La tv degli autori contro la tv delle contumelie

 

BOCCIATI

Serena un cavolo.

Brutto guaio per Serena Grandi. Le sono stati comminati due anni e due mesi di reclusione per il fallimento del ristorante “La locanda di Miranda”, aperto a Borgo San Giuliano di Rimini nel 2013: linguette agli scampi e agnolotti in brodo, menu locale con incursioni nei sapori napoletani e romani. Il tribunale di Rimini l’ha riconosciuta colpevole del reato di bancarotta con distrazione di beni strumentali della società “Donna Serena” e di irregolarità sui libri contabili. Il ristorante, chiamato come la protagonista del film di Tinto Brass, “Miranda”, aveva chiuso senza pagare i dipendenti dopo un paio d’anni di attività. Imperdibile l’intervista a Repubblica della Grandi (“Mi hanno portato via anche lo stendino”): “Il ristorante è andato bene per due anni, poi – guarda caso – quando è iniziata a circolare la voce che ‘La grande bellezza’ di Paolo Sorrentino, dove ho un piccolo ruolo ma impegnativo e importante, era candidato agli Oscar, la gente ha smesso di venire a cena da noi. Sarebbe stato il mio addio al cinema, è diventato l’addio al ristorante (…). Non si possono nemmeno raccontare le cattiverie che mi sono state inflitte”. La grande miseria.

 

Dalla parte sbagliata.

Nella casa del Grande Fratello un tizio (di professione influencer, dicunt) ha insultato Lorella Cuccarini: ”Ultimamente la Cuccarini mi sta proprio sul cazzo. Una stronza! Si è espressa contro i diritti gay 150mila volte. Voglio dire, non c’è un etero che abbia mai ballato La notte vola”. E quindi? Al di là della risibile logica, non si fosse trattato della suppostamente sovranista Lorella Cuccarini, gli attestati di solidarietà avrebbero riempito siti e social per giorni. Naturalmente non è stato così: il pensiero unico giustifica i mezzi (e pure gli insulti). Soprattutto nell’insopportabile tv del chiacchiericcio e delle contumelie.

 

La Gallina Bianca.

Ennesimo scontro in diretta tra Mauro Corona e Bianca Berlinguer a #Cartabianca. Lo scrittore stavolta ha esagerato, alzando la voce e rivolgendosi alla conduttrice così: “Se mi vuole qui tutta la stagione, mi fa dire le cose. Altrimenti la mando in malora e me ne vado. Da stasera la trasmissione se la conduce da sola, gallina. Stia zitta, gallina!”. La giornalista ha replicato: “Non si permetta di dirmi gallina”. Lui poi ha chiesto scusa via radio, intervenendo alla nuova trasmissione di Daria Bignardi. “Mi sono accorto la notte stessa di aver esagerato, di essermi espresso da maleducato, cafone e rozzo… però chiamarla subito poteva sembrare una cosa di comodo per cui ho lasciato un po’ sedimentare. È stato un istinto, non trovo scuse, non era il caso di reagire in quel modo, soprattutto in televisione. Sono nervoso perché da 40 giorni non tocco una goccia d’alcol. Chiedo scusa alle persone che hanno sentito e soprattutto a Bianca Berlinguer non perché ho paura di ritorsioni, ma perché la mia coscienza mi ha detto: sei un cretino e un maleducato”. Come dargli torto? Stavolta però l’incidente potrebbe avere conseguenze per il galletto Corona…

 

PROMOSSI

Bentornato Mauri.

Dopo mesi di palinsesti strazianti, finalmente è tornato “Fratelli di Crozza” sul canale Nove ogni venerdì. Con nuovi personaggi memorabili (su tutti: Mattia Binotto, “team principal” della Ferrari, protagonista di una stagione disastrosa, il nostro Zangrillo nazionale, la ministra Azzolina) e alcune conferme che sono una garanzia: Vincenzo De Luca, Flavio Briatore, Vittorio Feltri, Luca Zaia (anche se ogni tanto a Crozza scappa via l’accento veneto). È sempre uno dei migliori programmi della tv italiana, se non il migliore, e il merito è anche di una squadra di autori di prima classe (Andrea Zalone, Vittorio Grattarola, Alessandro Robecchi, Alessandro Giugliano, Francesco Freyrie, Claudio Fois, Gaspare Grammatico). Un solo neo: l’assenza di pubblico. Che in un programma comico si sente (letteralmente) moltissimo. Si può provvedere?

 

Stati di salute. Legionella in Calabria, un morto e un esposto. Covid, il pugno duro australiano

 

“Legionellosi, la mia denuncia: sicuri sia stato fatto il possibile?”

Cara Selvaggia, ti scrivo per segnalare un grave episodio nel comune calabrese di Sellia Marina. Tutto inizia a fine agosto, quando vado a prendere mia suocera ad Avellino per farle trascorrere le vacanze con la mia famiglia, nella casa dove siamo ospiti. Il 23 agosto mia suocera ha qualche linea febbre: la temperatura non cala e dopo qualche giorno chiamiamo il 118. Il motivo? La guardia medica di Sellia Marina, ahimè, non fa visite a domicilio in caso di febbre. Dopo il tampone al pronto soccorso dell’ospedale civile di Catanzaro, la signora risulta negativa al Covid-19, ma viene ricoverata in sala rianimazione per una grave crisi respiratoria seguita da arresto cardiaco. Il giorno dopo, le analisi ematologiche indicano la presenza del patogeno “legionella”. Veniamo subito contattati dall’Asp di Catanzaro che ci invita ad abbandonare immediatamente l’appartamento e a non utilizzare assolutamente l’acqua dei lavandini. Poco dopo i vigili di Sellia Marina ci consegnano l’ordinanza di sgombero dell’abitazione. Intanto, decido di sottopormi a esame ematologico e anche nel mio organismo viene trovato l’agente patogeno, che mi aveva provocato una febbre invalidante curata con antibiotico, guarita in 5 giorni.

Da quel giorno mia suocera è rimasta in sala rianimazione intubata e sedata fino al 19 settembre, giorno della sua morte, a causa delle gravi infezioni provocate dalla legionella. Ad oggi, nessuno degli organi competenti si è messo in contatto con noi per conoscere il nostro stato di salute, né per sapere se fossero state prese precauzioni onde evitare altri contagi. L’Asp di Catanzaro, dopo aver rilevato la presenza del patogeno in più punti dell’appartamento, sostiene di aver preso tutte le precauzioni che gli competono. Alla proprietaria di casa, che avrebbe voluto sapere da dove fosse arrivato quel batterio, l’ente sanitario risponde che non è tenuto ad analizzare altri luoghi, perché altri contagi non ce ne sono (ma la “legionella” è un’infezione difficilmente diagnosticata, se presa in forma lieve, perché ha gli stessi sintomi di un’influenza). Non siamo a conoscenza di azioni messe in campo dal comune di Sellia Marina, per individuare eventuali focolai responsabili della diffusione del batterio, o per evitare che ciò possa accadere in futuro. Per questi motivi ho presentato un esposto alla procura della Repubblica di Catanzaro oltre che ai Carabinieri di Sellia Marina ed al prefetto, per capire se l’Asp o gli altri organi competenti abbiano fatto tutto ciò che è previsto dalla legge. Rimane il rammarico e la tristezza per una vicenda che al nord (come a Busto Arsizio) ha allertato gli organi di stampa anche a livello nazionale, vista la pericolosità del patogeno in questione, mentre da noi in Calabria è passata completamente in sordina. Rimane la rabbia per la morte di una povera donna che era venuta a passare qualche giorno di vacanza nella nostra terra ed è ritornata nella sua cadavere, a soli 74 anni.

Maria

 

Cara Maria, ti devo dare ragione. Una notizia del genere a Milano avrebbe allarmato tv e giornali. Se succede in un paesino della profonda Calabria e a farne le spese è una donna non giovanissima, nessuno ne sa nulla. Speriamo ne sappia qualcosa di più chi doveva indagare sulle cause e prevenire gli effetti.

 

“Terra dei canguri, quarantena da 3mila dollari, a carico tuo”

Cara Selvaggia, so che hai tanto da scrivere sul Covid in Italia. Ma non so se sei al corrente della situazione in Australia, dove vivo e lavoro da anni. Qui, il virus non si è mai diffuso quanto in Europa e in altre zone del mondo, sarà che siamo pochi, il Paese è vasto ed è facile mantenere le distanze. Ciononostante, le misure prese sono estreme. Matrimoni e funerali hanno serie limitazioni sul numero di partecipanti, così come gli eventi sportivi. Qualsiasi persona di nazionalità Australiana, ma pure noi che abbiamo la doppia cittadinanza, non possono uscire dal Paese. Ci sono 25.000 australiani in giro per il mondo che non possono rientrare, perché il Paese prevede soltanto 3000 nuovi ingressi a settimana. Di conseguenza tanti, bloccati all’estero da settimane se non mesi, hanno perso il lavoro. Quando arrivano, devono sottoporsi a una quarantena obbligatoria. Ma non a casa loro, bensì in hotel a 3000 dollari a persona, spesa a proprio carico. Anche i confini tra i vari Stati australiani, che sono sei, sono chiusi. E, per darti un’idea dei numeri dei nuovi contagi, stiamo parlando di un nuovo caso al giorno, in uno Stato grande 3 volte l’Italia.

Al momento sono bloccato a Brisbane e lavoro a Sydney, quindi non posso tornare al lavoro a meno che non mi faccia due settimane in hotel, in quarantena, con una bimba di due anni. Per giunta a tremila dollari a testa. Abbiamo quasi sconfitto il virus, ma a che costo? Siamo fortunati qui ma mi domando se questo controllo delle libertà personali quando abbiamo così pochi casi non sia anticostituzionale. E non sono una negazionista, anzi il contrario: mascherina, distanze, rispetto tutte le regole. Ma queste mi sembrano francamente eccessive.

Susy

 

Cara Susy, conoscendo il rigore australiano per le questioni di salute, quello che scrivi non mi stupisce affatto.

 

Vaticano. Dal Pd a Salvini e G. Letta: le relazioni di Becciu, il “papa italiano” erede di Bertone

Nell’era bergogliana cominciata nel 2013, il cardinale Angelo Becciu, sardo di Pattada, ha rappresentato la linea “continuista” nelle relazioni con la politica italiana secondo il metodo del suo precettore Tarcisio Bertone, che lo aveva chiamato nella Segreteria di Stato nel 2011 per il ruolo di numero due, poi confermato dal pontefice argentino.

Il ruolo, cioè, di sostituto agli Affari Generali che equivale alla carica di “ministro dell’Interno” dello Stato vaticano e durato fino al 2018. Ed è da questa posizione di potere che avrebbe commesso il reato di peculato (i soldi ai fratelli) che ha portato Francesco a dimissionarlo clamorosamente da cardinale la sera di giovedì scorso. Ma anche da prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, Becciu aveva mantenuto i suoi rapporti con i Palazzi dell’altra sponda del Tevere. All’inizio del gennaio 2019, per esempio, aveva incontrato riservatamente l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, accompagnato dal suo braccio destro Giancarlo Giorgetti. Il cardinale voleva approfondire vis-à-vis la questione migranti con il leader sovranista.

Del resto, sempre i migranti, erano stati al centro della crisi tra Vaticano e Italia durante il governo Gentiloni, quando al Viminale sedeva Marco Minniti, autore della prima stretta sugli sbarchi. In quel caso, era l’estate del 2017, Becciu organizzò in casa sua un pranzo tra papa Bergoglio e il premier. Nella lunga consuetudine con il potere italiano, il cardinale dimissionato ha intrattenuto rapporti con big di tutti i partiti: i citati Gentiloni, Minniti e Salvini; l’onnipresente andreottian-berlusconiano Gianni Letta; il centrista Pier Ferdinando Casini; i democratici Matteo Renzi e Walter Veltroni; per finire all’attuale presidente del Consiglio cattolico Giuseppe Conte.

L’interventismo del “papa italiano” – questo il suo soprannome – si manifestò finanche nella lunghissima gestazione del primo governo Conte, nel maggio del 2018. Lo stallo tra M5S e Lega non si sbloccava, il capo dello Stato minacciava le elezioni anticipate e Becciu esternò a favore di Sergio Mattarella: “Continuiamo ad assicurare preghiere al presidente Mattarella. Mi pare che le dobbiamo aumentare ancora di più”. Quando a metà di quell’anno la convivenza nella Curia romana con il Segretario di Stato Pietro Parolin, il primo ministro del Vaticano, divenne impossibile, papa Bergoglio lo “promosse” alla Congregazione delle Cause dei Santi, dandogli la porpora cardinalizia. Nel gennaio del 2019 la cattura di Cesare Battisti fu l’occasione per un endorsement garantista contro il giustizialismo: “Non possiamo risvegliare nella gente certi istinti forcaioli. Chi sbaglia merita la condanna, la deve espiare, ma come persona merita rispetto”.

Parole pronunciate in un’occasione speciale: la presentazione di un volume del Vaticano su Giulio Andreotti, l’ex premier democristiano prescritto per mafia e custode dei segreti sulle peggiori vicende della Repubblica. Ecco, nonostante Bergoglio, la Chiesa di Becciu è rimasta pure andreottiana, inseguendo l’araba fenice della rinascita di un partito cattolico.

Pescara, patrimonio a rischio. Cittadini pronti alla battaglia

“Oggi come allora, lo stadio (Adriatico di Pescara, ndr) riassume il luogo che lo accoglie: stando al suo interno è̀ possibile scorgere il mare Adriatico dando le spalle alla montagna e viceversa, immersi in una cornice naturale come quella della pineta”. Un’architettura del Novecento, un luogo cruciale per l’identità collettiva, che tiene insieme formalmente e visivamente la città e il territorio: è tutto in queste parole (di Federica Vitturini) il senso del bellissimo libro ideato, coordinato e in buona parte scritto da Claudio Varagnoli, professore ordinario di Restauro architettonico e presidente del Comitato tecnico scientifico per l’Arte e l’Architettura contemporanee del Mibact: La tutela difficile. Patrimonio architettonico e conservazione a Pescara.

Lo Stadio Adriatico è da tempo minacciato: per le stesse ragioni che condannano il capolavoro di Pier Luigi Nervi a Firenze e San Siro a Milano, e cioè per la spinta speculativa delle società sportive, che ambiscono ad abbattere i vecchi impianti, per sostituirli con nuove strutture che ruotino intorno a redditizi centri commerciali.

“Non è̀ mai facile la tutela – nota Varagnoli – anche in città dotate di una fisionomia monumentale e di una riconosciuta storia artistica. Ma lo è a maggior ragione in una città come Pescara, caso singolare in Italia di città antica per formazione e storia, ma giovane per immagine e consistenza fisica”. Pochi italiani penserebbero a Pescara come città storica, e l’esperienza del viaggiatore che ci capita sembra confermare l’impressione di un luogo senza profondità storica e senza monumenti. Ma la realtà è un’altra: “La città ha voluto credersi senza storia, per rendersi disponibile ad un rinnovamento edilizio incessante, con fini quasi sempre speculativi. Già nella fase post-unitaria venne abbattuta senza troppi scrupoli la storica fortezza spagnola costruita a cavallo sul fiume: poi si è aggredita la dignitosa edilizia ottocentesca e la fascia costiera di villini di gusto floreale; infine, si sta erodendo il cospicuo patrimonio architettonico del Novecento”. In questa paradossale situazione, tuttavia, emerge ancor più chiaramente cosa sia il patrimonio culturale: non un dato di fatto immutabile, una verità rivelata, ma una costruzione storica e politica.

È il paradosso di una città che si è strappata di dosso la sua storia, ma che non può essere pensata dai suoi stessi cittadini se non in termini storici: a rischio di non riconoscerla più nemmeno come città, come ci capita quando in America comprendiamo che non esiste nulla che si possa paragonare al nostro “centro”. E così, a Pescara, sono state le lotte dal basso, i movimenti dei cittadini, a definire il nucleo di ciò che va salvato per salvare la città stessa.

Un caso clamoroso, raccontato nel libro, è quello della grande Centrale del Latte di età fascista. La società immobiliare che la possiede decide di abbatterla, per costruire un nuovo quartiere residenziale: a questo punto insorgono le associazioni cittadine che difendono il patrimonio, la storia e la memoria di Pescara, ma tutto è vano, e nel 2010 inizia la demolizione. Tardivamente, interviene la Soprintendenza, che ferma le ruspe con un vincolo che però non regge all’esame del Tar, che rileva come il decreto fosse sorretto soprattutto da uno “stato emozionale”.

Al di là dell’incidente, quello “stato emozionale” collettivo era prezioso: perché senza un coinvolgimento emotivo diffuso non esiste nemmeno la nozione di patrimonio culturale. E infatti la vicenda della Centrale spinse il Consiglio comunale a formare un gruppo di lavoro che ampliasse il censimento in cui Lorenzo Bartolini Salimbeni aveva schedato il patrimonio storico e artistico della città.

È curioso notare che la Centrale del Latte era opera di Florestano Di Fausto, unico architetto a far parte dell’Assemblea costituente, dove, il 4 giugno del 1947, pronunciò un meraviglioso discorso sulla necessità di difendere un patrimonio culturale che “costituisce infatti nel suo complesso il più alto contributo dello spirito all’umanità cosicché noi possiamo considerarci in qualche modo i depositari e i consegnatari responsabili di così incomparabile tesoro”. Depositari e consegnatari, non padroni o utilizzatori finali: siamo alle origini dell’articolo 9 della Costituzione, che difende paesaggio e patrimonio – sono sempre parole del discorso dell’autore della Centrale – “dall’egoismo privato, dalle velleità comunali e dai naturali orgogli regionalistici”. Già allora era chiarissima la battaglia, che vale per Pescara e per tutta l’Italia, e che Varagnoli sintetizza mirabilmente: “Conservare la città non vuol dire vincolare il costruito storico quale che sia, sia chiaro: ma implica una maggiore responsabilità̀ da parte di progettisti, committenti e amministratori nei confronti di un bene comune, come la città, che non è inesauribile. Non è̀ in gioco la conservazione del passato, ma la costruzione del futuro”.

La sai l’ultima?

 

Putin contro Pupo. Un brano del cantante toscano censurato in Russia: “Io, un sovversivo”

Hanno censurato Pupo. È il destino degli artisti maledetti. Il sommo poeta di “Gelato al cioccolato” non ha passato le maglie del regime putiniano: la Russia tratta Pupo come un nemico dello Stato. È lo stesso cantautore a informare i suoi fan su Facebook: “Ebbene sì sono un sovversivo: in Russia alcuni passaggi di ‘Fuori dal gregge’, il mio duetto con Alan (una pop star locale, ndr), sono ritenuti dai media, tra cui la Tass (l’agenzia di stampa nazionale, ndr) troppo estremi. Parole come gregge e la pecora in maschera antigas del video non hanno passato le maglie della promozione e sono stati interpretati dai media come sovversivi”. La zelante macchina della propaganda putiniana deve aver scoperto nelle abrasive liriche di Pupo qualcosa che al resto del mondo potrebbe essere sfuggito. Il cantautore non può fare altro che prenderne atto: è un artista scomodo. “Mi conoscete – ha scritto sui social – metafore, ironia e provocazione sono la base del mio lavoro”.

 

Catania. In due in scooter col figlio neonato in braccio (senza patente, senza assicurazione e senza targa)

Forse non vinceranno il premio genitori dell’anno. Un uomo ed una donna sono stati fermati a Catania dagli agenti di polizia mentre sfrecciavano in motorino senza casco e con il figlio neonato che piangeva in braccio alla madre. Una scena a metà tra la commedia all’italiana e il film dell’orrore. Di fronte agli agenti la coppia non ha battuto ciglio: hanno detto che stavano portando il figlio appena nato a una zia per farglielo conoscere. Tutto normale, a posto così. Se non bastasse la follia genitoriale, possiamo aggiungere che l’uomo alla guida dello scooter non aveva mai preso lo straccio di una patente in vita sua. E se non bastasse nemmeno questo, vi diciamo pure che il motorino, omologato per un solo passeggero, senza targa e senza assicurazione, risultava essere radiato e sottoposto a sequestro amministrativo. I due genitori sono stati denunciati, lo scooter è stato sequestrato e si sono beccati una multa da 9mila euro. Povero figlio.

 

Palermo. Un bel quadretto familiare: in casa di tre signori di 87 anni viene trovato un enorme arsenale illegale

Tre simpatici signori di 87 anni sono stati ingiustamente arrestati a Mezzojuso (Palermo) per detenzione abusiva e omessa custodia di armi. Le forze dell’ordine in casa loro hanno trovato giusto un arsenale sufficiente per una guerra mondiale: una pistola calibro 22 derringer, un revolver calibro 38 special Smith & Wesson, mille bossoli e cartucce, 4 chili e mezzo di polvere da sparo, una palla di cannone, 4 coltelli, armi e attrezzatura per confezionamento di munizioni. Sembra una pubblicità del Mulino bianco: i tre sono marito, moglie e fratello di lei. Tra le loro mura non solo un modesto numero di strumenti di offesa, ma pure un guscio di tartaruga caretta-caretta e una collezione di animali imbalsamati appartenenti a specie protette. La donna e il fratello – scrive l’agenzia LaPresse – sono stati denunciati anche per abbandono di persone incapaci, visto che i militari hanno trovato il marito, costretto a letto, in pessime condizioni igienico-sanitarie. Una bella famigliola.

 

Cuneo. Si spoglia ubriaco al matrimonio degli amici, viene portato via di forza dai carabinieri: denunciato

I matrimoni sono bellissimi, soprattutto quando si sposano gli altri. È la filosofia di vita adottata da un esuberante uomo di Cuneo, che si è presentato in condizioni psico-fisiche non eccellenti alla cerimonia di due suoi amici. Il nostro eroe voleva essere l’anima della festa, e in un certo senso ci è riuscito: ha dato talmente spettacolo che per fermarlo è dovuta intervenire una pattuglia. Lo racconta Repubblica Torino: “Nel tardo pomeriggio, i carabinieri sono accorsi nel Forte di Vinadio, in provincia di Cuneo. Nel giardino era in corso il pranzo di nozze quando un ospite, amico degli sposi, ha cominciato a dare in escandescenze. Si è tolto giacca e camicia e a torso nudo ha cominciato a lanciare oggetti presi dal tavolo. Hanno provato in molti a fermarlo ma inutilmente. Anche la sposa, presa di mira, si è avvicinata e nel tentativo di calmarlo gli ha assestato un ceffone. Tutto inutile. A riportare la calma sono stati i carabinieri ma ormai la festa era rovinata. L’uomo è stato denunciato”.

 

Firenze. Ruba una bicicletta e la mette in vendita online ma sul telaio c’è scritto il nome del legittimo proprietario

Un mix di fantasia criminale e sapiente uso degli strumenti informatici: è con queste capacità che un piccolo ladro di Firenze è riuscito a farsi beccare molte ore dopo il furto. Il nostro ha rubato una bicicletta da 7mila euro e l’ha messa in vendita online, con un annuncio su Facebook. Non ha prestato molta attenzione alla fotografia: in bella vista sul telaio della mountain bike c’era scritto il nome del legittimo proprietario. Ad accorgersi di tutto è stato proprio l’uomo a cui era stata rubata la bici, che dopo averla riconosciuta in vendita sulla bacheca virtuale di Facebook ha fissato un appuntamento con il ladro (fingendo di volerla comprare) ma ha mandato sul luogo la polizia. Il resto è facilmente intuibile: la bicicletta è tornata a casa, l’autore del furto è stato denunciato per ricettazione. In psicanalisi si chama autosabotaggio. Anche se la letteratura è piena di raffinata menti criminali, che per esprimere il proprio genio lasciano un indizio o una firma sul luogo del delitto. In questo caso era la firma di un altro.

 

Rimini. 20enne in autostrada sul monopattino elettrico: “Ero in ritardo per un colloquio di lavoro a Cesena”

C’era la sensazione già da un po’ che questa storia dei monopattini elettrici cominciasse a sfuggire di mano. Era solo questione di tempo prima che qualche pioniere superasse le colonne d’Ercole dei centri cittadini. È successo in Romagna, dove un giovane virtuoso di Rimini ha percorso ben dieci chilometri dell’autostrada A14 in direzione Bologna a bordo di quel mezzo improbabile. A 25 km all’ora in corsia di emergenza. Il viaggio della speranza è stato ovviamente interrotto dalla polizia, intervenuta dopo le innumerevoli segnalazioni di automobilisti increduli. Interpellato dagli agenti, il 20enne esploratore ha risposto con la massima serenità: era in ritardo per un colloquio di lavoro a Cesena. In fondo da Rimini sono solo una trentina di chilometri. Chi non vorrebbe assumere un genio di questa portata? Il ventenne è stato accompagnato all’autogrill più vicino e multato, il suo monopattino è stato sequestrato. La fantasia in questo Paese non viene premiata.

 

Vietnam. Sequestrata una fabbrica illegale che rimetteva sul mercato profilattici usati

Quest’ultima notizia magari non leggetela se state facendo colazione, tenetela per dopo (il giornalismo è amore per la verità, abbiamo il dovere di raccontarla). In Vietnam – scrive The Mirror – una piccola ma fiorente attività è stata sequestrata per aver rimesso sul mercato centinaia di migliaia di preservativi usati. Un lavoro di fino: i profilattici venivano recuperati, lavati e rimessi praticamente a nuovo, infine venduti a ignari clienti che non avevano idea della situazione in cui si stavano ficcando, diciamo. La protagonista di questa meritevole impresa, Pham Thi Thanh Ngoc, ha raccontato il processo produttivo: il preservativo viene lavato (a mano?), fatto asciugare e poi “rimodellato” su un dildo di legno. Secondo gli investigatori la donna riceveva ogni settimana una consegna di profilattici usati da una persona non identificata, alla quale restituiva lo stesso pacco una volta terminato il lavoro. Quando la polizia è entrata in “azienda” ha trovato 300mila preservativi sfusi, senza marchio e senza confezione. Tutto davvero affascinante.

Quelli che finanziavano la Scuola politica di Siri: i Cremonini e i Pesce

La scuola politica creata dal senatore Armando Siri, formalmente indipendente dalla Lega, negli anni in cui il partito aveva i conti sotto sequestro ha ricevuto parecchie donazioni da società private. Tra queste ci sono quelle della multinazionale della carne Cremonini. E quelle dell’azienda di costruzioni Psc: nel cui azionariato, proprio nel periodo in cui l’impresa privata donava soldi alla scuola politica di Siri, è entrato il gruppo pubblico Fincantieri.

Sono queste alcune delle notizie contenute nella puntata di Presa Diretta che andrà in onda questa sera su Rai 3. Intitolata “Caccia al tesoro”, l’inchiesta prova a spiegare come sono stati spesi i 49 milioni che il partito dovrebbe restituire allo Stato italiano, ma anche come ha fatto la Lega a finanziarsi visto che i suoi conti nel 2017 sono finiti sotto sequestro per via della sentenza del tribunale di Genova. La Scuola politica fa capo all’Associazione Spazio Pin. È stata ideata da Siri, attuale senatore leghista, consigliere economico di Salvini, promotore della flat tax ed ex sottosegretario al ministero delle Infrastrutture nel governo gialloverde. I conti dell’associazione Spazio Pin, contenitore legale della Scuola politica, sono stati passati ai raggi X dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia. Oltre ad aver patteggiato in passato una condanna per bancarotta fraudolenta e sottrazione di beni al fisco, Siri è infatti tuttora indagato dalla Procura di Roma per corruzione, oltre che da quella di Milano per autoriciclaggio. Per questo i detective di Banca d’Italia hanno analizzato i movimenti sul conto corrente di Spazio Pin, scoprendo che tra il 2017 e il 2018 l’associazione ha ricevuto bonifici da parecchie imprese private. Tra i donatori più generosi c’è Inalca. La società del gruppo Cremonini – che controlla marchi come Chef Express, Roadhouse, Marr e Manzotin – ha regalato 18 mila euro alla scuola ideata da Siri tra agosto del 2017 e ottobre del 2018. L’altro benefattore scovato da Presa Diretta, come detto, è il gruppo multinazionale Psc. Basato a Roma e specializzato in servizi ingegneristici, dalle reti in fibra ottica ai sistemi di segnalazione ferroviaria, è controllato dalla famiglia Pesce, ma nel suo capitale ci sono anche due soci pubblici. Uno è la Simest, gruppo Cassa depositi e prestiti, che tra il 2014 e il 2016 ha rilevato il 9,6 per cento delle quote. L’altro è appunto Fincantieri, che ha portato linfa finanziaria vitale alla famiglia Pesce proprio negli anni cui Psc regalava soldi alla scuola politica leghista.

Le segnalazioni di operazioni sospette di Banca d’Italia dicono che il gruppo Psc ha donato in tutto 15mila euro all’Associazione Spazio Pin nel 2018. La tempistica è particolare. Il primo bonifico, da 10 mila euro, avviene nel febbraio 2018. A marzo ci sono le elezioni parlamentari, a giugno Lega e Movimento 5 Stelle salgono al Quirinale e Siri diventa sottosegretario. Ad agosto Psc può annunciare un’ottima notizia al mercato: Fincantieri, colosso della cantieristica navale controllato dal governo, entra nel capitale del gruppo della famiglia Pesce acquistando il 10 per cento delle azioni per 11,1 milioni di euro.

A ottobre del 2018 Psc fa un’altra donazione all’Associazione Spazio Pin: 5 mila euro. Un regalo simbolico, ma comunque importante per la piccola creatura di Mister Flat Tax. Davanti alle telecamere di Presa Diretta, Siri non ha voluto spiegare se quei finanziamenti privati siano in qualche modo serviti alla Lega. Di certo Psc un paio d’anni prima aveva già offerto il suo contributo a un’altra associazione di orbita salvininana, la Più Voci fondata da Giulio Centemero. Quella finita sotto inchiesta da parte delle procure di Roma e Milano con l’accusa di aver incamerato finanziamenti illeciti per il partito di Salvini. A Milano Centemero è già a processo.

Atlantia, no all’ultimatum. Il governo verso la revoca

Lo scontro tra Atlantia e il governo su Autostrade per l’Italia (Aspi) si avvia, salvo sorprese dell’ultim’ora, verso un mega contenzioso. Nessuna reazione dopo che sabato sera in un vertice a Palazzo Chigi il premier e i ministri competenti hanno concordato di avviare la revoca della concessione ad Autostrade. La holding ora ha tempo fino al 30 settembre: se non arriveranno risposte che consentano di portare avanti il percorso deciso il 14 luglio con il governo per consentire l’ingresso di Cdp in Aspi e chiudere la ferita del Morandi, si procederà alla revoca, assicurano a Palazzo Chigi. Difficile che Atlantia torni sui suoi passi, perché una risposta di fatto c’è già stata.

Il governo ha lanciato l’ultimatum mercoledì 23 settembre, quando la trattativa con Cdp si era arenata sulla richiesta della Cassa di avere una manleva legale sui rischi connessi all’indagine sul Morandi. Una missiva inviata ad Atlantia dai capi di gabinetto dei ministeri dell’Economia e dei Trasporti e della presidenza del Consiglio. La lettera contiene l’atto aggiuntivo che modifica la concessione di Aspi con un “atto transattivo” tra il ministero concedente e il concessionario da firmare entro mercoledì prossimo. Solo che questo è subordinato (lo dice proprio il testo, articolo 10) all’ingresso di Cdp in Autostrade. Una mossa che la holding controllata dai Benetton ha respinto con forza non ritenendo possibile inserire una simile previsione nella concessione, tanto più che ne aveva già respinta una precedente. La trattativa è ufficialmente morta il giorno dopo, quando Atlantia ha risposto a una lettera perentoria di Cdp che non sarebbe tornata indietro dal processo di vendita di Aspi anche senza accordo con Cassa depositi. Insomma, dalla linea decisa a inizio agosto con un apposito consiglio di amministrazione (in fila, pare di capire, ci sarebbero diversi fondi esteri e nazionali).

Conte e soci aspettano mercoledì: senza risposte, va convocato un Consiglio dei ministri per decidere la revoca. È la linea concordata dal premier coi titolari di Economia e Infrastrutture, Roberto Gualtieri e Paola De Micheli nel vertice di sabato sera. Un passo indietro di Atlantia è sempre possibile, ma poco probabile se non arriverà anche un segnale dall’esecutivo. Il plenipotenziario dei Benetton, Gianni Mion, si è mosso come se non temesse la revoca. Il contenzioso, in ogni caso, è assicurato, anche perché nella lettera i mercoledì il governo si impegnava a chiudere “ogni ulteriore contestazione” in caso di accordo. Ora, invece, dovrebbe riesumarle.

“Andremo a sbattere se la burocrazia decide sui soldi dell’Europa”

gli ingegneri?
Già, gli ingegneri. La pubblica amministrazione è zeppa di giuristi, ma nessuno che sappia progettare. E senza un progetto che raccolga le idee (ammesso che siano buone) e le trasformi in opere, cosa ne facciamo dei soldi?

Si chiama Next generation eu. È un piano per i giovani affidato nelle mani di chi è in età di pensione. Non è una bizzarria della nostra cultura, del nostro tempo, professor Francesco Giavazzi?

È la contraddizione di noi padri. Immaginiamo ogni bene per i nostri figli, siamo disposti a impegnare ogni risorsa per farli studiare, magari pagargli l’affitto senza limite di tempo. Ma non pensiamo che, più dell’affitto, loro hanno bisogno di un futuro. E il futuro ce l’avranno se noi padri lo libereremo dalla nostra presenza ingombrante. Siamo colpevoli di tutelare una rendita di posizione, la nostra, ma inconsapevoli che essa nuoce proprio ai nostri figli.

I soldi ci sono, ma manca il capitale umano.

Sui soldi le dirò tra un attimo. Sul capitale umano invece non sono d’accordo: esiste, è formidabile, ma non è coinvolto. La miriade di piccole aziende che producono ed esportano fino a far lievitare la nostra bilancia dei pagamenti con un surplus di cinquanta miliardi di euro l’anno (questa la cifra nell’età pre Covid) sono l’esempio dei talenti. E i giovani che arrivano alla mia Bocconi, il sessanta per cento dei quali dal sud, sono energie vitali dal valore assoluto. Però la grande pancia dello Stato non li riconosce. Al ministero del Tesoro, alla Ragioneria generale, abbiamo fior di giuristi. Ma un giurista sa scrivere un bando di gara, non sa rendere un progetto. E questo è una costante. Ovunque purtroppo è così.

Il Paese dei buoni padri di famiglia che mettono però alla porta i propri figli.

Curioso, vero? Non rinunciamo alla nostra rendita di posizione. E questo succede nel settore pubblico come in quello privato. Tante aziende non crescono perché paralizzate da imprenditori bravissimi ma ormai troppo anziani che non capiscono di dover lasciare.

La teoria dell’eccellenza va a farsi friggere.

La stupirò, ma sul tema devo fare autocritica. La pandemia ci ha fatto scoprire che l’eccellenza ospedaliera, senza una buona e capillare medicina territoriale, viene travolta. Non di soli eccellenti infettivologi e anestesisti abbiamo bisogno. Ma anche di medici bravini. Se ne avessimo avuti un po’ di più negli ambulatori la mia Bergamo non sarebbe collassata.

I soldi in arrivo sono tanti. Ma lei col capo fa il segno di no.

Arriverà di sicuro il dieci per cento di quanto promesso. Il resto delle fatture l’Europa ce le pagherà se i nostri progetti saranno coerenti con il disegno comunitario. E qui casca l’asino.

Faremo cilecca?

Temo di sì. So che il governo ha chiesto a Leonardo, Enel, Eni di approntare proposte nella direzione voluta da Bruxelles. Sono grandi aziende e certamente faranno bene. Ma non tutto sarà nelle loro mani.

Tanto finirà nelle mani dei burocrati.

E se sarà così andremo a sbattere.

Lei dove li metterebbe questi quattrini?

Nella scuola.

Tutto nella scuola?

Tutto. Il potere è nella conoscenza, il sapere allargato produce ricchezza di idee. La ricchezza produce crescita e la crescita posti di lavoro.

Vuoi divenire ricco? Studia.

Vuoi crescere? Studia.

Siamo però ancora la terra dei figli di papà.

Anche se abbiamo osservato che troppi papà, persino quando c’è in gioco il futuro dei propri figli, fanno ostruzione.

È l’interdizione perpetua.

È un modo di concepire la vita che altrove non esiste.

Negli ospedali si è appena concluso un primo reclutamento straordinario di trentamila tra medici e infermieri. Perché non ripeterlo nella pubblica amministrazione?

Perché la pressione dell’opinione pubblica sulla qualità della sanità pubblica è alta, mentre l’attenzione sul resto è diradata, ancora approssimativa.

Non ce la potremo fare.

Tranquilli, continuando così i guai – anche grossi – sono assicurati.

Basta nominati, altre 15mila firme in 24ore

Il messaggio rivolto al Parlamento è chiaro: far scegliere ai cittadini i propri rappresentanti eliminando le liste bloccate. E la voce non arriva solo da noti accademici e costituzionalisti che hanno firmato l’appello “Ora i parlamentari vogliamo sceglierli noi” lanciato dal Fatto Quotidiano dopo la vittoria del Sì al referendum (si può firmare sulla piattaforma change.org dal fattoquotidiano.it), ma da oltre 64 mila cittadini che hanno sottoscritto la petizione negli ultimi quattro giorni. Nel fine settimana l’appello che chiede “alle forze politiche una nuova legge elettorale che cancelli la vergogna delle liste bloccate che dura da 15 anni” ha avuto un boom di adesioni: ieri sera le sottoscrizioni erano oltre 64 mila.

Oltre ai dieci firmatari dell’appello – Lorenza Carlassare, Enzo Cheli, Ugo De Siervo, Roberto Zaccaria, Paolo Caretti, Roberto Romboli, Stefano Merlini, Emanuele Rossi, Giovanni Tarli e Andrea Pertici – e alle decine di costituzionalisti che si sono aggiunti, nelle ultime ore hanno aderito altri dieci accademici. Tra questi ci sono otto costituzionalisti: Gaetano Azzariti (La Sapienza), Elena Bindi (Università di Siena), Daniela Bifulco (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”), Roberto Di Maria (Università di Enna Kore), Felice Giuffrè (Università di Catania), Francesco Marone (Università Suor Orsola Benincasa di Napoli), Elena Malfatti (Università di Pisa) e Mauro Volpi (Università di Perugia). Ma hanno firmato anche Tina Matarrese che insegna Storia della Lingua Italiana a Ferrara e Paola Maraschio, docente di Genetica Umana all’Università di Pavia.

Dopo la vittoria del Sì al referendum, al momento la nuova legge elettorale che sarebbe dovuta arrivare in Aula oggi è ferma al palo: manca l’accordo di maggioranza su soglia di sbarramento e preferenze. Il M5S sta spingendo per inserirle nel testo base del “Brescellum” che oggi ha ancora le liste bloccate ma il Pd da questo orecchio sembra non sentirci: dal Nazareno buttano la palla in tribuna (“Ne stiamo ancora discutendo”). E sempre tra i dem, dopo la vittoria alle regionali, sta tornando la voglia di maggioritario: oltre ai padri nobili – Romano Prodi, Walter Veltroni ed Enrico Letta – ieri anche il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha ribadito il concetto anche se non ha chiuso le porte al proporzionale: “Preferisco il maggioritario – ha detto in un’intervista al Corriere – ma se c’è la convergenza su un proporzionale che permetta agli elettori di scegliere, è comunque un passo avanti”. Su questo Nicola Zingaretti vuole accelerare approvando la legge il prima possibile, ma i tempi di un accordo politico sono stretti perché tra un mese inizia la sessione di Bilancio: il rischio è che tutto slitti al 2021.

Giani ed Emiliano al M5S: “Dialoghiamo in Regione”

Ci hanno provato durante tutta la campagna elettorale e hanno sempre preso porte in faccia. Ma stavolta è diverso. La vittoria, insperata, potrebbe aver cambiato lo schema. Eugenio Giani, neo governatore Pd della Toscana, lo dice senza girarci troppo intorno: “Ora che la Toscana è stata salvata dall’assalto della destra sovranista bisogna coinvolgere il M5S come a livello nazionale”. Settecento chilometri più a sud, a Bari, il suo collega di partito Michele Emiliano la pensa allo stesso modo e da giorni sta continuando a lanciare ami nel campo dei 5 Stelle: “Noi abbiamo un progetto preciso per la Puglia – va dicendo ai suoi – Se i 5 Stelle stavolta ci stanno, le nostre braccia sono aperte”. Non tutti e due si muovono allo stesso modo. Contesti diversi, ruoli diversi. Emiliano, che ha anche un problema di numeri nel prossimo consiglio regionale (un solo voto di scarto: 27 contro i 26 necessari), sta pensando dal giorno della vittoria di offrire al Movimento subito un assessore. Magari con una delega di peso, come l’Ambiente. Una sorta di remake – anche se in misura minore – del 2015 quando il governatore assegnò d’ufficio tre assessori ai grillini (Agricoltura, Risorse Umane e Ambiente), uno dei quali alla sua acerrima nemica Antonella Laricchia, ricevendo il netto rifiuto di tutte le interessate.

Ma stavolta è diverso ed Emiliano non farà più la mossa di cinque anni fa, scavalcando i vertici. Ora con i big del Movimento i rapporti sono molto diversi, migliori, e favoriti dal governo a livello nazionale guidato dal pugliese Giuseppe Conte. Emiliano parte dai temi su cui incalzare il M5S – Ambiente (dai progetti sulle acque reflue per l’agricoltura alla decarbonizzazione dell’ex Ilva) e Sociale (reddito di inclusione e asili nido gratis per tutti) – per provare ad arrivare al suo vero obiettivo: dare un assessorato ai grillini, magari attraverso il dialogo con i parlamentari visto che ormai Laricchia sembra aver avviato una battaglia personale contro di lui. Il governatore ha già annunciato che la sua giunta rispetterà la partita di genere: 5 donne e 5 uomini. Tra le donne, due saranno del Pd, una in quota Vendola, una di Art.1 e infine Emiliano ha lasciato uno spazio per un assessorato ai 5 Stelle. Magari a Rosa Barone, che lascia aperto uno spiraglio: “Per il momento non abbiamo ricevuto nessuna offerta – ha detto – se arriverà una proposta ne discuteremo, ma per parlare di progetti, non di poltrone”.

Una proposta arriverà in settimana anche a Firenze quando Eugenio Giani incontrerà la candidata del M5S alle regionali toscane Irene Galletti (che alle elezioni ha preso il 6,1%) per sottoporle il suo programma per i prossimi cinque anni. La notizia è che Giani farà lo stesso con le altre forze del centrosinistra che compongono la maggioranza per stilare le linee programmatiche al momento dell’insediamento. Come dire: anche il M5S può essere considerato parte della maggioranza. “Credo che con i 5 Stelle si possano trovare dei punti di convergenza importanti” è convinto Giani. Per esempio sull’ambiente: “Presenteremo un piano sovrapponibile con le loro proposte a partire dallo sviluppo dell’economia circolare e dall’abbandono di un modello di gestione dei rifiuti basato sugli inceneritori” continua. Poi c’è il tema del Recovery Fund (“Arriveranno tanti soldi e con il M5S vogliamo spenderli bene”) e infine il sociale. Se il M5S ci sta, all’inizio la convergenza sarà solo sui temi – una sorta di appoggio esterno – ma Giani non chiude le porte ad un futuro in giunta: “Se dopo sei mesi o un anno vediamo che votiamo insieme su molte tematiche si potrà pensare di valorizzare questa convergenza”. Il governatore è convinto che sia necessario replicare a livello regionale l’alleanza che sta funzionando al governo, e rivolgendosi agli elettori grillini dice: “Sarò attentissimo alle loro idee, l’ho dimostrato anche in campagna elettorale quando ho fatto propaganda per il Sì al referendum”.

Non è detto che Galletti accetti ma nel frattempo un primo passo è stato fatto sabato sera: a Cascina, comune del pisano e feudo della leghista Susanna Ceccardi, il candidato del centrosinistra Michelangelo Betti e quello del M5S Fabio Poli hanno concluso l’accordo per un apparentamento contro il fedelissimo di Ceccardi, Leonardo Cosentini. Un primo passo verso una possibile alleanza anche nella Toscana che fu renziana.