei anni fa e da quel momento non ha avuto grande successo nelle relazioni con l’universo femminile, ma fa ricorso spesso e volentieri al sesso mercenario. Con enorme soddisfazione, dice lui, finché una sera, dopo aver preso l’ennesimo appuntamento, al suo capezzale si è presentata la mamma di un suo amico stretto. Nessun errore: la professionista ingaggiata via internet, su un sito che evidentemente non mostra il volto delle lavoratrici, era proprio lei. Come è andata? Come se nulla fosse. James era imbarazzato, la mamma non ha fatto una piega. Alla fine hanno convenuto entrambi di non parlarne con nessuno. Infatti James ha raccontato la storia solo ai giornali.

 

Chieti Traffico paralizzato da un auto della municipale in divieto di sosta: si beccano la multa dai loro colleghi
Una questione atavica: chi controlla i controllori? E nella fattispecie: chi fa la multa ai vigili urbani? Succede nella ridente Chieti: il traffico della cittadina la settimana scorsa è stato paralizzato per alcuni lunghissimi minuti per colpa di un’auto della pulizia municipale parcheggiata in divieto di sosta. Lo racconta Chieti Today: “L’auto era parcheggiata non solo in un tratto in cui vige il divieto di sosta, ma oltretutto occupando una parte della già stretta carreggiata. Il caso ha voluto che, proprio mentre l’auto era in sosta, nella stretta via del centro storico, sia passato anche un grosso camion, che ovviamente non è riuscito a passare”. Panico e delirio: cittadina bloccata per oltre mezz’ora; le fotografie della macchina dei vigili incivili vengono messaggiate freneticamente sulle chat dei chietini. Interviene, indignatissimo, il sindaco Umberto Di Primio, che scende dal palazzo del Municipio per risolvere la questione. La macchina viene spostata. Finisce con una multa ai vigili fatta dai vigili.

 

Oxford Professore di psicologia inventa il cerotto alla pancetta che aiuta a diventare vegani
Una notizia meravigliosa e inquietante arriva dall’università di Oxford: sono stati inventati dei cerotti alla pancetta per combattere la “dipendenza” dalla carne e aiutare a diventare vegani. L’iniziativa mefistofelica è di Charles Spence, professore di psicologia sperimentale, che avrebbe collaborato con una società alimentare per realizzare il cerotto magico. Strofinandolo, produrrebbe un odore simile a quello del bacon in padella. Un odore che per qualche ragione, invece di stimolare l’appetito, dovrebbe aiutare a far passare la voglia di carne. “Gli studi hanno dimostrato che il profumo può ridurre il desiderio di cibo – ha detto Spence all’Indipendent –. Il nostro senso dell’olfatto è fortemente collegato al gusto, quindi sperimentare segnali legati al cibo come l’odore di un aroma di pancetta, può portarci a immaginare l’atto di mangiare quel cibo”. Il pensiero di mangiare pancetta non è esso stesso come mangiare la pancetta? Così, su due piedi: no.

 

Spoleto Il leghista interviene in consiglio comunale: “Basta prendere in giro il volume dei miei capelli”
Ha i capelli lunghi, morbidi e lisci che gli scendono sulle guance come le orecchie della cagnetta di Lilly e il Vagabondo. Un Mocio Vileda avvolgente, curatissimo, davvero impeccabile. Una capigliatura che non lascia indifferenti. Eppure il consigliere leghista di Spoleto Stefano Proietti non ne può più, ha perso la pazienza. Si è sfogato in aula, durante una seduta comunale – racconta Today.it – “per difendere la sua acconciatura da attacchi pubblici e privati”. Poverino: “Negli scorsi giorni sono stato attenzionato pubblicamente. Non credo sia accettabile che qualcuno si prenda scherno della lunghezza e del volume dei miei capelli. A questi due soggetti voglio… vorrei… consigliare il mio parrucchiere che non solo è da uomo ma anche da donna e voglio confortare chi se n’è preoccupato che sono stato sottoposto a visita non più tardi di quattro anni fa da un noto professore, il quale mi ha garantito che non sono interessato da caduta importante e quindi credo di poter mutare nel colore e non nella lunghezza”.

 

Argentina Il deputato Ameri spoglia la fidanzata in videoconferenza durante una seduta del Parlamento
In videoconferenza succedono cose strane. C’è chi si addormenta e chi si fa trovare in mutande, ma quello che è capitato nel parlamento argentino, in una seduta su Zoom, non ha precedenti: l’onorevole 47enne Juan Emilio Ameri si è fatto beccare mentre spogliava e baciava il seno della sua compagna. In aula si discuteva di un argomento forse non appassionante, l’adozione di una legge a salvaguardia del fondo sovrano di Buenos Aires, ma Ameri era impegnato in altro. Ignaro di essere ben visibile ai colleghi e virtualmente all’intera nazione che l’ha portato in Parlamento, l’onorevole mandrillo ha stretto a sé la sua fidanzata, ha abbassato la sua t-shirt nera all’altezza del petto e ha iniziato a riempirlo di baci. Il tutto trasmesso in diretta sullo schermo gigante installato nel Parlamento di Buenos Aires dall’inizio della pandemia. Il presidente dell’organo legislativo Sergio Massa ha interrotto la seduta e sospeso il deputato. Il focoso Ameri ha poi rassegnato le dimissioni. In Forza Italia non sarebbe mai successo.

Metà della pioggia di un anno in 24 ore: è un sintomo dei cambiamenti climatici

Le alluvioni sono un fenomeno complesso, non si prestano a semplificazioni e battute da bar. Per comprenderle servono più discipline: meteorologi, climatologi, geomorfologi, idrologi, ingegneri idraulici, urbanisti. Proviamo a scomporre i diversi elementi del disastro di Limone Piemonte e della Valle Roya francese. Il primo ingrediente sono 600 millimetri di pioggia in meno di ventiquattr’ore. Cioè seicento litri al metro quadro che da quote oltre i duemila metri scendono a valle con potenza distruttiva. Si tratta di una precipitazione eccezionale, che non ha precedenti nelle serie di misura della zona, iniziate nel 1913. È metà della pioggia media di un anno caduta in un giorno su un territorio non abituato a simili quantità. Quindi la piena è assicurata.

Secondo ingrediente i cambiamenti climatici. Di piogge alluvionali ce ne sono sempre state nei nostri territori ma ora il riscaldamento globale scalda pure il Mediterraneo e produce più vapore disponibile per la formazione delle piogge, quindi le sta amplificando, rendendole più intense e più distruttive. Di fronte a questi valori inediti non c’è manutenzione del territorio che tenga: dimenticatevi di trattenere queste quantità d’acqua solo pulendo i fossi o rattoppando i muretti a secco: viene giù tutto e basta. Il problema ovviamente si accresce via via che scendendo a valle la piena incontra le infrastrutture e gli edifici umani: il ponte troppo basso come quello di Garessio che ogni volta che il Tanaro va in piena rigurgita le acque in paese va abbattuto e rifatto più alto proprio in previsione dei maggiori apporti di pioggia che avremo in futuro. I ponti romanici travolti sulla Roya che resistevano da mille anni sono invece la prova dell’intensità inedita dell’evento e andranno ricostruiti tenendone conto. Ovviamente le case lungo il fiume sono state spesso frutto di scelte urbanistiche scorrette dell’ultimo mezzo secolo e non dovranno essere ricostruite negli stessi luoghi: bisognerà lasciare ai corsi d’acqua delle fasce di esondazione sempre più ampie in previsione dell’aumento degli eventi estremi. Vero che sono mali tipici del nostro territorio nazionale, in preda alla cementificazione senza limiti, ma a cui non si possono addebitare tutte le colpe: anche in Francia le case inghiottite a St-Martin-Vésubie, inclusa la caserma della Gendarmerie, occupavano il fondovalle che è stato interamente invaso dal fiume, senza scampo per nessuno.

Questo per dire che i disastri meteorologici quando sono eccezionali accadono anche negli altri paesi: il Ticino è uscito dagli argini pure nella civilissima e ordinatissima Svizzera, dove i prati sono falciati e i tombini puliti. Vediamo dunque la ricetta della prevenzione, che sempre predichiamo dopo ogni evento estremo e dimentichiamo appena torna il sole: più che costruire argini occorre costruire una cultura della protezione civile. I nubifragi e le tempeste diventeranno in futuro più frequenti, tutto non si potrà proteggere, nei centri storici si cercherà di mettere in sicurezza l’esistente con qualche intervento strutturale ma il maggior risultato lo otterremo spostandoci noi dalle zone a rischio esondazione, dove non si dovrà più costruire nuovo edificato. La manutenzione del territorio sarà importante ma non illudiamoci che basti a contenere seicento litri d’acqua al metro quadro in poche ore.

La strage del maltempo: 8 morti nel Nord-Ovest

Sei morti, cinque in Liguria e uno in Francia al confine con il Piemonte, aggravano, in termine di vite umane, il bilancio dell’alluvione che nel fine settimana ha devastato il Nord Ovest dell’Italia e il Sud Est della Francia. Le vittime si aggiungono alle due di ieri, un 36enne travolto sulla sua auto dalla piena del fiume Sesia in provincia di Vercelli e il caposquadra dei vigili del fuoco di Arnad (Aosta) ucciso da un albero crollato. In Lombardia resta sempre disperso l’uomo che si cerca da sabato in provincia di Pavia.

I cinque corpi trovati ieri in provincia di Imperia, tra Sanremo e Ventimiglia, quattro restituiti dal mare e uno affiorato nel fiume Roya, restano da identificare: potrebbe trattarsi di persone disperse nel sud della Francia. Per risalire ai loro nomi si è messa al lavoro un’equipe di investigatori formata da capitaneria di porto, carabinieri e polizia in contatto con le autorità francesi. La sesta vittima è stata ritrovata nel fiume Roya, nel primo tratto del territorio francese al di là del colle di Tenda, vicino al Piemonte. È il malgaro, francese ma di origini italiane, disperso da ieri. A lui si era interessato anche il sindaco di Limone (Cuneo) dopo il salvataggio del fratello della vittima.

Ieri i vigili del fuoco del comando di Cuneo hanno portato in salvo tutte le persone rimaste rimaste bloccate dal maltempo a Vievola, sul versante francese del Colle di Tenda: otto persone, cinque italiani e tre francesi. Poi, in collaborazione con le squadre del Soccorso Alpino e Speologico Piemotese, ha riportato a valle, da un alpeggio a Cisterino, un’altra frazione di Tenda, una famiglia di quattro malgari, tra i quali due persone anziane. Il malgaro di un altro alpeggio ha preferito invece restare in alta montagna. Alle operazioni di soccorso ha partecipato anche un elicottero della guardia di finanza.

Sono impressionanti le ferite al territorio inflitte dalla piena dei fiumi, dalle frane e dalle forti raffiche di vento. Il governatore della Regione Piemonte, Alberto Cirio, ha visitato sempre ieri le vallate cuneesi, dove sono caduti ponti, sono stati cancellati lunghi tratti di strada, danneggiate case, erose le sponde fluviali. In Piemonte sono 108 in tutto i Comuni che lamentano danni più o meno gravi. “Siamo abituati a rialzarci da soli, ma questa volta abbiamo bisogno dell’aiuto dello Stato – ha detto Cirio –, un aiuto che è un’esigenza imprescindibile, ora che stavamo rialzandoci dall’emergenza Covid. Spero che già il Consiglio dei ministri (di oggi, ndr) dichiari lo stato di emergenza. Stiamo preparando la prima stima dei danni, sia pubblici sia privati”.

Per il governatore del Piemonte, la nuova alluvione che ha colpito la Val Tanaro, dopo quelle del 1994 – la più disastrosa in tempi recenti in regione – e del 2016 impone un cambio di marcia: “Non è più tempo di mettere toppe, è ora di interventi strutturali per risolvere i problemi in modo duraturo”, afferma.

Anche la Liguria cerca di ripartire dopo gli ennesimi danni del maltempo: a Triora (Imperia), isolata a causa di una frana, il Dipartimento nazionale di Protezione civile, su richiesta del governatore Giovanni Toti ha inviato un nucleo del reggimento Genio dell’esercito per verificare la fattibilità del ripristino della viabilità della strada provinciale. Anche ieri ci sono state mareggiate e vento forte e l’Aurelia è stata chiusa nel golfo del Tigullio tra Sestri Levante e Lavagna (Genova). In Toscana, a Pisa danni nella parte storica del cimitero.

La piena del Po transita ora in Lombardia: a Cremona sono state chiuse le strade verso i fiume ed è attesa in Emilia Romagna. L’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po) rileva infine che “potranno essere interessate dalla piena le aree golenali aperte” e che “è raccomandata prudenza nelle aree prospicienti il fiume”.

Sulla base delle previsioni meteo è stata valutata per la giornata di oggi allerta arancione su alcuni settori di Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana; è stata inoltre valutata allerta gialla su tutto il territorio di Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Umbria, sui restanti settori di Lombardia e Toscana oltre che su parte di Valle d’Aosta, Liguria, Emilia-Romagna e Abruzzo. Mentre il Piemonte tira un sospiro di sollievo e può chiudere la sala crisi della Protezione civile regionale: le previsioni segnalano una allerta gialla residuale in alcune aree del Verbano, novarese, Valsesia, Chiusella, Belbo, Bormida, Scrivia e Pianura settentrionale del Piemonte.

Ma mi faccia il piacere

Lesson one. “Qual è la lezione di chi ha votato No al referendum” (Massimiliano Panarari, Espresso, 28.9). Che avete perso.

Teste. “Processo Gregoretti, Salvini: ‘Vado a testa alta’” (Corriere della sera, 2.10). Ah, l’ha poi trovata.

Culi. “Boom dei contagi: il virus salva Conte” (Giornale, 2.10). Pensa che culo.

Qui lo dico e qui lo nego. “Oggi la giornata non è iniziata benissimo: sono stato due ore attaccato al cortisone e quando mi sono alzato il medico mi ha detto: ‘Naturalmente lei ora va a casa’. Io gli ho detto: ‘Sì, tranquillo, prima vado ad Anguillara, passo da Formello e finisco a Terracina. Ma poi vado a casa’. Anche un po’ febbricitante è bello esserci e viaggiare tra le idee” (Matteo Salvini, segretario Lega, comizio a Formello, Ansa, 26.9). “Mai avuta febbre, fatto test sul Covid ieri mattina, negativo. Ho il torcicollo come milioni di italiani e ho preso il cortisone, alcuni ‘giornalisti’ evitassero di speculare e mentire sulla salute del prossimo” (Salvini, Twitter, 27.9). Comunque è chiaro che non sta bene.

Lo spirito guida. “’Contro il Sussidistan, ecco la mia Base’. Parla Marco Bentivogli” (Foglio, 29.9). “Bonomi rilancia un patto per l’Italia: ‘Non possiamo diventare il Sussidistan’” (Corriere della sera, 30.9). Resta da capire chi, tra l’ex sindacalista e il capo di Confindustria, ha copiato l’altro. Comunque, sono soddisfazioni.

Condonistan. “Concorso di colpa. Nuovo scontro fra Pd e 5Stelle sul concorso per 32mila precari della scuola che si terrà il 22 ottobre. I dem chiedono il rinvio sotto Natale. La ministra Azzolina: ‘Si farà ora’. Critici tutti i sindacati” (manifesto, 29.9). “Tutti contro la Azzolina. Anche il Pd vuole rinviare iil concorsone dei prof. Dem e FI accusano: così si svuotano le scuole” (Giornale, 29.9). “Azzolina va avanti sul concorso per i precari nonostante i dubbi del Pd” (Repubblica, 29.9). Ma questa chi si crede di essere: il ministro dell’Istruzione?

Domiciliari. “Se falliamo sul Recovery Fund andiamo tutti a casa” (Carlo Bonomi, presidente Confindustria, 29.9). Beh, allora fallire avrebbe almeno un lato positivo.

Martirio prematuro. “Assolto Cosentino: ‘É finito l’inferno” (Giornale, 30.9). “Cosentino assolto dopo 3 anni di cella. Qualcuno si vergogna?” (Riformista, 30.9). “Cosentino ancora assolto: non è colluso coi Casalesi” (Libero, 30.9). “Le scuse che non troverete su Cosentino” (Foglio, 30.9). “Cosentino e il sorry di Saviano (?)” (Claudio Cerasa, Foglio, 1.10).

“Hanno assolto Cosentino (non ditelo a Travaglio). Il Fatto in questi anni ha scritto 532 volte di Cosentino camorrista. Sì: 532. Ora sappiamo che è innocente. E Saviano che dice? E gli altri giornali? Censura” (Piero Sansonetti, Riformista, 1.10). Purtroppo l’assoluzione in un processo, peraltro ancora in attesa di conferma in Cassazione, non cancella le due condanne: una in primo grado a 9 anni nel processo principale per concorso esterno in camorra (ancora in attesa di appello) e una definitiva a 4 anni per corruzione. Attendiamo le scuse di chi dice che è stato assolto da tutto.

Il vero scandalo. “Scene inedite dal conclave dei ministri del M5S in agriturismo. Cinquanta euro di mancia” (Foglio, 30.9). Ecco: 50 euro di mancia ai camerieri. Questi sono i veri delinquenti. E poi dicono di Cosentino.

Coup de foudre. “Alberoni si è innamorato delle Regioni” (Libero, 29.9). Deve aver visto Fontana e Gallera.

L’esclusiva/1. “Gli Usa avvertono la S. Sede: mollate i cinesi, vogliono spiarvi” (Verità, 1.10). Fatevi spiare solo da noi.

L’esclusiva/2. “Esposto Atlantia alla Consob: ‘I ministri fanno crollare il titolo’” (Messaggero, 2.10). Giusto: come si permettono i ministri di far crollare qualcosa, rubando il lavoro ai Benetton? E’ concorrenza sleale.

Mes in piega. “Mes, ecco il piano Speranza” (Stampa, 29.9). Purtroppo nel pezzo e né Speranza né il suo piano né l’articolista nominano mai il Mes. Ma ormai è un intercalare.

Fate la carità. “Tre milioni di fannulloni incassano il reddito grillino”, “Il sussidio grillino ci costa 10 miliardi. Misura da abolire” (Libero, 18.9 e 2.10). Giusto, diamoli a Libero della famiglia Angelucci, che di sussidi pubblici dal 2003 a oggi ha incassato appena 55 milioni.

Italia Morta. “Decisivi in Toscana per la vittoria di Eugenio Giani: anche stavolta Salvini lo abbiamo fermato noi. Orgogliosi del coraggio e dell’impegno dei nostri candidati nelle regioni. Se ora c’è uno spazio politico alternativo a populisti e sovranisti è perché lo ha aperto Italia Viva” (Luciano Nobili, deputato Iv, Twitter, 21.9). Risultato: Giani vince in Toscana con 8 punti di distacco, Italia Viva si ferma al 4,5 e Nobili si conferma il più grosso pelo superfluo della politica italiana.

Il titolo della settimana/1. “RENZI VUOL FARE IL SEGRETARIO NATO” (Verità, 29.9). Meglio nato che morto.

Il titolo della settimana/2. “Ventimiglia, il sindaco in tv parla di sicurezza e gli rubano la giacca con fascia tricolore in diretta” (titolo di Riviera24.it sul sindaco di centrodestra Gaetano Scullino, scoperto da @nonleggerlo.it, 29.9). Però dài, ci sta lavorando.