In tv Costanzo confessa: “Una volta ho perso la testa per Alvaro Vitali”

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rai 5, 21.15: Macbeth, opera lirica. Dal Teatro Regio di Parma, l’opera di Verdi diretta dal maestro Philippe Auguin. Nel nuovo allestimento di Daniele Abbado, l’opera si apre con 45 minuti d’intervallo. Poi, a sorpresa, il tenore entra e si nasconde dietro un albero. Dopo altri 20 minuti arriva anche la soprano (che sembra una versione drag queen di Pavarotti), ma non vede il tenore, perché non sa che si è nascosto. In realtà l’ha visto durante le prove, ma fa finta di non saperlo. Eppure non è stupida, anche se pesa una tonnellata. Perché il tenore si nasconda non si sa. L’unico a saperlo era Verdi ed è morto.

Italia 1, 14.05: Deception, telefilm. Ernie Arbus, un giornalista fissato con i complotti, è convinto dell’esistenza di una società segreta, i Corvi, potente al punto da ◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️ e ◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️◼️ .

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Gesù resuscita il suo amico Lazzaro, ma quando va a salutarlo è accolto freddamente.

Sky Cinema Uno, 21.15: Passa Sartana… È l’ombra della tua morte, film-western. Sartana, un pistolero, viene incaricato dagli agenti federali di arginare la violenza di una banda di fuorilegge. Alla fine ne scova il capo, El Gringo, un simpaticone, e gli punta la pistola alla tempia. EL GRINGO: “Non sparare. Da questa distanza non sbaglierebbe nessuno”.

Cine34, 21.10: La liceale nella classe dei ripetenti, film-commedia. Il film è quello che è, ma il regista era così incapace che ha corso il rischio di migliorarlo.

Rai 1, 21.25: Ulisse – Il piacere della scoperta, documentario. Alberto Angela ci guida alla scoperta di un vero tesoro geologico: si tratta di una spettacolare cavità di tipo carsico, che si sviluppa per una lunghezza di 12 centimetri raggiungendo una profondità massima di 7 metri dalla superficie: il suo buco del culo.

Sky Uno, 21.15: X-Factor, talent. La novità di quest’anno è un tecnico radar ai lati del palco: avverte i concorrenti se si stanno avvicinando alla melodia.

La7, 20.35: Non è l’Arena, talk show. E va bene, Giletti è finito sotto scorta per le minacce di Graviano, ma dov’era quando io issavo la bandiera a Iwo Jima?

Rai 3, 13.15: Passato e presente, documentario. Paolo Mieli racconta l’epopea di Camelot. C’è chi è convinto che i Kennedy siano stati flagellati dalla malasorte. No, è che i Kennedy insegnavano ai loro figli che erano invulnerabili. “Puoi sciare attraverso un albero!” “Puoi pilotare un aereo in mezzo a una tempesta anche se non sai come!” “Puoi fermare una pallottola con la testa!”.

Rai 1, 00.30: S’è fatta notte, talk show condotto da Maurizio Costanzo. In conferenza stampa, un giornalista ha chiesto a uno spumeggiante Costanzo: “È mai stato attratto dai suoi ospiti al punto di distrarsi, o è sempre riuscito a mantenersi distaccato e obbiettivo?” COSTANZO: “Devo confessarlo. Una volta ho perso davvero la testa per Alvaro Vitali”.

Rai 3, 11.00: Elisir, benessere. Oggi si parla di cancro, un problema che interessa il 5 per cento degli italiani. Quali sono i sintomi precoci? Gengive sanguinanti, labbra secche, peli nel naso e nelle orecchie, sobbalzo ai rumori improvvisi, sonnolenza dopo pranzo. Se avete due o più di questi sintomi, spiega Michele Mirabella, non state a infastidire il vostro medico perché è già troppo tardi.

Rai 3, 20.00: Che tempo che fa, talk show. Un programma talmente noioso che sembra presentato da Fabio Fazio.

 

È ora di liberare i debolmente positivi

Amnistia per gli isolati a casa con un tampone “debolmente positivo” o per coloro che dopo giorni e giorni dalla fine della quarantena risultano ancora positivi! A luglio se ne contavano più di 2.000 solo in Lombardia, oggi pare siano raddoppiati (fonti non ufficiali). Sono obbligati (trasgredire è reato) a stare a casa per mesi, con restrizioni anche della socialità intra-familiare. Dopo la quarantena, dovuta a un tampone positivo o debolmente positivo, sono in attesa di due tamponi consecutivi negativi. L’esercito dei “debolmente positivi” e di alcuni cronicamente positivi si è ingigantito. Sono soggetti che, malgrado siano asintomatici e abbiano concluso la quarantena, non riescono ad avere due tamponi consecutivi negativi. Si aggiungono soggetti i cui test non sono nettamente positivi, ma lo diventano (in vitro) dopo un numero di cicli di amplificazione genica (metodo di analisi) superiore a quanto richiesto dal test. Una sorta di forzatura strumentale. I loro tamponi presentano meno di 5.000 copie di Rna virale per millilitro”, nei positivi netti sono milioni. Qualcuno direbbe: sono sempre 5.000 virus! Ma un’infezione non è infettiva a qualsiasi quantità di virus. Ogni virus o batterio ha una sua “carica infettante”. Sono stati pubblicati importanti risultati scientifici attestanti che gli asintomatici debolmente positivi non sono capaci di infettare altri. Per i cronici positivi è un po’ più complesso. Teoricamente un positivo (netto) è infettante. Tuttavia la maggior parte di questi soggetti risultano positivi, non per la presenza del virus vitale, ma di suoi frammenti o forme difettive che non potrebbero mai causare un’infezione. Se il Comitato tecnico scientifico volesse essere oltremodo cauto, potrebbe prendere atto che un test può darci la prova definitiva: si chiama coltura virale su linea cellulare. Alcuni laboratori, come il nostro al Sacco, possono mettere in coltura su cellule viventi il materiale prelevato con il tampone. Se dopo qualche giorno le cellule risultano infettate, il tampone conteneva virus vivi e capaci di moltiplicarsi. Vogliamo prenderne atto?

 

Toh! sommosse per il reddito di cittadinanza

In giro per festival estivi noto che c’è sempre un momento in cui l’oratore, a corto di argomenti e di pubblico, tira fuori il Reddito di cittadinanza citato come l’esempio più esecrabile del populismo del piffero. Quello dell’incompetenza bovina, della stupidità politica, frutto avvelenato della peronospora grillina da debellare al più presto. A questo punto il copione prevede (in un crescendo rossiniano di toni) la nota romanza del “sono gli stessi che annunciarono dal balcone la fine della povertà”. Applausi. Onestamente la povertà abolita per decreto continua a sembrarmi, come dire, un tantino sopra le righe. Anche se poi l’occhio mi è caduto su questo titolo dell’edizione siciliana di Repubblica: “In centomila senza più Reddito. Allarme alla Regione: “Rischio sommossa”.

In un documentato articolo, il collega Antonio Fraschilla scrive che l’erogazione dell’assegno sarà sospesa per due mesi “come previsto dalla legge manifesto del Movimento 5 Stelle per verifiche” e per ripresentare quindi la domanda nei Centri per l’impiego o nei Caf. “Uno stop – leggiamo – che coinvolgerà comunque tutti i 560mila beneficiari del sussidio in Sicilia. Un’intera grande comunità perché molti non possono fare lavoretti, in nero o meno”. Si parla di circa 400mila persone “inabili, o che non hanno alcuna qualifica oppure hanno in carico parenti e figli con handicap”. Una deplorevole condizione umana che, probabilmente, farebbe storcere il naso all’oratore di cui sopra, che a questo punto potrebbe invocare maggiori controlli per debellare furbi e furbetti (applausi). Il fatto è che l’assessore regionale Antonio Scavone ha scritto alla ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, anche lei siciliana: “Parliamoci chiaro, rischiamo una sommossa nelle nostre città se non ci saranno garanzie sul ripristino dell’assegno”. Apprendiamo infatti che in Sicilia il sostegno varia dai 560 ai 1.000 euro al mese, in base a numero di figli a carico e affitto di casa. Che problemi analoghi li ha pure la Campania, dove i beneficiari del reddito sono più di 600mila. E che l’indigenza che soffoca il Sud impone di accelerare le pratiche visto che l’emergenza Covid rende di difficile accesso uffici e strutture. In un prossimo dibattito proverò a sfidare l’impopolarità ponendo all’uditorio due semplici domande. Come saremmo messi oggi in Italia se con la pandemia, il lockdown e la catastrofe economica non ci fosse stato il Reddito di cittadinanza? E pure se l’abolizione della povertà è un vasto programma, non potremmo accontentarci di abolire le sommosse?

Streaming: che fine ha fatto nei 5S?

E lo streaming?Se uno volesse badare ai dettagli chiederebbe a Di Maio, Crimi, Toninelli e a tutta la compagnia cantante come mai, nel momento cruciale del dopo voto, le tormentate assemblee dei 5 Stelle stiano avvenendo in queste ore tutte a porte chiuse, guai a chi si avvicina, guai ai retroscena: la scena è interdetta.

“Nulla deve essere nascosto al popolo!” era la parola d’ordine di un tempo neanche tanto remoto, era il 2013, quando non si ammettevano incontri o trattative segrete neppure per la formazione del governo (erano i tempi del povero Bersani esibito in un incontro che si voltò in pubblico processo) figuriamoci ora che in ballo c’è il suo contrario, cioè il futuro del governo. E in subordine la struttura del Movimento, la sua guida, la sua forma, la sua sopravvivenza. Oltre al dettaglio degli otto milioni di voti volati via in due anni, bye bye.

Niente da dire al Movimento che nacque orizzontale contro la politica verticale? Nulla di meglio di questa pioggia di vertici segreti? E di questa scena patetica degli onorevoli inseguiti dai tg serali, mentre corrono in silenzio verso il portone, per mettersi al sicuro, poverini, proprio dentro le fauci della scatola di tonno?

I veti incrociati in Ue bloccano il Recovery: “Troppo lenti”

È nei dettagli, si sa, che si nasconde il diavolo. E un grosso dettaglio pare finito fuori dal dibattito italiano attorno al Recovery Fund: non esiste ancora nulla che abbia quel nome. I veti incrociati bloccano l’intero Next Generation Eu, che – altro fatto non da poco – va approvato insieme al normale bilancio settennale dell’Unione dall’Europarlamento e dal Consiglio (oltre che, in varie forme, dai Parlamenti nazionali).

Dall’annuncio di luglio dell’intesa politica tra i governi non si sono fatti molti passi avanti. Problema: per partire dal 1° gennaio serve darsi una mossa. Ieri questa impasse è stata denunciata anche dall’ambasciatore tedesco presso l’Ue, Michael Clauss: “Abbiamo urgente bisogno di un accordo globale sul pacchetto” e di “aumentare sensibilmente il ritmo dei negoziati” sul Budget Ue e il Recovery Fund, perché ora si procede “troppo lentamente” e “corriamo il rischio di ritardare anche il Recovery Fund. Il tempo stringe. L’Europa deve mantenere la sua parola”.

Secondo Clauss il problema sono le cosiddette violazioni dello stato di diritto (leggi Ungheria e Polonia): “L’obiettivo – aggiunge – è proteggere il bilancio dell’Ue e, per la prima volta, sanzionare le violazioni nell’uso dei fondi di bilancio”. In sostanza penalizzare nell’accesso ai soldi comunitari quei Paesi che l’Europarlamento ha accusato di violare appunto lo Stato di diritto: il governo di Viktor Orban, ovviamente, non può permettersi una decisione di questo genere e finora la Germania ha fatto di tutto per non disturbarlo pur tenendo formalmente il punto.

In realtà, ci sono anche altre questioni spinose sul tappeto: dai criteri per suddividere i fondi (specie per i 45 miliardi di ReactEu, il primo a partire, dedicato all’emergenza) alle condizioni per bloccare le erogazioni (oltre allo stato dei progetti conteranno anche i vincoli di bilancio ora sospesi?) fino alle cosiddette “risorse proprie” dell’Unione, cioè tasse europee che saranno applicate in tutti i Paesi (l’Iva in parte già lo è). Intanto, però, il Consiglio Ue ha approvato la proposta della Commissione sul fondo Sure: l’Italia riceverà 27,4 miliardi di prestiti agevolati destinati a Cassa integrazione e simili.

Uber si allea con la coop rossa

Uber e Coop alleate a Bologna, altro che il diavolo e l’acqua e santa. La sharing economy sta per assestare un duro colpo addirittura alla tradizione mutualistica delle cooperative rosse che l’Emilia ha nel suo dna da oltre 70 anni.

Le cronache locali spacciano per imminente la firma sull’accordo che dovrebbe legare la società di San Francisco (che ha ideato l’applicazione che permette di offrire un servizio di trasporto alternativo ai taxi) alla cooperativa bolognese Cosepuri, un consorzio aderente a Legacoop che associa 276 imprese che operano nei settori del trasporto tra autolinee, pullman per turisti, furgoncini per merci, vetture per disabili e, soprattutto, “noleggio con conducente” grazie a oltre 200 vetture e circa 290 autisti. Il contratto, secondo quanto riporta Italia Oggi, si concentra proprio sugli Ncc e prevede che Uber offra un pacchetto garantito di corse mensili gestite dalla piattaforma con tariffe stabilite per gli autisti in base a percorsi già organizzati (ad esempio dall’aeroporto al centro), più una percentuale che va alla piattaforma. Un accordo che ricalca perfettamente quello che già regolarizza il settore dei noleggiatori e che non verrebbe quindi più bloccato dai tribunali. Proprio come è successo nel 2015, quando Uber Pop (dove gli autisti non erano professionisti) è stato bloccato dai tribunali, perché in Italia non si può effettuare un servizio di trasporti senza licenza. Principio ribadito nel 2017 dalla Corte di Giustizia europea: Uber è un servizio di trasporto e non una piattaforma digitale. Deve, quindi, sottostare alle relative leggi di settore dei Paesi in cui opera. Un limite che ora il colosso americano aggirerà a Bologna – ma l’obiettivo è replicare l’alleanza anche nelle altre città – grazie all’intervento di una cooperativa che ha come soci autisti professionisti con regolare licenza.

Secondo i sostenitori dell’accordo, l’arrivo di Uber rappresenterebbe una boccata d’ossigeno per un settore stremato dall’assenza di lavoro. Alleanza che ha, invece, riportato sulle barricate gli acerrimi nemici della app, i tassisti, che da anni si battono contro l’avvento della concorrenza nel settore dei trasporti e che, a causa dell’emergenza Covid, da mesi lavorano a orario ridotto. Ora, però, non potendo impedire in nessun modo un eventuale accordo, i tassisti hanno lanciato l’allarme sulle possibili conseguenze dell’arrivo di Uber a Bologna. “Quello dell’intermediazione diretta è un metodo che non ha mai portato benefici ai lavoratori e lo abbiamo visto coi fattorini in bicicletta”, tuona Riccardo Carboni, presidente di Cotabo, la cooperativa di taxi più grande della città che fa sempre parte di Legacoop. Insomma, una strana alleanza che potrebbe mettere in difficoltà anche la casa comune delle coop rosse.

Rider, il congedo sindacale sarà pagato più del lavoro

C’è un particolare a dir poco curioso, e finora sfuggito, che si annida tra le pieghe del nuovo contratto nazionale dei rider: per il fatto di averlo firmato, l’Ugl potrà incassare fino a 18 mila euro all’anno di rimborsi. Perché quell’accordo, benché sia parecchio “tirchio” quando si tratta di individuare i compensi per i fattorini in bicicletta, è invece assai più generoso nel riconoscere i permessi retribuiti ai dirigenti sindacali. Permessi, ovviamente, riservati agli iscritti dell’unica sigla firmataria.

La cifra forfettaria ammonta a 12 euro l’ora per un massimo di 1.500 ore annuali. Lo stabilisce l’ultimo comma dell’articolo 29 del contratto Assodelivery-Ugl. La semplice moltiplicazione, insomma, permetterà ai delegati del sindacato di destra di arrivare, come detto, a un totale di 18 mila euro. Un gruzzoletto niente male, soprattutto se si pensa che le aziende di questo settore, fino a pochi mesi fa, dei sindacati non volevano nemmeno sentire l’odore. Questo prima che l’Ugl si alleasse con Anar, l’associazione di fattorini con posizione allineate a quelle delle piattaforme, e si dicesse pronta a sottoscrivere un contratto collettivo alle condizioni finora imposte, a partire dalle paghe a consegna senza salari orari. L’accordo è arrivato il 15 settembre, scavalcando il tavolo ministeriale voluto da Nunzia Catalfo e beccandosi poi le contestazioni degli stessi tecnici del ministero. Intanto ieri un gruppo di rider ha preso di mira la sede Ugl di Torino.

Vale a questo punto la pena ricordare quanto, stando al testo firmato, guadagneranno invece i rider lavorando: il sistema “a cottimo” prevede, ogni sessanta minuti effettivi trascorsi sulla bicicletta o sul motorino, 10 euro lordi. E ribadiamo effettivi, il che significa che non saranno pagati i minuti nei quali il fattorino si rende semplicemente disponibile, ma solo quelli che vanno dall’accettazione dell’ordine alla conclusione della consegna. Sarà più conveniente organizzare assemblee, dunque, piuttosto che pedalare. In circostanze diverse, non sarebbe nemmeno così strano: retribuire l’attività di rappresentanza dei lavoratori è un sano principio riconosciuto da tutti. Ma in questo caso assume contorni bizzarri. Le aziende dell’Assodelivery (Deliveroo, Glovo, Just Eat, Uber Eats), con la condiscendenza dell’Ugl, non hanno inserito nel contratto diritti minimi quali le ferie, la malattia, la maternità né hanno mai ammesso scioperi di fattorini. Eppure magicamente nell’intesa è apparso il passaggio sui rimborsi sindacali i quali, a questo punto, configurano più un premio fedeltà per l’Ugl che il rispetto del principio democratico di cui sopra. Oltre a sembrare quasi un avvertimento agli altri sindacati, affinché si ingolosiscano e accettino tutte le condizioni al ribasso pur di accedere ai permessi pagati.

Un’altra vicenda aiuta a capire meglio come i diritti sindacali, per queste aziende, siano una fisarmonica: alcuni garantiti (e indennizzati) con la benedizione del padrone, altri del tutto negati. Un esempio è quello che sta accadendo a Firenze. La Nidil Cgil sta organizzando le votazioni per eleggere il rappresentante dei lavori per la sicurezza di Just Eat, una figura prevista dalla legge. L’azienda ha già detto al sindacato che non riconoscerà le consultazioni, perché ritiene che ai rider non spetti un proprio Rls. La Cgil ci aveva già provato mesi fa a nominare un delegato, ottenendo sempre picche da Just Eat e pure dal Tribunale, che sancì che il rappresentante per la sicurezza va eletto e non nominato. È quello che ora i rider stanno cercando di fare, ma Just Eat continuerà a opporsi. Sono le variabili geometriche del sindacalismo nell’era del lavoretto.

Suárez, Cantone e le indagini “sospese”

In un primo momento s’è parlato di “sospensione” delle investigazioni. Poi è stato precisato: s’è deciso di riprogrammare tutte le attività di indagine per garantirne la riservatezza. Il motivo di questa posizione lo spiega in poche parole il procuratore capo di Perugia: “Voglio che gli atti diventino pubblici – ha dichiarato ieri Raffaele Cantone – solo quando è previsto dalla legge”.

La Procura umbra, come ovvio, non ha gradito che nell’inchiesta sull’esame d’italiano – per gli inquirenti una prova farlocca – sostenuto da Luis Suárez all’Università per stranieri di Perugia vi siano state nei giorni scorsi delle fughe di notizie sulle quali è stato deciso di aprire un fascicolo d’indagine.

La Procura umbra ipotizza il reato di corruzione per il direttore generale dell’università, Simone Olivieri, e la rettrice Giuliana Grego Bolli. Non è stato però ancora individuato il presunto corruttore. La tesi è che i vertici dell’ateneo perugini sia siano fatti ammaliare dalla prospettiva – in un periodo di crisi d’iscrizioni e bilanci – di avere nuove iscrizioni per l’esame da parte di calciatori legati alla Juventus. Uno scenario nato parlando con l’avvocato che da tempo assiste la Juventus, Maria Turco, che però non avrebbe fatto alcuna pressione per la promozione di Suarez.

Secondo l’accusa sarebbe stata questa – le future iscrizioni – l’utilità che avrebbe spinto l’ateneo a favorire Suárez nella prova d’italiano, i 17 settembre scorso, che gli avrebbe concesso di ottenere prima la cittadinanza italiana e poi il tesseramento con la società bianconera. Tesseramento mai avvenuto perché la Juve – la società sostiene di aver compreso che l’iter burocratico sarebbe andato al di là dei termini di mercato previsti dall’Uefa – due giorni prima dell’esame aveva già ufficialmente comunicato sia ai giornalisti, sia allo staff di Suárez, di aver rinunciato all’affare avviato con il Barcellona.

Il primo contatto è avvenuto tra il rettore dell’Università statale di Perugia, Maurizio Oliviero, e Federico Cherubini, vice direttore sportivo dei bianconeri. Cherubini avrebbe chiesto informazioni sulla procedura per sostenere l’esame in questione e Oliviero (nessuno dei due è indagato) lo avrebbe indirizzato all’università per stranieri di Perugia. Di lì poi i contatti tra il direttore generale di quest’ultima, Simone Olivieri, e l’avvocata Turco.

Ieri sono stati sentiti come persone informate sui fatti sia Turco, sia lo storico legale della Juve Luigi Chiappero. “Abbiamo ascoltato le domande poste dai pm, pensiamo di aver contribuito in maniera positiva alla ricostruzione dei fatti nella nostra veste di testimoni, che ci è servita per ribadire la trasparenza del nostro operato professionale in un clima assolutamente sereno e costruttivo”, ha commentato Chiappero dopo sette ore di interrogatorio.

“Devo anche essere grato ai pubblici ministeri – ha aggiunto Chiappero – per averci chiamato subito. La società Juventus è estranea a qualsiasi addebito”.

Ieri sono stati anche avviati gli accertamenti tecnici sui supporti informatici della rettrice Giuliana Grego Bolli.

“Un Giuda nei carabinieri, in atto depistaggi su Cucchi”

“Ancora oggi, nel 2020, nel Nucleo investigativo dei carabinieri c’è qualcuno che passa gli atti a qualche imputato. Siamo stanchi di questi inquinamenti probatori che vanno avanti da 11 anni e vogliamo identificare gli autori”. Aula bunker di Rebibbia. Processo a carico di otto militari dell’Arma, tra ufficiali e carabinieri, per il presunto depistaggio delle indagini sulla morte, nel 2009, di Stefano Cucchi. Imputati ci sono nomi pesanti, come il generale Alessandro Casarsa, nel 2009 comandante del Gruppo Roma e poi capo dei corazzieri del Quirinale (carica ora lasciata), accusato, con altri, di falso in atto pubblico.

In aula, ieri, il pm Giovanni Musarò lo dice senza giri di parole: è ancora in atto “un inquinamento probatorio”. Ed è un’affermazione che apre due scenari. Il primo: in Procura si sta ragionando se aprire un ulteriore fascicolo perché i pm vogliono fare accertamenti per identificare chi, a loro detta, ha passato documentazione a uno degli imputati. Bisognerà quindi capire da dove arrivino quegli atti. E qui il secondo punto: la vicenda sembra la spia di tensioni che tuttora vive all’interno dell’Arma dove non tutti hanno condiviso la scelta del comandante Giovanni Nistri di costituirsi parte civile nel processo Cucchi, mentre si attende, entro l’anno, la nomina del suo successore. Il sospetto – che per ora tale resta – degli investigatori è che quella documentazione potrebbero essere uscita dal Nucleo investigativo di Roma, lo stesso che ha condotto le indagini sul depistaggio. Poi è stata prodotta in aula mentre veniva sentito come testimone Lorenzo D’Aloia, l’uomo che quel reparto lo comanda.

Per capire bene la questione però bisogna tornare al 23 luglio. Per diverse ore a D’Aloia vengono poste parecchie domande da parte dell’accusa e delle difese. Tocca anche a quella del capitano Tiziano Testarmata, accusato con altri di non aver denunciato nel 2015 alcuni falsi nelle annotazioni sullo stato di salute di Cucchi.

Durante l’udienza, quindi, il legale di Testarmata, mentre pone domande sulla modalità di acquisizione degli atti di D’Aloia, produce – nel pieno esercizio del diritto di difesa – alcuni documenti. Si tratta di “due diverse richieste di atti” sottoscritte da D’Aloia negli anni scorsi e che riguardano procedimenti diversi.

Atti pubblici, ribadisce la difesa, con il giudice che ne autorizza l’acquisizione. Ma il caso non si chiude in aula. Qualche giorno dopo, il 10 agosto, Musarò chiede al Comando Provinciale e al Nucleo Investigativo di inviare “l’intero carteggio” di quegli atti e di precisare due cose: “se i militari in servizio presso il Nucleo investigativo possano trattenere privatamente copia degli atti che abbiano materialmente redatto” e, in caso di risposta negativa, “se vi sia stata richiesta di accesso agli atti e richiesta copie da parte di Testarmata”. Il 12 agosto arriva la risposta: dal Nucleo investigativo si precisa che no, “non è consentito ai militari trattenere copia” degli atti redatti e che non risultano “presso questo ufficio, richieste di accesso agli atti” di Testarmata.

Passano due mesi e la vicenda è stata riproposta ieri in udienza. “Il pm Musarò denuncia (…): ‘C’è un giuda, un cavallo di troia (…) che fornisce atti e documenti per una verità parziale e fuorviante’. Come dire: non abbiamo finito e non finiremo mai di subire interferenze illecite”, ha detto l’avvocato di Ilaria Cucchi, Fabio Anselmo, mentre la sorella di Stefano ha commentato: “Abbiamo un Cucchi Quater. Il lupo perde il pelo ma non il vizio”.

Ora il pm Musarò – che ha rappresentato anche l’accusa dell’altro processo, quello per l’omicidio preterintenzionale (due militari sono stati condannati in primo grado a 12 anni di carcere) – vuole vederci chiaro anche su questo nuovo aspetto. Potrebbe aprirsi un nuovo scenario investigativo.

Vietato bocciare chi non ha seguito le lezioni online

La scuola lo boccia per non aver seguito la didattica a distanza ma il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte lo promuove in virtù dell’ordinanza del ministero dell’Istruzione che permetteva per quest’anno l’ammissione alla classe successiva anche con voti inferiori a 6 decimi, in una o più discipline. A cantar vittoria è la famiglia di un ragazzino di 11 anni di origine albanese che di fronte alla decisione della scuola, la secondaria di primo grado di Saluzzo (Torino), ha scelto di ricorre al Tar difesa dall’avvocato Paolo Botasso.

Secondo gli insegnanti, Marco (nome di fantasia, ndr), non avrebbe seguito in maniera costante le lezioni online e non avrebbe svolto i compiti assegnati con la didattica a distanza. Da qui i voti negativi in quasi tutte le materie, a parte italiano e storia e la bocciatura.

“I docenti – spiega l’avvocato Botasso – non hanno tenuto in considerazione l’ordinanza della ministra Lucia Azzolina che prevedeva una valutazione sulla base di quanto effettivamente svolto nel corso dell’anno, in presenza e a distanza. Il mio assistito nel primo quadrimestre ha avuto voti positivi. Le difficoltà sono emerse solo nel periodo della didattica a distanza”.

Un tempo in cui Marco, avendo i genitori che lavoravano entrambi fino a tardi, ha dovuto cavarsela da solo. Di tutto questo hanno tenuto in considerazione i giudici Carlo Testori, Angelo Cerroni e Valentina Caccamo che nella sentenza scrivono: “La non ammissione alla classe successiva dello studente non rientra in nessuna delle ipotesi indicate dall’ordinanza ministeriale in una condizione emergenziale in cui si è svolto l’anno scolastico 2019-2020”.Una decisione presa dal Tar in tempi rapidissimi tant’è che Marco ha potuto ricominciare l’anno scolastico in seconda dopo aver frequentato i corsi di recupero.