Come dalla valigia di Mary Poppins, continuano a uscire nuovi affari di monsignor Giovanni Angelo Becciu e del Vaticano. Gli investimenti immobiliari all’estero sono un sistema consolidato, che è continuato anche dopo la sua uscita, nel 2018, dalla segreteria di Stato. Non c’è soltanto l’ormai famoso palazzo londinese di Sloane Avenue, ex sede di Harrods, in questa storia di soldi giocata tra Roma, Londra, la Svizzera e il Lussemburgo, che ha come protagonista Enrico Crasso, un funzionario del Credit Suisse che poi si mette in proprio e continua a fare l’advisor per la Santa Sede.
Ci sono altri immobili di pregio in cui il Vaticano ha investito oltre 100 milioni di sterline. Lo racconta un’inchiesta del Financial Times che elenca tre appartamenti di pregio al 7-9 di Cadogan Square, acquistati a 19,25 milioni di sterline e poi ristrutturati impiegando 1,25 milioni. Altri 95,75 milioni vaticani sono stati investiti in appartamenti al 25 di Cadogan Square, al 28-29 di Hans Place, al 130 di Pavilion Road, con investimenti che, invece del solito Credit Suisse, provenivano in parte dalla Banca della Svizzera Italiana (chiusa d’autorità nel maggio 2016 dalle autorità di vigilanza elvetiche per irregolarità di gestione) e da Banca Rothschild.
Il prezioso mazzetto londinese di appartamenti di pregio è stato comprato dal Vaticano quando Becciu era ancora felicemente cardinale e potente sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato vaticana. L’operazione era stata realizzata attraverso quattro società di Jersey (Isole del Canale): Charidbis, Princeps, Civitas e Valerina. Il piano di valorizzazione immobiliare degli appartamenti, per farli fruttare una rendita per il Vaticano, era gestito da una società britannica specializzata, la Sloane and Cadigan. Nel 2017 (dunque ancora sotto la gestione di Becciu) due funzionari vaticani, monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tiraboschi (oggi entrambi indagati dai promotori di giustizia della Santa Sede), comunicano a Sloane and Cadigan che alla gestione degli appartamenti londinesi doveva partecipare una società svizzera, la Valeur. I gestori britannici protestano, spiegando che quella società non ha alcuna esperienza nel settore. Perché viene allora coinvolta nella partita immobiliare di Londra? È una delle tante domande a cui stanno cercando di rispondere i promotori di giustizia del Vaticano, i pm del papa, Giampiero Milano e Alessandro Diddi.
C’è anche un altro personaggio di questa commedia che protesta vigorosamente con Becciu e i suoi uomini. È Raffaele Mincione, il finanziere italiano basato a Londra che già aveva fatto fare al Vaticano l’investimento nel palazzo di Sloane Avenue. Chiede perché per investimenti a Londra avessero usato altri operatori e non lui. Gli rispondono che la Santa Sede intende “diversificare gli investimenti”. Mincione è ora indagato dal Vaticano, che il 15 luglio gli ha sequestrato il telefonino e l’iPad, ancora nelle mani delle autorità giudiziarie malgrado il ricorso al Tribunale del riesame presentato il 28 luglio dagli avvocati Franco Coppi e Luigi Giuliano.
È Enrico Crasso – secondo Mincione – a manovrare i soldi del Vaticano, prima come funzionario di Credit Suisse, poi in proprio, con la sua rete di società offshore. È Crasso, nel 2014, ancora seduto alla sua scrivania nella sede della banca elvetica, a chiamare Mincione, affinché valuti l’affare che Becciu sta per fare in Angola, su consiglio dell’imprenditore Antonio Mosquito Mbakassy, conosciuto quando il prelato era nunzio in Angola: un investimento di alcune centinaia di milioni in una piattaforma petrolifera nel paese africano. Mincione, dopo una due diligence, sconsiglia quel business: è un investimento ad alto rischio, in un mercato, quello petrolifero, molto complesso, con tempi di remunerazione molto lunghi e con un partner difficilmente controllabile. Propone al cardinale un’alternativa che sostiene essere più semplice, meno rischiosa e più remunerativa: impiegare 200 milioni in un fondo regolato in Lussemburgo che investe al 55 per cento in immobili e al 45 per cento in azioni e obbligazioni. Un buon “bilanciamento tra rischio immobiliare e rischio azionario e obbligazionario”, ricostruiscono oggi i consulenti di Mincione in una memoria che hanno presentato alla giustizia vaticana. E la Santa Sede non deve sganciare una lira, ma solo accendere un mutuo, perché i 200 milioni vengono anticipati da Credit Suisse. Becciu dice sì: così nasce l’investimento nel palazzo di Sloane Avenue e nelle azioni di società che stavano a cuore a Mincione (Bpm, Carige, Fiber, Retelit). È nel 2018 che lo scenario cambia: il 15 agosto Becciu viene rimosso dalla Segreteria di Stato e nominato prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Lo sostituisce agli affari generali della Segreteria di Stato l’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra. Nel novembre del 2018, il nuovo arrivato mette alla porta Mincione, che chiede 40 milioni per uscire dall’affare, e viene sostituito con un altro finanziere italiano con base a Londra: Gianluigi Torzi. Gli affari opachi continuano. Fino all’arrivo delle inchieste.