“Recovery Fund: faremo presto, entro fine anno sarà tutto pronto”

“Abbiamo bisogno della stabilità dei nostri Stati membri per far partire i piani di ripresa europei. Per questo considero il risultato elettorale italiano molto positivo”. David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, “vede” un’Europa che sia sempre più “gigante globale”.

Presidente, a che punto sono i negoziati sul Recovery Fund? I “Frugali” cercano di bloccarli appellandosi al fatto che Polonia e Ungheria sono sotto procedura d’infrazione. E oggi la Lagarde invita ad accelerare.

Ci sono tutte le premesse per poter fare presto. Proprio oggi è arrivata la buona notizia di una proposta della presidenza tedesca per inserire alcune clausole sul rispetto dello Stato di diritto. In altri termini, i soldi non devono andare a chi viola la legalità e la trasparenza. Questa era una delle richieste del Parlamento. Sono fiducioso che il negoziato si concluda presto. I meccanismi del Next Generation EU hanno bisogno di atti legislativi e ratifiche dei Parlamenti nazionali. Speriamo di finire entro l’anno perché le risorse possano essere disponibili nel 2021.

In Italia c’è chi accusa il governo di ritardo. Lei è d’accordo?

No. Dalle informazioni che ci arrivano tutti i Paesi sono ai blocchi di partenza. Ci sono state alcune indicazioni da parte del governo francese, ma tutti stanno lavorando e alcuni Paesi hanno già annunciato che concluderanno il loro lavoro ad anno nuovo.

L’Italia deve chiedere il Mes? Non c’è il rischio stigma?

Sono stato il primo nel marzo scorso a sostenere che si tratta di uno strumento che può essere utile per rafforzare la sanità pubblica. A questo punto, le domande a cui rispondere sono: per quali piani va usato? Con quali progetti? Per rafforzare cosa? Ogni Paese fa i conti con le sue finanze pubbliche. L’Europa ci ha messo una visione, gli Stati membri devono metterci pragmatismo.

La Commissione Ue ha proposto di cambiare il Regolamento di Dublino, ma senza la redistribuzione obbligatoria dei migranti.

Nel mio discorso di insediamento chiesi ai governi di superare Dublino. La proposta della Commissione è molto importante perché riapre il dibattito e inserisce il principio di solidarietà obbligatoria. E poi riconosce la legittimità e la doverosità dei salvataggi in mare. Ora va migliorata. Per il Parlamento deve essere chiaro che chi arriva in Italia o in Grecia arriva in Europa. I migranti nel loro totale rappresentano lo 0,004% della popolazione europea. Se ci fosse una redistribuzione solidale basterebbe che ogni città europea con più di 30mila abitanti ne prendesse uno. La narrazione dell’invasione dei sovranisti è falsa.

Oggi è a Roma il Segretario di Stato Usa, Pompeo. La pressione sull’Italia per bloccare Huawei è massima. Che deve fare l’Europa?

La chiave è dotarsi di un proprio sistema tecnologico: il Covid ci dice che dobbiamo investire di più sulla nostra autonomia e la nostra autosufficienza. Vogliamo essere un attore globale. Nel frattempo, alcuni presupposti devono essere chiari: ci piacerebbe sapere come stanno andando le sperimentazioni del 5G, in corso in molte città, per quanto riguarda la protezione dei dati e la salute dei cittadini. Ma sono dati riservati. Serve trasparenza.

Nel Consiglio europeo di giovedì e venerdì si parla di Turchia, relazioni Europa-Cina, sviluppo digitale, Bielorussia.

È un segnale importante. L’Europa deve tornare con forza sulla scena internazionale, con la potenza dei valori: i conflitti si superano favorendo il dialogo e con la forza della diplomazia. Quanto avviene ai nostri confini ha bisogno di noi.

È d’accordo con la campagna del Fatto contro le liste bloccate e per le preferenze?

Non posso entrare nei processi legislativi dei Parlamenti nazionali. Ma credo sia essenziale una legge elettorale che dia stabilità ai governi e diritto ai cittadini di scegliersi i propri rappresentanti. I modelli per ottenere questo in Europa sono tanti. Ricordo che io sono stato eletto con un sistema proporzionale, soglia di sbarramento e voto di preferenza.

Viene evocato spesso dal Pd come il candidato ideale a sindaco di Roma.

Il candidato ideale sarà quello che si presenterà: io non sarò candidato e presiedo un’istituzione europea. Ringrazio, ma il mio dovere è stare a Bruxelles fino all’ultimo giorno.​

Scuola, il Pd non (ri)vuole il concorso

Aun cittadino comune potrebbe non essere chiaro perché il Pd infierisca su una scuola già in difficoltà con una polemica che non solo è stantia, ma che era anche ben superata. Forse è un rinnovato entusiasmo post elettorale: se così, va detto, poco originale. Ieri, alla vigilia del giorno in cui il ministero dell’Istruzione avrebbe pubblicato sul suo sito date (dal 22 ottobre) e modalità per il concorso straordinario che dovrà assumere 32mila insegnanti precari da almeno tre anni, il Pd – forse dimenticato l’accordo di maggioranza raggiunto a maggio con l’intervento del premier – ha chiesto che venisse rimandato a Natale (la dem Granato) o che i docenti fossero stabilizzati per soli titoli (Orfini). Lo hanno detto pure i sindacati, lo ha detto Matteo Salvini. Insomma, per una riflessione last minute su cose già decise, si sono risvegliati davvero tutti. Ma farebbe bene ripassare la corretta dinamica che ha portato fino a questo punto. Di nuovo.

La scuola è da sempre un luogo di precariato, frutto di decenni di politiche scellerate, senza concorsi e con predilezione per i ricorsi. Questo ha generato sacche di docenti che hanno riempito vuoti strutturali (specialmente su determinate materie) per anni, anche dopo non aver superato i concorsi che poi ci sono stati o non avervi partecipato. Risultato: in Italia ci sono almeno 60mila persone che hanno accumulato tre anni di insegnamento precario. Dato che le norme europee prevedono che la Pubblica amministrazione non possa abusare di questo tipo di contratti, vanno stabilizzati. E qui si arriva al divario: da un lato c’è il ministero che ritiene che i docenti debbano essere assunti comunque mediante concorso, dall’altro i sindacati e il Pd che chiedono un’assunzione per soli titoli. A maggio questa divisione aveva portato prima ad un accordo di maggioranza sulla data (“si fa in autunno e non a luglio perché c’è il Covid”) poi alla definizione, in commissione Istruzione al Senato, della modalità: una prova scritta, al computer e con risposte aperte. Ci si era arrivati dopo il rifiuto di un test a crocette per il quale, oltretutto, si chiedeva di avere le batterie di domande.

Insomma, prima si rimanda, poi si dice che stabilizzandoli non ci sarebbe stata la supplentite. Ma assumere questi precari avrebbe cambiato poco: chi è precario da così tanto ha già abbastanza punteggio da avere assegnate supplenze lunghe e quando passerà il concorso il suo contratto sarà retrodatato all’inizio di quest’anno. Inoltre dalle graduatorie di questi precari sarebbero arrivati al massimo 20mila docenti in cattedra, ben lontani dai circa 120mila che mancano. Una polemica che quindi risulta insensata per tempi e contenuti, tanto che è la stessa responsabile scuola del Pd, Camilla Sgambato, a precisare che non c’è “scontro” ma a chiedere anche che il concorso slitti, magari a Natale, tirando in ballo la continuità scolastica. Dal ministero dell’istruzione c’è grande disappunto: ritardare ancora potrebbe esporre al rischio che davvero sia annullato mentre ci sono 430mila aspiranti docenti che attendono l’indizione di quello ordinario. Oltre alla sorpresa di vedere il Pd in linea con Salvini. Forse, unico punto davvero rilevante, potrebbe essere l’impossibilità di svolgerlo per chi dovesse essere in quarantena. Ad ogni modo, assicura la ministra Azzolina, oggi in Gazzetta ufficiale il concorso ci sarà.

Il conclave dei ministri 5S. “Subito gli Stati generali”

Tanto verde e tanto fango, un grande ospedale a pochi metri e sul cancello un cartello che è un avvertimento: “Attenzione, cani liberi”. Dopo la disfatta delle Regionali da qui riparte il Movimento di governo, da un agriturismo nella periferia di Roma dove tutto è fradicio dopo giorni di pioggia “e fa pure freddo” come sbuffa una grillina. Il luogo dove il capo reggente Vito Crimi ha radunato ministri, vice e sottosegretari del M5S per ragionare di Stati generali e rotta politica.

L’autocoscienza in campagna i 5Stelle non la facevano dal 2013, ossia da quando erano appena sbarcati come alieni in Parlamento e si rinchiusero in un altro agriturismo a Borgo di Tragliata, assieme a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il capogruppo in Senato era proprio Crimi, e a occhio ha provato a nostalgia. “Questo è un luogo simbolico, un agriturismo dentro Roma ma in mezzo al verde, una sorta di ritorno alla natura e alle nostre origini” dice ai cronisti con tono solenne. Doveva essere un luogo segreto, ma nel primo pomeriggio fuori del cancello c’è una selva di telecamere e giornalisti. “Non doveva essere segreto?” sorride il ministro Federico D’Incà. Doveva ma non lo è stato, e così gli operatori ritraggono la lunga teoria di auto blu (ma alcuni arrivano con utilitarie) con scorte varie. “Un tempo venivamo in questi posti con i pulman, ora con le auto di servizio” certifica il sottosegretario all’Interno Carlo Sibilia, sincero. Sono cambiate molte cose da allora, e adesso il M5S deve capire come sopravvivere. Per questo Crimi, dopo aver incontrato i parlamentari in assemblea congiunta, convoca i grillini di governo, accompagnati (o “marcati”) dai capigruppo delle Camere.

Si va avanti fino a sera inoltrata, con tanto di cena (menu da 25 euro con antipasti, risotto con la zucca, arista con patate e crostata di pesche). Ma prima dei piatti sul tavolo arrivano i problemi, tanti. “Manca il coordinamento tra i vertici e i territori” fa notare Crimi. E vanno valorizzati gli attivisti, la base. Verità che portano al tema della riorganizzazione, ossia dell’esigenza di una struttura. Fatta di un Movimento radicato sui territori, magari anche con sedi fisiche secondo alcuni grillini. E con una governance ampia. Non più un capo politico ma una segreteria. Almeno di dieci persone, stando a quanto rimbalza dai piani alti. Per tenere dentro tutte le anime, tranne forse “l’eretico” Alessandro Di Battista. Ma bisogna fare in fretta, anche perché Crimi non ne può più. Entro la prima decade di novembre il M5S deve aver svolto il suo congresso e nominato la segreteria. “Dobbiamo chiudere tutto in un mese e mezzo” aveva detto non a caso al Fatto il capodelegazione Alfonso Bonafede, domenica scorsa. E infatti in serata Crimi fa sapere: “Dal confronto con i ministri è emersa l’indicazione di fare gli Stati generali e darci una struttura in tempi rapidissimi”. Ma come? Per alcuni dei maggiorenti dovrà pesare il volere dei delegati, che però vanno individuati con criteri certi.

Problemi di cui dovrà occuparsi il comitato organizzativo degli Stati generali, 19 persone che verranno scelte tra eletti di vario ordine e grado e tra cui dovrebbero inclusi anche attivisti. Dovranno essere loro a traghettare il M5S al congresso, dove si discuterà, eccome, anche della piattaforma Rousseau e del suo patron, Davide Casaleggio. “Ha un ruolo troppo politico” è la milionesima critica che fanno trapelare dalla riunione. Ma a cercare un accordo con Casaleggio sul contratto di servizio, tramite cui rendere Rousseau un fornitore esterno del M5S, dovrà essere la futura segreteria. “Non posso essere io a farlo, non ho la legittimazione” ripete Crimi. Prima però c’è la politica, il governo. Con l’ex capo Luigi Di Maio che rimprovera i suoi: “Sul reddito di cittadinanza dovevamo attaccare e non giocare in difesa”. Parole da leader di fatto che però, dicono, non vorrebbe entrare in segreteria. Ma chissà.

“Si vira su Viola”: frase-chiave trascritta dalla Gdf smentita dall’audio originale

“Si arriverà su Viola, sì ragazzi”. È questa la frase esatta pronunciata da Luca Lotti la notte tra l’8 e il 9 maggio 2019 nell’hotel Champagne di Roma. La frase emblema dell’inchiesta su Luca Palamara – Lotti che dice “Si vira su Viola” a Luca Palamara e al collega di partito Cosimo Ferri – è frutto quindi di un errore di trascrizione (non l’unico) del Gico della Guardia di Finanza.

A certificarlo è la perizia disposta dal collegio del Csm che sarà depositata oggi. E oggi – in esclusiva su ilfattoquotidiano.it – sarà possibile ascoltare l’audio integrale della conversazione intercettata 16 mesi fa grazie al trojan inoculato nel telefono di Palamara. Il 9 maggio 2019 mancano pochi giorni all’appuntamento previsto nella Quinta commissione del Csm che dovrà esprimersi sui candidati alla guida della procura capitolina. A contendersi il posto sono in tre: il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, il suo collega a Palermo Francesco Lo Voi, il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola. Ed è proprio su Viola che Palamara ha scelto di puntare mentre, per se stesso, pensa al ruolo di procuratore aggiunto a Roma. E per la notte tra l’8 e il 9 maggio ha fissato un appuntamento nell’hotel Champagne di Roma: dalle intercettazioni telefoniche del pomeriggio con Cosimo Ferri emerge con chiarezza che è interessato alla presenza di un “Luca” che, poche ore dopo, potremo identificare proprio con Lotti.

Se resta grave che Palamara abbia discusso del futuro della Procura di Roma con i due parlamentari del Pd Lotti e Ferri (poi passato in Italia Viva), a maggior ragione perché il primo era indagato proprio dalla procura capitolina, bisogna prendere atto che ascoltando l’audio originale la scena muta in modo sensibile. Lotti arriva quando Palamara, Ferri e il consigliere del Csm Gianluigi Morlini stanno ipotizzando il numero di voti che potrebbe incassare il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, in corsa per la guida di piazzale Clodio. Il suo ingresso quindi avviene mentre già si discute dell’argomento con Morlini che, conteggiando il voto del laico Alessio Lanzi, dice “Lanzi tredici”. “Ma Lanzi ci tiene?”, chiede Ferri. E Palamara: “Ma Lanzi là non ce lo vedo manco se lo ve… Lanzi vota Viola”. Interviene Ferri: “Ma Ermini (David, vice presidente del Csm, ndr) voterà secondo te?”. Ed è a quel punto che interviene Lotti: “Ma si arriverà su Viola, sì, ragazzi. Lo vedo, lo vedo meglio”. Non si tratta quindi di una spinta del parlamentare – non suggerisce di “virare” su Viola come trascrive il Gico della Gdf – quanto, invece, di una constatazione. Lotti in questo scambio di battute, alla luce dei conteggi fatti da Morlini, Palamara e Ferri, appare più che altro uno spettatore. Uno spettatore che comunque, senza alcun dubbio, non doveva essere coinvolto nella questione del futuro della procura di Roma. E che peraltro, nei dialoghi successivi, appare piuttosto ben informato sul risiko degli uffici direttivi tra Roma, Torino e Reggio Calabria.

Messo alle strette, durante l’udienza del suo processo disciplinare, ieri Palamara ha ammesso: “Sì, sapevo che Lotti era imputato”. E quando l’Avvocato generale della Suprema Corte, Pietro Gaeta, ha obiettato: “Ritiene lo stesso che Lotti imputato fosse da lei frequentabile e da portare a una riunione con membri del Csm?”, Palamara ha risposto: “Dal punto di vista dell’opportunità oggi farei una valutazione diversa”.

Monologo di Palamara al Csm: “Io e Lotti a cena con Pignatone”

Doveva essere un esame dell’accusa e un controesame della difesa, invece, quello di Luca Palamara è stato un tentativo di monologo, l’ennesimo, questa volta di fronte ai giudici disciplinari del Csm. Ha difeso se stesso, ma anche il deputato renziano rimasto nel Pd, Luca Lotti. Palamara non ha risposto al merito delle domande dell’avvocato generale della Cassazione Piero Gaeta sul perché il 9 maggio 2019, Lotti, parlamentare e pure imputato a Roma per Consip, è stato da lui invitato all’hotel Champagne della Capitale con 5 consiglieri Csm e il deputato Pd Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa, per parlare della nomina del procuratore di Roma. Da incolpato, comprensibilmente, circumnaviga le domande e, allora, l’accusa stoppa l’esame. Nel mezzo, la “bacchettata” del presidente del collegio Fulvio Gigliotti: “Non siamo in un salotto televisivo”.

La cronaca delle domande e delle risposte a ruota libera rende l’idea di quanto abbiamo premesso. Gaeta: “Come mai ha invitato l’onorevole Lotti all’hotel Champagne?” Palamara: “Sono qui per dimostrare che non ho stipulato alcun accordo con Lotti per scegliere un procuratore che lo favorisse. Non avrei mai frequentato Lotti per mettermi in contrasto con i colleghi di Roma e tanto meno con il dott Paolo Ielo”. Si, ma perché Lotti alla riunione? Palamara non risponde, spiega, fino a quando non sarà sciolto il nodo dell’utilizzabilità delle intercettazioni e prosegue: “Lotti non lo conosco da quel 9 maggio, lo frequentavo dal 2014, anche a cena con il procuratore Pignatone e soprattutto in occasione dell’elezione dell’attuale vice presidente del Csm (David Ermini, ndr). In quel periodo ci fu una stretta frequentazione con Lotti e Ferri”. In difesa del deputato-imputato, aggiunge: “Lotti è totalmente estraneo a qualsiasi accordo sul procuratore di Roma. Il 9 maggio fu una di quelle occasioni in cui ci si vedeva con dei consiglieri, come sempre tra il martedì e il giovedì. Quella sera dissi a Lotti, ‘raggiungici’, come altre volte”. Gaeta incalza: “Lotti sapeva di questa riunione?”. Palamara: “Assolutamente no”. Gaeta: “E come spiega che Lotti fa il conteggio dei voti?”. Palamara: “Mai preso suggerimenti né da politici né da esterni”. Gaeta chiude: “Mi pare che la prosecuzione dell’esame trasborda in risposte elusive e dà alla difesa il vantaggio di conoscere le domande in anticipo per riservarsi la possibilità di rispondere dopo.” Durante il controesame del difensore, il consigliere Stefano Giaime Guizzi, Palamara, tra l’altro, nega di essere il mandante dell’ esposto dell’ex pm di Roma Stefano Fava contro Pignatone: “Si autodetermina benissimo da sé”. In conclusione, Gigliotti vuole sapere se il martedì o il giovedì vedeva solo i 5 ormai ex consiglieri dell’hotel Champagne o anche altri. Palamara chiama in causa il togato Giuseppe Cascini e il neo ex consigliere Marco Mancinetti, incolpato per le chat con lui: “Prima di rompere, il rapporto più stretto, fino a gennaio-febbraio 2019, era con Cascini e Mancinetti”.

 

Yiftalem, 20 anni, studente e rider: il primo rappresentante sindacale per la sicurezza

Ventenne, etiope ma adottato dal nostro Paese sin da quando era bambino, studente di Economia all’università e rider di Just Eat nel fine settimana. Ecco chi è Yiftalem Parigi, il primo rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (rls) nella storia della gig economy in Italia. Dopo le elezioni organizzate dalla Nidil Cgil a Firenze, tra venerdì e domenica, è stato scelto lui, con 64 consensi ottenuti nelle urne allestite fuori dai ristoranti. Adesso però verrà la parte più difficile: far sì che Just Eat accetti la nomina: già in passato ha detto che non vuole ammettere un rls dei fattorini. “Invieremo la notifica – spiega il sindacalista – e poi se ci risponderanno di no faremo di tutto per ottenere il riconoscimento dell’azienda”. La storia di Yiftalem è uno spaccato della vita degli addetti in bicicletta. “Ho iniziato nel 2017, con un contratto co.co.co. per Foodora, piattaforma che poi ha chiuso in Italia lasciando a casa tutti i suoi rider. Tra questi c’ero io”. Vittima del primo licenziamento collettivo del food delivery, avvenuto il 30 novembre 2018 nell’ambito della fusione con Glovo. “Allora sono passato a Food Pony – aggiunge – impresa che forniva il servizio di logistica a Just Eat, sempre con un co.co.co.”. A settembre 2019, però, l’app ha deciso di cancellare il rapporto con il fornitore esterno, e per la seconda volta Yiftalem si è visto rescindere il suo contratto di collaborazione: “Sono stato assorbito direttamente da Just Eat, ma solo con un rapporto occasionale”. Poi è arrivata l’emergenza Covid, durante la quale le piattaforme non sempre hanno garantito puntualmente e a tutti i dispositivi di protezione. È stato Yiftalem allora a presentare il ricorso in Tribunale. I giudici gli hanno dato ragione: le app hanno l’obbligo di consegnare mascherina, guanti e gel a tutti i rider. “Proprio dopo quel provvedimento abbiamo deciso di eleggere il rappresentante – fa notare – perché i magistrati hanno stabilito che le aziende come Just Eat devono rispettare gli obblighi del testo unico sulla sicurezza, e tra questi è prevista l’individuazione di un rls”. Just Eat, come detto, la pensa diversamente, quindi ora toccherà litigarci di nuovo. Ma intanto la Cgil ha voluto dare un segnale all’Assodelivery, che rappresenta Deliveroo, Glovo, Just Eat e Uber Eats. L’associazione di imprese ha firmato due settimane fa un contratto collettivo con la sola Ugl, ovvero l’unico sindacato disposto ad accettare di mantenere le paghe a cottimo e un inquadramento che non dà diritto a ferie, malattia e maternità. Accordo bocciato dal ministero del Lavoro.

Tribunale di Torino: cade trave nell’aula del processo per la strage ThyssenKrupp

Per un’amara ironia del destino, proprio nell’aula dove dieci anni fa il pubblico del processo Thyssen assisteva alle udienze dove il tema cardine era la sicurezza sui luoghi del lavoro, ieri dal soffitto della maxi-aula 2 del Palagiustizia di Torino è caduta – sui banchi dove solitamente siedono gli avvocati – una trave lunga due metri. Soltanto per caso non si è fatto male nessuno. Stupefatti i legali, che stavano arrivando insieme alla pm Virginie Tedeschi per un’udienza filtro che poi è stata rinviata a data da destinarsi, su richiesta dei presenti. Dopo l’incidente, l’aula è stata chiusa al pubblico e sono intervenuti i tecnici, che hanno ricevuto l’ordine di controllare tutte le parti alte dell’aula. Nel pomeriggio, dai piani alti del tribunale, è arrivata la direttiva di chiudere l’intero piano sotterraneo del Palagiustizia, entrato in funzione vent’anni fa, per motivi di sicurezza. I tecnici dovranno controllare che anche le altre sei aule siano sicure. La chiusura delle maxi-aule potrebbe causare l’ennesimo slittamento delle udienze, già sospese da mesi a causa del Covid.

Cig, Loy (Inps): “226mila domande ancora in attesa”

Non c’è solo l’aumento del compenso a 150mila euro ad abbattersi sul presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Ieri è esplosa di nuovo la questione della Cassa integrazione, o meglio del mancato pagamento della misura di sostegno salariale che doveva essere garantito lavoratori e aziende e che non è stato celere ed efficiente come promesso. A imbarazzare ancora il governo e l’Inps è stato il presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’ente pensionistico, l’ex sindacalista Uil Guglielmo Loy. Ieri, parlando a Radio 24, ha spiegato che c’è “ancora un intoppo” e che “ci sono 226mila domande inevase – tra quelle pagate in ritardo di un mese e alcune di un paio – di cui 1.364 pratiche di Cig ordinaria, 139.311 di Cig in deroga e 36.117 che fanno riferimento ai fondi d’integrazione salariale”. Questo significa che “il numero dei lavoratori interessati che attendono la cassa integrazione potrebbe essere all’incirca doppio rispetto alle domande e quindi sfiorare il mezzo milione”. Per Loy, Tridico “per mesi ha elaborato tabelle e dati sul pagamento, ma dal periodo dello scivolone ‘pagheremo tutti’ dall’Istituto non esce più niente, è quindi sempre un tema di trasparenza”.

Dati molto ma molto distanti da quelli comunicati lo scorso venerdì dal presidente Tridico che ha parlato di “30mila” persone in attesa. E in effetti è questo il numero che compare nelle tabelle pubblicate sul portale dell’Istituto e aggiornate allo scorso 10 settembre e che per l’Inps indicano “coloro che non hanno ricevuto nessun pagamento”. Il solito balletto di cifre che negli scorsi mesi ha sempre accompagnato il caos dei dati sulla Cig e che ora – avverte sempre Loy – rischia ancora di complicarsi. “Quello che temiamo – ha detto – è che con il decreto Agosto si accumulino domande con procedure più difficili, il legislatore ci mette del suo a non semplificare, mentre l’Inps non ha reagito abbastanza nel chiedere procedure più semplici”.

Camici di famiglia, acquisiti atti negli uffici di Dini

Non solo camici. L’inchiesta della Procura di Milano dove è indagato il governatore Attilio Fontana, ora cerca nei bilanci delle società di Andrea Dini, cognato di Fontana, e della sorella Roberta, moglie del presidente della Regione Lombardia. Ieri, la Guardia di Finanza ha acquisito documenti nelle due società che detengono il 100% di Dama, la spa che il 16 aprile ha ottenuto dalla centrale acquisiti della Regione (Aria) una commessa di 75mila camici per 513mila euro. Il Nucleo speciale di polizia valutaria ieri si è presentato negli uffici della Diva spa e della Divadue srl. La prima, appoggiata al Diva Trust, e riferibile ad Andrea Dini, ha il 90% della Dama. La seconda, riferibile a Roberta Dini, moglie di Fontana, ha il 10% di Dama. Fino alla scorsa primavera il 90% del Diva Trust è stato amministrato come trustee dalla Credit Suisse servizi fiduciari, il cui presidente del Cda è il notaio Angelo Busani, già citato (e non indagato) nelle carte sulla vicenda Film Commission per aver bonificato sul conto del notaio Mauro Grandi (non indagato) 18 milioni poi triangolati su due società estere. Grandi, emerge dall’inchiesta sui commercialisti vicini alla Lega di Matteo Salvini, ha gestito il passaggio di un immobile acquistato al doppio del prezzo dalla fondazione regionale Lombardia Film Commission. Denaro poi rientrato in parte, secondo i pm, su società riconducibili agli stessi commercialisti. Il Trust Diva a fine maggio è passato sotto la gestione della società Unione fiduciaria, che gestisce anche il conto svizzero di Attilio Fontana. “L’ipotesi da verificare” scrive l’agenzia Ansa è capire se “anche il presidente lombardo abbia o meno partecipazioni societarie” nel gruppo Dama composto da Diva, riferibile al Trust Diva e da Divadue, riferibile alla moglie di Fontana, che, emerge dalle chat agli atti dell’inchiesta, sembra aver avuto un ruolo importante nella gestione generale di Dama Spa e in particolare nel caso camici, dove al momento non è indagata.

I 72 respiratori di De Luca “parlano solo tedesco”

Nel giorno in cui la Campania registra 295 contagi da Covid-19 e riconquista la maglia di Regione più infettata d’Italia, un carteggio fa emergere una storia poco rassicurante sul come qui si affronterebbe un eventuale balzo di ricoveri in terapia intensiva. È la storia di 72 ventilatori polmonari disimballati solo cinque mesi dopo l’acquisto, che non possono essere collaudati – e tantomeno usati – perché “parlano” in tedesco. Sì, hanno l’interfaccia solo in lingua tedesca e se programmi la lingua italiana esce un messaggio di allarme. In tedesco.

La vicenda è un’appendice dei tre ospedali modulari ordinati, costruiti e consegnati dall’impresa Med durante il lockdown, tra Napoli, Caserta e Salerno. È l’appaltone dei prefabbricati di 18 milioni di euro oggetto di un’inchiesta della Procura di Napoli che vede indagati alcuni collaboratori del governatore Vincenzo De Luca, tra cui il manager dell’Asl Napoli 1 Ciro Verdoliva e il consigliere regionale (rieletto) Luca Cascone.

Nel pacchetto erano compresi i 72 ventilatori. Ma siccome i prefabbricati Covid center sono di fatto vuoti perché anch’essi privi di collaudo, questi prodotti sono rimasti nei cartoni. Li hanno tirati fuori solo a inizio settembre. Per scoprire, come si legge su tre lettere inviate all’Asl Napoli 1 dalla Hospital Consulting, l’azienda incaricata di effettuare i collaudi delle apparecchiature elettromedicali, che i 72 ventilatori sono allo stato inutilizzabili. Hanno inoltre specifiche tecniche diverse da quelle indicate nel contratto. E non sarebbero conformi alle verifiche di sicurezza elettrica. È tutto scritto su documentazione – messa in rete dalla testata Fanpage – che un ex parlamentare di centrodestra, Marcello Taglialatela, afferma di aver ricevuto anonimamente. Taglialatela è l’autore dei primi esposti che hanno dato il via alle indagini sui Covid Hospital modulari.