Mail box

 

 

Da italiano all’estero ho scelto di abbonarmi

Come italiano residente all’estero voglio esprimervi la mia gratitudine per il prezioso lavoro che andate conducendo da anni, tutti i giorni, con caparbia insistenza. Quale possibilità avremmo noi, dall’estero, di seguire la nostra stampa nazionale procurandoci saltuariamente qualche sparuto e ricco “giornalone” in vendita nelle locali edicole? Non abbiamo nemmeno la possibilità di consultarne specularmente i contenuti nelle biblioteche, come facilmente avviene in quelle italiane. Da qui, l’importanza dell’abbonamento “digital” al Fatto Quotidiano. E perché proprio a questa testata? Intanto perché ci si sente lettori “comproprietari” e non avulsi “vassalli” di gruppi editoriali terzi che ce la raccontano sfacciatamente pro domo loro e poi grazie ai regolari compendi della caterva di baggianate contraddittorie pubblicate dai suddetti, a cura di Marco Travaglio (con precisi e inoppugnabili riferimenti letterali e temporali). Queste righe di encomio, non sono certo melliflua piaggeria, ma riconoscimento di un lavoro giornalistico serio e rispettabile. Rarità, purtroppo, nella stampa italiana.

Cesare Spoletini

 

Caro Cesare, è bello avere lettori come te!

M. Trav.

 

Necessario per il M5S un contratto di governo

Temo che i vostri auspici di un accordo organico o alleanza Pd-M5S non avranno seguito. So che il M5S da solo non potrebbe portare avanti nessuna legge o provvedimento, e ho visto quanti provvedimenti (di sinistra!) siano scaturiti durante il contratto di governo con la Lega. Ma Salvini se ne è andato quando i sondaggi hanno mostrato il loro indebolimento. Oggi i risultati delle Regionali del M5S alimentano nel Pd l’illusione di aver vinto e non concederanno più niente. Vedasi Mes, ius soli, eliminazione dei decreti Sicurezza. Il Pd tace invece su come arginare l’ondata di licenziamenti dalla fine cassa integrazione, con i soldi del Recovery Fund, sempre che ci siano davvero. Secondo me le due forze politiche non possono allearsi in maniera organica. Il M5S può per sua natura supportare solo un contratto di governo sui provvedimenti. A meno che al Movimento non interessi diventare come il Pd: poltronari assenti con i deboli e attenti ai forti. Vorrei sapere come i dem, che criticano il reddito di cittadinanza, vedano il lavoro: forse come un incremento di persone occupate, ma con uno stipendio da fame e pochi diritti? Molti di loro a me pare che ragionino con il cervello dei padroni.

Andrea Arrighi

 

Le contraddizioni del leghista sulla febbre

L’ossimoro acquisisce nuovi significati, quando nella stessa persona si manifestano continue contraddizioni: “Ho la febbre e sono sotto cortisone” ma poi dal ‘Felpato’ arriva subito la smentita: “mai avuta la febbre”. Come quando Salvini, a fine luglio, era al Senato e sentenziava: “io la mascherina non ce l’ho e non la metto”, ma il 3 agosto cambia idea: “la mascherina quando serve si mette”, infine torna alla posizione iniziale: “manderò mia figlia a scuola senza mascherina”. Tutti i dizionari, quindi, dovrebbero aggiungere un nuovo sinonimo al concetto di ossimoro: “Salvimoro”.

Maurizio Burattini

 

Diritto di replica

Da sempre abbiamo agito con senso di responsabilità e attenzione, nonché nel pieno rispetto delle normative, in tema di sicurezza e salute dei rider che consegnano con noi in tutta Italia e nella città di Firenze. Tutela dei rider e flessibilità – nell’ambito dell’autonomia del rapporto, in totale continuità con la legge, che nel capo V-bis del D. Lgs. 81/2015 definisce espressamente i rider quali lavori autonomi – sono proprio al centro del nuovo Ccnl Rider recentemente sottoscritto con Ugl, e grazie al quale, per la prima volta in Europa, i rider potranno contare su numerose tutele e diritti. Il Ccnl rider introduce, infatti, una serie di tutele e diritti importanti per i lavoratori autonomi del food delivery tra cui proprio compensi minimi, indennità integrative, incentivi, sistemi premiali, dotazioni di sicurezza, quali indumenti ad alta visibilità e casco per chi va in bici, che potranno essere rinnovati rispettivamente ogni 1500 e 4000 consegne effettuate, assicurazioni, formazione e molti altri diritti, mantenendo la flessibilità e la premialità che cercano gli stessi lavoratori di questo settore. Siamo convinti dell’efficacia e della validità di questo contratto che opera proprio nel solco del c.d. “decreto rider” approvato lo scorso anno su impulso del Ministero del Lavoro, e crediamo fortemente che porterà vantaggi per tutti gli attori coinvolti, in primis gli stessi rider. In merito alle notizie sull’elezione di un rappresentante per la sicurezza dei rider a Firenze, riteniamo che l’attività non sia applicabile alle prestazioni dei rider, in quanto lavoratori autonomi che operano in un regime di auto-organizzazione e multi-committenza, e dunque non unicamente con Just Eat.

Ufficio stampa Just Eat

 

Grazie per l’intervento, che conferma quanto da noi scritto: secondo Just Eat, i rider non hanno diritto a un rappresentante per la sicurezza. Quanto al ccnl firmato con Ugl, è stato lo stesso ministero del Lavoro a dirvi, con una lettera, che non opera affatto nel solco del cosiddetto decreto rider, anzi contraddice diverse norme contenute in quella legge. Infine, il D. Lgs. 81/2015, come chiarito dalla Cassazione, riconosce ai rider – benché autonomi – i diritti del lavoro subordinato.

Rob. Rot.

Professione mamma. I genitori sono due, ma l’Italia (spesso) non lo sa

 

Leggendo l’articolo in cui Silvia D’Onghia racconta la situazione delle donne umbre, mi è venuta una bella provocazione da sottoporvi, soprattutto alle giornaliste donne: perché non istituire davvero la professione di mamma? Ovviamente, non parlo di un progetto raffazzonato, ma di un vero e proprio lavoro, studiato con business plan e obiettivi strategici: lo Stato assume la donna e le garantisce uno stipendio fisso nella Pubblica amministrazione (familiare) chiedendole in cambio di sfornare almeno un figlio ogni due anni; ma non mancheranno scatti di stipendio e premi “Mamme Migliori” per chi riesce a partorire di più. Al contrario, chi non è all’altezza dei piani di sviluppo viene licenziata. Ogni anno, le madri saranno valutate da un gruppo di data analyst che faranno rapporto ai referenti statali su quali “unità partoritrici” dovranno essere eliminate poiché improduttive; saranno invece premiate quelle che tra i 18 (ma anche 14, che in Italia è l’età del consenso) fino ai 50, stanno mantenendo il ritmo nel partorire tra i 16 e i 18 figli. Arrivate ai 50, esse non saranno più fruibili a causa della menopausa, devono essere abbandonate.

G. C.

 

Gentile lettore, la sua provocazione fa sorridere, soprattutto se letta in un Paese che – certifica l’Istat – nel 2019 ha registrato 435 mila nascite a fronte di 647 mila decessi, il ricambio più basso dal 1918. Ogni donna ha un numero medio di figli di 1,29 e l’Italia ha il tasso di natalità più basso d’Europa. E questo perché le nostre famiglie sono ancora fondate sulla funzione materna e di conseguenza le donne sono costrette a scegliere tra carriera e maternità, due percorsi ancora non conciliabili. Nei Paesi del Nord Europa, Irlanda e Svezia su tutti, laddove si fanno più figli, viene premiata la genitorialità tutta: nessuno si scandalizza se un uomo sfrutta la paternità per rimanere a casa dal lavoro, così come nessuno si scandalizza se una ministra allatta in Parlamento. Non solo: il welfare funziona e i neo genitori non pesano sui nonni, come da noi. Se non comincia a cambiare questa “cultura” familiare e se, allo stesso tempo, non viene garantita alle donne la possibilità di conciliare lavoro e maternità, altro che professione mamma, come vorrebbero le associazioni che hanno tenuto il Festival a Perugia sabato scorso.

Silvia D’Onghia

La banda mondiale dei negazionisti e sovranisti uniti

Leggete, per favore, Inganno. Donald Trump, Fox News e la pericolosa distorsione della realtà

di Brian Stelter (NR edizioni) e comprenderete perché negli Stati Uniti il negazionismo politico del Covid, orchestrato dalla Casa Bianca, si sia accompagnato a una criminale manipolazione mediatica. E viceversa. Stelter (conduttore e capo della redazione Media della Cnn) si occupa diffusamente del “collega”, Sean Hannity, la persona più potente dentro Fox News nell’era Trump, e protagonista del “circolo vizioso” tra il presidente e la più ascoltata emittente della destra. Colpisce, soprattutto, il racconto agghiacciante di come mentre il virus si diffondeva silenziosamente negli Stati Uniti, alcune delle principali star di Fox ne negavano e minimizzavano la minaccia. Come si è giunti a “ringraziare il riscaldamento globale” perché il virus “sarebbe stato fermato dalle temperature più alte”. Una teoria prontamente sposata nello Studio Ovale: “Scomparirà”, disse Trump il 27 febbraio”. “Un giorno – come un miracolo – scomparirà”. E mentre l’analista medico più esperto di Fox, il dottor Marc Siegel affermava che “nel peggiore, peggiore, peggiore scenario, potrebbe essere come l’influenza”, una nota conduttrice, Laura Ingraham, parlava dei Democratici come del “Partito panDEMico”. Un altro aspetto impressionante: la negazione ostinata del contagio, e quindi della realtà, e quindi della catastrofe incombente da usare come una robusta clava contro gli avversari politici. Nel caso in questione, i Democratici, accusati di diffondere sulla malattia allarmistiche fake news

al fine di screditare una presidenza lungimirante, responsabile e quanto mai attenta agli interessi, soprattutto economici, del popolo americano. Un paradigma simile a quello brasiliano del presidente Jair Bolsonaro. E riscontrabile nelle prime disinvolte reazioni di Boris Johnson (la famosa “immunità di gregge” che avrebbe miracolosamente protetto gli inglesi) prima che il morbo lo convincesse a rivedere i suoi piani. Un uso politico del virus (o meglio del non virus) esattamente uguale e contrario nei casi in cui è stata l’opposizione ad agitare contro le misure prudenziali del governo l’accusa di aver introdotto la cosiddetta dittatura sanitaria. Esemplare il caso italiano, che le immagini del Matteo Salvini privo di mascherina e promotore di convegni negazionisti hanno immortalato. In Italia, fortunatamente, sulla pericolosità della pandemia non c’è stata alcuna grave manipolazione delle notizie (a parte il negazionismo delinquenziale su alcuni social). Quanto alle Fox nostrane, qualcuno ci ha anche provato a scimmiottare Hannity ma senza successo. Purtuttavia da Trump a Bolsonaro a un certo sovranismo alle vongole, adesso sappiamo chi non dobbiamo ascoltare per non ammalarci.

Genoa-Napoli, i tamponi “girevoli” fanno litigare i prof. Ma per ora si gioca

Ci volevano il pallone e l’incidente occorso al Genoa, la più antica squadra del Paese, per scoprire che il tampone oggi è negativo e domani è positivo. Come è successo a dodici giocatori rossoblù che alla vigilia della trasferta di domenica a Napoli erano negativi, a differenza del portiere Perin e del centrocampista Schöne che erano positivi e sono quindi rimasti a casa, ma poi sono risultati positivi all’indomani del 6-0 rimediato al San Paolo. Sai com’è, tra allenamenti e spogliatoi può succedere. E potrebbero aver contagiato i colleghi del Napoli.

Qualche dubbio l’ha espresso Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano: “Tutti questi test positivi, che vengono verosimilmente dallo stesso laboratorio, qualche punto di domanda sulla faccenda me lo fanno sorgere”, ha detto a Sky Sport il professore. Marco Bassetti, primario di Infettivologia del San Martino di Genova, è lapidario: “Il protocollo non ha funzionato, è probabile ci saranno positivi anche nel Napoli. Si è disputata una partita, cosa che non doveva succedere”. E difende il suo ospedale: “Non ho alcun dubbio sul laboratorio”. Per lui, “mentre lo studio di Vo’ Euganeo sembrava una facile vittoria di Pirro, quello che sta accadendo al Genoa potrebbe rappresentare la Waterloo dei tamponi”, sostiene Bassetti riferendosi allo studio sulla contagiosità degli asintomatici, condotto a Vo’ Euganeo da Andrea Crisanti, professore di Microbiologia a Padova, padre della strategia della moltiplicazione dei tamponi che il governo ha deciso di seguire solo in minima parte. “I tamponi – ribadisce Bassetti – possono dare, da una parte una falsa patente di negatività e di liberi tutti e dall’altra produrre un esercito di positivi asintomatici. Rischiamo di far circolare soggetti negativi ma in fase di incubazione che trasmettono il virus e chiudere in casa altri con tampone positivo (o debolmente positivo) che non trasmettono – ha sottolineato –. Occorre rimettere al centro la clinica fatta di segni e sintomi”. Crisanti invece vorrebbe tutti in quarantena, genoani e napoletani, come accadrebbe se non fossero calciatori: “Per forza, anche quelli del Napoli – ha risposto –. Bisogna fare i tamponi a quelli del Napoli adesso e tra due, tre giorni perché se uno è contagiato in genere diventa positivo dopo due o tre giorni”. Ma guarda un po’. Dopo sette mesi di Covid-19 sembrava chiaro. “La follia – insiste Crisanti – è non aver messo queste persone in quarantena in presenza di un positivo”.

Il calcio non lo farà. Genoa e Napoli hanno rispettato i protocolli, lo dice l’Ufficio indagini della Figc. Sono le regole del calcio, che fa i tamponi a tutti a 48 ore da ogni partita. Ovviamente non basta. Ma al governo per ora va bene: “Stop al campionato? Non siamo ancora in queste condizioni”, ha detto il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora. In attesa dei tamponi del Napoli: li hanno fatti ieri, ma magari erano ancora in incubazione. Li rifaranno in settimana.

Ok di Speranza ai test rapidi a scuola: anche ai sintomatici

Qualche dubbio nel Comitato tecnico scientifico l’avevano, preferivano che il tampone antigenico rapido fosse utilizzato nelle scuole solo per lo screening. Invece il ministro Roberto Speranza ha deciso, insieme al direttore della Prevenzione del ministero, il professor Giovanni Rezza, di fare un passo in più. “In caso di sospetto diagnostico ovvero in caso di esposizione al rischio del personale scolastico e degli alunni, ove sussistano i presupposti sopra indicati, si può, pertanto, ricorrere anche al test antigenico rapido”, si legge in fondo alla circolare a firma di Rezza, diffusa ieri sera. Non sarà più necessario il tampone molecolare tradizionale. C’è come noto una differenza di sensibilità, i test rapidi intercettano l’80-85 per cento dei positivi. La circolare sottolinea “la possibilità di risultati falso positivi (per questo i risultati positivi al test antigenico vengono confermati con il test molecolare) e di falso-negativi (la sensibilità non è certo pari al 100%)”. Finora sono stati usati per lo screening, inizialmente negli aeroporti. Con buoni risultati. Il vantaggio è appunto la rapidità: 15 minuti, quando per il tampone tradizionale ci vuole fino a una settimana.

Potranno essere usati anche nelle scuole alla comparsa dei sintomi, non solo per lo screening. Le Regioni e le Asl che saranno in grado di farlo andranno direttamente nelle scuole, risparmiando così ai genitori di andare a prendere i figli al primo colpo di tosse o alla prima febbricola per poi portarli a eseguire il tampone, con necessario isolamento di tutta la famiglia fino al risultato. Il governo ha imboccato con decisione questa strada, alternativa a quella della moltiplicazione dei tamponi, da meno di 100 mila oggi a 3-400 mila, suggerita dal professor Andrea Crisanti dell’università di Padova, che proponeva anche di costruire laboratori ad hoc fissi e mobili per accelerare le operazioni.

Campania e Liguria: reparti con 10 giorni di autonomia

Si alleggerisce la pressione sulla Lombardia, da una parte. Sorvegliate speciali per la diffusione dei contagi di Covid-19 diventano ora altre regioni: Campania, Lazio, Liguria, Sardegna. Ieri i nuovi casi a livello nazionale sono stati 1.648, in aumento rispetto ai quasi 1.500 di lunedì. Di questi, 286 in Campania, 219 nel Lazio, 82 in Sardegna, 89 in Liguria, che fino ad ora ne ha contati quasi 13.300. In crescita anche i ricoveri (71 in più), compresi quelli in terapia intensiva (+ 7), reparti sui quali peraltro cominciano nuovamente a scaricarsi tensioni.

In Campania il virus accelera e costringe ad attrezzarsi alla fase C, terzo e ultimo stadio di un piano approvato a giugno quando qui si viaggiava verso i contagi zero. Il piano prevedeva l’allerta all’occupazione del 90% dei posti previsti in ogni singola fase, e ormai ci siamo: i 553 posti dei reparti Covid nella fase B dovrebbero diventare circa 1.000 entro metà ottobre. Oggi riunione in unità di crisi per predisporre il percorso. “I numeri inducono preoccupazione”, conferma il manager dell’ospedale Cotugno di Napoli, Maurizio Di Mauro. “Ma a costo di mettere i letti a castello, daremo assistenza a tutti”. Il problema è che se il trend rimane quello di quasi 300 contagi al giorno, la saturazione è vicina. Valgano a esempio i numeri del Cotugno, avamposto delle malattie infettive: 40 ricoveri nell’ultima settimana al ritmo di circa 7/8 al giorno, 8 posti di terapia intensiva tutti occupati (ma solo 4 intubati, età media in calo, circa 55 anni), 16 posti di terapia sub-intensiva tutti occupati, circa 70 ricoveri nei reparti Covid ordinari. Su un totale di 140, senza aumenti di posti letto, resta un’autonomia di circa 10 giorni.

“Ma oggi apriamo un altro reparto Covid per altri 16 posti letto”. L’impennata estiva di contagi fa correre in avanti le lancette, spostandole di circa un mese. “Ci aspettavamo questi numeri a novembre, non ora – conferma Di Mauro – c’è stata troppa irresponsabilità nelle vacanze di agosto all’estero”. Le statistiche dell’ospedale Cardarelli di Napoli ribadiscono il dato: 4 posti di terapia intensiva occupati sui 6 disponibili, circa 35 posti Covid occupati su 41.

Il problema che si profila adesso, da Nord a Sud, è proprio quello delle terapie intensive. Più o meno tutte le regioni hanno aumentato i posti letto di questi reparti. Oppure, come ha fatto la Liguria, hanno adottato una politica a fisarmonica. Vale a dire che hanno scelto di predisporli o diminuirli a seconda delle necessità. “Solo che mancano gli anestetisti e i rianimatori”, dice Maria Luisa Pollarollo, medico, presidente regionale di Aaroi-Emac, sindacato di categoria. “In Liguria ne abbiamo circa 500 ed erano già ampiamente insufficienti prima dell’epidemia”. Ieri l’attenzione si è spostata su Genova e La Spezia. Al Policlinico San Martino, nel capoluogo regionale, è scattato l’ordine di aumentare i posti letto: i 20 che erano disponibili per i pazienti Covid in condizioni gravi sono già tutti occupati, adesso dovranno diventare 32. E aumenteranno anche quelli previsti negli ospedali Galliera e Villa Scassi. Anche la terapia intensiva di La Spezia è satura. “La situazione è preoccupante”, prosegue Pollarollo. “Dobbiamo solo sperare che non arrivi una seconda ondata epidemica come quella della primavera scorsa. Molti anestetisti sono andati in pensione, la Regione non ha fatto bandi per inserire nuovi colleghi. La prospettiva è quella di ricorrere ancora una volta a turni massacranti, con il servizio extra-orario pagato a gettone, a 60 euro lordi l’ora, per cercare di tamponare le carenze”.

Il governo, con il decreto Rilancio, ha previsto 3.443 posti letto in più nelle terapie intensive e 4.213 nelle sub-intensive. Per arrivare a ottobre – stime del ministero della Salute – ad averne circa 11mila (contro una base di partenza di 5.179 posti).

Solo che secondo Aaroi-Emac già prima dell’emergenza sanitaria a livello nazionale mancavano qualcosa come 3mila anestesisti. Tanto che per Matteo Nicolini, presidente del sindacato in Emilia Romagna, una seconda ondata sarebbe una “débâcle, uno scontro impari”. Anche qui, dove sono stati allestiti 200 posti letto in più (oggi tra pubblico e privato sono 645), “di anestesisti ne mancano circa un centinaio – prosegue Nicolini – nonostante la Regione abbia fatto molti sforzi, facendo leva sul decreto Calabria che consente l’assunzione di specializzandi dal terzo anno. La verità è che paghiamo, in tutta Italia, lo scotto di una carenza storica della programmazione”.

Covid, ospedali pieni. A Roma riapre il “bunker”

Reparti pieni e terapie intensive di nuovo sotto pressione. La riapertura dell’ex bunker anti al Qaeda realizzato anni fa all’ospedale Spallanzani – e poi destinato ad “ala Covid” nel pieno dell’epidemia – è il segno tangibile di come Roma si stia preparando alla seconda ondata, sebbene ancora “non inevitabile” a giudizio del direttore sanitario dell’istituto capitolino, Francesco Vaia. È il Lazio, da settimane, la Regione italiana in testa alla scomoda classifica dei positivi giornalieri al SarsCov2. Un deciso spostamento a sud del baricentro dei contagi italiani, che coinvolge anche la Campania, l’altra osservata speciale di settembre. Il bollettino di ieri pomeriggio recitava a Roma e dintorni la presenza di ben 674 ricoverati in posti letto ordinari e altri 45 in terapia intensiva, rispettivamente 34 e 4 più di lunedì, a fronte di 219 nuovi casi e tre decessi su oltre 9.000 tamponi effettuati. Il 31 agosto i ricoverati ordinari erano “appena” 328 e i posti occupati in terapia intensiva soltanto 7.

Così ieri l’unità di crisi del Lazio ha varato un documento che prevede il ritorno a quota 1.127 posti letto in tutta la Regione, un +30% rispetto ai circa 850 mantenuti attivi in estate. La “Fase VI” indicata nel documento dell’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, è in realtà un ritorno alla “Fase IV”, quella della prima settimana di maggio: incremento dei posti letto nei tre hub romani Spallanzani, Umberto I e Gemelli; riapertura dei reparti di Sant’Andrea, Bambin Gesù Palidoro e Israelitico; facilitazione nei ricoveri al nosocomio militare del Celio; progressiva riattivazione delle terapie intensive nelle province, per un totale di 14 ospedali coinvolti. Non solo. Si tornerà anche a utilizzare gli alberghi già convenzionati per il periodo post-dimissioni e il rispetto delle quarantene per chi non è in grado di osservare l’isolamento in casa; attivate Villa Primavera, Casa San Bernardo, Urban e Francalancia, “in corso di identificazione nuove strutture”: l’obiettivo “è di avere entro il mese di ottobre una disponibilità di circa 500 posti” e di “70 posti nelle Rsa”.

Fonti dell’unità di crisi riferiscono che “si dovrà iniziare di nuovo a fare una scrematura nei ricoveri” anche se “siamo lontani dai livelli di marzo”. Ad aprile i ricoverati nel Lazio erano quasi 1.500, le terapie intensive avevano superato i 200. Ma gli ospedali romani sono già in affanno, a iniziare dal centralissimo Policlinico Umberto I. “I reparti sono tutti pieni – racconta un infermiere – ma il guaio è che nei mesi estivi non sono stati risolti i problemi organizzativi della scorsa primavera. Non sono arrivati nuovi infermieri promessi e mancano anche gli operatori socio-sanitari”. Non solo. “Non c’è un unico reparto Covid, ma i posti letto sono in diversi padiglioni: questo mette in difficoltà noi e a rischio i pazienti”. Intanto è di ieri la notizia di un nuovo focolaio in casa di riposo: Villa Maria, una struttura privata di Rocca di Papa (Roma).

In Regione sono convinti che la seconda ondata si possa ancora evitare monitorando le scuole. Come anticipato nei giorni scorsi dal Fatto Quotidiano, il Lazio è stato apripista dello screening in classe con i tamponi antigenici rapidi e, da ieri, con i test salivari. I primi da ieri sono stati generalizzati in tutto il Paese. Lo stesso Vaia spiega che “queste azioni di sorveglianza attiva, unita alla responsabilità individuale, sono le armi giuste per evitare la non ineluttabile seconda fase”. Restano seri problemi organizzativi. L’unico drive in pediatrico romano – dedicato ai tamponi per i bimbi fino a 6 anni – ieri è stato preso d’assalto, fino a 4 ore di coda.

Lavoratori in Cda? Li sceglie Fca

Con l’imminente fusione con Psa (Peugeot), Fca avanza verso il controllo, di fatto, francese. Ma le abitudini per ora restano quelle, pessime, italiane. L’indicazione ieri del prossimo consiglio di amministrazione di “Stellantis”, la creatura che nascerà dalla fusione con la casa d’oltralpe, contiene due notizie non buone per i sindacati e i lavoratori italiani. A farli infuriare di più è stata quella più visibile: la scelta del rappresentante dei lavoratori in cda.

La mossa ha in sé qualcosa di paradossale. In base agli accordi per la fusione, Fca era tenuta a garantire un posto in quota dipendenti, e solo perché in Psa accade da tempo (lo prevede d’altronde la legge). In Italia una legge sulla rappresentanza dei lavoratori in seno agli organi di vertice non esiste e ci sono 7 sigle, cui si somma il potente sindacato americano Uaw per le attività di Chrysler. Per evitare discussioni, Exor ha deciso di non consultare nessuno e – diversamente da Psa – nominarselo da solo, indicando Fiona Clare Cicconi: una manager, che peraltro nella vita si occupa di rappresentare l’azienda nei rapporti con i dipendenti, visto che è responsabile risorse umane del colosso farmaceutico Astra Zeneca, stesso incarico ricoperto in passato in Olivetti, Fondiaria, Nuova Pignone e Cisco. Fim e Uilm, anche la Fiom, non l’hanno presa bene, specie le prime due che hanno firmato il contratto collettivo con l’azienda e speravano almeno di avere un’interlocuzione. Perfino “l’Associazione quadri e capi Fiat”, erede della marcia dei 40mila del 1980, s’è risentita (“siamo sorpresi”).

L’altra notizia è la conferma della presa francese sul nascente gruppo (Antitrust permettendo). Ieri Fca e l’azionista di controllo Exor (la cassaforte degli Agnelli) hanno nominato cinque membri (tra cui John Elkann presidente e Andrea Agnelli) e Psa altrettanti (tra cui il vicepresidente). I francesi possono però contare su un sesto membro: il futuro ad, Carlos Tavares, che oggi guida il colosso transalpino. “Gli equilibri, come previsto, sono a favore dei francesi”, spiega il leader della Fiom Piemonte, Giorgio Airaudo. Tanto più che di fatto Exor (che sarà comunque il primo azionista di Stellantis) ha monetizzato la cessione del controllo operativo in cambio del maxi-dividendo da 3 miliardi che Fca staccherà ai suoi azionisti pre-fusione. “Tutto dipenderà da come sarà composto il Gec, la prima linea del management del gruppo. Temo ci sarà poco spazio per i manager Fca europei. Il governo si svegli”, conclude Airaudo.

Lega, ecco la prima crepa: “Così sparirono 178mila€”

Un comune della Val Seriana, dieci terreni edificabili in vendita, circa 3 mila metri quadrati acquistati dalla Immobiliare Andromeda e venduti dalla famiglia Testa di Clusone. L’inchiesta milanese sui presunti fondi neri della Lega riparte da Onore, 900 abitanti. E da una consulenza, spiega la Procura, “chiaramente” falsa. È la prima certezza nel ginepraio di fatture sospette costruito dai commercialisti vicini alla nuova Lega di Matteo Salvini. Certezza puntellata dalle parole messa a verbale dal commercialista Michele Scillieri indagato per peculato, oggi agli arresti domiciliari come i colleghi Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba. Sul tavolo dei magistrati c’è una presunta consulenza di 178mila euro finita alla società Sdc riferibile indirettamente a Manzoni. Soldi bonificati da Andromeda, società coinvolta nella compravendita “fittizia” dell’immobile di Cormano pagato con 800mila euro dalla fondazione regionale Lombardia Film Commission. Dei terreni di Onore ne parlerà Manzoni al procuratore aggiunto Eugenio Fusco: “I soldi che riceve la Sdc da Andromeda non c’entrano nulla con la vendita del capannone. Quel bonifico riguarda un’operazione immobiliare di un terreno in Val Seriana, intestato ai Testa”. La versione però non convince i magistrati.

Scillieri, interrogato per otto ore, conferma il sospetto dei pm, anche perché è stato coinvolto nella vicenda. Il commercialista, nei cui uffici ha eletto il primo domicilio la nuova Lega di Matteo Salvini, a verbale spiega che le due operazioni non sono collegate. Da qui l’ipotesi dei pm: il denaro ricevuto da Sdc proviene dal peculato di Film Commission e non da una vera consulenza. Sono tre i motivi per cui la spiegazione di Manzoni, secondo la Procura, non è credibile: il primo riguarda il prezzo della consulenza, ritenuto eccessivo rispetto al valore dei terreni di 250mila euro. Secondo: la perizia sui terreni è del gennaio 2017, precedente ai soldi bonificati a Sdc. Terzo: il rogito per l’acquisito da parte di Andromeda dalla famiglia Testa è del gennaio 2017, sempre undici mesi prima che Sdc riceva il bonifico da 178mila euro. Scillieri spiega e la Procura confronta le sue parole con le annotazioni della Finanza. L’8 dicembre 2017, pochi giorni dopo aver ricevuto gli 800mila euro da Film Commission, da Andromeda escono oltre 600mila euro. Parte di questo tesoretto, 178mila euro, arriva alla Sdc, il resto va a Francesco Barachetti, imprenditore anche lui in rapporti con i commercialisti. L’11 dicembre 2017 Sdc trasferisce quasi tutto il denaro sui conti personali di Manzoni e Di Rubba e su quello della società Cdl che gira la sua provvista (45mila euro) alla Dea Consulting, altra società del duo Di Rubba-Manzoni, i commercialisti vicini alla Lega. Sdc, si legge in una nota della Gdf, intrattiene “operazioni con soggetti collegati al partito Lega per Salvini premier”. La vicenda dei dieci terreni sta in una segnalazione della Uif sull’ l’imprenditore Marzio Carrara (non indagato).

Il passaggio si riferisce all’attività del notaio Marco Tucci che il 22 novembre 2018 rogiterà la vendita finale dei terreni da Andromeda alla Eco srl, società citata nell’indagine. Costo iva compresa: 305mila euro. Nel mirino c’è però la prima vendita dalla famiglia Testa ad Andromeda. Passaggio, secondo i pm, dove i soldi del presunto peculato vengono mascherati come una consulenza immobiliare.

Non solo Sloane Avenue: si indaga per riciclaggio

Non c’è solo l’inchiesta aperta dopo le rogatorie del Vaticano. La Procura di Roma sta conducendo un’indagine propria sul finanziere Raffaele Mincione (nella foto sotto) e altri soggetti. Si tratta di un fascicolo “autonomo” che non ha nulla a che vedere con gli investimenti vaticani nell’immobile di Londra e che nasce da una segnalazione per operazioni sospette. Sulla vicenda si tiene il massimo riserbo, ma secondo quanto risulta al Fatto gli investigatori stanno conducendo approfondimenti su somme di denaro partite sempre dal Vaticano. Gli inquirenti italiani, quindi, stanno lavorando su un doppio binario, dovendo continuare a svolgere le indagini per conto del Vaticano a seguito delle rogatorie partite tempo fa da oltretevere.

In questo caso, al centro dell’inchiesta degli investigatori vaticani c’è la compravendita di un immobile di pregio a Londra con fondi della Segreteria di Stato. I promotori di giustizia Giampiero Milano e Alessandro Diddi – i pm del Papa – in passato hanno messo sotto accusa i finanzieri Mincione e Gianluigi Torzi per aver fatto sparire centinaia di milioni dell’Obolo di San Pietro. Almeno 18 milioni, secondo le accuse, li ha persi Mincione investendo in titoli di società in cui aveva interessi diretti (Bpm, Carige, Fiber, Retelit…). E poi c’è l’affare del palazzo a Londra in Sloane Avenue. Nel 2014 la Segreteria di Stato entra con 200 milioni e 500 mila dollari nel fondo Athena Capital Global Opportunities di Mincione, proprietario del palazzo. Un buon investimento, secondo Mincione, perché a oggi il suo valore è aumentato e rende in affitti 15 milioni di euro l’anno. Nei mesi scorsi, depositando una memoria di 27 pagine e 39 allegati agli investigatori vaticani, la difesa di Mincione ha voluto infatti dimostrare due cose: che tutte le operazioni con soldi del Vaticano realizzate dal finanziere sono state corrette e che tutte sono state concordate con la Segreteria di Stato. Adesso, quindi, Mincione insieme a Torzi è indagato anche a Roma per riciclaggio.

Come nasce l’investimento londinese? È Mincione che lo propone al cardinale Giovanni Angelo Becciu, che nei giorni scorsi è stato privato da papa Francesco della porpora cardinalizia, anche per gli affari in cui aveva coinvolto, come rivelato dall’Espresso, i suoi tre fratelli. Uno di questi, Mario, avrebbe ricevuto 1,5 milioni di euro (come investimento nel suo birrificio Angel’s) da un imprenditore angolano, Antonio Mosquito Mbakassy, che nel 2014 aveva proposto al Vaticano un investimento nel settore petrolifero. Intanto, nel 2018 l’investimento nel palazzo di Sloane Avenue e nelle azioni del fondo di Mincione si è rivelato un bagno di sangue e oggi su questo stanno indagando i promotori di giustizia. La situazione non cambia quando, il 15 agosto 2018, Becciu viene sostituito agli Affari generali della Segreteria di Stato dall’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra, che mette alla porta Mincione e lo sostituisce con un altro finanziere con base a Londra, Gianluca Torzi. Ora la giustizia vaticana contesta a vario titolo accuse di estorsione, peculato, truffa aggravata, autoriciclaggio. Torzi viene addirittura arrestato per una decina di giorni. A Mincione vengono sequestrati il cellulare e un tablet, ora in possesso degli investigatori vaticani che stanno cercando di capire chi fossero i suoi interlocutori oltretevere e se fosse collegato con Torzi. Contro il provvedimento di sequestro, il 28 luglio i suoi legali hanno proposto riesame al Tribunale di Roma che ancora non si è espresso. E intanto Torzi e Mincione si accusano a vicenda.