Un uomo e una donna viaggiano su un treno che attraversa una tundra sconfinata e poi viene inghiottito da una foresta di abeti a stringersi intorno ai binari. Sono partiti dall’America alla volta di un Nord Europa imprecisato dove ogni cosa è buio e neve, per adottare quel bambino che non hanno potuto avere naturalmente perché lei ha un cancro uterino terminale. La donna lo fa per lui, affinché non resti solo, l’uomo, incapace invece di contemplare l’idea della fine, s’illude di poter così ricucire un’unione lacera.
Sulle ginocchia di lei occhieggia The dark forest di Hugh Walpole, opera inquietante e sfuggente ad anticipare l’atmosfera straniante di Cose che succedono la notte, settimo romanzo dello statunitense Peter Cameron, che i più ricordano per Un giorno questo dolore ti sarà utile e Quella sera dorata da cui sono stati anche tratti due film. La foresta di dantesca memoria simboleggia, neanche a dirlo, i recessi dell’anima. Ciò che si apprestano a vivere l’uomo e la donna senza nome non è dissimile da una trasmutazione alchemica, sinonimo di rinascita spirituale, tant’è vero che simboli tipici dell’ultima fase, la rubedo, come oro e uova, compaiono più volte. Intrappolati in un sentimento che oscilla tra odio e amore e che si serve della premura solo per sedare rabbia e insofferenza, schiacciati da una incomunicabilità che la malattia ha contribuito a radicare, tireranno le fila della loro storia nella cornice di un hotel che tanto somiglia a quello di Kubrick in Shining. Hall enorme, distese di moquette, lunghi corridoi, spazi in cui si aggirano, apparendo e scomparendo a intermittenza, personaggi lynchiani cristallizzati in quel luogo come insetti nell’ambra, la cui presenza sembra avere il preciso scopo di ribaltare piani, sgretolare certezze, influenzare che cosa ne sarà di loro, come individui e come coppia. La più intrigante è una donna in là con gli anni ma di imperitura eleganza che tutto pare aver visto e vissuto. Ex circense, ballerina e attrice di teatro, almeno così racconta (il confine che separa realtà e invenzione, verità e menzogna, è sottile, tratto caratteristico di Cameron), ora chanteuse per i pochi avventori dell’albergo, Livia è una figura ipnotica, ammaliante anche nella sua viscerale disillusione esistenziale, spiazzante nei suoi proclami – “Prima o poi vanno tutti a letto. Sono cose che succedono la notte. Le persone spariscono, sempre che ci siano mai state. La vita è orrenda, infame, come e più del tempo” o “Viviamo in un’epoca buia, nessuno riesce a trovare la propria strada. Procediamo a tentoni, come i ciechi. Somigliamo a quegli animaletti sotterranei che scavano la terra fredda e umida nella speranza di trovare una radice commestibile” – e abile a insinuarsi senza sforzo nella coscienza di entrambi, specie di lui.
Lei si lascerà invece sedurre da un sedicente angekok, sciamano guaritore cui si affiderà anima e corpo, senza riserve. Dark e disorientante, questo romanzo ingenera un senso di turbante tensione che tiene desti e alimenta il godimento di essere spettatori di una resa dei conti che potrebbe riguardare anche noi, ma che preferiamo procrastinare lasciando agli altri, o alla letteratura, la fatica di farlo al nostro posto.