“Chi prende il Reddito cerca lavoro, non sta sul divano”

“Beneficiari del Reddito di cittadinanza con la patologia della pigrizia? No, non ci sembra proprio. Anzi, da quello che vediamo, queste persone si attivano per cercare lavoro come tutti gli altri disoccupati”. A fare a pezzi il luogo comune ricorrente che, specie in questi giorni, sta infestando il dibattito politico italiano è Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro. Si tratta dell’ente regionale che gestisce i Centri per l’impiego, quindi il suo è un osservatorio privilegiato sui comportamenti sia delle imprese sia delle famiglie che ricevono il sussidio anti-povertà.

Direttore, questa estate proprio gli albergatori di Jesolo si sono lamentati perché, dicono, la gente preferirebbe il Reddito di cittadinanza piuttosto che accettare lavori stagionali. Le cose stanno davvero così?

Il problema è il metodo utilizzato da queste imprese. Se hai bisogno di addetti e vuoi essere sicuro che quelli che convochi non ti facciano storie di quel tipo, fai la selezione insieme ai Centri per l’impiego anziché farla per i fatti tuoi. Perché se ti rivolgi ai Centri e poi uno che prende il reddito di cittadinanza rifiuta la tua proposta di assunzione, noi mandiamo la segnalazione all’Anpal, che a sua volta segnala all’Inps e scatta la sanzione.

Ma è vero che quelli con il Reddito sono più propensi a restare sul divano che a rimboccarsi le maniche?

Premessa: in Veneto abbiamo convocato 22mila persone ed è emerso che circa il 55% non necessita del “Patto per il lavoro”, perché sono già occupate o perché hanno problemi di disabilità, devono assistere bambini piccoli o anziani non autosufficienti, o sono bisognose di un supporto diverso e vengono rinviate ai servizi sociali. Queste sono esonerate dalla ricerca del lavoro. Quelle che, invece, sono idonee al “Patto”, vengono prese in carico dai centri per l’impiego e si muovono come tutti gli altri, si candidano alle offerte che ricevono. In genere vengono da precedenti lavori a bassa qualifica nella logistica, nel commercio e nel turismo, noi li aiutiamo a rientrarci. Inoltre, in questo periodo le pubbliche amministrazioni stanno facendo i bandi per le assunzioni di lavoratori con titoli di studio inferiori alla terza media: anche qui non abbiamo rilevato elementi di bassa partecipazione da parte di chi prende il reddito.

Di solito le aziende dicono di fidarsi poco dei Centri per l’impiego. A voi mandano sufficienti offerte di lavoro?

Quando andava bene, il nostro servizio aveva 1.500 offerte al mese, circa il 5% del totale degli annunci in Veneto. Molte aziende medio-grandi vanno dalle agenzie private, forse perché non conoscono quello che fanno i centri per l’impiego, pensano servano solo per gli adempimenti burocratici. Una delle società che si è rivolta da noi è Zalando, sa perché?

Perché?

È tedesca e in Germania sono abituati a rivolgersi ai servizi pubblici. Noi qui abbiamo fatto eventi online, che si chiamano Incontra Lavoro, con Amazon a Rovigo. Le nostre piccole aziende stagionali, invece, scelgono percorsi diversi, magari si affidano sempre alle stesse persone ogni anno e non vengono da noi. Il problema della fiducia da parte loro nei nostri confronti è reale, ma la si conquista dimostrando che i nostri servizi funzionano. Per esempio, noi forniamo la lista dei pre-selezionati entro tre giorni.

Finora avete presentato 3.888 posizioni vacanti ai beneficiari del reddito di cittadinanza. Avete sanzionato davvero quelli che hanno rifiutato un posto?

Se uno non si presenta a una convocazione senza giustificazione noi lo segnaliamo all’Anpal, poi non sappiamo se l’agenzia e l’Inps danno seguito alle sanzioni. Quanto a chi rifiuta il lavoro, i centri per l’impiego non sono i proprietari dell’offerta. È l’azienda a decidere chi assumere, i centri non hanno notizie in caso di rifiuto da parte di un “redditato”. Mai capitato che l’impresa inviasse una lettera in cui mi dice che il candidato ha rifiutato una proposta di contratto. Chiedono a noi solo la preselezione, noi forniamo 10 candidati per una posizione, poi scelgono. Ma non sono obbligate a dare l’informazione sulla rinuncia da parte della persona, per obbligarle formalmente ci sarebbe un aggravio di costi.

Rai, aria di proroga: Salini, Foa e il Cda in sella anche dopo la scadenza di luglio

La voce gira con insistenza. Dentro la Rai ma anche in Parlamento. Ed è questa: l’intero vertice di Viale Mazzini potrebbe andare avanti oltre la scadenza di luglio, magari per un altro anno o forse più. Una proroga che riguarderebbe l’ad Fabrizio Salini, il presidente Marcello Foa e tutto il cda (Beatrice Coletti, Giampaolo Rossi, Igor De Biasio, Rita Borioni e Riccardo Laganà). Non c’è ancora nulla di ufficiale e i diretti interessati affrontano l’argomento con le pinze, ma la possibilità è solida. Giuseppe Conte avrebbe già dato il suo benestare, anzi per alcuni sarebbe proprio lui l’ispiratore di questa soluzione, che ha trovato il gradimento del M5S, mentre il Pd è diviso con una parte a favore (l’area di Franceschini) e un’altra contraria (Orlando). Il centrodestra, naturalmente, è contro, con una sfumatura diversa per FdI, grazie al buon rapporto che il consigliere Rossi (area Meloni) ha costruito con Salini.

Il motivo della proroga? Innanzitutto si tratterebbe di una grana in meno per l’esecutivo in una fase – giugno e luglio – in cui ci sarà da gestire ancora l’emergenza Covid e soprattutto sarà il momento topico per decidere come utilizzare i 209 miliardi dell’Europa. Come sono state rinviate alcune nomine di società pubbliche, così si potrebbe fare anche per Viale Mazzini, dove il cambio di vertice è sempre frutto di estenuanti trattative tra le forze politiche. In secondo luogo, si faciliterebbe il Parlamento nel mettere a punto una difficile ma non impossibile la riforma della governance evocata da più parti, ultimo Roberto Fico qualche giorno fa. Infine, con più tempo a disposizione, Salini avrebbe l’opportunità di riprendere in mano il suo piano industriale lavorando con più calma, senza la mannaia della scadenza sul collo. “Ne ho sentito parlare, ma non c’è nulla di ufficiale. I vertici di diverse aziende pubbliche sono stati prorogati in questo periodo di emergenza. Non ci vedrei nulla di male se si facesse lo stesso per la Rai. Il piano industriale di Salini merita di essere portato a compimento e con un nuovo vertice bisognerebbe ricominciare daccapo”, sostiene il senatore pentastellato Primo Di Nicola.

Salini sul tema non si sbilancia, ma non sarà un caso che nei suoi ultimi interventi sia tornato a parlare del piano industriale che sembrava dimenticato. Insomma, se a giugno il manager era dato in uscita da Viale Mazzini (verso Netflix, dove poi è andata Eleonora Andreatta), ora potrebbe addirittura restare a oltranza. I paradossi di mamma Rai.

Gualtieri si dà due anni: “Più deficit fino al 2023”

Il governo è convinto che il Patto di Stabilità Ue non tornerà in vigore almeno per due anni. Lo si desume dalle parole del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ieri in audizione in Senato. La prossima nota di aggiornamento sui conti pubblici (Nadef) riporterà infatti un deficit programmatico per il 2021 del 7% e per il 2022 del 4,7%: significa risorse aggiuntive rispetto al quadro tendenziale – cioè a cosa succederebbe senza nuovi interventi – per l’1,3% del Pil nel 2021 (circa 22 miliardi di euro) e per lo 0,6% (circa 10 miliardi) l’anno dopo. A quel punto, probabilmente troppo presto, si tornerebbe a comprimere il bilancio: nel 2023 il tendenziale segna 3,4% e il Tesoro vuol portarlo al 3%. Gualtieri spera che sia il Recovery Fund europeo a garantire all’Italia le risorse per fare politiche espansive dal 2021 in poi: “I grants (sussidi) non finiscono nel deficit, sono soldi aggiuntivi e si sommano al percorso indicato nella Nadef. L’anno prossimo saremo in grado di spendere complessivamente 15 miliardi di grants, dunque la manovra sarà espansiva per 40 miliardi circa”.

La Procura ricorre contro assoluzione Welby e Cappato

La Procura di Massa ricorre in appello contro la sentenza che ha assolto Mina Welby e Marco Cappato dall’accusa di istigazione al suicidio per la morte di Davide Trentini, malato di sclerosi multipla, deceduto in Svizzera nel 2017. Il pm Marco Mansi aveva chiesto per Welby e Cappato 3 anni e 4 mesi di reclusione, una condanna al minimo di legge e riconoscendo tutte le attenuanti, aveva spiegato in aula. “Il reato di aiuto al suicidio sussiste – aveva detto il pm –, ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito”. Tra le contestazioni il rilievo che a parere dell’accusa la Corte costituzionale non avrebbe chiarito cosa si debba intendere per trattamento di sostegno vitale, ovvero dipendenza da macchinari. Per questo ha contestato che i giudici di Massa abbiano equiparato i trattamenti medici e l’assistenza a cui Trentini era sottoposto a tecniche strumentali di sostegno. La Procura ritiene inoltre che la malattia di cui soffriva Trentini non fosse di per sé mortale.

Ilardo che portò a un passo da Provenzano Condanne confermate per il gotha mafioso

Non era soltanto un capomafia di provincia, vicino ai corleonesi: con il contributo nascosto di Luigi Ilardo, confidente del colonnello dei carabinieri Michele Riccio, il 31 ottobre del 1995 lo Stato è arrivato ad un passo dal chiudere la partita con la latitanza di Bernardo Provenzano, arrestato solo 11 anni dopo, ma anche, probabilmente, da numerose verità scomode sulla stagione stragista. Sono arrivati prima i killer a chiudergli la bocca, pochi giorni dopo l’inizio della sua collaborazione con le procure di Palermo e Caltanissetta, alla presenza degli ufficiali del Ros, e la sentenza della Cassazione che ieri ha confermato i quattro ergastoli inflitti in appello al boss della Cupola Giuseppe Madonia, a Vincenzo Santapaola, cugino di don Nitto, a Maurizio Zuccaro e a Orazio Cocimano, i primi due mandanti, il terzo organizzatore e il quarto esecutore materiale del delitto, timbra le responsabilità del livello mafioso di un delitto che rientra a pieno titolo tra i misteri di mafia. “Dopo 24 anni abbiamo avuto giustizia, anche se ancora a metà – dice la figlia Luana Ilardo – è un momento importante ma non conclusivo. Mio padre non è stato protetto né da vivo né da morto, per anni siamo stati isolati e adesso mi aspetto che vengano individuate le altre responsabilità’’. E cioè quelle di chi tradì la fiducia del boss infiltrato nel cuore del vertice corleonese impegnato, negli anni del dopo stragi, a gestire la strategia della “sommersione mafiosa”, informando Cosa nostra della sua collaborazione e armando così la mano dei killer. Con il colonnello Riccio Ilardo aveva aperto i rubinetti della memoria parlando dei rapporti storici tra i boss ed esponenti della massoneria, del ruolo di “faccia di mostro” nell’omicidio dell’agente Agostino ed in quello del piccolo Claudio Domino, ed il suo contributo più noto si stava per realizzare a Mezzojuso, quando portò i carabinieri del Ros in un casolare dove incontrava Bernardo Provenzano, che in quell’occasione riuscì incredibilmente a sfuggire alla cattura. Ma prima di quel giorno furono quasi 50 i boss e i picciotti catturati in Sicilia grazie alle sue soffiate. Un contributo mai riconosciuto dallo Stato ai suoi familiari né ai (pochi) investigatori che in quegli anni erano impegnati nel contrasto a Cosa Nostra, uscita dalle stragi indebolita ma ancora appesa alle sue relazioni pericolose dentro le istituzioni, come racconta il libro di Giampiero Calapà A un passo da Provenzano (Utet).

Contagi Oltre 2.500 casi, mai così tanti da cinque mesi “Prorogare l’emergenza”

“Andremo in Parlamento a chiedere la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio”. Nel giorno in cui i contagi superano quota 2.500, l’ufficialità di una misura che era nell’aria da giorni arriva da Giuseppe Conte.

“In Consiglio dei ministri – ha spiegato il capo del governo a margine della visita alla scuola media “Francesco Gesuè” a San Felice a Cancello, nel Casertano – abbiamo convenuto che la situazione resta critica, per quanto la curva dei contagi sia sotto controllo. Richiede però la massima attenzione, e per questo abbiamo deciso di proporre al Parlamento la proroga”. I dati del ministero della Salute dicono che i nuovi positivi continuano a salire: 2.548 quelli comunicati ieri (697 in più di mercoledì) a fronte di un nuovo record di tamponi: 118.236, circa 13mila in più. È il numero più alto dal 25 aprile, quando i contagi furono 2.357. Un dato che, secondo alcuni osservatori, potrebbe essere legato alla riapertura delle scuole. Sono invece 24 le vittime.

Il Veneto guida la classifica giornaliera: 445 nuovi casi, su cui incide il focolaio scoppiato tra i migranti ospiti dell’ex caserma Zanusso a Oderzo (Treviso). Segue la Campania (390, a fronte di soli 8.311 tamponi), Lombardia (324, ma con 24.691 test) e Lazio: 265 con oltre 11mila analisi e un indice Rt che sale a 1,09. In Regione è pronta l’ordinanza che renderà obbligatoria la mascherina all’aperto.

Un’altra strada: settanta progetti sugli anticorpi

Alla corsa al vaccino anti-Covid si aggiunge ora quella per ottenere un farmaco biologico a base di cosiddetti anticorpi monoclonali — una versione sintetica degli anticorpi prodotti naturalmente dal sistema immunitario contro il virus, clonati poi in laboratorio e riprodotti in modo standardizzato. Sono oltre 70 i progetti di ricerca in corso, in fasi diverse di sperimentazione (in vitro, sugli animali e alcune già sull’uomo). A differenza di molti trattamenti impiegati contro il Covid e che vedono l’impiego nelle forme più gravi, gli anticorpi monoclonali sintetizzati in laboratorio specifici per il SarsCov2, promettono di innescare un’immediata risposta immunitaria su pazienti che hanno appena scoperto di essere positivi, evitando la progressione della malattia.

Questi anticorpi si legano alla proteina spike del virus impedendogli così di invadere le cellule, riducendo così rapidamente i sintomi e la carica virale. Tra i pionieri di questo approccio applicato al Covid c’è l’azienda Astrazeneca insieme all’Università Vanderbilt di Nashville (Usa). E l’Università di Utrecht in Olanda, che lo scorso maggio ha individuato anticorpi monoclonali in grado di bloccare completamente il virus, per ora in cellule umane in vitro. Alcuni approcci si basano sulla clonazione di anticorpi ottenuti da pazienti guariti, altri da ratti geneticamente modificati per avere un sistema immunitario simile a quello dell’uomo, in grado cioè di produrre anticorpi compatibili con quelli umani. Approcci che promettono di funzionare anche come prevenzione: nel caso di categorie a rischio di infettarsi, come il personale ospedaliero (sebbene la protezione anticorpale a lungo termine resti tuttora incerta).

Negli ultimi due giorni ci sono stati annunci importanti: l’individuazione di due nuovi anticorpi monoclonali che, secondo uno studio pubblicato da Science, appaiono particolarmente efficaci contro il virus, per ora nel modello animale, da parte di un team internazionale di cui fa parte anche l’Ospedale Sacco di Milano. L’altro annuncio, in assenza però di pubblicazione scientifica, è quello della dalla biotech Regeneron Pharmaceuticals: un mix di due anticorpi monoclonali con un razionale simile a quello della Ely Lily (che ha annunciato i primi risultati su uno studio pilota sull’uomo due settimane fa). Gli studi di Regeneron ed Ely Lily sono al momento quelli che destano maggiori speranze. Come riporta Science, due giorni fa Regneron ha mostrato i primi dati su 275 volontari infetti di uno studio controllato con placebo, da estendere a 2.100 individui asintomatici o moderatamente malati. Il trattamento ha mostrato scarso effetto su pazienti che avevano già sviluppato anticorpi, mentre i benefici sui pazienti che non li avevano ancora sviluppati (i cosiddetti sieronegativi) appaiono significativi: la quantità di virus e i sintomi si sarebbero rapidamente ridotti.

A differenza della Ely Lily che utilizza un solo anticorpo monoclonale, la Regeneron ne usa due, ognuno dei quali si lega a due siti differenti della proteina spike. L’intento è quello di risultare efficace anche in vista di future mutazioni del virus. Secondo i ricercatori di Regeneron, è improbabile che entrambi i siti della proteina spike possano mutare. E quindi uno dei due anticorpi potrebbe funzionare anche contro nuove mutazioni del virus. La produzione di anticorpi monoclonali è però estremamente costosa e difficile da produrre su larga scala. Il che rischia di innescare una nuova corsa all’accaparramento delle dosi, lasciando ancora una volta fuori i Paesi più poveri, che difficilmente, comunque, potrebbero permettersi farmaci così costosi. Nel frattempo, gli annunci in assenza di pubblicazioni, se da un lato favoriscono un tempestivo scambio delle informazioni, rischiano ancora una volta di innescare speranze troppo presto.

Non c’è solo Oxford: Per il vaccino corsa a nove

L’attenzione è rivolta con ansia al vaccino nel giorno della grande paura di una seconda ondata prepotente anche sull’Italia per i contagi balzati sopra soglia duemila (2.548, +697 su mercoledì), mai così tanti da aprile seppur col record assoluto di tamponi (118.236, +12.672 sul giorno precedente). Le vittime di ieri sono 24 (+5) e 11 pazienti in più sono entrati in rianimazione (totale 291). E proprio ieri l’Ema, agenzia europea del farmaco, ha avvitato la procedura per l’approvazione del vaccino anti-Covid prodotto dalla multinazionale inglese AstraZeneca, sviluppato dallo Jenner Institute di Oxford, con la collaborazione dalla Irbm di Pomezia. “Ci stiamo muovendo rapidamente, ma senza scorciatoie”, ripete Lorenzo Wittum di AstraZeneca. Con la sperimentazione già arrivata alla fase 3 lo studio aveva avuto una battuta d’arresto a inizio settembre per un effetto collaterale segnalato in un paziente inglese. Dopo la sospensione è stata avviata un’indagine da parte di un comitato indipendente e, quindi, l’autorità inglese del farmaco ha dato il via libera alla ripresa della sperimentazione clinica. La Fda, l’agenzia americana, chiede ulteriori chiarimenti al contrario dell’Ema che, però, precisa: “Non significa che si possa già arrivare a conclusioni su efficacia e sicurezza: la gran parte dei dati deve essere ancora analizzata”.

“Dobbiamo resistere col coltello tra i denti in questi sette, otto mesi difficili che ci attendono, ma mentre resistiamo dobbiamo anche guardare al futuro”. Parole del ministro della Salute Roberto Speranza ieri in visita allo stabilimento di Anagni della multinazionale Sanofi che dal 3 settembre è impegnata nella sperimentazione di un vaccino in fase 1 (prima somministrazione del vaccino sull’uomo per valutare la tollerabilità e la sicurezza del prodotto: il numero dei soggetti coinvolti è molto ridotto) e 2 (il vaccino è somministrato a un numero maggiore di soggetti per valutare la risposta immunitaria prodotta, la tollerabilità, la sicurezza e definire le dosi e i protocolli più adeguati). Da segnalare anche il vaccino tutto italiano dell’azienda ReiThera di Castel Romano alla fase 1: sostenuto dal ministero della Ricerca con il Cnr e dalla Regione Lazio, la sperimentazione è cominciata ad agosto allo Spallanzani di Roma e al Centro Ricerche Cliniche di Verona. Ma sono 48 in tutto il mondo i progetti su vaccini in fase clinica e di questi solo nove, AstraZeneca compresa, sono già arrivati alla fase 3 (o fase 2/3) di sperimentazione sull’uomo, quella in cui il vaccino viene somministrato a un numero elevato di persone, decine di migliaia, per valutare la reale funzione preventiva del siero. Per tutti sarà comunque difficile esser pronti prima di metà 2021, come sostenuto già ad aprile dal luminare Rino Rappuoli. Anche se Bill Gates, padre di Microsoft, indica l’inizio del 2021 auspicando come il segretario generale dell’Onu António Guterres che il vaccino sia distribuito in dosi sufficienti anche ai Paesi poveri “altrimenti il Covid non sarà sconfitto”. Ecco chi sono i nove che stanno correndo più veloce.

AstraZeneca, Uk/Italia.Durante l’interruzione della somministrazione di nuove dosi di vaccino è continuato il monitoraggio dei soggetti a cui il vaccino era già stato somministrato. Complessivamente sono circa 18mila le persone coinvolte nel progetto anglo-italiano. Sono stati reclutati in tutto trentamila partecipanti da Stati Uniti, Regno Unito, Brasile e Sud Africa, con età superiore ai 18 anni, sani o affetti da malattie croniche stabili, a maggior rischio di essere esposti al contagio del coronavirus SarsCov2.

Janssen J&J, Usa.La multinazionale americana è impegnata nel dimostrare l’efficacia del vaccino basato sul vettore adenovirale sierotipo 26 che esprime la proteina spike di SarsCov2. Lo studio che coinvolge 60mila volontari in 178 centri di ricerca. Sarebbe previsto un periodo di monitoraggio di due anni.

CanSino, Cina.Questo vaccino utilizza un adenovirus non replicante per trasportare il materiale genetico che codifica per la proteina spike di SarsCov2. È prevista la somministrazione di una sola dose di vaccino per via intramuscolare nel deltoide. Sono state arruolate quattromila persone (duemila nel gruppo sperimentale e duemila nel gruppo placebo).

Butantan, Brasile.Il programma di immunizzazione prevede iniezioni intramuscolari di due dosi con un intervallo di 14 giorni. Per valutare la sicurezza e immunogenicità, i partecipanti sono divisi in due gruppi di età, adulti (18-59 anni) e anziani (60 anni e oltre). I partecipanti sono osservati per un anno.

Pfizer, Usa.È appena un gradino sotto la Pfizer di New York attualmente in fase 2/3. Vengono valutati gli effetti in soggetti di età compresa tra 18 e 85 anni.

Oxford, Uk.È alla fase 2/3 anche lo studio dell’Università di Oxford. È previsto in tutto l’arruolamento di 12.330 volontari, divisi in undici gruppi. I gruppi 1, 7 e 9 sono adulti di età compresa tra 56 e 69 anni; i gruppi 2, 8 e 10 sono adulti dai 70 anni in su; il gruppo 3 è composto da bimbi tra i 5 e i 12 anni; i gruppi 4, 5, 6 e 11 sono adulti di età compresa tra 18 e 55 anni. Saranno seguiti per un anno dopo l’ultima dose.

Gamaleya, Russia.È partita il 9 settembre la fase 3 del vaccino russo anti-Covid, denominato Sputnik V, come annunciato dal ministro della Salute, Mikhail Murashko. L’11 agosto la Russia è stata la prima al mondo a registrare un vaccino anti-Covid e la sperimentazione è su 40mila volontari. I primi risultati saranno pubblicati tra fine ottobre e novembre.

Sinopharm, Cina.È iniziata ad agosto in Argentina la fase 3 del vaccino sviluppato dalla China National Biotec Group che dichiara: “Garantiremo disponibilità e accessibilità economica del vaccino e cercheremo di commercializzarlo in Cina e nel mondo il prima possibile”.

Moderna, Usa.Il 14 luglio è cominciata invece la fase 3 di questo vaccino progettato per scongiurare il Covid-19 fino a 2 anni dopo la somministrazione della seconda dose. Moderna ha annunciato nelle scorse ore di aver registrato una importante risposta immunitaria non solo nelle persone giovani, ma anche in quelle anziane.

L’attacco Di Battista strappa: “il M5s come Mastella”

Il vecchio amico Luigi Di Maio e i compagni del Movimento trattati come dei “Mastella” qualsiasi. L’ultimo affondo di Alessandro Di Battista contro la (vecchia) casa dei 5Stelle è il più duro di sempre, di fronte alle telecamere di Piazzapulita: “Così facendo si andrà verso una direzione di indebolimento del M5S – dice Di Battista – e diventerà magari un partito come l’Udeur, buono forse per la gestione di poltrone e di carriere. Non è quello per cui io ho combattuto”. Poi un altro epitaffio: “L’alleanza strutturale col Pd è la Morte Nera”.

È uno strappo forse definitivo con il Movimento, con l’ombra di una possibile scissione. Tantopiù che arriva proprio alla vigilia dei ballottaggi alle Comunali di domenica, con i 5Stelle impegnati con propri candidati o in alleanza col centrosinistra in capoluoghi e altre città importanti.

Insomma, un nuovo, radicale atto di ostilità dopo le elezioni regionali, che aveva definito “la più grande sconfitta della storia del Movimento”, dimenticando il successo referendario. Il tutto all’indomani della riunione dei vertici sul futuro del M5S.

Nunzia ora rischia: l’accusa chiede 8 anni e tre mesi

È arrivata in aula a requisitoria iniziata da un’oretta. Vestito sobrio, occhiali scuri, mascherina. Al termine dell’udienza, nel corso della quale la pm di Benevento Assunta Tillo ne ha chiesto la condanna a 8 anni e tre mesi di reclusione per associazione a delinquere e altri reati consumati tramite “una Asl asservita al suo potere politico”, sotto le lenti dell’ex deputata e ministra Pdl, Nunzia De Girolamo, qualcuno ha visto scorrere le lacrime. “Io so di essere innocente” avrebbe bisbigliato seminascosta in un capannello di avvocati. Se il Tribunale di Benevento presieduto da Daniela Fallarino le darà ragione o torto, è presto per dirlo, si saprà nei prossimi mesi. Ma la spada di Damocle di una condanna pesantissima non è l’unica brutta notizia di queste settimane per la moglie del ministro Francesco Boccia. La Rai le avrebbe congelato il suo programma su Rai1, titolo provvisorio Ciao Maschio. Le resterebbe la possibilità di tornare a fare l’opinionista a La7 da Massimo Giletti, a disquisire su temi di legalità e giustizia. A dispetto del suo status di imputata. In un processo dimenticato nelle nebbie invernali del Sannio. Quel processo, però, ora volge al termine e sarà difficile continuare a ignorarlo. Chi ha buona memoria ricorderà che riguarda l’inchiesta che costrinse De Girolamo a dimettersi da ministro delle Politiche Agricole del governo Letta. Un’inchiesta prima giornalistica, iniziata nel gennaio 2014 dal Fatto Quotidiano, e poi giudiziaria, che si è sviluppata dall’ascolto dei file audio portati in Procura da Felice Pisapia, ex direttore amministrativo dell’Asl di Benevento.

Nel 2012 Pisapia, che era sotto indagine per altri reati e iniziava a sentire puzza di bruciato e a vedere nemici ovunque, cominciò ad accendere di nascosto il registratore durante le riunioni che De Girolamo convocava a cadenza settimanale nella villa di famiglia con i suoi collaboratori e il gotha dell’Asl beneventana. Una cricca che il Gip Flavio Cusani ribattezzò “il direttorio”. Pisapia disse di aver agito così per difendersi. Per provare che era costretto a obbedire. La trascrizione delle registrazioni fecero emergere lo spaccato di una Asl manovrata da De Girolamo, in cui ogni decisione – dagli appalti del 118 alla collocazione dei presidi sanitari – veniva presa non per l’interesse della salute della collettività, ma secondo calcoli di ritorno elettorale per la deputata e poi ministra. Con in più le pressioni di De Girolamo per cacciare gli occupanti del bar dell’ospedale Fatebenefratelli – parenti coi quali era in conflitto – e sostituirli con una cugina. È il nastro più colorito tra quelli depositati, riguarda una riunione del 30 luglio 2012. Si ascolta De Girolamo chiamare “tirchio”, “diavolo” e “cagacazzi” il frate che sovrintende la gestione amministrativa della piccola catena ospedaliera e religiosa, “coglione” il direttore amministrativo dell’ospedale, invocare ispezioni ritorsive se non viene accontentata dicendo al manager dell’Asl Michele Rossi “mandagli i controlli e vaffanculo” perché non vuole “essere presa per culo”… “così (il direttore, ndr) si impara, che cazzo”. Il Fatto ha letto centinaia di pagine di registrazioni dalle quali si capisce perfettamente perché De Girolamo ha provato in tutti i modi a farle distruggere o quantomeno a renderle inutilizzabili al processo. Una memoria difensiva che invocava le guarentigie parlamentari è stata presto rigettata. Si è provato allora a mettere in dubbio la genuinità dei file audio. A quel punto Pisapia ha tirato fuori il cellulare delle registrazioni e lo ha messo a disposizione del Tribunale. Un perito ha accertato che gli audio erano autentici e non manipolati.