“Devi parlare con Franceschini”. Nei primi mesi del governo giallorosso, l’indicazione era scontata, il riferimento nel Pd per qualsiasi cosa riguardasse l’esecutivo era il Capo delegazione.
Oggi non è più così: da una parte, i titolari dei singoli ministeri si sono diventati autonomi, dall’altra il rapporto tra il ministro della Cultura e il premier si è fatto più complesso e conflittuale.
In maniera quasi direttamente proporzionale, invece, è cresciuto il rapporto tra Nicola Zingaretti e lo stesso Presidente del Consiglio. I due ormai si sentono quasi tutti i giorni. E, cosa non secondaria, una interlocuzione diretta con Conte ce l’ha anche Goffredo Bettini, il consigliere numero uno del segretario del Pd.
La dinamica è interessante per capire come si svilupperanno gli equilibri nella maggioranza (e nel Pd) da qui al prossimo futuro. Zingaretti e Franceschini si sono in qualche modo divisi i compiti. In questa fase, il primo fa da pungolo, l’altro da stabilizzatore. Non a caso, per ora, Zingaretti ha rimandato la valutazione sul suo ingresso al governo. Preferisce stare fuori, per non legarsi mani e piedi all’esperienza e vedere se – con il partito diventato più forte dopo le Regionali – riesce a pesare di più nelle scelte dell’esecutivo, a dettare l’agenda, anche del Recovery Fund. Tra i vicini al segretario non sono in pochi a pensare che a un certo punto, se le cose non vanno come devono andare, le elezioni rimangano un’opzione, così come un cambio di governo. Percorribile o no quest’ipotesi, quel che è certo è che Zingaretti si avvia a interpretare il ruolo di chi può decidere di staccare la spina. Viceversa, Franceschini continua a credere che questo governo abbia un compito superiore – ovvero la gestione dei fondi del Recovery – ed è dunque per continuare a blindarlo. Sono anche i destini personali dei due che, però, divergono: Zingaretti deve decidere se continuare a investire sul Pd o considerare l’ingresso al governo; Franceschini continua ad avere l’ambizione di essere eletto presidente della Repubblica. E da sempre è proprio Franceschini a decidere le sorti di colui che siede al Nazareno. E dunque gli equilibri di potere nel partito sono tutt’altro che secondari.
Sarà magari solo una coincidenza che Franceschini abbia appena stabilito le date della sua scuola di politica a Cortona, proprio mentre Zingaretti lavora a strutturare il proprio Correntone sul territorio, bruciandolo sul tempo. A Cortona, Area Dem si riunirà dal 9 all’11 ottobre. Programma in via di definizione, ma non risulta la volontà di invitare né Conte, né Zingaretti. Mentre invece, dovrebbe essere presente il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. La collaborazione tra lui e il Capo delegazione non è una novità. Ma acquista un’importanza particolare nel momento in cui – con la guerra dentro il Movimento – i numeri in Senato sono a rischio e la tenuta della maggioranza non appare così scontata. Parallelamente, per il peso di Zingaretti, il fatto di non poter contare su truppe parlamentari proprie non è un dettaglio da poco.
Si aspetta la “grande” iniziativa di Piazza Grande, prima della fine dell’anno, per capire davvero quali sono i pesi nel Pd. E anche quali spinte prevalgono. Rispetto al governo, prima di tutto.