“Macché maledetti, oggi sono tutti vegani: la tristezza è un lusso”

Diceva di essere un “musicista contabile” ed eccolo qua, anni dopo, a tenere una lezione al Dams di Lecce su “Come la musica diventa lavoro”.

Già, come, signor Agnelli?

La musica è già un lavoro perché fatta anche dalle maestranze, dai facchini ai manager: quasi un milione di lavoratori in Italia. E poi il musicista è un lavoratore: tour, routine, professionalità; non è semplicemente andare in giro con la chitarrina a divertirsi. Purtroppo in questo Paese siamo ancora trattati da giullari, eppure paghiamo le tasse come tutti.

Il progetto di Germi a Milano è in quella direzione?

No, lì vogliamo creare un laboratorio di contaminazione culturale tra arti, musica, cinema, letteratura… Promuoviamo l’incontro fisico, non virtuale, senza sottostare al ricatto dei numeri: se riempi San Siro hai un senso, se sei in tv vali qualcosa, se non vai no. È tremendo; è capitato anche a me prima di X-Factor… Per questo Germi è un luogo piccolo, 80 posti al massimo, per non cedere a compromessi di programmazione: la Rete la sfruttiamo dopo, per spargere i “germi”… beh, certo, in questo periodo non è la parola più felice. Contiamo di riaprire a fine mese con solo 15 persone.

Gli Afterhours non pubblicano da 4 anni…

Stiamo registrando; il lockdown ci ha fatto rimandare i programmi: avremmo voluto uscire quest’anno col nuovo disco, ma se tutto va bene si farà alla fine del 2021.

Anche partecipare a un talent è una professione?

Io ho preso questa strada molto tardi, a 50 anni e dopo un percorso solido. Per me ha significato mettermi in gioco, liberarmi da certe pose, sparigliare carte ammuffite, portare il mio punto di vista non comune. Ora ho grandi vantaggi come la visibilità, la legittimità davanti agli addetti ai lavori: così è più facile realizzare progetti miei come Germi. E poi certo, c’è la parte economica. Una regola ho imparato: è meglio avere i mezzi che non averli.

A X-Factor si è preoccupato per la giovane Casadilego sul mercato…

Il mercato è una risorsa, non il demonio: la storia dell’arte esiste grazie ai mecenati. Il problema è quando il mercato diventa il fine ultimo, e genera mostri. Casadilego a soli 17 anni canta Joni Mitchell come un’adulta: quel tipo di raffinatezza è molto difficile da gestire per com’è strutturata l’industria musicale oggi. Non c’è un filone in Italia così, purtroppo, né addetti ai lavori che possano proteggerla.

Per lei “la rivoluzione fa sempre due passi avanti e uno indietro”. E i suoi?

Ho sempre fatto passi avanti piccoli, ma costanti: il più grande è stato decidere a 27 anni che la musica doveva essere la mia vita. Prima di avere un minimo di stabilità economica – come pagarmi le rate della Fiat Uno – sono passati 15 anni, ma suonare mi faceva stare così bene che non era paragonabile a nessun’altra sicurezza. Passi indietro sono quelli che mi sono autoinflitto per cercare di essere coerente e mantenere un’etica musicale. Tutto l’ambiente alternativo, a un certo punto, si è rivelato asfittico e soffocante, dal punto di vista creativo e ideologico. Manipolato tanto quanto il mainstream.

Il maledettismo è morto… ma non le manca?

No, anzi mi fa ridere oggi che un certo tipo di mondo sia incarnato da vegani, salutisti, bigotti. Quello che mi manca è il mistero, la capacità di proiettarsi in un mondo di immaginazione meraviglioso perché è solo nostro. Io immaginavo David Bowie, non lo conoscevo, avevo poche foto. Adesso pubblicano sui social i primi piani dei piatti o quando vanno a farsi le unghie. Venire a conoscenza di tutti questi dettagli, fin morbosi, ha ucciso il mistero. Lo vedo nei musicisti che vengono al talent: tutti bravissimi tecnicamente, ma quasi nessuno è affascinante né ha sviluppato quel mondo interiore che si comunica semplicemente attraverso vibrazioni. Per me è un limite. Una tragedia.

Il suo mondo interiore resta quello di un irrequieto o l’ha sedato?

“Sedato” non è la parola giusta. Quello che mi è successo diventando adulto, e avendo questo grandissimo privilegio di vivere con la mia musica e crearla, è di conoscere me stesso. Non mi sono sedato, sono cambiato. L’irrequietezza è parte della nostra natura. Alcuni la chiamano “male di vivere”, che è ormai inaccettabile, giustamente. Anche perché il male di vivere è un lusso che molti non si possono concedere.

La bella estate dei libri. Editoria in timida ripresa

Meno venti era la previsione in primavera. E non si riferiva all’assenza di tramontana o scirocco, ma alla prospettiva con la quale il mercato editoriale si preparava ad affrontare l’anno funesto 2020. Le librerie dalle serrande abbassate, le ricadute psicologiche di un Pil con il freno a mano tirato che dissuadeva da acquisti non considerati di prima necessità, la cassa integrazione e gli aiuti a pioggia che andavano a coprire in ritardo e soltanto in parte gli stipendi dei dipendenti privati e dei lavoratori stagionali, l’acuirsi della precarietà di molte partite iva: erano le tessere di un puzzle che sembravano formare un quadro gotico e tenebroso a prima vista.

Quando ad aprile il governo aveva consentito la riapertura delle librerie dopo il lockdown, la misura era stata accolta da numerose polemiche e non aveva dato luogo all’auspicato rimbalzo di vendite. Alcune librerie, soprattutto indipendenti, avevano deciso di restare chiuse fino a maggio, avvertendo che non potevano essere considerate soltanto dei simboli. La corrente maggioritaria invece favorevole alla riapertura aveva sottolineato come il commercio dei libri non potesse essere ridotto a una piazza virtuale e delineava la figura del libraio come un venditore di beni, ma soprattutto di idee che quei beni contengono: un lavoro di supporto a comunità e territori. Mentre le immagini delle riaperture all’estero testimoniavano un altro tipo di furore e di affinità elettive fra lettori e librai: file interminabili in Nuova Zelanda, code negli Stati Uniti, impennate di vendite in Francia e Germania.

Meno venti: quello era il dato di perdita di fatturato annuo, dall’inizio dell’anno ad aprile, che si poteva scorporare in un devastante meno settanta per cento nei mesi di marzo e aprile. Con la fine della primavera e con l’arrivo dell’estate però qualcosa è cambiato: la rilevazione di luglio dimezzava quasi i livelli di perdita portandoli a meno undici. I titoli in classifica viaggiavano con buoni risultati settimanali. Dicker, Ozpetek, Auci, Perrin presidiavano la classifica alternandosi nelle prime posizioni. Poi è arrivata l’accelerata, con il premio Strega che faceva veleggiare Veronesi in vetta, e soprattutto con Camilleri, con l’ultimo Montalbano in doppia versione, a un anno della scomparsa del Maestro, che andava a dominare la classifica.

A oggi Riccardino ha venduto nell’estate circa 300 mila copie nella doppia veste, accompagnato da altri titoli ad alto rendimento commerciale della scuderia Sellerio (Robecchi, Malvaldi, Recami). Oltre alla casa editrice palermitana, sicuramente un’ottima estate ha avuto la Nave di Teseo con i risultati di Veronesi, Dicker, la bio di Woody Allen, lo scatto in partenza di Musso. Buona estate anche per Nord che ha proseguito sulla scia della saga famigliare a colori pastello: dopo la dinastia leonina dei Florio raccontata da Stefania Auci, Daniela Raimondi è partita molto forte con la storia dei Casadio. Nord ha potuto contare anche su un recupero di Valerie Perrin, che invece ha superato Camilleri al termine dell’estate con Cambiare l’acqua ai fiori, il libro pubblicato dal suo nuovo editore, e/o. Per quanto riguarda la casa editrice di Sandro Ferri e Sandra Ozzola si tratta dell’ennesimo coniglio dal cilindro o meglio l’ennesimo best-seller alla distanza basato sul passaparola, dopo L’eleganza del riccio, e la quadrilogia geniale di Elena Ferrante.

Zampata di Carofiglio proprio sul finire dell’estate, quasi a riprendersi una rivincita sul risultato dello Strega: l’ex magistrato, dopo l’ultima vicenda dell’avvocato Guerrieri, ripubblica l’edizione “definitiva” di Non esiste saggezza per Einaudi Stile Libero e balza in testa all’ultima classifica con il suo breviario di politica e altre cose dal titolo Della gentilezza e del coraggio pubblicato da Feltrinelli, vendendo intorno alle 10 mila copie settimanali in totale coerenza con i dati degli anni precedenti.

Sono dati buoni, confortanti, quasi sorprendenti se ci voltiamo indietro. Va però ricordato che sono dati sempre in lieve calo come vuole una tendenza ventennale. E che forse oggi vanno letti con altre due precisazioni. La prima riguarda le vendite dal vivo. Tutto quell’indotto che producevano i festival, i saloni, le iniziative all’aperto con una rendicontazione interna degli editori, che poi non veniva riportata nelle classifiche, quest’anno non c’è stato. Quindi sì, l’estate dell’editoria è andata bene, molto meglio di come ci aspettavamo, ma a quel dato non possiamo aggiungere quasi nulla.

La seconda precisazione riguarda il doping di Stato. In occasione del Covid il governo ha pompato moltissimo nel mercato: i 10 milioni alle piccole case editrici, i 15 milioni per lettori appartenenti alle fasce più fragili con un bonus di 100 euro a testa per acquistare i libri, il rifinanziamento del bonus da 500 euro per i diciottenni, il tax credit da 10 milioni per le librerie indipendenti, e questo al netto di tutti i bandi regionali. Per cui tutti gli elementi della filiera, dal produttore al consumatore hanno ricevuto per produrre e consumare. Continueranno così anche dopo?

A questo punto tocca aspettare il Natale, punto nevralgico delle vendite di libri, e capire se davvero andrà tutto bene.

“Billionaire no mask? Ma mica potevamo sparare alla gente…”

Il Billionaire, il Coronavirus, la Sardegna, ora pure la ex moglie Elisabetta Gregoraci al Grande Fratello Vip che dice “Flavio? Ho dovuto sacrificare la mia vita per stare con lui”. Non c’è pace in questo 2020 per Flavio Briatore e va detto che quello che non gli capita se lo cerca lui, spesso, con un ammirevole masochismo. La vera notizia è però un’altra.
Tutto sommato, quando sveste i panni del cinico milionario che pronuncia la parola business ogni tre virgole, Briatore è perfino simpatico.

La tua ex moglie ha detto che si è sacrificata per stare con te, che doveva accompagnarti nei viaggi. Un po’ ingenerosa.

I primi anni è venuta a qualche Gran Premio che le interessava, per esempio in Giappone, altrimenti andavo da solo e faceva quel che voleva. Con tutte le rotture che ci sono in Formula Uno, non è che ti porti dietro la fidanzata.

Era infelice?

Passava in Sardegna due mesi l’anno, aerei privati, a Montecarlo 1.000 mq di casa, a Londra 1.500 mq di casa, la casa a Roma che le ho comprato, l’autista…

Non è detto che questo faccia la felicità.

Ci siamo lasciati perché era finita, senza drammi. Neanche i nostri avvocati hanno discusso. Anzi, il mio mi ha detto: sei stato troppo generoso. Ho detto: è la madre di mio figlio, deve stare tranquilla.

Quanto le dai al mese?

Non lo dico, ma non è obbligata a fare qualunque cosa per vivere, non deve tagliare i nastri alla fiera della castagna a Reggio Calabria.

Decine di migliaia di euro?

La pago in bitcoin (ride).

Dice che con te non era indipendente.

Se a 40 anni vuole andare al Gf e stare con i ragazzini e se questo per lei è affrancarsi, ok. Ma allora potrebbe rinunciare anche a quello che le passo e dimostrare che davvero vuole essere autonoma, no?

Che accordi avete nella gestione di vostro figlio?

Viviamo a 300 metri di distanza a Montecarlo per condividere il più possibile la vita con Falco, senza regole rigide.

Un buon accordo.

Non buono, di più. Voglio che lei non abbia pensieri e cresca Falco con serenità.

Non vuoi che lavori?

Ma va. Può fare i suoi programmi tv, ma deve anche fare la madre, credo.

Ti ha detto del Gf?

Sì, ho replicato solo che ha 40 anni, ma se pensa sia la scelta giusta, va bene. Lo voleva già fare anni fa e le dissi che visto che avevamo un bambino piccolo non mi sembrava il caso che stesse via per due mesi. Ora Falco è più grande. Poi io e lei siamo divorziati, ormai non siamo neppure più parenti, abbiamo un figlio.

Be’, non poco.

Certo, infatti dobbiamo pensare al bene di Falco. Pensa che non abbiamo mai litigato.

Ti è dispiaciuto quello che ha detto?

Mi dispiace solo se mio figlio legge queste cose.

E se legge quello che dici del Coronavirus, che è un’influenza?

Non dico questo, però io sono stato in ospedale quando c’erano gli intubati, ho visto cos’era questo virus mesi fa, una cosa terribile. Io ho avuto la febbre due giorni in tutto per il Coronavirus.

Per la prostatite.

Tutti ridono per la prostatite, ma io l’ho avuta e con quella ho avuto la febbre a 40.

Già avevi il Covid, perché pure la quarantena a casa della Santanchè?

Perché a Montecarlo sarei dovuto andare in ambulanza.

Continui a minimizzare, però vedi cosa sta succedendo in Europa?

Ho tre locali importanti in Inghilterra con 200 dipendenti, posso dirti che a Londra non si vedono mascherine. Boris poi voleva fare l’immunità di gregge, ma a momenti muore il pastore. Gli italiani si sono difesi meglio.

Al Billionaire mica tanto.

Una volta per tutte: il ristorante aveva 170 posti. C’è stata anche la Gismondo a cena da noi sotto Ferragosto.

E in discoteca?

Abbiamo tagliato da 700 a 300 la capienza massima. In molte discoteche in Puglia o Romagna c’erano migliaia di persone.

Le immagini del Billionaire parlano chiaro.

I nostri dipendenti avevano le mascherine.

I clienti no.

Non siamo poliziotti, non potevamo sparare alla gente. Ci sono state discoteche con 120 positivi, noi alla fine ne abbiamo avuti 28.

Una ragazza che lavorava da te mi ha detto che si sapeva che c’erano dei positivi ai tavoli.

Il casino è stato provocato da alcuni ragazzi coi soldi arrivati dalla Spagna, da Mykonos, intorno al 10 agosto.

Quando minimizzi, ferisci chi ha perso qualcuno per il Covid. Tanti italiani.

L’altro giorno sono morte 20 persone di Coronavirus e 400 persone di tumore.

Il tumore non è contagioso, dal Coronavirus possiamo difenderci collaborando. Il tuo barman finito intubato come sta?

Claudio sta bene, non ha neppure più l’ossigeno, lui è stato malissimo perché aveva una polmonite bilaterale.

Ti sei preoccupato per la sua salute?

Chiamavo tutti i giorni per sapere come stessero i dipendenti. Ieri ho parlato anche con Claudio.

Che ha detto?

Che deve rimettere su la massa muscolare. Gli hanno perso il telefonino in ospedale, poverino. Gliel’abbiamo ricomprato.

Cosa gli hai detto tu?

La prossima volta che mi fai spaventare così ti licenzio.

Zangrillo si è arrabbiato perché ho detto che a marzo un posto in ospedale Silvio Berlusconi lo avrebbe trovato, come lo avresti trovato tu. Che mi dici?

Che lo avresti trovato anche a tu.

E chi me lo avrebbe trovato?

Io. Mi hai attaccato perché non mi conosci…

Il tuo cinismo non mi va giù. C’è gente che è ancora in lutto.

C’è anche gente che ha perso i figli in guerra, dobbiamo ripartire.

Ma questa guerra non è finita.

Sì, ma il vaccino non arriverà, come non è arrivato per l’Aids. Dobbiamo convivere col Covid, stando attenti a non prendercelo. E cercando soluzioni per non fallire tutti.

Tipo?

A Londra ora dobbiamo chiudere i ristoranti alle 22. Ho detto: perdiamo quattro ore di business. Apriamo alle 17. Abbiamo incassato il 10% in meno dell’anno scorso e non licenzio 200 persone.

La battuta sul Natale in Inghilterra che sarà spostato a febbraio per il Covid… perché?

Ma era una battuta.

Uno che ha perso il padre ti dà dello stronzo.

Su questo hai ragione. Ma non possiamo fermare tutto. Ti faccio un esempio: mio figlio avrebbe adorato fare la scuola online così non combina nulla, per cui gli ho detto: ‘Falco, se tu non vai a scuola, io non vado a lavorare. Se non fai bene la scuola perdi i privilegi che hai, l’estate un mese in Sardegna non ci vai più, resti qui’.

Be’, resta a Montecarlo, non è un granché come minaccia.

Ma ha tutti i suoi amici lì d’estate.

Ha capito?

Stamattina alle 7.30 è venuto e mi ha detto: ‘papà hai ragione, vado a scuola prima’.

E tu?

Gli ho detto: ‘non andare prima che aprano i cancelli cazzo, vai alle 8,25! Se ti vedono lì alle 7 i tuoi compagni svengono’.

Insomma, diventerà stakanovista come il papà.

Sperando che faccia qualche casino in meno.

Il virus è mutato ancora troppo poco

Nonostante circa 100.000 pubblicazioni scientifiche in tutto il mondo, SarSCoV2 è ancora un virus in gran parte sconosciuto. La fotografia dell’anima dei viventi è il genoma, costituito da una o più catene di una sequenza di solo 20 aminoacidi, contrassegnati dalle lettere A, T, C e G . Tutto lì. Dalla loro disposizione dipende tutto, dagli occhi azzurri all’attacco di un virus. La prima sequenza genomica di SarsCo2 è stata soprannominata “Wuhan-1”, una stringa di 30.000 lettere (del codice genetico) punto di partenza del lungo iter, a oggi non ultimato, della conoscenza genetica del virus. Attualmente sono stati depositati circa 100.000 sequenze. Un numero notevole ma ancora non sufficiente per chiarire le diverse ipotesi della sua provenienza e per conoscere il momento dell’eventuale “salto” da animale (?) all’uomo.

Si continua a genotipizzare e confrontare. Questi studi servono anche per avere un’ipotesi di come possa evolvere la pandemia. Sappiamo che i virus, soprattutto quelli a Rna, mutano facilmente e alcune mutazioni possono avere un importante impatto sull’infettività, sull’aggressività della patologia. Ad oggi questo virus ha mostrato circa 13.000 mutazioni. Sembrerebbe un dato considerevole, non è così. In realtà, due virus nel mondo differiscono solo per pochissime “lettere” (aminoacidi). Ciò vuol dire che, nel bene o nel male, SarsCoV2 muta molto lentamente, da due a sei volte meno che, ad esempio, i virus influenzali. Non è una buona notizia, i virus del passato grazie alle mutazioni, hanno subito una selezione naturale essenziale per la loro scomparsa.

Oggi, dopo circa dieci mesi dalla sua comparsa “visibile” nella scena degli umani, sono state intercettate solo due mutazioni “favorevoli”, una che rende il virus meno “legante” le cellule e un’altra che sembra interferire con la sua velocità di moltiplicazione. Troppo poco per pensare che possa essere eliminato dalla selezione naturale, sufficiente per alimentare timori che possa invece rimanere fra noi per molto tempo o, forse, per sempre. Questo pone importanti interrogativi sulla possibile “convivenza”.

Attualmente, scaramanticamente, allontaniamo quest’ipotesi, ma presto, se nulla sarà cambiato, dovremo prenderla in considerazione, soprattutto se teniamo di conto che i vaccini in sperimentazione, ci stanno promettendo un’efficacia pari al 60% (semmai dovessero arrivare).

 

Mail box

 

Aiutiamo la scuola con i neopensionati

Ho vissuto la mia vita nella scuola e ricordo molto bene che a ogni inizio d’anno si parlava di caos, di ritardi nelle nomine dei docenti, di carenza di personale, di orari ridotti e irregolari. Ed era vero, verissimo! Quest’anno, le difficoltà sono più che centuplicate per le ragioni ben note: se le classi devono essere divise, chiaramente mancano aule e insegnanti. Questi ultimi, soprattutto, non si possono improvvisare. Perché allora non invitare a riprendere servizio i neo pensionati, quelli che solo da un anno o due o tre hanno lasciato i loro alunni, che forse in buona parte ancora ritroverebbero negli stessi istituti? Continuerebbero a percepire la pensione (se già gli arriva!) e contemporaneamente riceverebbero regolare stipendio. I soldi ci sono! Si è parlato di guerra contro un nemico subdolo e mortale; perché non richiamare sul campo le truppe più preparate ed esperte (quanto è sempre stata poco considerata la capacità di trasmettere curiosità, entusiasmo e sapere!): una sorta di Vieille Garde napoleonica Abbiamo un governo che si è dimostrato capace di agire rapidamente e proficuamente nelle emergenze. Non potrebbe emettere un decreto da subito attivo? I tempi stringono. E non mi si parli di insegnamento a distanza: può credere nella sua efficacia solo chi non conosce l’emozione del contatto con una classe viva, presente, dialogante tra i suoi componenti e col docente.

Claudia Rotta Ferreri

 

Caro presidente Conte, pensi anche all’università

Sono stato estromesso per un titolo dalla IV tornata dell’Asn (1a fascia, area 10, Glottologia Linguistica) pur con 2 lavori internazionali peer review non considerati e un curriculum articolato e pluridisciplinare di oltre 45 anni di didattica anche estera (estesa al dottorato) e di ricerca (referaggio compreso) presso alcuni più prestigiosi laboratori al mondo (Europa, Usa, Cina). Spinto dalla solidarietà anche estera (ridiculous, spaghettì, this is not serious, Abilitazione da Stupidità Nazionale), ho prima sentito l’Anvur che sottolinea: “il fatto che una rivista sia, o meno, presente negli elenchi di classe A … non impedisce alla commissione di valutare analiticamente un articolo … sottoposto a valutazione da un candidato”. Nell’ambiguità contestuale, nel silenzio del ministero Università e Ricerca, chiedo ora a Lei con maggiore fiducia una verifica della regolarità degli atti almeno, vista la mia età, quale riconoscimento per il contributo al progresso scientifico del nostro Paese portato avanti con costanza malgrado la precarietà strutturale della nostra ricerca. Al di là del fatto personale, mi permetto inoltre di porre l’accento sull’esigenza improcrastinabile di bloccare la fuga dei nostri cervelli all’estero suggerendo di dare un impulso autorevole per una svolta d’ambito decisa, nel merito particolare dell’accesso alla docenza universitaria. Con i più cordiali saluti.

Carlo Schirru, Università di Sassari

 

Sono favorevole al “Rosatellum bis”

Ho firmato con convinzione la petizione per l’abolizione delle liste bloccate. Mi convincono le preferenze, anche se una forma di vincolo di mandato andrebbe anch’essa inserita. Non mi convince però il sistema proporzionale perché darebbe un grande vantaggio al centrodestra. Le elezioni sarebbero solo un momento per stabilire a chi tocca la presidenza del consiglio tra Salvini e la Meloni, con Berlusconi che farebbe da grande saggio. D’altra parte avremo: Pd, M5S, Sinistra, Italia Viva, eccetera. Una babele in competizione non solo con il centrodestra ma anche tra di loro, una guerra all’ultimo voto senza un progetto comune, in cui ognuno cercherà di lasciarsi le mani libere per il dopo voto. E soprattutto un sistema che lascia fuori o ai margini Giuseppe Conte, la forza trainante dell’attuale coalizione di governo. La carta che può ribaltare i sondaggi che danno in vantaggio il cdx è proprio Conte con la credibilità e la fiducia che riscuote tra gli italiani, anche moderati. In una competizione elettorale proporzionale Conte dovrebbe fare il capolista del M5S? Fare un suo partito? Oppure non candidarsi per essere il premier del dopo elezioni? Il rischio è di sminuirlo e di farlo diventare di parte. La soluzione non è difficile da trovare. La legge elettorale perfetta è l’attuale legge elettorale: il rosatellum bis. Certo, così Pd e M5S devono saper mantenere ciascuno la propria autonomia puntando su Conte come premier di coalizione. Si andrebbe a elezioni con liste di partito nel proporzionale e candidati unitari nel maggioritario. Le scelte politiche vanno fatte prima. Gli elettori avrebbero così la possibilità di scegliere tra due alternative politiche chiare e forti. L’unica modifica che andrebbe fatta all’attuale legge sarebbe l’introduzione delle preferenze, l’eliminazione delle pluricandidature e regole severe che evitino la transumanza da un fronte all’altro.

Caro Pino, con i correttivi che lei propone (sacrosanti), del Rosatellum non resterebbe nulla. Per fortuna.

M. Trav.

 

Grazie per le vostre bellissime vignette

Leggo e compro il Fatto Quotidiano da quando è nato. Le vostre vignette rallegrano i miei parenti sparpagliati in tutta Europa. Ho votato Sì, perché Veltroni ha votato No. E invece di fare il missionario in Africa è rimasto qui a fare il mancato professore nei talk televisivi.

Doris Oberperfler

Inps. L’eterna disputa sulla gestione separata dei liberi professionisti

Gentile redazione, scrivo per segnalare un’ingiustizia dell’lnps, che chiede ogni anno a migliaia di professionisti il pagamento dei contributi della gestione separata, nonostante una legge di interpretazione abbia escluso queste categorie da detto obbligo. L’Inps manda le cartelle a distanza di 5 anni, applicando sanzioni che arrivano all’80 per cento del presunto dovuto e, nonostante gli avvisi arrivino spesso oltre il termine di prescrizione, l’istituto respinge tutti i ricorsi costringendo i contribuenti a ricorrere ai Tribunali. Sto parlando di quei professionisti che hanno un’attività di lavoro dipendente e allo stesso tempo esercitano anche la libera professionale, nel mio caso di ingegnere. Queste persone, oltre a pagare regolarmente le tasse e a versare il contributo del 4 per cento a lnarcassa, per l’lnps dovrebbero versare il 25 per cento del loro reddito annuo libero professionale anche alla gestione separata. Si tratta di un esproprio che tra le altre cose non dà alcun beneficio previdenziale, non può essere ricongiunto, ma deve essere solo versato. Il cittadino è indifeso di fronte alla prepotenza dell’Istituto, che non ha alcun problema a sperperare soldi con cause che arrivano fino alla Cassazione.

Valerio Durante

 

Gentile Durante, è dalla sua introduzione, nel 1995, che la gestione separata dell’Inps viene etichettata come una grave ingiustizia a danno dei professionisti con partita Iva sprovvisti di una cassa privata. Ma la domanda che i giudici poi si fanno è sempre la stessa: se un ingegnere, inquadrato come lavoratore dipendente, svolge anche un’attività libero professionale per la quale già versa il contributo integrativo a Inarcassa, deve anche versare i contributi alla gestione separata dell’Inps? La risposta è sempre stata positiva. A ribadirlo, anche due recenti sentenze della Corte di Cassazione, secondo cui il termine di prescrizione alla gestione separata Inps si calcola dal momento in cui sorge l’obbligo, cioè dal momento in cui si devono versare i contributi, non da quello per la dichiarazione dei redditi. A noi non resta che fare da cassa di risonanza di voi professionisti coinvolti e ricordare che si tratta di una strana cassa, che ha una funzione solidaristica e non dà un beneficio previdenziale.

Patrizia De Rubertis

Italia Viva, anzi Morta e l’insostenibile irrilevanza di Renzi

Politicamente postumo in vita dal 4 dicembre 2016, Matteo Renzi ha avuto finalmente il coraggio di pesarsi (elettoralmente) alle ultime Regionali. Il risultato è stato un disastro pressoché totale. Quando Scalfarotto annunciò di scendere in campo per Italia Viva contro Emiliano, mi capitò di scrivere che questo satanasso iper-renziano, noto a nessuno e ricordabile per niente, non avrebbe visto il 3 per cento neanche col binocolo. Tal Scalfarotto se la prese moltissimo. E aveva ragione, perché in effetti col binocolo non ha visto neanche il 2 per cento. Il nuovo Churchill ha raggiunto infatti l’1,8 dei consensi, che scende all’1,1 se si tolgono gli alleati Calenda e Bonino.

Scalfarotto aveva chiesto al ministro Bellanova di tirargli la volata, e lei lo ha fatto alla grande, esortando gli elettori (in un lapsus meravigliosamente freudiano) “a votare Emiliano e Italia Viva”. Di fatto Scalfarotto non si è votato neanche da solo. Un’altra genialata di Renzi, che avrebbe pagato oro pur di disarcionare l’odiatissimo Emiliano. Ospite di Myrta Merlino, Renzi aveva pure affermato: “Se il centrosinistra avesse candidato la Bellanova, avrebbe vinto a mani basse”. Non ne becca una neanche per sbaglio!

Eppure Renzi, dopo le Regionali, ha esultato. Ha parlato di “risultato straordinario”. Ha detto di essere stato decisivo. E ha sostenuto di aver salvato Conte per la seconda volta. La Diversamente Lince di Rignano è arrivata a dare i numeri, asserendo di avere raggiunto su scala nazionale la media del 5,1 per cento. Ciò è del tutto falso: la media raggiunta da Italia Viva (anzi Morta) è del 3,2, che sfiora il 4 se si aggiunge alla media il caso (a sé) della Valle d’Aosta. Nella sua (e per fortuna non solo sua) Toscana, dove credeva di avere almeno il 10, Italia Viva non è andata oltre un tristissimo 4,5 per cento, che le è valsa la miseria di due soli consiglieri regionali. Piccato da tale realtà dei fatti, Renzi ha dato la colpa a Giani (che ha scelto lui) perché reo di avergli tolto voti con una lista tutta sua. Secondo il Matteo debole, dovrebbero stare tutti a casa per farlo vincere in santa pace. Altrimenti porta via il pallone. Gne gne.

Nelle Marche ha superato a fatica il 3 per cento, in Veneto si è fermato a uno straziante 0,6. Come fa allora a cantare vittoria? Un po’ nega l’evidenza e un po’ esaspera i risultati in Valle d’Aosta e Campania. Nel primo caso il quasi 9 per cento è però figlio dell’alleanza con gli autonomisti valdostani, senza i quali difficilmente avrebbe superato il 3 (ma pure il 2). E in Campania quel 6/7 per cento è certo un buon risultato, frutto però della scelta di imbarcare buona parte dei capibastone fino a ieri in Forza Italia. Compresi uomini cari a “Giggino ‘a Purpetta” Cesaro. Tutto giuridicamente lecito, sia chiaro, ma la “nuova politica” dovrebbe essere altro. Siam sempre lì: Renzi non è che la brutta copia di Berlusconi. Resta da menzionare la Liguria, dove Renzi ha mandato sms di fuoco fino a poche ore prima del voto. Contro Toti? No, contro il Fatto Quotidiano, Pd e M5S. Daje Matte’! Leggendari anche qui i risultati: 2,5 per cento. Pianto perdurante e totale.

Fino al meraviglioso 4 dicembre 2016, Renzi era solo un politico dannoso e sopravvaluto. Dopo quel giorno, Renzi è diventato null’altro che un Tabacci minore. Molto meno dotato e assai meno simpatico. E adesso? Proseguirà a suicidarsi politicamente: è la cosa (l’unica?) in cui più eccelle. Continuerà ad abbaiare alla luna. A creare “fibrillazioni”. E a dire di averlo più lungo di tutti, anche se dallo spogliatoio son già usciti tutti da un pezzo. A partire dagli elettori. Gli sia lieve l’irrilevanza.

 

Le donne che odiano le donne contro i club per soli uomini

Le femministe o postfemministe o veterofemministe, cioè tutto quel vasto mondo di donne che odiano le altre donne, non il maschio, perché concorrenti potenziali, sembrano aver perso ogni limite nel loro estremismo ideologico. Al grido sessantottino “è vietato vietare” stanno in realtà vietando tutto. Così Emily Bendell, imprenditrice dell’“intimo”, termine già di per sé orribile perché ipocrita, vuole portare in tribunale il mitico Garrick Club, una di quelle associazioni che escludono la presenza delle donne e fanno parte della tradizione degli inglesi (il Garrick esiste dal 1831, ma il più aristocratico di tutti il White’s affonda le sue radici alla fine del Seicento) che alle tradizioni sono particolarmente legati, non per nulla hanno una Regina amatissima che fa benissimo il suo mestiere e Wimbledon è rimasto l’unico torneo di tennis che si gioca ancora sull’erba.

Se io costituisco un club privato avrò pure il diritto di farci entrare o di non farci entrare chi mi pare e piace? Gli uomini, anche quando amano le donne, preferiscono la compagnia degli uomini. Quando usciamo più o meno di nascosto di casa, molte nostre mogli o compagne o fidanzate pensano che andiamo a tradirle, il che può anche essere per alcuni fanatici (stare con una donna è già complicato, figuriamoci con due), ma in genere cerchiamo di sfuggire al loro controllo, andando giù al bar a giocare a scopone con gli amici, là dove i bar esistono ancora, o a bocce o a vedere una partita di calcio, situazioni in cui tradizionalmente le donne non ci sono o se ci sono, com’è nel calcio pervertito di oggi, hanno una presenza marginale. Ammettere la donna in un club per soli uomini vorrebbe dire l’irruzione dell’eterno gioco della seduzione cui a noi, già sollecitati da ogni parte, nella pubblicità, in tv, in strada, dalla figura femminile, piace almeno per un po’ sfuggire. Inoltre, viste le continue accuse di molestie, a volte vere a volte presunte, con minacce di galera o, quel che è peggio, di garrota mediatica, in un club di soli uomini sarebbero al sicuro per il lapalissiano motivo che non ci sono. Così le donne rischiano di rimanere vittime del puritanesimo di marca yankee che è stato introdotto in Europa dal #MeToo. Ma a chi mai può venir la voglia di corteggiarle se basta un’occhiata un po’ insistente o un popolano fischio di ammirazione (anche se di questi fischi con le due dita in bocca che fan parte pur essi della tradizione maschile – chi ha mai visto una donna fischiare in questo modo? – si sta ormai perdendo traccia, li usava finché è stato allenatore Giovanni Trapattoni) per essere accusati di “molestia sessuale” con tutto ciò che ne consegue?

Le donne rischiano di essere vittime del loro stesso puritanesimo che è sessista nel momento stesso in cui predica il contrario. Agli inizi di settembre, a una donna un po’ scollata è stato proibito di entrare, da parte di una funzionaria, al Museo d’Orsay in base al regolamento interno che recita: “Gli utenti devono conservare una tenuta decente e un comportamento conforme all’ordine pubblico e devono rispettare la tranquillità degli altri utenti”. E questo accade a Parigi, capitale un tempo gioiosa, giocosa, trasgressiva, non solo all’epoca esistenzialista, di cui oggi si ricorda l’epopea per la morte di Juliette Gréco che ne fu l’icona musicale, ma ben prima, negli anni 30, quando il pittore Foujita entrava al Dôme o alla Coupole tenendo in spalla una gabbia con dentro una donna nuda. Non c’era nulla di perverso o pervertito, c’era solo una voglia di gioco che noi, intrappolati in lezioncine moralistiche, sembriamo aver perduto. Del resto qualche giorno prima dell’episodio del d’Orsay due bagnanti in topless erano state multate dalla Gendarmerie perché sulla spiaggia di Pérpignan prendevano il sole a seno nudo. E in alcuni comuni d’Italia, in modo altrettanto illegittimo e moralistico, con la scusa che intralciano il traffico, si multano i clienti delle prostitute ufficiali. Quelle non ufficiali fanno carriera in politica.

 

Va bene il proporzionale, ma con preferenza unica

La legge elettorale prossima (av)ventura. Premessa: se sarà una legge elettorale proporzionale non dovrà avere pluricandidature e dovrà consentire a elettrici e elettori di esprimere un voto di preferenza. Non due voti poiché non è vero che favoriscono le donne. Al contrario, subordinano le elette all’uomo che abbia fatto scambi con loro. Non tre o quattro preferenze poiché sono propedeutiche, come qualsiasi parlamentare democristiano eletto tra il ’48 e l’87 potrebbe confermare, alla formazione di correnti. Infine, se si desidera evitare la frammentazione del sistema dei partiti, certamente non produttiva di buona rappresentanza politica, ma di potenziali poteri di ricatto per piccoli gruppi, dovrà contenere una clausola di accesso al Parlamento.

Di leggi elettorali proporzionali ne esistono molte varietà. Due elementi importanti le caratterizzano: la ampiezza della circoscrizione, misurata con riferimento al numero dei parlamentari che vi sono eletti e la formula di assegnazione dei seggi (le tre più utilizzate sono d’Hondt, Hare e Sainte-Lagüe, elemento molto tecnico, ma tutt’altro che irrilevante nel favorire i partiti o i partiti grandi). Ipotizzando che vengano ritagliate 40 circoscrizioni con 10 deputati da eleggere in ciascuna, non ci sarebbe neppure bisogno di una clausola di accesso. Per vincere un seggio sarà indispensabile ottenere almeno l’8-9 per cento dei voti in ciascuna circoscrizione. Per un Senato di 200 componenti eletti in 20 circoscrizioni il discorso sarebbe esattamente lo stesso, ma è complicato dalla statuizione costituzionale che ne impone l’elezione su base regionale.

Fuoriuscendo dall’ormai stucchevole ricorso al latino che, al contrario del Mattarellum e del Porcellum, non apporta nulla in termini di conoscenza, chi volesse adottare la legge elettorale tedesca (non Germanicum, non Tedeskellum) dovrebbe farlo nella sua interezza. La clausola del 5 per cento è, ovviamente, importante, ma molto più importante è che l’elettore/rice tedesco/a dispone di due voti. Con il primo sceglie fra i candidati in collegi uninominali su base dei Länder; con il secondo vota una lista di partito. Non soltanto il doppio voto conferisce più potere all’elettore/trice, ma ha spesso consentito loro di incoraggiare e approvare la formazione di coalizioni indicate dai dirigenti di partito (Democristiani-Liberali; Socialdemocratici-Liberali; Socialdemocratici-Verdi).

È persino banale affermare che non esiste una legge elettorale perfetta. Certamente, no, ma altrettanto certamente esistono leggi elettorali buone e leggi elettorali cattive. Grazie all’Italicum e alla legge Rosato è ormai accertato e acclarato che esistono leggi elettorali pessime. La legge proporzionale usata in Italia dal ’46 all’87 era accettabile e funzionò in maniera (più che) soddisfacente. L’alternanza mancò soprattutto poiché l’alternando, il Pci, non ebbe mai voti sufficienti a renderla inevitabile. La legge Mattarella, l’unica della seconda fase della Repubblica a essere in qualche modo il prodotto di un referendum popolare, ebbe più pregi che difetti e alcuni dei difetti (il cosiddetto “scorporo” e la possibilità di liste civetta) sarebbero oggi facilmente eliminabili.

Sento ripetere da qualche politico che lui/lei preferirebbero il maggioritario, magari con l’aggiunta “il sindaco d’Italia”. Al di là dei problemi di scala: eleggere il sindaco, anche di città grandi come Roma, Milano, Napoli, Torino, non è la stessa cosa dell’elezione del capo del governo, la legge per l’elezione dei consigli comunali è proporzionale. L’elezione diretta del sindaco/a è altra cosa e configura una forma di governo presidenziale con l’eletto/a che non può essere sostituito/a proprio come i presidenti “presidenziali”. Maggioritarie sono le leggi elettorali delle democrazie anglosassoni: vince il seggio in collegi uninominali chi ottiene anche un solo voto in più degli altri candidati. Maggioritaria è la legge elettorale a doppio turno (non ballottaggio) in collegi uninominali utilizzata in Francia.

Sono purtroppo consapevole che, al momento, non esiste una proposta a sostegno della legge francese e neppure una maggioranza disposta a votarla. So, però, che una proposta articolata in tal senso sarebbe la vera “mossa del cavallo”. Aprirebbe un campo elettorale inusitato impedendo giochi di partito. Conferirebbe all’elettorato grandi responsabilità incentivandolo a informarsi e a ridefinire con maggiore attenzione le sue preferenze. Obbligherebbe i partiti a selezionare meglio le loro candidature, che è proprio uno dei più importanti obiettivi vantati dai sostenitori della riduzione del numero dei parlamentari: “meno, ma meglio”. Vorrei che l’opzione francese rimanesse viva. Comunque, almeno potrò affermare: “Ve l’avevo detto” et salvavi animam meam.

 

Aspi deve affidarsi ai suoi emissari: l’ippopotamo, la giraffa e il pinguino

Come scrivevamo il 15 luglio scorso, il gatto dei Benetton, un persiano bianco che è la mente diabolica dietro ogni decisione della Spectre (Atlantia-Autostrade-Ponte Morandi-Aeroporti di Roma-Mapuche), aveva consigliato il suo boss, che se lo accarezzava in grembo, di far arenare la trattativa. L’accordo era che lo Stato, con la Cassa Depositi e Prestiti (cioè il risparmio postale italiano, 250 miliardi di euro), sarebbe entrato con un aumento di capitale al 33 per cento di Autostrade; un altro 22 per cento sarebbe andato a investitori istituzionali; e poi Aspi (Autostrade per l’Italia) sarebbe stata quotata.

Il persiano, però, non voleva farsi imporre dal governo Cdp come compratore, e vendere Aspi a quelle condizioni. “Cosa rischiamo, se non le accettiamo?” gli hanno chiesto allora i tre emissari di Aspi (una giraffa, un ippopotamo e un pinguino) che seguono la trattativa. “Secondo me, nulla”, ha risposto il persiano. La giraffa: “Nulla?”. L’ippopotamo: “Nulla?”. Il pinguino: “E allora cosa facciamo?”. Il persiano: “Gli diciamo che vendiamo l’88 per cento di Aspi a investitori interessati, sennò creiamo una nuova società con gli stessi soci di Atlantia”. L’ippopotamo: “Una newco!”. Il persiano: “Che riceverà prima il 55 per cento di Aspi e poi il restante 33 per cento; contestualmente, questa newco sarà quotata in Borsa, permettendo ad Atlantia di uscire dal suo capitale”. La giraffa: “Sparigliamo!”. L’ippopotamo: “Geniale!”. Il persiano: “La chiameremo Autostrade Concessioni e Costruzioni Spa. Si sono già fatti avanti il fondo britannico Circuitus, quello americano Apollo, la Toto Holding…”. La giraffa: “Toto di AirOne?”. Il persiano: “Sì. E la Fininc della famiglia Dogliani, quelli della Salerno-Reggio Calabria”. Il pinguino: “La crème. Ma Cdp vorrà la manleva dai contenziosi legali per il crollo del Morandi e gli omicidi”. La giraffa: “In caso di condanna, sono miliardi!”. L’ippopotamo: “Ci daranno un ultimatum! Ci revocheranno la concessione!”. Il persiano: “Non gli conviene. L’implosione di Atlantia significa accollarsi 10 miliardi di debiti, e perdere i 14 miliardi del piano finanziario che abbiamo proposto, di cui 7 per la manutenzione e 3 e mezzo per i risarcimenti”. La giraffa: “Too big to fail”. L’ippopotamo: “Troppo grande per fallire”. Il persiano: “Comunque, se può tranquillizzarvi, il fondo inglese Tci, che come sapete ha il 6-8 per cento di Aspi, approva la mia strategia. E adesso scrivetevi questa frase: ‘Dobbiamo garantire l’irrinunciabile tutela dei diritti di tutti gli investitori e stakeholders coinvolti, retail, istituzionali, nazionali e internazionali’. La userete a ogni prossimo stallo, perché il governo non accetterà lo scorporo di Aspi senza che Cdp sia della partita”. Il pinguino: “Ok. Ma se la revoca resta pendente, Atlantia non potrà finanziarsi. Sarebbe l’inizio di una gigantesca battaglia legale col governo”. Il persiano: “Per questo ho parlato con il certosino di Lucia Morselli, la manager di ArcelorMittal che ha sfidato il governo sull’Ilva. L’ha convinta: è dei nostri”. Tutti e tre: “Hurrà!”. Il persiano: “Nel frattempo, ho scritto alla Commissione europea denunciando le pressioni del governo italiano”. La giraffa: “Quali pressioni?”. Il persiano: “Il ministero delle Infrastrutture ha vincolato all’ingresso di Cdp in Aspi il suo via libera, inserendo il diktat direttamente nella concessione, all’articolo 10”. La giraffa: “Una cazzata giuridica!”. L’ippopotamo: “Ah ah ah! Che coglioni!”. Il pinguino: “Insomma, alla fine chi pagherà il conto del disastro?”. Il persiano: “Non chi. Se”.