Ricevo da New York, da Washington, dalla California messaggi che non avrei saputo inventare per un romanzo di fantapolitica. Sono messaggi brevi, concitati e difficili sia da credere sia da ignorare. Dicono: “Ho paura”. Stanno parlando delle elezioni presidenziali che stanno per avvenire con la implacabile regolarità che abbiamo sempre riconosciuto all’America: stesso giorno di novembre, ogni quattro anni.
La paura di questa America, già molto danneggiata da Trump, sembra essere il clima di queste elezioni. E sembra prepararsi a un dopo di disordine e scontro che non avveniva dai tempi della guerra civile. L’opposizione, come aggregato regolare di partiti e di folla, sembra uno schieramento di osservatori che lanciano sporadici messaggi spaventati o tacciono. E la guerriglia ormai c’è e si estende: suprematisti bianchi contro neri inseguiti nelle strade, uccisi con colpi alla schiena nelle auto e nelle case, contro improvvisate pattuglie di neri che tentano di dar vita a resistenze e vendette, in cui restano braccati e sotto tiro. Ma poter dire che c’è guerriglia è il capolavoro del potere manovrato da Trump, dal presidente.
La guerriglia è nata dal potere, dalla Casa Bianca, dalla gente di Trump. La polizia ne è il principale strumento. In tanti centri grandi e piccoli degli Stati Uniti gli agenti non avrebbero cominciato a uccidere come per un salto di nervi. Servono ordini, e gli ordini sono arrivati. Gli strateghi di Trump, e forse Trump stesso, ormai libero di non fingere di essere un normale uomo politico, non hanno esitato a dare vita e forza a una campagna elettorale che non appartiene ad alcun Paese democratico. La Casa Bianca è stata sgomberata da tutti coloro che avrebbero voluto restare nella lunga e solida tradizione democratica, una tradizione che ha sbandato con forza tra destra e sinistra ma senza mai abbattere i confini della Costituzione. Trump, che continua a caricare di insulti il suo linguaggio politico, non vuole una campagna di burle e sorprese (anche molto volgari e ampiamente false) come quella che lo ha fatto vincere, forse con l’aiuto del complice Putin. La strategia adesso è la paura. Trump è il primo presidente della storia democratica che impianta la sua corsa minacciando il suo Paese e i suoi cittadini. Soltanto un personaggio ebbro di se stesso e privo di moralità poteva organizzarsi in modo da trarre vantaggio dalla pandemia che all’inizio chiamava “una influenzetta”, ridicolizzando persino i suoi esperti, e adesso chiama “morbo cinese”.
Il pericolo grave del contagio, che negli Usa è altissimo, impone il voto per posta. Trump ha appena nominato un fedelissimo nuovo “Post Master General” (capo dell’immenso servizio postale americano), uno che, si capisce, ha il compito di spostare, accelerare, rallentare, far scomparire la posta secondo le necessità del momento. È già accaduto in Florida ai tempi di George W. Bush quando il fratello Jebb, governatore di quello Stato, nel quale venivano immagazzinati e scrutinati i voti dei cittadini americani residenti all’estero, non ha mai fatto aprire quelle scatole, nel timore che favorissero l’avversario democratico Al Gore, che infatti ha perso per pochi voti.
Accanto alla minaccia postale c’è la minaccia della guerriglia. Il capolavoro dei suprematisti bianchi agli ordini degli strateghi elettorali della Casa Bianca è di avere spinto neri armati per le strade d’America. Difendono se stessi e si armano per paura, ma l’immagine appartiene a una tradizione e a un passato di minaccia, mai avvenuta ma sempre annunciata dai razzisti di scuola, di chiesa, di lavoro, di politica. Un destino fortunato: la morte della giudice della Corte Suprema Ruth Bader Ginsburg, la giurista più liberale (noi diremmo “di sinistra”) che sia mai approdata alla Corte, consente a Trump di far nominare subito e in fretta una giudice di estrema destra. In questo modo, per un colpo di fortuna, la patologica aggressività di Trump elimina la possibilità di ricorrere alla giustizia come modo per frenare la corsa dell’esecutivo al disastro del leggendario sistema democratico americano. Ma Donald ha deciso di usare un’arma in più. È un suo annuncio buttato lì in una intervista e in una conferenza stampa che ha sconvolto il Paese: “Non illudetevi di entrare qui tanto facilmente per due voti in più”. “Trump trasformerà le elezioni in caos e cambierà il risultato. Chi può fermarlo?”: è la traduzione politica del prestigioso The Atlantic. Il suo editore ha pubblicato l’articolo che decifra la frase di Trump, un mese prima “a causa dell’urgenza”. Finora nessuno, in politica o nel mondo accademico, ha contraddetto la drammatica interpretazione del politologo Barton Gellman, autore dell’articolo, ampiamente riportato da tutti i media. Per questo tanti hanno paura.