“Abbiamo raggiunto un nuovo massimo a livello nazionale e la Campania ha fatto bingo”, dice al telefono Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, istituto di riferimento del governo sul Covid-19, e membro del Comitato tecnico-scientifico.
La Campania ha registrato 401 nuovi contagi con 7.498 tamponi, in crescita dai 392 casi di venerdì quando i test erano stati di più, 7.482.
Appunto. E non solo: oggi il Lazio, la Campania e la Sicilia (rispettivamente 711, 434 e 322, ndr) hanno più ricoverati della Lombardia (293, ndr), che per mesi è stata al centro di una situazione gravissima e che ha avuto finora più di 100 mila casi.
Il Lazio ha più letti occupati in terapia intensiva della Lombardia: 47 contro 42. E in Campania gli ospedali sono già in sofferenza: i letti al Cotugno di Napoli, struttura destinata ai pazienti Covid, sono tutti pieni. Lo stesso nel Covid center del Loreto Mare.
È per evitare la saturazione che bisogna tenera alta l’attenzione. Il monitoraggio di ministero e Iss ci dice che gli indicatori dei decessi e delle rianimazioni a livello nazionale ancora navigano a livelli più che sostenibili. In tutta Italia poi si eseguono 120 mila tamponi al giorno, facciamo cioè una grande ricerca dei positivi. Complessivamente stiamo reggendo. Ora però c’è la necessità che le Regioni lavorino in maniera sempre più stretta e coordinata perché un modello di risposta venga attuato in maniera uniforme in tutta Italia.
Finora, invece, il coordinamento non c’è stato quasi mai. L’Emilia-Romagna di Stefano Bonaccini, Pd, ha aperto al 25% della capienza i palasport di basket e volley e l’Abruzzo guidato da Marco Marsilio, centrodestra, ha autorizzato mille spettatori per gli sport all’aperto e 700 per quelli al chiuso. Una tendenza ad andare in ordine sparso che è trasversale agli schieramenti politici.
Faccio notare che il titolo V della Costituzione (che annovera la tutela della salute tra le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, ndr) è ancora in vigore. Queste decisioni andrebbero prese sulla scorta di solidi dati scientifici. Se questi non ci sono è meglio aspettare. I numeri danno ragione a chi raccomanda prudenza. Come ha detto pochi giorni fa Alberto Mantovani (direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano, ndr) ci vuole il “rispetto dei numeri”.
Circola l’ipotesi di richiudere gli stadi. Mille spettatori al loro interno sono comunque troppi?
In ballo ci sono diverse variabili, come il fatto che l’impatto di mille persone varia in base alle dimensioni dell’impianto. Ma non è solo una valutazione tecnica. Aspettiamo le decisioni dei ministeri competenti.
Lei si era già espresso contro la riapertura. Non ha cambiato idea.
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
Il Lazio, che spesso ha avuto un ruolo di apripista per altri territori, ha reso obbligatorio l’uso delle mascherine all’aperto. Lo stesso ha fatto la Basilicata.
Verosimilmente la misura sarà estesa al resto del Paese, perché con una circolazione così elevata del virus non si può pensare di non intervenire.
C’è chi protesta dicendo che se si cammina in strada da soli sul marciapiede non ha senso.
Mi resta difficile immaginare in città una situazione del genere: si incontra sempre un passante, c’è sempre qualcuno che esce da un negozio e incrocia la nostra traiettoria. E poi intendiamoci, se si va da soli in un parco o a potare la vigna in campagna non significa che si debba stare con la mascherina. È una misura pensata principalmente per le aree urbane.
Qual è la prima misura che lei metterebbe in campo?
Bisogna investire sulla responsabilizzazione. Occorre che ognuno di noi ragioni come se fosse infetto e come se lo fossero anche le persone che incontriamo. Bisogna creare un senso generalizzato di prudenza. Chi non si sente responsabile non ha capito la situazione.