Una legge che difende gli incapienti dal sovraindebitamento sembra che non ci sarà mai in Italia. Ventiquattro ore prima della votazione in commissione Finanza, la Ragioneria dello Stato ha espunto dal dl Agosto, la norma in cui si faceva rientrare nella nuova legge sul sovraindebitamento, detta anche salva-suicidi, anche i soggetti esclusi dal circuito bancario e abbandonati al credito gestito dalla malavita organizzata. Alla nuova normativa si era arrivati dopo un tavolo di lavoro presso l’Università Cattolica e i tecnici del ministero della Giustizia che ha stilato un testo che rendeva operative da subito le norme contenute nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza che però entrerù in vigore solo da settembre 2021. “I più esperti magistrati fallimentari si erano associati a questa soluzione perché avrebbe alleviato la magistratura da decine di migliaia di cause, procedimenti inutili perché soltanto vessatori verso famiglie e Pmi”, commenta Giovanni Pastore, tra i fondatori dell’associazione Favor debitoris che aiuta le famiglie indebitate.
Le comunità montane: “Per il territorio servono 20 miliardi. A noi solo briciole”
Due morti, un disperso, ponti, strade e case distrutte, paesi allagati e fiumi esondati. Vento e piogge torrenziali da venerdì hanno colpito il Nord Italia. Il maltempo ha colpito in particolare il Piemonte, rievocando l’incubo dell’alluvione del 1994. Molti piccoli comuni isolati e senza elettricità, danni ingenti sono avvenuti nel Cuneese, nelle valli Vermenagna e Tanaro (come 26 anni fa). Limone Piemonte e Garessio sono allagate: “Quanto sta accadendo – spiega Marco Bussone, presidente Unione nazionale comuni e comunità montani – conferma che i cambiamenti climatici comportano una rapida e periodica ripresa di eventi simili. Fino al secolo scorso succedeva una o due volte ogni cento anni. Oggi uno ogni quattro. Serve prevenzione: se ne parla sempre, ma nessuno la fa”.
L’impegno di una singola Regione, però, per Bussone, non basta. “Il Piemonte non ha pari in Italia – premette – è la prima Regione che si è attivata, nel 1997, per finanziare la manutenzione nei territori montani: 20 milioni di euro l’anno per la prevenzione del dissesto. Se non ci fossero stati questi investimenti negli ultimi 25 anni, le conseguenze sarebbero state peggiori”. Eppure, il maltempo torna a mettere in ginocchio i piccoli comuni montani. “La seconda cosa che ci dicono gli eventi – afferma Bussone – è che dobbiamo prendere almeno il 10% del Recovery fund, 20 miliardi nei prossimi tre anni, per le foreste: si deve tornare a gestirle, attuare una strategia nazionale, se no il dissesto continua. In Piemonte il 32% del territorio è costituito da foreste, in Italia il 33. Il 54% del Paese è montagna, e di questa un terzo sono foreste: non lo si è ancora capito. Si deve partire da una pianificazione, esattamente come si fa per i comuni con i piani regolatori, certificare i boschi e la qualità, creare una cultura forestale. Sono territori che non possono diventare terreni di invasione ma ecosistemi che fanno prevenzione”.
Sui boschi, il Piemonte ha uno stato di gestione forse peggiore rispetto ad altre regioni. Bussone spiega il perché: “Il territorio è difficile, ci sono 1.200 Comuni e la proprietà forestale è frammentata. Dove ci sono le frane spesso i terreni sono di privati che hanno abbandonato senza una successione. Serve una ricomposizione fondiaria, come in Francia. Però costa – conclude Bussone – ecco perché abbiamo bisogno di 20 di quei 200 miliardi”.
Mail Box
Il “pericolo” Mes è sempre in agguato
Voglio esprimere la mia preoccupazione per il Mes. Finora questo Paese si è potuto proteggere grazie alla robusta barriera del risparmio privato. È quello che si vuole demolire, è quello che si vuole distruggere per indebolire definitivamente le sorti del nostro Paese. Ancora si è in tempo a non lasciarsi prendere la mano da chi vuol farci vedere il dito piuttosto che la luna. Mi sembra di vedere molti, ma molti europeisti che italiani non sono.
Vincenzo Mazzà
Torniamo a occuparci dei nostri fiumi “tombati”
Stiamo assistendo in questi giorni ad allagamenti ed esondazioni di fiumi, torrenti e canali vari. Il fatto increscioso, che causa a volte vittime umane, è frequente in tutto il Paese. Vorrei porre la vostra attenzione ai 12 mila chilometri di fiumi “tombati” sui quali non è mai stato fatto un rilevamento completo. Fiumi, torrenti e rivi coperti da edifici, strade e trasformati in canali sotterranei. Sappiamo quanta devastazione ha subìto e subisce il nostro territorio, spesso a scapito di chi soccombe inconsapevolmente.
Anna Maria Benaglia
Le polemiche sul RdC sono sciocchezze
Caro direttore, quando critica chi è polemico contro il RdC, trova la mia totale approvazione: il problema non è il Reddito ma il lavoro, che manca o è vittima di una cattiva gestione della domanda e dell’offerta, e prendersela con una legittima, fruttuosa e assolutamente etica iniziativa è una ridicola perdita di tempo. Da quando persi il lavoro, alcuni anni fa, e dovetti perciò tornare a vivere con i miei genitori, sempre mi maledirò per non essere uscito dal loro Isee in quel periodo, benché lavorassi in nero e sarebbe stato un rischio. Ora mi trovo incastrato in un limbo: se da una parte non ho problemi di sopravvivenza, poiché mio padre ha un posto fisso e viviamo in una casa popolare, dall’altra questa condizione è ritenuta sufficientemente favorevole da vedermi rifiutato il RdC, soprattutto perché non viene concesso sulla base della mia condizione soltanto, ma su quella di tutta la mia famiglia.
Anche se i Navigator funzionassero il mio Cpi non servirebbe comunque a un bel niente. Ora, in questa mia situazione, il problema è il divano a cui sono costretto mio malgrado quando non trovo lavoro se non occasionale. Vorrei un reddito, non per forza di cittadinanza, ma di qualsiasi genere, che mi permetta di cambiare città per spostarmi in un posto con più possibilità lavorative. Io sono la dimostrazione fisica che le polemiche sul RdC sono una totale sciocchezza.
G. C.
Basta con la retorica dell’“invidia sociale”
È ormai insopportabile questa solfa dell’“invidia sociale” che è divenuta il must della narrazione che ci viene inflitta da questa destrucola nostrana, da Briatore in giù. In particolare, credo non sia stato abbastanza approfondito un aspetto della questione: tutti i socialmente invidiati, fanno del tutto per essere (o sentirsi) tali, in una esibizione implacabile di tutti i lussi connessi al loro stato. Il che lascia credere che – per costoro – l’essere invidiati costituisca una componente irrinunciabile dello sfizio di essere ricchi. Si direbbe un indizio certo di cafonaggine (appunto), a conferma della spassosa auto-recensione che Briatore ci ha offerto qualche giorno fa. Del resto, come si fa a non bollare come “cafone” uno che si fa fotografare seduto su un divano, con ai piedi le mitiche pantofole cifrate e alle spalle una sontuosa biblioteca di libri finti? Ma è così sicuro il nostro santo patrono dei cafoni di essere così invidiabile? Non lo sfiora il dubbio che alla maggior parte della gente non importi un fico secco di queste scorie riccastre?
Patrizia Cozzolino
Per fermare i furti aiutiamo le polizie locali
Scrivo da Nola, un cittadina in provincia di Napoli. Sono mesi che nella mia zona (strada di mia residenza e limitrofe) si susseguono furti nelle abitazioni anche in presenza delle persone che magari sono a cena e si ritrovano i malviventi di fronte (immaginiamo lo choc). Ho chiamato il comando di polizia locale (Nola) chiedendo un rafforzamento di controlli, sorveglianza magari con invio di pattuglie fisse, ma al telefono l’ufficiale mi ha risposto: “Vorremmo tanto, ma consideri che abbiamo una sola volante per 17 Comuni… e siamo a corto di personale”. La situazione dipende dallo smistamento delle unità, delle volanti e in generale quindi dall’organizzazione delle questure, quella di Napoli nello specifico. È davvero possibile una situazione del genere?
Andrea Mascia
I NOSTRI ERRORI
L’articolo pubblicato ieri a pagina 6 a firma Alessandro Bonetti è stato titolato “Più lavoro e più benessere: 2 anni di sussidi in Norvegia”. Problema: quella sperimentazione s’è svolta in Finlandia, come correttamente scritto nel pezzo, e non in Norvegia. Ce ne scusiamo con l’autore e con i lettori.
Fq
Viva le invenzioni di Carrére, abbasso le beghe coniugali da #MeToo minore
Dopo il Me too, sospettiamo, dev’essere saltata qualche rotella del cervello collettivo. Altrimenti non si spiega perché il mondo intellettuale in blocco si sia schierato con la signora Hélène Devynck, giornalista ed ex moglie di Emmanuel Carrére, che ha accusato lo scrittore di aver violato la sua privacy parlando di lei nel suo ultimo libro, Yoga (uscito a fine agosto in Francia), nonostante un accordo legale di divorzio lo obbligasse a non farlo. Nella lettera di denuncia che ha mandato a Vanity Fair, Devynck addita lo scrittore – araldo dell’autofiction, dunque non proprio un insospettabile – non solo come sputtanatore, ma anche come bugiardo: non sarebbero veri molti dettagli della loro vita insieme, specie quelli relativi alla depressione di lui. Ma se non sono veri, se cioè sono trasformati nell’alchimia scrittoria, di quale violazione è accusato Carrére? Di aver trasfigurato la sua biografia al fine superiore della creazione artistica? Di non aver cancellato dalla sua memoria una parte tanto importante del suo processo interiore? È la dannazione di ogni narratore che non scriva di elfi e castelli incantati: uscirà sempre fuori qualcuno a dubitare che sia tutto vero, o tutto falso, e qualcuno riconoscendosi non si piacerà nello specchio deformato della pagina (in Harry a pezzi, Woody Allen è uno scrittore che caricaturizza i suoi parenti, facendoli incazzare molto).
A quanto pare questa querelle da legulei potrebbe costare a Carrére il Premio Goncourt, se la giuria, come le case di produzione post-Me too che hanno cancellato Kevin Spacey e Woody Allen, riterrà l’onta indelebile, quasi un femminicidio. Noi stiamo con Carrére e con la sovranità della letteratura, che è sempre invenzione – e l’etimo di inventare è invenire, cioè trovare. Delle beghe coniugali non ci interessa nulla, mentre ci interessa sapere cosa ha trovato Carrére, scavando nella sua vita che non è (più) la sua. (Intanto una soluzione è non sposarsi con gli scrittori di autofiction).
Un solo popolo. Quello che conta davanti a Dio è la fede, non l’etnia
Nel Vangelo di Matteo c’è un episodio che, come prima reazione, potrebbe imbarazzare qualcuno e invece fare felice chi sostiene la posizione del “prima gli italiani” (o prima quel che volete voi). È quello in cui Gesù rifiuta di aiutare una donna straniera e pagana perché lui ha una missione solo per il suo popolo: “Gesù si ritirò nel territorio di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: ‘Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio’. Ma egli non le rispose parola. E i suoi discepoli si avvicinarono e lo pregavano dicendo: ‘Mandala via, perché ci grida dietro’. Ma egli rispose: ‘Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d’Israele’. Ella però venne e gli si prostrò davanti, dicendo: ‘Signore, aiutami!’ Gesù rispose: ‘Non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini’. Ma ella disse: ‘Dici bene, Signore, eppure anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni’. Allora Gesù le disse: ‘Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi’. E da quel momento sua figlia fu guarita” (Matteo 15,21-28).
Una donna si avvicina a Gesù e grida il suo bisogno come solo una madre disperata può fare. Il suo gridare non riconosce confini, perché all’“Abbi pietà di me” aggiunge “Signore, Figlio di Davide”, invadendo così non solo il suolo, ma anche l’ambito della fede d’Israele. Al grido della donna risponde il silenzio di Gesù. Perché? Per disprezzo verso i cananei (pagani), per niente amati nel paese di Gesù? Perché è stupito da questa donna di confine che non rispetta i confini? Perché è sorpreso che una pagana lo riconosca (“gli si prostrò davanti”, il verbo prostrare indica l’adorazione di fede) come “Figlio di Davide” mentre molti suoi connazionali non fanno altrettanto? Oppure perché Gesù sente di avere già dei limiti di fronte ai tanti bisogni del suo popolo, figurarsi davanti a quelli degli altri popoli?
Alla fine Gesù si farà convincere (convertire?) dall’argomentazione della donna (una donna, pagana, che si mette in contraddittorio con lui!): non si tratta di togliere il pane ai “figli”, come pensa Gesù. Non ci si vuole mettere al loro posto. La donna riconosce la distanza che separa un ebreo da un cananeo, come quella che separa un padrone dai suoi cani, ma è una distanza fino a un certo punto. La donna fa notare a Gesù che scegliere uno non significa necessariamente escludere l’altro, che è possibile trovare una risposta al bisogno di tutti: come bastano poche briciole per placare la fame, così possono bastare poche particelle di grazia per spegnere il grido disperato della donna.
“Allora Gesù le disse: ‘Donna, grande è la tua fede; ti sia fatto come vuoi’. E da quel momento sua figlia fu guarita”. Nella risposta conclusiva di Gesù spariscono gli imperativi, ora parla alla donna con rispetto. Grazie a questo dialogo serrato, il Vangelo di Matteo spiega come sia possibile la fedeltà di Dio per Israele ma anche il miracolo della fede per i pagani. Infatti, questo episodio preannuncia l’apertura ai pagani che il cristianesimo delle origini accetterà solo dopo discussioni e conflitti non da poco, come si può leggere nel libro degli Atti (dal capitolo 10 al 15). Perché quello che conta davanti a Dio non è la fedeltà di sangue, di tradizione, di cultura, di nazionalità ed etnia, ma la fedeltà della fede, creduta e praticata: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati,3,28).
*Già moderatore della Tavola Valdese
Infuria la tempesta “Brigitte”, ma in realtà si chiama “Alex”
In Italia – Il freddo di una settimana fa è culminato con record di temperatura massima più bassa per settembre in stazioni dell’Aeronautica Militare attive da oltre 60 anni: domenica 27 appena 11,6 °C ad Arezzo, 12,2 °C a Grosseto e 15,8 °C a Firenze; sabato 26 ai 3488 m del Plateau Rosa (Cervinia) minima -15,2 °C, e massima -13,0 °C (primato). Sul Monte Amiata (1738 m) 15 cm di neve, raro per la stagione, due tornado rovinosi a Casal di Principe (Caserta) e Nettuno (Roma). Nonostante il finale freddo, settembre 2020 è però rimasto tra i dieci più caldi di due secoli con 1-2 °C sopra media a causa della precedente calura. Altro che “il più freddo da 50 anni”, come hanno riportato varie testate confondendo record giornalieri con medie mensili! Tra venerdì e ieri la tempesta “Brigitte” ha scatenato scirocco impetuoso (200 km/h sulle alture di Camogli) e piogge alluvionali in Liguria, Cuneese e dal Biellese al Lago Maggiore, zone che hanno ricevuto quantità talora mai viste in poco più di un giorno a scala secolare: massimo di 652 mm in 30 ore in Val Strona di Omegna, un terzo della media annua! A Oropa (Biella), 443 mm in 24 ore, record nella serie dal 1913; sbalorditivi poi i 517 mm in 12 ore a Limone-Pancani (Col di Tenda), primato di intensità in un trentennio di misure automatiche Arpa Piemonte che batte i 428 mm/12 ore del 21 ottobre 2019 a Gavi (Alessandria); 2 morti e 10 dispersi tra Piemonte e Val d’Aosta. Il Mediterraneo troppo caldo cede più vapore ed energia favorendo eventi di tale violenza, e la pioggia caduta fino a 3.000 m ha contribuito a far straripare Toce, Sesia, Tanaro e Vermenagna; mareggiate, frane ed esondazioni pure in Liguria (Roia, Argentina, Arroscia); acqua alta a Venezia, 132 cm alla diga Sud del Lido, ma Piazza San Marco all’asciutto con l’entrata in funzione del Mose, che tuttavia non salverà la città dall’aumento del livello marino a lungo termine. Per denunciare la crisi climatica, i comitati Fridays for Future Italia hanno indetto per il 9 ottobre il sesto sciopero nazionale in oltre cento città.
Nel mondo – La tempesta “Brigitte” (“Alex” nella nomenclatura delle agenzie meteo franco-spagnola-portoghese-belga) venerdì ha investito la Bretagna con venti fino a 186 km/h alla Belle-Île (record). Piogge devastatrici sulle Alpi Marittime al confine con l’Italia (in poche ore 380 mm ad Andon, primato), 8 dispersi e viabilità sconvolta. La Francia inoltre era reduce dal tracollo termico di fine settembre con neve di eccezionale precocità su Alpi e Pirenei (10 cm ai 1325 m del Col de Porte, Grenoble). In undici giorni Nancy ha vissuto i pomeriggi settembrini più rovente e più fresco in 94 anni (34,4 °C il 15 e 9,5 °C il 26!), ma nell’insieme della Francia settembre è comunque rimasto l’undicesimo più caldo dal 1900. Freddo e neve primaverili in Terra del Fuoco (50 cm a Ushuaia), calura epocale invece nel resto del Sud America e in Nord Africa: in Argentina del Nord 43,3 °C a Corrientes, record per la località; in Paraguay primato nazionale assoluto di caldo (45,5 °C) e in Brasile record nazionali per settembre (44,1 °C) e ottobre (43,4 °C); massimo storico per ottobre pure in Algeria (44,5 °C). Ancora incendi in California, perfino nei vigneti intorno a San Francisco. Uno studio su Nature coordinato da Jason Briner dell’Università di Buffalo (Rate of mass loss from the Greenland Ice Sheet) dice che senza taglio dei gas serra in questo secolo la Groenlandia perderà ghiaccio a una velocità inedita da 12 mila anni. Per scampare una catastrofe climatica dovremmo mantenere le riduzioni di emissioni globali ottenute con il lockdown (-8% nel 2020) fino ad azzerarle a metà secolo, secondo il tedesco Institute of Meteorology and Climate Research. Ma chi lo accetterebbe?
Trump “l’intoccabile” ora è stato toccato
È un fatto importante l’arrivo di Donald Trump e signora nel piccolo gruppo dei capi di Stato che hanno giocato alla superiorità scettica e sprezzante verso una epidemia mentre, nei loro Paesi e nel mondo aveva già fatto, e sta facendo, milioni di ammalati e milioni di morti. Ognuno di loro (oltre a Trump, Johnson d’Inghilterra, Bolsonaro del Brasile, Lukashenko di Bielorussia ) sembravano persuasi da una sorta di immunità del potere che li avrebbe tenuti fuori e deliberatamente inclini a ostentare una loro estraneità fisica al male, che riguarda gli altri, quelli del gregge.
Nel caso di Trump, l’ultimo arrivato e il più clamoroso sventolatore della sua qualità di presidente unico, restano non tanti giorni per osservarlo nella nuova condizione di persona soggetta al potere della pandemia e dei medici (lui disprezza anche il dottor Fauci, medico della Casa Bianca) e anche la possibilità che la condizione di contagio non abbia altre conseguenze che un annuncio e una attesa. È vero, comunque, che la mano cattiva della malattia, dato il tempo di vittoria e il momento di gloria, tocca un paziente fragile. È fragile perché voleva che si credesse a un suo stato eccezionale di forza e di energia da leader speciale. E invece risulta banalmente infettato, com’è accaduto e sta accadendo a centinaia di migliaia di americani, molti dei quali portati via dal male, problema al quale il nuovo paziente non ha mai fatto molta attenzione. Prima ha rifiutato di essere simbolo delle precauzioni necessarie, soprattutto la mascherina. Poi ha trattato con il suo consueto disprezzo il medico Fauci, nonostante l’autorità scientifica di cui gode, che continuava a mettere in guardia governo e cittadini americani sul pericolo.
Trump è dunque, adesso, l’intoccabile che è stato toccato e questo non può portare bene alla sua campagna elettorale. Il cui motto evidente è “o me o nessuno”, cercando anche di dimostrare che nessun altro sarebbe alla sua altezza. Uno dei suoi strumenti politici di consueta rozzezza, è stato fino a ora di giocare sulla salute, l’udito, la capacità di attenzione, e l’integrità fisica del suo avversario. Biden è stato accusato, attraverso tutta l’informazione controllata da Trump, di portarsi addosso strumenti miniaturizzati di sostegno per sembrare più sveglio e più giovane di fronte alla prorompente vitalità del presidente che si sente e voleva apparire unico. A ciò si aggiungono le consuete falsificazioni che sono la specialità della nuova destra americana. Ma per valutare il senso del caso “contagio” a carico della coppia Trump occorre ricordare che, nella sua immensa volgarità, l’intero scontro televisivo detto “dibattito” è stato giocato con l’esibizione continua di una pienezza di energia e di evidente e roboante superiorità fisica, destinata a “invecchiare” l’avversario come negli effetti speciali di un film. A questo punto persino l’arrivo di un medicamento salvifico cancellerebbe solo in parte l’immagine del paziente Trump, cioè qualcuno che, a parte l’uso scriteriato del potere e le affermazioni false, è vulnerabile come tutti gli altri e dunque non così temibile. Infatti nessuno dubita (meno che mai la grande stampa e i più autorevoli commentatori americani), che Donald Trump abbia giocato su un effetto di intimidazione a doppio taglio. Il primo colpo era destinato a Biden per farlo apparire, come ho detto, anziano, debole, a rischio, non in grado di guidare un Paese. La sua miscela di insulti, falsità, disprezzo persino per il figlio dell’avversario che era stato dichiarato eroe di guerra, più la voce tonante, che non sempre il moderatore è riuscito a limitare, aveva il compito di ridurre Biden a piccola e stanca persona irrilevante.
Il secondo colpo aveva lo scopo, ben calcolato, di intimidire milioni di spettatori, specialmente coloro che non lo amano e non lo stimano. Serviva dire: vedete? io vinco. Facile mettere da parte questo anziano signore. Era dunque una intimazione ad arrendersi per quella metà dell’America che non lo stima e non lo vuole. Ma questa parte dell’intimidazione è stata sfacciatamente portata più a fondo, affinché chi non ha pensato finora di votare Trump ci pensi bene. Trump ha difeso i “Proud Boys” una delle organizzazioni giovani di estrema destra diffuse nel Paese, che considerano Trump il capo. Ha dato loro la certificazione del presidente degli Stati Uniti ammonendo “Fermi, adesso. Poi viene il momento”. Il cittadino “liberal” o “ di sinistra” americano è avvisato. E infatti una grande paura si è diffusa nella parte civile del Paese. Oggi quella parte e molti altri americani che non condividono i sentimenti di Trump, e perciò gli augurano pronta guarigione, si domandano se l’uomo toccato da virus sarà lo stesso che voleva liberarsi di Biden con una spinta, uno spettacolo e un paio di fake news.
Il Papa cacci i furfanti dal Tempio
“E insegnava dicendo loro: ‘Non è scritto la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti?’. Ma voi ne avete fatto un covo di ladroni”.
Marco 11,15-19
Nelle chiese desertificate dal virus (e molto prima dalla strisciante disaffezione) non ci si può scambiare il segno della pace per evidenti motivi. Ma da qualche domenica, un altro momento di devozione è diventato imbarazzante: con quale spirito, infatti, i fedeli superstiti osserveranno il tradizionale gesto di carità al momento della raccolta delle offerte? Certo, quei pochi soldi deposti nel sacchetto del sacrestano, o nelle cassette votive sotto le immagini sacre, raggranellati per sostenere le immediate necessità delle parrocchie, assai poco hanno da spartire con il colossale scandalo finanziario culminato con le dimissioni imposte da Papa Bergoglio al non più cardinale, Giovanni Angelo Becciu. Tuttavia, se una fede comune unisce la basilica di San Pietro con l’ultima delle pievi, è innegabile che la fiducia (che con la fede è imparentata, neppure tanto alla lontana) nelle alte gerarchie ecclesiastiche abbia subito l’ennesima scossa negativa. E così un’altra certezza degli osservanti è andata a farsi benedire.
“La gente non sa più chi è Cristo”, ha risposto il cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki, a chi lo interrogava sui veri problemi della Chiesa. Il pericolo è anche che la gente non sappia più cosa sia la Chiesa. Ciò accade quando si lascia che una comunità riunita nello stesso credo aneli alla luce dell’aldilà, ma sia tenuta all’oscuro dei gravi problemi (e delle pesanti colpe) che affliggono l’istituzione su questa terra. Molti credenti, ne siamo convinti, si sentirebbero sollevati se con l’autorità che gli deriva dal profondo affetto, dal profondo rispetto e dalla profonda fiducia da cui è circondato, Papa Francesco trovasse il modo di spiegare al mondo (e non soltanto a quello cattolico) come diavolo è potuto accadere che il tempio sia stato profanato e lordato da una cricca di corrotti, ladri e profittatori. Che hanno sottratto e intascato il denaro dei fedeli, inviato al Papa per essere ridistribuito a sostegno dei poveri e delle missioni.
Sarebbe straordinario se questo pontefice, a cui il carattere (e se fosse un cattivo carattere, meglio ancora) non difetta, facesse ciò che nei tempi lontani del catechismo tanto ci affascinava. Sul libretto l’immagine di Gesù che caccia a scudisciate dal Tempio di Gerusalemme i mercanti e rovescia i tavoli dei cambiavalute. Forza Francesco completa l’opera, facci sognare.
L’enorme richiamo per uccelli di Rolf e le gioie della donna
Dai racconti apocrifi di Mzee Ridhiwani. Un giorno, un giovane viaggiatore diretto in città si fermò a urinare al lato della strada, su una pietra piatta, bianca, priva di iscrizioni. Non poteva saperlo, ma quella pietra piatta indicava la tomba di una giovane. Quella notte, sognò una magnifica ragazza che gli diceva: “A te, viandante sconosciuto, va la mia gratitudine più grande per avermi liberata da una maledizione secolare. Mi hai mostrato il tuo membro grazioso: mai, quando ero in vita, un uomo mi ha favorito così; e morii piena di amarezza, dunque condannata a camminare sulla terra come un fantasma; ma tu mi hai risarcito, e adesso potrò raggiungere la Grande Oasi, finalmente. A buon rendere”. La mattina dopo, il giovanotto giunse in città, dove incontrò la bellissima figlia di uno sciamano, se ne innamorò, e la sposò. La sua notte di nozze, d’un tratto avvertì come un tocco freddo sul suo uccello, e udì la voce della ragazza del sogno che diceva: “Ho pagato il mio debito. Addio!”. Da allora, nel nostro Paese, una vergine che muore non è sepolta sotto una collinetta circolare, come gli altri morti, ma sotto una pietra piatta e bianca, senza iscrizioni.
Dalle novelle apocrife di Alexander Bjørnson. A quei tempi, Gunnar si guadagnava da vivere accompagnando la gente di città a caccia di anatre. Portava con sé suo figlio Rolf, che lo aiutava nelle mansioni. A Rolf non piaceva uccidere le anatre, così se ne restava al campo, a intagliare richiami in legno: era bravissimo. Un giorno, si unì alla spedizione una signora molto bella, con un grande seno che invogliava. Rolf stava lavorando col coltello quando lei si avvicinò e gli chiese cosa stesse facendo. Rolf le raccontò con passione dei suoi richiami, mentre lei lo ascoltava leggermente china su di lui, dandogli una vista generosa delle sue colline. Com’è naturale, i pantaloni di Rolf cominciarono a sollevarsi. E parecchio. La bella signora si ritirò; ma la mattina, all’alba, quando i fucili già sparavano sul lago, aprì la tenda di Rolf sussurrando: “Posso?”. Qualche ora dopo, tutta allegra, prese a giocare con il codino di Rolf. “Lo adoperi bene, ma che ne è di quello grosso che ho visto ieri sera?” “Oh, quello!” disse Rolf. E infilò la mano nel suo sacco a pelo, estraendone un grosso uccello di 30 cm, sapientemente intagliato. “Questo è il mio richiamo. È di frassino. Inganna anche gli uccelli”. La donna cominciò a ridere fino alle lacrime: le scendevano lungo le guance come acini d’uva. E stava ancora ridendo quando attirò al suo petto Rolf per un’altra scorpacciata di godurie. E il giorno che i cacciatori tornarono in città, gli diede 1.000 corone in cambio del suo richiamo: giusto per ricordarsi di lui, gli disse, facendogli l’occhiolino.
Dai racconti apocrifi di Antonio Machado. Cristabel Moreno, una brava attrice di teatro, era così seducente che pareva dipinta da Sorolla. Una volta – stava recitando a Valencia – finita la terza replica sparì. Sua sorella Abril, attrice nella stessa compagnia, si allarmò, temendo una disgrazia; e andò su tutte le furie quando qualcuno ipotizzò che potesse essere da qualche parte con un uomo, come una leggera: avrebbe preferito che gliel’avessero ammazzata. Il capocomico suggerì di tentare una comunicazione con l’aldilà per verificare. Dopo che ebbero abbassata la luce della lampada, tutta la troupe si sedette attorno a un tavolino, formando coi palmi distesi una catena medianica. Abril domandò agli spiriti di farsi avanti: sua sorella era fra loro? Il tavolino batté un colpo, che significava no. “È qui in albergo?” chiese ancora. Due colpi: sì. “È con un uomo?” domandò il capocomico. Due colpi forti. “E cosa diavolo sta facendo?” Abril quasi gridò. E per tutta risposta il tavolino si rovescio gambe all’aria, con il cassetto aperto.
Gunter Pauli e Rep. da bufalaro a genio assoluto
Chissà se Gunter Pauli, consigliere economico di Palazzo Chigi, abbia mai letto o soltanto sfogliato Repubblica o gli altri quotidiani del gruppo guidato da John Elkann. Perché se lo avesse fatto, oggi il padre della “Blue Economy” potrebbe soffrire di un attacco di labirintite acuta. Giovedì sera, infatti, Pauli era l’ospite d’onore di “Green & Blue”, il festival dell’ambiente del gruppo Gedi assieme a Enrico Giovannini e Carlo Petrini. Sul palco della Nuvola di Roma l’economista tedesco ha introdotto la “nuova generazione di Internet” con tanto di dimostrazione su cosa sarà “l’Internet della luce”: una tecnologia che abbatte i consumi dell’80% e non usa onde radio, ma luce”. Platea incantata: wow!
Peccato che gli stessi quotidiani del gruppo Gedi nei mesi scorsi abbiano trattato Pauli alla stregua di un complottista e bufalaro qualunque. Per esempio, il 23 marzo 2020 l’editorialista di Rep. Riccardo Luna vergava un pensoso articolo per smascherare le “bufale” dell’emergenza Covid che arrivano “fino ai politici”. Ergo: Gunter Pauli additato di aver scritto un tweet in cui evidenziava una possibile correlazione (non un rapporto causa effetto) tra la tecnologia 5G e il dilagare della pandemia a Wuhan e in Lombardia. Sicché Luna si esercitava nel dileggio prendendo a caso altre correlazioni per dimostrare la “bufala” di Pauli, paragonata a quella “tra il numero di persone che muoiono in piscina e i film di Nicholas Cage”. Qualche giorno prima Jacopo Iacoboni sulla Stampa gli dedicava un gentile ritratto dal titolo “Tra escrementi e l’elogio alla Cina, chi è Gunter Pauli” in cui, dall’alto delle sue competenze economiche, il cronista ironizzava sul “trust di cervelli” a Palazzo Chigi, dandogli del personaggio “incredibile” con teorie “sbalorditive”. Chissà perché poi lo hanno invitato, giovedì scorso, a parlare di tecnologia e ambiente.