“Beneficiari del Reddito di cittadinanza con la patologia della pigrizia? No, non ci sembra proprio. Anzi, da quello che vediamo, queste persone si attivano per cercare lavoro come tutti gli altri disoccupati”. A fare a pezzi il luogo comune ricorrente che, specie in questi giorni, sta infestando il dibattito politico italiano è Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro. Si tratta dell’ente regionale che gestisce i Centri per l’impiego, quindi il suo è un osservatorio privilegiato sui comportamenti sia delle imprese sia delle famiglie che ricevono il sussidio anti-povertà.
Direttore, questa estate proprio gli albergatori di Jesolo si sono lamentati perché, dicono, la gente preferirebbe il Reddito di cittadinanza piuttosto che accettare lavori stagionali. Le cose stanno davvero così?
Il problema è il metodo utilizzato da queste imprese. Se hai bisogno di addetti e vuoi essere sicuro che quelli che convochi non ti facciano storie di quel tipo, fai la selezione insieme ai Centri per l’impiego anziché farla per i fatti tuoi. Perché se ti rivolgi ai Centri e poi uno che prende il reddito di cittadinanza rifiuta la tua proposta di assunzione, noi mandiamo la segnalazione all’Anpal, che a sua volta segnala all’Inps e scatta la sanzione.
Ma è vero che quelli con il Reddito sono più propensi a restare sul divano che a rimboccarsi le maniche?
Premessa: in Veneto abbiamo convocato 22mila persone ed è emerso che circa il 55% non necessita del “Patto per il lavoro”, perché sono già occupate o perché hanno problemi di disabilità, devono assistere bambini piccoli o anziani non autosufficienti, o sono bisognose di un supporto diverso e vengono rinviate ai servizi sociali. Queste sono esonerate dalla ricerca del lavoro. Quelle che, invece, sono idonee al “Patto”, vengono prese in carico dai centri per l’impiego e si muovono come tutti gli altri, si candidano alle offerte che ricevono. In genere vengono da precedenti lavori a bassa qualifica nella logistica, nel commercio e nel turismo, noi li aiutiamo a rientrarci. Inoltre, in questo periodo le pubbliche amministrazioni stanno facendo i bandi per le assunzioni di lavoratori con titoli di studio inferiori alla terza media: anche qui non abbiamo rilevato elementi di bassa partecipazione da parte di chi prende il reddito.
Di solito le aziende dicono di fidarsi poco dei Centri per l’impiego. A voi mandano sufficienti offerte di lavoro?
Quando andava bene, il nostro servizio aveva 1.500 offerte al mese, circa il 5% del totale degli annunci in Veneto. Molte aziende medio-grandi vanno dalle agenzie private, forse perché non conoscono quello che fanno i centri per l’impiego, pensano servano solo per gli adempimenti burocratici. Una delle società che si è rivolta da noi è Zalando, sa perché?
Perché?
È tedesca e in Germania sono abituati a rivolgersi ai servizi pubblici. Noi qui abbiamo fatto eventi online, che si chiamano Incontra Lavoro, con Amazon a Rovigo. Le nostre piccole aziende stagionali, invece, scelgono percorsi diversi, magari si affidano sempre alle stesse persone ogni anno e non vengono da noi. Il problema della fiducia da parte loro nei nostri confronti è reale, ma la si conquista dimostrando che i nostri servizi funzionano. Per esempio, noi forniamo la lista dei pre-selezionati entro tre giorni.
Finora avete presentato 3.888 posizioni vacanti ai beneficiari del reddito di cittadinanza. Avete sanzionato davvero quelli che hanno rifiutato un posto?
Se uno non si presenta a una convocazione senza giustificazione noi lo segnaliamo all’Anpal, poi non sappiamo se l’agenzia e l’Inps danno seguito alle sanzioni. Quanto a chi rifiuta il lavoro, i centri per l’impiego non sono i proprietari dell’offerta. È l’azienda a decidere chi assumere, i centri non hanno notizie in caso di rifiuto da parte di un “redditato”. Mai capitato che l’impresa inviasse una lettera in cui mi dice che il candidato ha rifiutato una proposta di contratto. Chiedono a noi solo la preselezione, noi forniamo 10 candidati per una posizione, poi scelgono. Ma non sono obbligate a dare l’informazione sulla rinuncia da parte della persona, per obbligarle formalmente ci sarebbe un aggravio di costi.