Trump col Covid nell’urna. A chi giova Donald infetto

Aun mese esatto dall’Election Day, il contesto della corsa alla Casa Bianca cambia radicalmente. E non è chiaro a favore di chi. La notizia che il presidente degli Stati Uniti ha contratto il coronavirus, potenzialmente letale, congela in queste ore la campagna. Il contagio del magnate non significa solo un’unità in più nei conteggi della Johns Hopkins University, che, alle 12 di ieri sulla East Coast, contava nell’Unione oltre 7.300.000 casi e oltre 208.000 decessi. Donald Trump, positivo come la moglie Melania, accusa “lievi sintomi”, “tipo raffreddore”, riferisce il capo dello staff della Casa Bianca Mark Meadows, ma continua a lavorare e può adempiere ai compiti del suo ufficio, garantisce il suo medico, Sean Conley.

Il presidente era parso “letargico” a quanti erano giovedì a una raccolta di fondi nel suo club di golf a Bedminster, nel New Jersey: Ma poteva anche essere solo la stanchezza della campagna e il calo di tensione dopo il dibattito-zuffa di martedì notte con il suo rivale, Joe Biden. Il vicepresidente Mike Pence e sua moglie, che come i Trump si sottopongono al test ogni giorno da mesi, continuano a risultare negativi. Come fanno Biden e Kamala Harris e, da ogni parte del mondo, leader che, magari, non lo amano e non lo stimano, ma che mostrano vicinanza. Il più caloroso è il messaggio di Vladimir Putin: “La tua energia, il tuo spirito e il tuo ottimismo ti aiuteranno a battere il virus”. Borse e mercati subiscono qualche scossone, ma non è un terremoto. L’incognita è se fra gli americani che sanno di avere un presidente contagiato scatterà la sindrome del “ben gli sta!” o quella del “poverino”: per uno che va in giro ostentatamente senza mascherina e che snobba medici e virologi; o per uno che lavora senza posa per il bene dell’Unione (e per la sua rielezione). La prima è la reazione di chi pensa con sarcasmo al filotto dei leader ‘negazionisti, finiti contagiati: Boris Johnson, Jair Bolsonaro e ora Trump. La seconda ridarebbe fiato a una campagna alle prese con l’epidemia e l’economia, Law&Order e la Corte Suprema, le tasse e i dibattiti: la malattia può ‘umanizzare’ il magnate e rendere più esitante Biden, che già non ha l’istinto del killer ed esita ad affondare il colpo. Sarà però difficile mettere il virus in un canto, come il presidente cercava di fare. Per il momento, Trump ha sospeso i suoi impegni e fa il paziente modello: rispetta le disposizioni dei medici: del resto, a 74 anni è un soggetto a rischio, sovrappeso e con problemi di cuore. Il buon senso di queste ore non cancella, però, i comizi senza mascherina e senza distanziamento, da Tulsa in poi; le ammucchiate senza precauzioni durante la Convention repubblicana a Baltimora e alla Casa Bianca; la spinta a riaprire business, scuole e sport; le contrapposizioni con gli esperti e gli inviti a curarsi con farmaci non avallati dalla scienza o addirittura “con una goccia di candeggina in un bicchiere d’acqua”; i voli affollati sull’AirforceOne e quelli addirittura pigiati in elicottero, dove c’era pure la responsabile della comunicazione Hope Hicks, colei che ha contagiato The Donald: i media dicono che sta male.

Di sicuro, erano quasi quarant’anni, dal 1981, da quando Ronald Reagan fu vittima di un attentato e fu in pericolo di vita, che non c’era tanta apprensione per la salute di un presidente degli Stati Uniti. L’annuncio con un tweet all’una di notte è un fattore di drammatizzazione, in un Paese fortemente polarizzato, nel pieno di una campagna elettorale e con il voto già in corso in molti Stati. E c’è chi mette sotto accusa i comportamenti della Casa Bianca: la positività della Hicks non è stata subito annunciata e i suoi colleghi e collaboratori hanno continuato giovedì a lavorare come se nulla fosse. La giovane e disinvolta (nelle sue affermazioni) portavoce del presidente, Kayleigh McEnany, che aveva appena viaggiato con la Hicks, ha fatto il suo briefing senza parlarne e senza mascherina.

L’impatto del contagio del presidente candidato sull’Election Day è impossibile da prevedere: non è escluso che gli giovi. Ma lo scenario delle prossime settimane sarà soprattutto funzione del decorso del virus sul presidente: tutto è incerto, a cominciare dai dibattiti tv restanti, il 15 e il 22: un’opzione è di farli a distanza: così, almeno, si eviterebbero le interruzioni. Pare invece confermato il dibattito fra i vice, la prossima settimana.

Biden, 78 anni e la Harris hanno fatto il test e sono risultati negativi. Il candidato democratico è stato fin qui molto più prudente di Trump e continuerà a esserlo.

Il poeta Mahon e la resilienza Ue

Noi, che siamo brussellesi antemarcia, rimaniamo sempre estasiati di fronte alla prosa dei comunicati stampa del Consiglio europeo. Roba tipo: “Impareremo la lezione del Covid-19”; “per migliorare il mercato unico dobbiamo aumentare la nostra ambizione”; ora ci serve una “crescita inclusiva e sostenibile” e poi “competitività, occupazione, prosperità”; “la Ue deve perseguire un’ambiziosa (aridaje) politica per rafforzare la sua industria sostenibile: più verde, più competitiva (aridaje bis) e più resiliente” (eh no?). Dice: “Ora dobbiamo accelerare la transizione digitale in Europa”, ci serve la “sovranità digitale” (sì, sono sovranisti). Per fare tutte queste mirabilia, “a luglio il Consiglio ha approvato un pacchetto di recupero senza precedenti” (sarebbe il Recovery eccetera). Vabbè, non sarà il discorso di Gettysburg, ma l’importante è provarci. Solo che poi – proprio mentre tentavamo di capire come apportare, diciamo, l’ultima misura di devozione alla causa comune – ci sono venuti in mente certi insospettabili articoli di giornale letti la mattina: “È inutile nasconderlo: il rischio esiste. A furia di introdurre sassi e sassolini nell’ingranaggio, il Recovery Fund potrebbe essere rallentato o addirittura bloccato” (Stampa). Per la miseria! Chi osa? “Le resistenze dei Paesi frugali, in prima linea l’Olanda di Rutte, e del gruppo di Visegrad, guidato dall’ungherese Orbán, puntano ormai a riaprire a ottobre il negoziato su ciò che era stato deciso a luglio”. Corpo di Bacco! Ma come? “I frugali bloccano l’approvazione perché chiedono condizionalità stringenti sulla rule of law per concedere i fondi. I Visegrad la rifiutano. Ma c’è chi sospetta che i nordici frenino per rinviare l’arrivo dei soldi ai mediterranei” (Repubblica). E l’ambizione? E la resilienza? Ma perché? “A marzo in Olanda ci sono le elezioni e il premier Rutte ha tutto l’interesse a prendere tempo” (CorSera). No, non può essere che ad Amsterdam ragionino come un De Luca qualsiasi: “I nordici hanno già fatto sapere che se non saranno soddisfatti, i loro Parlamenti affonderanno il Recovery” (Repubblica). Sapete Derek Mahon, il poeta irlandese di “Andrà tutto bene”? Ecco, ieri è morto.

Mail box

 

Lecce, il male non ha confini geografici

Ci mancava il vostro titolista con questa perla: “Quel bravo figlio… e la terra del male”. Male che non si evince (in particolare) leggendo l’articolo. Ritengo che gli eventi di devianza (specie giovanile) accadono perché non si è provveduto ad aggiornare il software (cultura) di un hardware rimasto immutato rispetto ai cavernicoli. John Lennon fu ammazzato da uno psicolabile invidioso. Certe “parole in libertà” accodo, secondo me, perché nel Pantheon del Fatto c’è Montanelli principe del giornalismo e di pregiudizi: se fossero vere almeno la metà delle cose riportate in Wikipedia sul suo conto (visto che la famiglia tace devo dedurre che è tutto vero) non mi meraviglio su certe licenze di alcuni personaggi del Fatto.

Michele Putignano

Caro Michele, il titolista sono io. Ma c’è un equivoco: la “terra del male” non è la Puglia né il Salento. È una terra che ritroviamo a ogni latitudine, da nord a sud. Quella dello scrittore Di Monopoli non era una riflessione geografica, ma esistenziale.

M. Trav.

 

Inseriamo anche qui elezioni a metà mandato

Caro direttore, lei cosa ne pensa di due modifiche che influenzerebbero la politica tutta? La prima: accorciare il mandato elettorale di un anno. La seconda: introdurre le elezioni di mezzo mandato e chi riceve un numero di voti inferiori al 10% del risultato precedente va a casa. Voltagabbana, assenteisti, corrotti e corruttori ecc. ecc. avrebbero una fifa blu.

Alessandro

Caro Alessandro, il “recall” a metà mandato è un’ottima idea. La legislatura di quattro anni invece non credo cambierebbe granché.

M. Trav.

 

Ricordiamoci i disastri fatti da De Benedetti

C.D.B. ha finanziato Libertà & Giustizia, ma non l’ha fondata. È nata sulle scale di casa di Guido Rossi che aveva immaginato insieme a Umberto Eco, di dare vita a un’associazione di cittadini che prese quel nome, e di cui non ha mai smesso di essere “garante”. Sulle pagine del Corriere del 30 novembre 2002, sotto il titolo “Libertà e Giustizia: società civile e basta. La libertà di partecipare e il vizio delle etichette”, scriveva: “La tradizione della società civile nel nostro Paese ha radici profonde. L’accademia dei Pugni dei Verri e del Beccaria che altro era se non un’associazione aristocratica della società civile?”. Mi ero iscritto a L&G qualche giorno prima, e per qualche tempo ho creduto che potesse favorire la metamorfosi di una classe politica, imbozzolata per sopravvivere alla vergogna di “Mani pulite”, e alla “discesa in campo di B”. Le radici della società civile non diedero i frutti sperati, ma non è da escludere che i soldi di De Benedetti invece di concimarle le disseccassero ulteriormente, esperto com’è di disseccamenti (vedi Olivetti). L’illusione che la nascita del M5S possa coincidere con una fioritura tardiva da estirpare, è di tutta evidenza una ennesima illusione, e il M5S si sta disseccando da solo senza bisogno di interventi esterni.

Vittorio Melandri

 

Mattarella non può licenziare Salvini, ahinoi

Salvini la smetta di ripetersi e attenda fiducioso la sentenza della Corte su “Open Arms”, ringraziando il Cielo e pregando il Rosario che il presidente Mattarella non detiene i poteri del Papa di licenziarlo in tronco per i 49 milioni di euro scomparsi dai conti della Lega. Altro che Becciu!

Stefano Masino

 

L’Italia è piena di lingue e dialetti molto diversi

Non voglio difendere a spada tratta Suarez nell’esame di italiano e al fatto corruttivo che ne è scaturito, contesto una legge assurda che ci tocca, purtroppo ancora di osservare, obtorto collo. Ma ricordiamoci di quello che diceva lo scrittore Ennio Flaiano: “l’italiano vero è quello dei doppiatori”. Quanti sudtirolesi parlano correttamente italiano e tedesco? La mafia parla un siciliano “mafioso” e le espressioni degli imputati o dei pentiti vanno tradotte nel giusto modo. “Nei processi la traduzione” come afferma Ceruso, “da compiere non è dunque dal siciliano, ma dal mafioso all’italiano”. Particolari forme di tutela sono previste dagli Statuti Speciali nel Trentino-Alto Adige per quanto concerne le lingue tedesca e ladina (incluse minoranze cimbre e mochene), della Valle d’Aosta per quanto riguarda la lingua francese e della Sicilia per la lingua albanese. In Sardegna la lingua sarda e pari dignità rispetto alla lingua italiana per il catalano di Alghero, il tabarchino delle isole del Sulcis, il dialetto sassarese e a quello gallurese. Potrei andare oltre ma qui mi fermo.

Giorgio de Tommaso

 

Vannini si chiamava Marco, non Luca

Caro Travaglio, in famiglia siamo tutti fan del tuo giornale, ma l’errore di pagina 11 del 1 ottobre, proprio non te lo perdono. Come si fa a sbagliare il nome di Marco e scrivere Luca? Marco è diventato il figlio di tutti noi e mi sembra impossibile che si possa commettere un tale errore! Non ti sei mai sbagliato a scrivere il nome di Salvini o di altri personaggi simili. Voglio da te una risposta che mi faccia un po’ passare questa triste incazzatura.

Roberta Mora

Cara Roberta, è vero: Vannini si chiamava Marco, non Luca. Me ne scuso con la sua famiglia e con tutti i lettori.

M. Trav.

Scuola. “Io, precaria, rinuncio al posto. La mia vita vale più di 1.010 euro”

Caro Stato, cara ministra, caro governo, caro presidente della Repubblica, di oggi e di ieri. Vi scrivo per darvi una notizia importante: sono stata convocata con supplenza annuale per fare ciò per cui mi sono formata in anni di sacrifici, studiando, investendo, la mia famiglia e io, in tempo e danaro. Sono felice! Che bella sensazione… 12 ore di Italiano, Storia e Geografia, stipendio offerto 1.010 euro netti. Bene bene bene.. Fare “due conti” è d’obbligo: sono mamma, monogenitore, fare i conti della formichina è doveroso.

Caro Stato, lei mi offre uno stipendio di 1.000 euro per insegnare e istruire ragazzi e ragazze futuri cittadini italiani, a 1.000 km da casa, dove dovrò pagarmi un affitto di circa 400 euro al mese, più spese, più sopravvivenza personale, più spese di sussistenza per mia figlia minore, la quale nel frattempo dovrei abbandonare trasferendomi in altra città, arrivando a fine mese a 0 euro? Mi offre questo lavoro per cui io con impegno e sudore ho studiato, in cui credo tanto, in questo modo così poco riconoscente? Più che l’opportunità di svolgere la mia professione, mi sembra una “punizione“, come se dovessi pagare il conto di essere stata onesta e non aver scelto la facile via della raccomandazione. Non si offenda signor Stato di oggi e di ieri, ma vorrei che riflettesse. Certo potrei sradicare me stessa e mia figlia in 24 ore, perché questi sono i tempi che lo Stato, il governo, la scuola mi danno per prendere una decisione… O accetto o niente lavoro. Veloce, bisogna scegliere veloce!… Affrontiamo ora l’aspetto “senso della vita umana”: vorrei un consiglio da lei Stato su come dovrei fare a spiegare a mia figlia che dal giorno dopo lei starà con i nonni, saranno loro a seguirla in tutto, che io ci sarò per qualche breve intervallo, spiegare a mio padre anziano che non ci sarò più ad accudirlo, parlare ai miei amici, ai miei affetti più cari ed essere anche contenta di partire per 1.000 euro al mese sbattuta chissà dove a fare la mia professione… Quindi a conti fatti, economici ed emotivi, io insegnante precaria (che brutta parola) in questa convocazione non ci vedo niente da festeggiare… Ora comincio a capire il perché di tante rinunce da parte di colleghe/i: quella email è solo un bluff. Caro Stato, quanto vale per lei la professione d’insegnante? Troppo poco. Decido nel tempo che mi avete dato, ovvero 24 ore: rinuncio!!! Scelgo di vivere centrata nel senso della vita che ho scelto, non scambio la sua elemosina, caro Stato, con la mia dignità di docente, donna, mamma, cittadina.

 

Il virus di Trump e gli anticorpi che ci mancano

“Se un Berlusconcino americano sceglie la politica, allora deve vendere. Se non lo fa, allora è costretto a dimettersi”
(da Il sultanato di Giovanni Sartori – Laterza, 2009 – pag. 56)

Fra un mese esatto a partire da oggi, la vita del mondo potrebbe cambiare radicalmente. Dipenderà dal risultato delle elezioni americane del 3 novembre se avremo ancora un pericoloso “clown” alla guida della più grande potenza per altri quattro anni oppure no. E la svolta può riguardare la vita politica, economica e sociale degli Usa, ma anche quella di tutti noi.

Senza evocare la vendetta del virus o la pena del contrappasso, oggi il contagio del Covid colpisce due volte Donald Trump: come uomo e come icona globale. Il fatto è che “Donald il folle” – com’è stato soprannominato su Twitter – non è soltanto il presidente degli Stati Uniti. È un’icona, un modello, un prototipo a cui s’ispirano tanti suoi piccoli cloni sparsi nel globo. Tanti “Trumpini” che lo imitano, lo emulano, lo replicano. Dallo slogan “America first” alla predicazione del sovranismo fino all’atteggiamento arrogante e irresponsabile di fronte alla pandemia, il suo reality show è riuscito a incantare larga parte dei suoi connazionali: non a caso The Apprentice, trasmesso in tv per 15 stagioni, era stato da lui co-prodotto e presentato.

Ma adesso il re è nudo e malato. Le rivelazioni del New York Times sulla sua situazione fiscale, a conferma del fatto che il giornalismo indipendente ha ancora un ruolo e una funzione nell’era dei social network, lo hanno spogliato del suo travestimento. Delle due, l’una: o è un elusore o è un magnate fallito. Uno che, comunque, ha aperto voragini nei bilanci delle sue aziende. Crolla così il mito del business man; l’uomo d’affari ricco e potente; proprietario di grattacieli, alberghi, casinò e campi da golf.

Non è il caso qui di fare paragoni con qualche leader politico o tycoon televisivo di casa nostra. È chiaro, però, che una caduta di Trump coinvolgerebbe in qualche modo anche loro. Sarebbe la sconfitta di una leadership mondiale a cui s’ispirano e da cui traggono indirettamente forza e vigore. La fine di un “golpe di marketing”, com’è stato definito, che ha ammaliato e soggiogato gli americani. Un’infatuazione collettiva. Un sortilegio o un incubo.

Affiancato anche nella malattia dall’affascinante moglie Melania, ex modella slovena, Trump è diventato così un brand, una marca. La Bella e la Bestia. Due cuori e una Casa Bianca. Un prodotto politico da vendere sul mercato internazionale, come una serie televisiva di successo. E ora “Donald il folle” può diventare un testimonial inconsapevole della lotta al coronavirus.

Se non bastasse lo scoop giornalistico che lo ha smontato, si può riascoltare il primo confronto televisivo con il candidato democratico Joe Biden. Un avversario che certamente non “buca” il video, ma ha il pregio di apparire più convincente e affidabile. Sarà stato pure un disastro, questo faccia a faccia; infuocato e caotico, più simile a un incontro di wrestling che a un dibattito politico: tant’è che il prossimo dovrebbe svolgersi a microfoni alternati. E tuttavia, secondo i sondaggi d’opinione, per 6 elettori su 10 l’ha vinto il democratico Biden, più serio e rassicurante del suo avversario.

Non è la prima volta nella storia che un popolo s’innamora del suo tiranno mediatico. Ma è inconcepibile che tutto ciò sia accaduto ora nella più grande democrazia occidentale, in piena civiltà della comunicazione. O magari, è accaduto proprio per questo. Per la mancanza o l’insufficienza degli anticorpi in grado di neutralizzare il virus del “fenomeno Trump”.

 

Lo scandalo londinese mina la credibilità della Chiesa

La Chiesa di Papa Francesco, in questi anni, deve confrontarsi con prove tristissime, inimmaginabili solo qualche decennio fa. L’ultima, in ordine di tempo, riguarda gli acquisti di un palazzo extra lusso e di appartamenti a Londra tramite l’intervento di finanzieri e faccendieri di fama non proprio adamantina.

La concreta rilevanza di quei fatti ai fini delle ferendae sententiae (cioè per la comminatoria di pena) è ovviamente affidata alle decisioni della Giustizia vaticana. Nel contesto in cui è maturata la vicenda, emergono peraltro spunti di notevole attenzione per la loro incidenza sulla vita della Chiesa e sulla serenità dei fedeli. Si tratta dell’uso, da parte della Santa Sede, dei beni temporali, tra i quali il denaro. Secondo il canone 1254 la Chiesa cattolica è titolare e usa beni temporali per conseguire i suoi peculiari fini che sono principalmente “la necessità di organizzare il culto divino, provvedere a un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare le opere del sacro apostolato e della carità, soprattutto verso i poveri”. Per quanti sforzi ermeneutici si possano fare, le operazioni immobiliari londinesi non rientrano nelle previsioni di quel precetto e, anzi, rappresentano l’esatto opposto del codice canonico. La sottrazione di enormi somme alla gestione disciplinata da precise disposizioni, infatti, impedisce in concreto l’uso per quei fini particolari dei beni ecclesiastici, tra i quali rientra ovviamente il denaro appartenente alla Sede Apostolica (canone 1257). Tale contegno è espressamente indicato tra quelli dichiarati punibili “con una giusta pena” dal canone 1375.

Si può obiettare che la sostanza di queste riflessioni è ampiamente presente nel comune sentire e desta scandalo per il contrasto con un tema assai caro a papa Bergoglio: l’aiuto, nella condivisione dei beni, per i poveri della terra. Si ritiene, tuttavia, che un richiamo al diritto della Chiesa imprima una diversa colorazione all’intera vicenda perché dimostra, con precisi riferimenti normativi, l’assoluta divaricazione tra attività preordinate all’apostolato, e alla salvezza delle anime, e attività con finalità commerciali e speculativa, proprie di una società per azioni, poste in essere da altissimi officiali di curia addirittura di rango cardinalizio.

La questione si sposta pertanto alle ragioni dell’evidente violazione da parte del cardinale, in materia gestionale, degli obblighi e doveri sanciti da numerosi canoni e diventa particolarmente spinosa perché, ex canone 1273, il Romano Pontefice, in virtù del suo primato di giurisdizione, è il supremo amministratore e dispensatore di tutti i beni ecclesiastici. L’uso orgiastico di centinaia di milioni di euro per finalità commerciali assume, in tale prospettiva, oggettiva qualità di tentativo destinato a imputare al Papa la responsabilità finale dell’intera operazione. La divaricazione si sposta così dalla natura delle attività all’intento sotterraneo di minare la credibilità del supremo amministratore. Questo è l’aspetto più inquietante dell’intero affaire. Non è questa la sede per circoscrivere l’imputabilità alla consapevole violazione dei doveri d’ufficio o di estenderla alla volontà di colpire indirettamente il Pontefice: la risposta la darà il processo. S’intende qui sottolineare come tali prassi manageriali, decontestualizzate dai doveri dell’apostolato con particolare riferimento alla carità per gli ultimi, siano l’infausto sintomo di una crisi identitaria delle gerarchie curiali particolarmente grave che, se non sottoposta a severa correzione, finirà per produrre all’Istituzione danni difficilmente risarcibili. Il pericolo è ormai evidente e gli attacchi a Papa Francesco di molti agiati “benpensanti” e di personaggi alla “sono cattolico come pare a me” vanno tutti in questa drammatica direzione.

 

Nove punti per attuare in toto la vittoria del sì

La schiacciante prevalenza del Sì al Referendum costituzionale del 20 e 21 settembre ha confermato la piena consonanza dei cittadini con il Parlamento. Il Sì non è un rifiuto del Parlamento come i media tradizionali hanno provato a sostenere, senza successo. I cittadini hanno votato Sì per migliorare il funzionamento della rappresentanza e quindi le dinamiche del Parlamento. Il risultato è ancora più significativo, al di là dei numeri, perché il contrapposto un fronte (del No) ha raccolto il sostegno incessante delle élite burocratiche e finanziarie, della stampa che di fatto le rappresenta, di buona parte dei giornalisti Tv e di tutti quei gruppi e clan di potere che vogliono conservare il proprio spazio di privilegi sottraendo la Libertà di iniziativa dei cittadini. Inoltre, i dati delle zone Vip delle principali città del nord e del centro (le Ztl) mostrano che l’alta borghesia ha smarrito ogni connotazione einaudiana ed è succube di una mentalità conservatrice ostile a un qualunque mutamento che possa toccare i privilegi accumulati con le relazioni intessute fino al momento.

È ora necessario che il Parlamento si mantenga reattivo nell’affrontare il nuovo quadro istituzionale, avviando il varo di riforme necessarie per migliorare ulteriormente il funzionamento delle istituzioni il cui fine ultimo è la rappresentanza degli interessi dei cittadini; e che lo stesso faccia il governo. Ciò è ancor più urgente e indispensabile, visto oltretutto che molti dei media proseguono imperterriti a demonizzare la logica del Sì. Nell’immediato il primo impegno è del governo, che dovrà attuare la delega che già ha, per adeguare la legge elettorale al taglio di deputati e senatori, ormai in Costituzione. Come noto, si tratta di una procedura abbastanza automatica e di poche settimane, su cui le Camere saranno consultate e in cui il governo dovrà assicurare che non trovino spazio manine burocratiche fantasiose. Subito dopo si presentano questioni più controverse, a cominciare dall’attesa di una nuova legge elettorale, di ulteriori riforme costituzionali e di nuovi regolamenti parlamentari. Spetta ai gruppi politici raggiungere in ciascuno di tali settori gli accordi che consentano una convergenza almeno minima. Peraltro, ci sentiamo di suggerire alcune soluzioni ragionevoli nella linea del procedere.

1) Il sistema elettorale dovrà garantire che, una volta presentati dai partiti programmi e liste di candidati, i cittadini possano scegliere le indicazioni politico progettuali e i nomi dei candidati. Questo principio implica l’esclusione delle pluricandidature in più aree territoriali e che, in tutti i casi in cui il sistema non sia quello dei collegi uninominali per ciascuno degli eligendi, le liste non saranno bloccate e ci saranno le preferenze.

2) Le soglie non sono uno strumento anti rappresentativo e possono sussistere, ma sono del tutto superflue al Senato ove sono ampiamente sostituite dal numero ristretto da eleggere in ogni circoscrizione senatoriale, cosa che porterà a una soglia comunque più elevata.

3) Siccome il presidente della Repubblica, in quanto rappresentante dell’unità della Nazione nelle sue articolazioni, dovrebbe essere eletto da un’assemblea significativamente più ampia dei membri delle Camere, il numero dei delegati regionali a tal fine non dovrebbe essere comunque ridotto, semmai aumentato.

4) La procedura di sfiducia del Governo dovrebbe essere trasformata in una procedura improntata al meccanismo di sfiducia costruttiva, in modo da dare al voto delle Camere una valenza costruttiva.

5) Sarebbe utile introdurre in Costituzione regole per implementare forme: a) di partecipazione del cittadino al fare leggi nel rispetto della centralità del Parlamento; b) per il suo coinvolgimento nelle decisioni da assumere in settori definiti dalle norme; c) di revoca di un eletto da parte del suo collegio.

6) Al fine di rimediare i guasti provocati dal bicameralismo paritario nei tempi della legislazione e nelle decisioni, rivedere le funzioni attribuite al Senato.

7) Nel quadro del collegare sempre più le istituzioni alla realtà, dare il diritto di voto a chi ha compiuto 16 anni.

8) Per porre un freno al cambio di casacca nel corso di una legislatura, i Regolamenti delle due Camere dovrebbero sancire che nei rispettivi Gruppi Misti non sono possibili sotto componenti se non all’atto della prima iscrizione successiva all’elezione del Parlamentare.

Un ultimo punto visto che seppure secondario è stato introdotto nel dibattito corrente.

9) Avviare una discussione seria e quindi argomentata sperimentalmente sui fatti circa gli stipendi e le risorse a disposizione dei parlamentari, che potrebbe essere allargata più in generale ai costi della politica.

 

Da non perdere in Tv: “Attacco al potere” (con il decoder pirata)

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Sky Cinema Uno, 21.15: Petra, fiction. Una serie di lugubri reperti, frutto di orrende mutilazioni (cazzi), arriva per posta a Petra. Non mancano i duetti con ospiti e spazi musicali.

Rai 5, 21.15: Salman Rushdie, un intrigo internazionale, documentario. Dopo la pubblicazione del suo libro I versi satanici, nel 1989, Salman Rushdie viene “condannato a morte” dai fanatici musulmani. Ha dovuto traslocare 56 volte, e vivere recluso, e sotto falsa identità. Per un anno si è finto Valentino Rossi, ma la sua partecipazione alla 8 Ore di Suzuka, nel 2000, terminò con un ritiro.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Gesù risorge, ma continua a combinare pasticci.

La7 D, 20.25: I menu di Benedetta, cucina. Nella puntata di oggi, Benedetta Parodi cucina un libro di cucina.

La 5, 21.10: Una moglie per papà, film-commedia. Los Angeles, anni 50. Ray, dopo la morte della moglie, riesce a superare il momento no grazie ai pompini di una governante di colore.

Rai 1, 21.25. Ulisse, il piacere della scoperta, documentario. Protagonista della quarta puntata della nuova edizione del programma condotto da Alberto Angela è la formica dell’Himalaya, uno degli insetti più feroci che esistano in natura. Può mangiare vivo un uomo. Ci mette un po’, ma può mangiare vivo un uomo.

Rete 4, 13.00: La signora in giallo, telefilm. Una serie tirata via in cui si vedono spesso i cadaveri respirare.

Sky Cinema Suspense, 21.00: Basic Instinct, film-thriller. Negli Stati Uniti cambiano le scene dei film a seconda dei test su gruppi di controllo. Da Basic Instinct i produttori tolsero una scena lesbica perché al gruppo campione non piaceva. Ecco perché questo film è una stronzata. Ci fossi stato io nel gruppo campione, il film sarebbe stato completamente diverso: Sharon Stone che lecca la figa a Sofia Vergara per un’ora e mezzo, titoli di coda, fine. Non prendete decisioni al posto mio, cazzo! Basic Instinct. Il pubblico borghese di tutto il mondo si eccitò perché poté vedere il pelo di Sharon Stone per un ottavo di secondo! Lo sanno, questi coglioni, che esistono film con un ottavo di secondo di trama e un’ora e mezzo di figa dappertutto?

Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. In questa puntata Paolo Mieli ci parla di Carl Gustav Jung, lo psicoanalista e antropologo svizzero, la cui vita fu una cornucopia di peripezie. In polemica con Freud, Jung si mise in proprio. Incontrava i suoi pazienti in un negozio di arredamenti, dove, col pretesto di comprare un divano, ne individuava uno appartato e ci conduceva la seduta analitica. Dopo 50 minuti, dottore e paziente se ne andavano, con Jung che spiegava al commesso che avevano voluto solo “dare un’occhiata in giro”.

Rai 1, 23.35: Porta a Porta, attualità. “Hai visto l’ultimo Jurassic Park?” “No. Se voglio vedere dei dinosauri guardo Porta a Porta”.

Rete 4, 18.55: Tg4: il Tg4 dovrebbe essere sottotitolato, così anche i non udenti potrebbero farsi quattro risate.

Sky Suspense, 21.00: Il signor Diavolo, film-suspense. Quando danno un film di Pupi Avati lo guardo sempre, che abbia bisogno di dormire o meno.

Sky Cinema Action, 21.00: Attacco al potere, film-azione. Vorrei poterne scrivere, ma a metà film la Guardia di Finanza mi ha sequestrato la Smart Card piratata.

 

il “Tempo” del padrone, ma bellomo è “libero”

Per capire l’indagine della Procura di Roma sul deputato di Forza Italia Antonio Angelucci non bisogna leggere Il Tempo, di cui lo stesso è editore. In un box a pagina 15, il quotidiano ha dedicato alcune righe alla vicenda. Nel titolo c’è tutto: l’accusa di istigazione alla corruzione, la difesa di Angelucci.

Ma nel pezzo manca il cuore della contestazione. Non si parla mai dei 250mila euro che, secondo le accuse dei pm, sarebbero stati offerti dal deputato di Forza Italia all’assessore alla sanità della Regione Lazio per sbloccare il pagamento di pretesi crediti del San Raffaele di Velletri al quale la Regione aveva revocato l’accredito. La notizia dell’indagine a carico di Angelucci non ha trovato invece spazio nell’altro giornale di cui il deputato è editore, Libero, dove però, si nota, è entrata una nuova firma: si tratta di Francesco Bellomo, l’ex giudice del Consiglio di Stato che chiedeva alle sue corsiste di indossare minigonne e tacchi a spillo. Bellomo dovrà affrontare un processo a Bari, nel frattempo su Libero parla dei “pregiudizi delle toghe”.

Ma torniamo all’inchiesta. Sulle pagine del Giornale succede qualcosa di meraviglioso. È in un basso a pagina 12 che la presunta tangente offerta a un certo punto diventa “un’incauta avance dell’imprenditore”. Su altri giornali la notizia ha trovato lo spazio di un box, a pagina 4 su La Verità e poi a pagina 13 su Il Messaggero. Evidentemente, il caso di un deputato che, secondo le accuse, ha offerto a un pubblico ufficiale una mazzetta non deve essere troppo rilevante.

Uno e trino Bentivogli a reti unificate

Va bene che spesso i giornali si contendono titoli ed editorialisti, ma una cosa così ancora non si era vista. S’intende la nuova verve editoriale di Marco Bentivogli, ex sindacalista già a capo della Fim Cisl. Il nostro, come noto, ha idee molto riformiste e da un po’ lo si trova su tutti i giornali. Da Repubblica, dove attacca il decreto Dignità perché spinge le aziende a non usare a oltranza i contratti precari, alle pensose rubriche sul Foglio per finire al Sole 24 Ore di Confindustria. Solo che ieri è apparso contemporaneamente su tutti e tre i giornali con tre lunghi editoriali: 18.988 battute dispiegate sulla grande stampa. Il nostro è uno e trino. Editorialista a Repubblica, dove se la prende con i partiti “che non sono più contenitori di idee” e auspica una “base comune di cultura politica”; lettore indignato al Sole 24 Ore, dove scrive al direttore per condividere con lui (e l’editore) il fastidio per quel “sussidistan” che è diventata l’Italia dove si “offre ai giovani come biglietto d’ingresso alla cittadinanza un sussidio dello Stato o la paghetta dei nonni”; infine rubrichista al Foglio, dove discetta dei vantaggi del Mes e dell’ignoranza dei suoi critici. C’è un Bentivogli per ogni giornale.