Becciu: “Spero che il Papa non sia stato manipolato”

Monsignor Angelo Becciu si difende dalle accuse dei magistrati vaticani che lo hanno portato alle dimissioni da cardinale volute da Papa Francesco non appena appresa la notizia. Dimissioni che nel diritto canonico sono in realtà fattuali e non formali, in quanto il titolo rimane mentre a decadere sono i diritti, come quello di partecipare al Conclave. In una conferenza stampa il porporato racconta la sua versione dei fatti, spiegando di non essere stato mai chiamato dai magistrati. La segnalazione, in realtà, sarebbe arrivata dalla Guardia di Finanza italiana chiamata ad indagare su segnalazione dei giudici vaticani. Al centro dell’inchiesta vi sarebbe la donazione di 100 mila euro alla Caritas di Ozieri )Sassari) nella quale sarebbe stato coinvolto però anche il fratello di Becciu, titolare di una coop.

“Accuse surreali – replica l’ex Prefetto della Congregazione dei Santi –. Il trasferimento alla Caritas in realtà fu fatto ma i soldi sono ancora lì e mai transitati nella attività di mio fratello”. Per Becciu, il fondo a disposizione della Segreteria di Stato, l’Obolo di San Pietro, ha tra le finalità le attività caritative. “E allora perché si parla di peculato?”, si chiede il cardinale. “Io sono comunque pronto a rispondere alle domande dei giudici”, prosegue. Becciu, inoltre, nega di aver mai incontrato Lorenzo Vangelisti e Alessandro Noceti, i due manager chiave dell’affare Sloane Avenue. Centrale nella storia, ancora oscura, del palazzo di Londra acquistato dal Vaticano e che è già costato il posto a diversi funzionari vaticani. “I soldi dell’Obolo di San Pietro non sono comunque stati toccati”, precisa Becciu negando anche, per gli anni in cui fu Sostituto per gli affari generali, operazioni con società offshore. “La mia coscienza mi dice che non sono corrotto. Spero che il Santo Padre non si sia fatto manipolare”, conclude. In questo scenario si inserisce la visita, martedì, degli ispettori di Moneyval, per vedere a che punto sia il cammino di trasparenza delle finanze vaticane.

La scuola in Emilia e l’ipotesi false fatture: “I soldi potrebbero essere tornati alla Lega”

Soldi tornati alla Lega da una delle aziende che ha svolto i lavori per la realizzazione della scuola antisismica di Bondeno. È questa l’ipotesi su cui stanno lavorando gli investigatori della Guardia di finanza di Genova, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Pinto e dal pm Paola Calleri. La pista che porta nella cittadina in provincia di Ferrara è emersa due giorni fa, quando i finanzieri si sono presentati nel Municipio amministrato oggi dal leghista Simone Saletti con una richiesta di esibizione di documenti nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio sui 49 milioni di euro della Lega, soldi frutto dei rimborsi elettorali ottenuti in maniera illecita dal partito fra il 2008 e il 2010. Seguendo il flusso di denaro uscito dalle casse del partito prima della confisca stabilita dal Tribunale di Genova nel 2017, gli investigatori hanno notato un’anomalia. Alla fine del 2012, dal conto detenuto dal Carroccio presso la Banca Aletti è partito un bonifico verso la sezione emiliano-romagnola del Carroccio. Da questo conto, 900mila euro sono stati trasferiti subito dopo al Comune di Bondeno sotto forma di donazione. Un aiuto che, ha spiegato l’altro ieri la Lega, è stato usato per costruire una scuola antisismica dopo il terremoto che aveva colpito duramente la cittadina. E infatti è proprio sui lavori di costruzione della scuola di Scortichino, frazione di Bondeno, inaugurata nel 2014 dall’allora sindaco Alan Fabbri – oggi primo cittadino di Ferrara – alla presenza di Salvini, che si sta concentrando l’attenzione degli investigatori. “Mettere i bambini a loro agio è la cosa più bella”, furono allora le parole del leader della Lega.

Secondo la Procura di Genova, però, attraverso il sistema di subappalti creato per la realizzazione della scuola il partito di Salvini avrebbe fatto rientrare nelle proprie disponibilità una parte dei 49 milioni della truffa commessa ai danni dello Stato. Gli inquirenti hanno acquisito tutta la documentazione relativa ad appalti e subappalti legati alla scuola di Bondeno. L’ipotesi, ancora tutta da verificare, è che qualcuna delle imprese beneficiarie dei subappalti abbia poi di fatto restituito i soldi alla Lega attraverso fatture false, emesse a fronte di operazioni parziali o inesistenti. Le altre piste investigative seguite finora dalla procura di Genova per ricostruire il flusso dei 49 milioni evaporati quasi interamente dai conti della Lega riguardano il Lussemburgo (dove sarebbero finiti 10 milioni) e l’Associazione Maroni Presidente (attraverso cui sarebbero stati riciclati 450 mila euro). Per quanto noto, finora l’unica persona iscritta nel registro degli indagati è l’assessore leghista della Regione Lombardia, Stefano Bruno Galli.

È fallita la trattativa su Autostrade voluta dal governo: niente intesa tra Cdp e Atlantia

Nel pomeriggio la ministra De Paola Micheli avvertiva che sulla vicenda Autostrade il governo non avrebbe “atteso all’infinito”. Ha dovuto attendere poche ore: in serata Atlantia – la holding controllata dai Benetton che a sua volta possiede l’88% di Aspi – ha rigettato via lettera l’ultimatum (sette giorni per l’intesa) che Cassa depositi e prestiti le aveva inviato ieri. Salvo colpi di scena, finisce così il negoziato tra Atlantia e Cdp avviato dopo l’accordo “politico” del 14 luglio sull’uscita di scena dei Benetton e il ritorno delle corsie di Aspi (oltre metà del totale) in mano pubblica: “Atlantia chiude a ogni possibilità di proseguire la trattativa”, dicono dalla Cassa. Gli ostacoli su cui si sono arenate le due società sono quelli emersi fin da subito: quale prezzo dare ad Autostrade (Atlantia vuole guadagnarci molto) e la manleva legale pretesa da Cdp per accollarsi un’azienda in cui da anni le manutenzioni vengono fatte poco e male. Non una bella figura per il governo, non una bella figura per Atlantia, che evidentemente ritiene tramontata l’ipotesi che Conte & C. procedano con la revoca facendola fallire.

Il comunista in ospedale: “Deficiente chi sottovaluta”

La foto che ha postato ieri sui social parla chiaro, è un potente schiaffo all’esercito di negazionisti e bastian contrari del virus. L’espressione è sofferente, un digrignar di denti, e condensa lo spirito della seconda ondata in agguato. “Il mio vicino Claudio, ritornato a casa, mi ha mandato una foto-ricordo dell’emogasanalisi arteriosa che ha deliziato ogni mia giornata – ha spiegato –. L’emogas può essere molto doloroso”. Da nove giorni Maurizio Acerbo, 54 anni, segretario nazionale di Rifondazione comunista, giace in un letto d’ospedale a Pescara. Si è ammalato di coronavirus alla fine della campagna referendaria sul taglio dei parlamentari, che lo ha visto girare la penisola. E la recrudescenza del Covid l’ha travolto in pieno, con la virulenza che avevamo imparato a conoscere tra marzo e aprile.

È arrivato nel nosocomio della sua città d’origine con 39 di febbre, tosse incessante e perdita di gusto e olfatto. È stato tenuto attaccato alla flebo dell’ossigeno per una settimana, gliel’hanno staccata soltanto un paio di giorni fa. Ma lui non s’è mai perso d’animo, e ha anzi intrapreso una battaglia contro chi aveva trascorso l’estate a dichiarare chiusa d’ufficio l’emergenza. In fondo, anche questa è lotta di classe, dato che tra i bersagli espliciti e impliciti del suo diario di bordo su Facebook ci sono i vari Briatore e Sgarbi. L’altroieri, verso mezzanotte, ha scritto: “In questa ennesima notte illuminata dalle luci di sicurezza, mi tornano in mente i volti di quei deficienti che continuano a sottovalutare questo maledetto virus. Lo hanno fatto per mesi con enorme spazio mediatico”. Sabato scorso ha attaccato i populisti: “Un infermiere mi dice che ha letto sui social che sarei stato ricoverato in quanto politico solo per un po’ di febbre. La cosa dà più fastidio a loro che a me. La dottoressa commenta che la gente non sa di cosa parla, che sono con l’ossigeno ecc. A me farebbe piacere che per una volta il qualunquismo avesse un fondamento. Purtroppo no”.

In un altro aggiornamento Acerbo ha sollevato il tema del precariato, una dannazione che non risparmia chi è sul fronte per salvarci la vita: “Anche oggi i miei unici contatti umani sono loro, gli operatori sanitari (oltre agli altri pazienti e ai medici), giovani in gambissima gentili, premurose/i, sempre in movimento, sorridenti. Ventenni che lavorano con passione e sensibilità. Li chiamano angeli, eroi ma, al di là delle retoriche del potere, anche loro sono ultraprecari, somministrati attraverso un’agenzia interinale”. Senza smarrire il suo sense of humour: “Avevo dimenticato di ringraziare i due scrutatori che con grande spirito di servizio hanno consentito di votare anche nell’ospedale Covid di Pescara – ha postato lunedì –. Ha vinto il No. Ho votato solo io”.

“C’è rischio di rapida ripresa”. Il Cts verso un altro no agli stadi

Non è il momento di riaprire gli stadi. Ventiquattro ore dopo, la decisione non unanime della Conferenza delle Regioni di autorizzare il riempimento al 25% degli impianti in occasione delle partite ci calcio di Serie A viene commentata, pur con linguaggio diplomatico, anche dalle massime istituzioni sanitarie: non bisogna “sottovalutare il rischio di una rapida ripresa epidemica dovuto a un eccessivo rilassamento delle misure – si legge nel monitoraggio settimanale del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità sull’andamento dei contagi da SarsCov2 – con autorizzazione di eventi ed iniziative a rischio aggregazione in luoghi pubblici, e dei comportamenti individuali anche legati a momenti di aggregazione estemporanei”. “Il numero dei casi di Covid-19 e di ricoveri continua ad aumentare”, recita il bollettino sulla settimana 14-20 settembre e l’invito è a “mantenere misure di precauzione ed evitare assembramenti”. Tradotto: le condizioni epidemiologiche del Paese non consentono di tornare in massa allo stadio, per quanto con capienze ridotte e dovute misure di distanziamento. Una valutazione che verrà espressa anche martedì dal Comitato tecnico-scientifico: “Sul tema il Cts si è ampiamente espresso e l’opinione è sempre rimasta la stessa. Poi la politica ne ha dato la sua interpretazione”, spiega una fonte al suo interno. Quindi paiono destinate alla delusione le aspettative dei club che spingono per la riapertura. Anche se “la decisione ultima resta in mano alla politica”.

Nel giorno in cui si registrano 1.912 nuovi casi, record del post lockdown (a fronte di 107 mila tamponi) e 20 vittime (in leggero calo rispetto alle 23 di giovedì), ministero e Iss fotografano la situazione parlando di un “progressivo peggioramento dell’epidemia di SarsCoV2”. Il virus “oggi circola in tutto il paese” e “si conferma un aumento nei nuovi casi per la ottava settimana consecutiva”, con un’incidenza cumulativa negli ultimi 14 giorni di 31,4 per 100mila abitanti: era a 29,4 nel periodo 31 agosto-13 settembre”. Mentre rimane stabile a quota 41 anni l’età mediana dei contagiati.

Andando ad analizzare i territori, 10 tra Regioni e Province autonome hanno riportato un aumento di positivi rispetto ai 7 giorni precedenti “che non può essere attribuito unicamente a un aumento dei casi importati (da estero o da altra Regione)” con l’84,2% dei casi che continua a essere contratto sul territorio nazionale. Il 27,6% del totale è stato identificato tramite attività di screening, il 35,8% con il contact tracing mentre il 31,4% è stato identificato perché i contagiati sono asintomatici. Se l’Rt calcolato su questi ultimi resta su base nazionale sotto il livello di guardia di 1 (è a 0,95) per la seconda settimana consecutiva, il valore potrebbe sottostimare la reale diffusione del virus “e va sempre interpretato anche tenendo in considerazione il dato di incidenza”, ovvero il numero dei contagi su 10mila abitanti: negli ultimi 14 giorni a livello nazionale è di 31.4 (in salita da 29,4 nel periodo 31 agosto – 13settembre). Variagata sotto questo aspetto la situazione delle Regioni: in Liguria con 75,17 (inserita dalla Svizzera nella lista zone rosse per le quali a partire da lunedì è previsto l’obbligo di quarantena per chi entra nel Paese), Provincia autonoma di Trento (71,49) e quella di Bolzano (59,39) le situazioni sotto più attenta osservazione.

Una situazione che si traduce in una crescita, seppur lenta e sotto controllo, della pressione sugli ospedali: in tutta Italia il tasso di occupazione dei posti letto in reparto ordinario è aumentato dal 4% al 5%, mentre quello delle terapie intensive dal 2% al 3% con punte superiori al 10% in alcune Regioni.

Resta caldo il fronte delle scuole: 400 quelle in cui si è verificato un caso di Covid secondo il ministero. Che ha diramato una circolare per gestire il rientro dei contagiati: se il test risulta positivo – si legge – per tornare tra i banchi bisognerà effettuare, come prevedono i criteri vigenti, due tamponi a distanza di 24 ore e avere il certificato medico. Intanto martedì il governatore del Lazio Nicola Zingaretti presenterà i test salivari semi-rapidi validati dall’istituto Spallanzani e il progetto di utilizzarli per lo screening nelle scuole della Regione.

Tutti gli errori di Madrid e Londra “Ritardi e sbagli nei tracciamenti”

Ora assistono a una nuova impennata delle curve epidemiche e stanno procedendo a nuovi lockdown, ma entrambe hanno “avuto problemi” nel mettere in piedi un efficace sistema di contact tracing. Hanno revocato e ripristinato le restrizioni “senza seguire criteri espliciti e pubblici”. Non è chiaro, poi, se nel farlo Londra utilizzi i propri “sistemi di allerta”. Madrid, invece, ha usato gli indicatori scelti “senza alcuna ponderazione esplicita nel processo decisionale”. Uno studio pubblicato su The Lancet ha passato in rassegna i modelli di risposta all’epidemia di Covid-19 utilizzati in 9 Paesi. Nel quadro che ne emerge Regno Unito e Spagna hanno commesso diversi errori.

Lo studio, pubblicato su una tra le più importanti riviste scientifiche a livello internazionale, ha analizzato la situazione di 5 Stati nella regione Asia-Pacifico (Sud Corea, Hong Kong, Giappone, Nuova Zelanda e Singapore) e 4 in Europa (Germania, Norvegia, Spagna e Regno Unito), questi ultimi in un contesto in cui “più di un decennio di misure di austerità hanno indebolito sistemi sanitari e protezione sociale”: esperti provenienti da ognuno di questi Stati hanno analizzato la risposta data dai rispettivi governi al virus e le loro scelte in materia di allentamento delle restrizioni. Allentamento che sarebbe dovuto avvenire in base a 5 prerequisiti: “Conoscenza dello stato dell’infezione”, “grado di coinvolgimento della comunità”, “capacità del sistema di salute pubblica”, “capacità del sistema sanitario” e “controlli alle frontiere”.

Il primo problema è comune: sia a Londra che a Madrid “i politici, avvalendosi della consulenza di esperti, decidono quando e quali restrizioni ridurre, ma senza criteri espliciti e pubblici”. Il governo Sanchez (che ieri ha avuto altri 12.272 contagi a 120 morti) in particolare “ha pubblicato un pannello di indicatori, inclusi parametri epidemiologici, di mobilità, sociali ed economici, senza alcuna ponderazione esplicita nel processo decisionale”. Senza cioè spiegare quale peso abbia ognuno di questi nelle decisioni. La mancanza di coordinamento è stato, invece, uno dei principali errori di Boris Johnson, che ieri ha dovuto registrare un nuovo record di contagi, 6.874 contro i 6.634 di giovedì: Inghilterra, Galles, Nord Irlanda e Scozia, “le 4 nazioni del Regno si sono allineate nella loro strategia fino a metà marzo, quando ognuna si è discostata nei suoi approcci specifici ed è uscita dal blocco”. Rompendo l’uniformità di misure che avrebbero potuto limitare la circolazione del SarsCov2 nel Paese. Esempio: in Inghilterra, “la distanza consigliata tra le persone è di almeno un metro, mentre in altre aree di due”. Quindi la comunicazione “è stata confusa e incoerente”.

Come le decisioni: a partire da giugno, sottolinea lo studio, il Regno ha adottato il modello della “bolla sociale” introdotto dalla Nuova Zelanda, che “consente a un gruppo di persone di avere uno stretto contatto fisico tra loro e praticare il distanziamento con soggetti esterni”. Il punto è che “a quelle che erano nate come bolle domestiche bloccate è stato lentamente consentito di estendersi a piccoli gruppi di familiari e amici, e poi di fondersi con altre bolle”. Tutte e 4 le nazioni britanniche “hanno avviato una simile strategia”. In questo momento, poi, in cui la Gran Bretagna sta “revocando o ripristinando le restrizioni sulla base di soglie epidemiologiche” (da ieri sono 16 milioni su 66 i britannici sottoposti a un lockdown bis localizzato) lo fa in maniera confusa: sebbene questi tre Paesi “dispongano anche di sistemi a livello di allerta, il collegamento a particolari contromisure non è stato altrettanto esplicito e non è chiaro se il sistema del Regno Unito venga effettivamente utilizzato”.

Il problema in diversi casi è a monte: “Sembra intuitivo che uno Stato non debba aprirsi finché non dispone di un sistema di sorveglianza di alta qualità” che opera attraverso le fasi di “ricerca, test, tracciamento, isolamento e supporto”. “Questo principio è stato spesso ignorato” e anche sotto questo punto di vista Londra e Madrid “si sono mosse con fatica”. La seconda, a corto di medici di base e personale nei distretti sanitari, ha dovuto far ricorso ai militari. Problemi anche nel proteggere i sanitari per la carenza di guanti e mascherine: in Spagna “il personale medico ha rappresentato oltre il 10% dei casi totali di Covid-19”.

Impresentabili Razzisti e Fascisti nel toto-giunta

Non sembra essersi pentito di quelle firme apocrife apposte nel 2015 a sostegno della lista di Forza Nuova che voleva candidarsi alle Regionali del Veneto. Daniele Polato (nella prima foto) militava in Forza Italia è attestò “di aver accertato personalmente l’identità dei firmatari”. Lo scorso dicembre è stato condannato a un anno con la condizionale. Naturalmente ha presentato ricorso, anche perché è assessore in carica alla sicurezza della giunta Sboarina a Verona. Ma adesso quella condanna può costargli cara, in termini di carriera politica, tagliandogli le gambe per diventare assessore regionale. Nelle Regionali 2020, Polato ha avuto un notevole successo personale, con 10.783 preferenze è stato il primo degli eletti del partito di Giorgia Meloni. E siccome Fratelli d’Italia fa parte della maggioranza con Zaia, Lega Salvini e Forza Italia, è logico pensare che un posto in giunta gli sarà assegnato. Ma Polato è un impresentabile, vista la condanna seppure non definitiva, tra l’altro ricevuta per un reato commesso a favore di una formazione di estrema destra. L’interessato si era giustificato sostenendo di aver voluto favorire la “democrazia partecipativa”.

Adesso la sua scivolata potrebbe favorire Elena Donazzan, pure lei ex di Forza Italia. Nel nuovo consiglio regionale spicca la presenza di un altro veronese, Enrico Corsi (nella seconda foto), leghista di lungo corso. Eletto con Salvini, è stato condannato definitivamente nel 2008 per propaganda razzista. Dovette risarcire alcune famiglie sinti, parte offesa del reato commesso da un gruppo di leghisti (tra cui Flavio Tosi, futuro sindaco scaligero, poi espulso) che aveva diffuso volantini che se la prendevano coi nomadi che occupavano un accampamento in un quartiere di Verona.

“Ma quale autonomia, il plebiscito è frutto del pericolo scampato”

Un santino, un ex voto, per lo scampato pericolo. Ecco le radici del plebiscito di Luca Zaia, governatore-pigliatutto, dal 76,8 per cento di consensi in Veneto, dove ha umiliato tutti e creato mal di pancia al segretario Matteo Salvini. Paolo Feltrin, politologo che vive a Treviso, studioso della Lega, ha le idee chiare sull’esito delle elezioni.

Come spiega il voto più straripante di sempre alle Regionali?

Non si può comprendere il successo di Zaia senza contestualizzarlo con l’emergenza Covid, paragonabile a quello che gli studiosi chiamano uno “stato di eccezione”.

Ma lui ha dimostrato di ottenere risultati.

Non lo contesto, ma mettiamoci dalla parte di chi si trova su un barcone e rischia il naufragio. Anche i più individualisti vanno a coorte attorno al capo. È un semplice motivo di sopravvivenza. Meglio uno solo che comanda, piuttosto di tanti che cercano di farlo. Non è accaduto solo in Italia.

Ad esempio?

Ovunque è cresciuto il consenso verso governanti, capi mondiali, responsabili di un esecutivo, salvo i casi in cui qualcuno ha portato i propri cittadini a schiantarsi. Pensiamo che un anno fa il 65 per cento degli italiani era contrario all’Unione europea, oggi il 70 per cento è favorevole. Questo atteggiamento si è manifestato in ogni Paese europeo, perfino tra gli inglesi.

Torniamo al voto in Veneto.

Va interpretato come una Festa del Ringraziamento nei confronti di chi ha fatto il miracolo, visto che gli italiani se la sono cavata meglio di altri, francesi o spagnoli, per esempio. Si è trattato di un rito collettivo laico, una specie di ex voto.

Al seggio, come in chiesa?

Qualcosa del genere: gli elettori non hanno votato una parte politica, ma hanno manifestato l’adesione a una comunità che è scampata a un pericolo massimo.

Ma questo vale anche per gli altri governatori.

Infatti, prendiamo De Luca in Campania o Emiliano in Puglia, il loro risultato è molto simile a quello di Zaia. Il voto espresso al solo presidente testimonia proprio la riconoscenza verso chi li ha tirati fuori dal pericolo. Dirò di più….

Che cosa?

Si può leggere in questa chiave lo stesso referendum sul taglio dei parlamentari, che diventa una forma di ringraziamento al governo Conte. Altrimenti, perché tante persone sarebbero andate a votare dove non c’erano le elezioni regionali? Ricordiamo che il referendum di D’Alema arrivò al 34 per cento. Chi se la sarebbe sentita di non avere un governo per 4-5 mesi, in previsione di una nuova tempesta Covid?

Tutto ciò prescinde dai meriti di Zaia.

I meriti li ha avuti nella gestione dell’emergenza e la campagna elettorale si è giocata sul Covid. Non si è parlato d’altro. Il popolo, come fosse uscito da una guerra, ha voluto esprimere la propria riconoscenza per averlo salvato. Tutti hanno capito che non c’erano alternative al voto per Zaia. Con il ritorno alla normalità arriveranno risultati più divisivi.

I politici lo avevano capito?

L’unico a capirlo è stato Berlusconi. Salvini ha continuato a interpretare il ruolo classico dell’opposizione, e si è tagliato le gambe da solo. Come Renzi, che ha continuato a bombardare il governo.

Eppure Zaia ha dato una lettura ideologica del voto, dicendo che è un appoggio all’autonomia.

Ma cosa vuol dire autonoma? Assomiglia a quando il Pci parlava del “sol dell’avvenire”. È un’espressione che fa parte degli orizzonti mitici della politica.

Una lezione positiva dal Covid per la politica?

Per la prima volta, da 150 anni, abbiamo visto cos’è il vero federalismo. Il potere centrale e quello periferico hanno discusso, magari hanno fatto confusione, ma alla fine hanno deciso. E lo hanno fatto assieme.

Veleni e Cemento: il lato oscuro del Veneto

Nel nord-est dell’Italia c’è una terra meravigliosa, con le montagne più belle al mondo e le colline ricoperte di vigne dai grappoli d’oro. In quelle lande beate i cittadini vivono felici, amano chi li governa, lavorano operosi, hanno la burocrazia più efficiente, una sanità d’eccellenza e a tavola bevono il vino migliore. Inoltre, pagano meno tasse di tutti. Per chi non l’avesse riconosciuto, questo è il Veneto che zar Zaia III potrà continuare a governare indisturbato, grazie al potere assoluto conquistato alle Regionali. Ventiquattro seggi della lista “Zaia Presidente” e un autonomista leghista assicurano la maggioranza (su 50 consiglieri e il presidente). Potrà dire bellamente di no a Matteo Salvini e al centrodestra. Le opposizioni? Irrilevanti. Ma è davvero un paese di cuccagna, degno di una favola politica moderna, quello che anche i giornali locali amici del presidente (praticamente tutti) hanno cominciato a battezzare Zaiastan, come tributo genuflesso al nuovo satrapo in regime di democrazia? Non proprio. C’è un altro-Veneto, nascosto nelle pieghe delle cronache, che non diventa mai motivo di scandalo pubblico, pur avendo i titoli per esserlo.

1. Colline ai pesticidi È un vanto di Zaia il riconoscimento Unesco (2019) delle Colline del Prosecco quale patrimonio dell’umanità. Due giorni dopo c’era già la legge per gli “alberghi diffusi” tra le vigne, dove i pesticidi fanno fuggire gli abitanti verso la città, i coltivatori ricevono autorizzazioni per nuovi filari e i produttori litigano per spartirsi nome e mercato da un miliardo di euro.

2. Dolomiti ferite Altro vanto: i Mondiali di sci Cortina 2021 e Olimpiadi Milano-Cortina 2026, per “salvare le montagne”. Arriveranno fiumi di soldi. Ambientalisti sul piede di guerra: dal Giau alle Cinque Torri, fino alla Marmolada, si attuano progetti di nuovi impianti. Una devastazione. E sotto le Tofane hanno già spianato le piste.

3. Acque maledette Veneto a tolleranza zero con i Pfas? Peccato che i composti chimici fluorurati dalla Miteni di Trissino, nell’indifferenza degli enti pubblici, abbiano causato un colossale inquinamento della falda che interessa tre province (Vicenza, Verona, Padova), 72 mila residenti in “zona rossa” e altre 200 mila persone.

4. Calamità Zaia ne ha affrontate molte: Vaia, allagamenti, frane e acque alte. Ma i geologi di Sigea accusano: “In Veneto si risponde con logiche di Protezione Civile, soccorso e ripristino. Non basta per evitare che gli effetti si ripetano. Il Veneto è la regione più cementificata d’Italia e gli uffici regionali di salvaguardia geologica rischiano l’estinzione”.

5. Suolo divorato Il Veneto è “maglia nera” per consumo del suolo (785 ettari in più nel 2019, fonte Ispra) e Zaia ha ricevuto la simbolica “betoniera d’oro”. Lui: “Abbiamo approvato la legge (nel 2017, ndr) per il consumo zero, ma i capannoni sono un valore economico”.

6. Pedemontana infinita Zaia, appena eletto: “È merito nostro aver sbloccato la superstrada Pedemontana Veneta”. Il concessionario era senza soldi e la Regione nel 2017 ha sborsato 300 milioni, assumendosi i rischi economici se il traffico sarà scarso. Bagno di sangue previsto. Prima pietra nel 2011, una galleria di 7 km sotto sequestro, raccordo con la A4 dai tempi biblici. Il costo di 2,5 miliardi con il project financing sarà di 13 miliardi in 39 anni.

7. Strade e autostrade Gasato dall’elezione, Zaia ha annunciato: “Faremo l’autostrada del mare per Jesolo”. Altri miliardi e suolo mangiato. Il suo grande progetto è mettere le mani sulla rete autostradale del Nordest.

8. Pianura inquinata Il Veneto è una camera a gas. Il livello limite del Pm-10 viene superato in media 35 giorni all’anno, ma nelle città capoluogo si va dai 60 ai 71 giorni.

9. Il “regno bianco” C’è una continuità politica, anche se la Dc non è Forza Italia o la Lega. La “regione bianca” è stata amministrata (1995-2010) da Giancarlo Galan, dal 2010 al 2025 lo sarà dalla Lega. Zaia nel 2005 era il vice di Galan, dopo tre anni fece il ministro e passò il posto romano a Galan.

10. Scandalo Mose Zaia se ne chiama fuori, ma lo scandalo proliferò mentre lui stava in Regione con Galan e l’assessore Renato Chisso (arrestati).

11. Grandi Navi Non ha mai detto che devono andare fuori dalla Laguna, al massimo seguire percorsi alternativi, come il sindaco Luigi Brugnaro che vuole scavare i canali.

12. Banche amiche Quando Bankitalia ispezionò Veneto Banca, prima del crac, Zaia disse: “È dittatura finanziaria”. E 200 mila risparmiatori (con PopVicenza) finirono sul lastrico.

13. Sanità privata Il peso annuo del privato arriva a 2,8 miliardi di euro su 10, il 70% delle riabilitazioni è in mano al privato. Le lunghe attese spingono i cittadini a rivolgersi ai privati per esami a pagamento.

14. Citrobacter La tragedia dei 4 bambini morti a Verona (e 9 cerebrolesi) ha dimostrato le pecche dell’ospedale. Due anni dopo la Regione è stata informata dai giornali, non dalla catena di comando sanitaria.

15. Tasse Zero Un altro vanto di Zaia: “Veneto tax free, non metto le mani nelle tasche dei veneti”. In realtà pagano, visto che l’1,23% del reddito è fissato per legge. Il Veneto non ritocca al rialzo l’aliquota, come potrebbe. Ma non è l’unica regione. Nel 2020 i veneti pagheranno 847 milioni di Irpef.

16. Leggi bocciate Zaia si è vantato che il consiglio regionale legifera molto. Ma viene spesso bocciato. Il governo ricorre spesso per conflitti di attribuzione. I casi più clamorosi: l’obbligo di esporre la bandiera veneta sugli edifici statali e le corsie preferenziali per accedere ad asili e case di riposo.

17. Autonomia Lui la chiama “la madre di tutte le battaglie”, ma finora è il fiasco più grande. Il referendum è del 2017. Tre anni (e un governo amico) dopo, Zaia è ancora lì che aspetta.

“Entro Natale è necessaria una nuova legge elettorale”

Nel suo ultimo libro, La terapia dell’oblio, Paolo Mieli sostiene che oggi più che mai il ricordo del passato s’intreccia in modo dannoso con il presente. “S’intreccia cioè con quello in cui ‘crediamo’ nel momento in cui formuliamo le nostre ipotesi sul passato. Ma questo aggrovigliamento tra passato e presente ci intossica”.

Una delle più perniciose intossicazioni riguarda il fascismo: l’ultima vittima è Fausto Leali, espulso dal Grande Fratello. Perché Mussolini è nella sezione la “memoria riluttante”?

Fausto Leali è un cantante 75enne a cui è scappata una di quelle cose che si dicono al bar, “Mussolini ha fatto anche cose buone”. Un conto è quando una frase del genere viene scritta o detta in un contesto di riabilitazione del Fascismo – la famosa teoria secondo cui l’unico errore del Duce è stato entrare in guerra – altro è lasciarsi andare a una battuta. Non mi piace il tono inquisitorio: l’esperienza del Fascismo va studiata e basta. Sono allievo di Renzo De Felice, che passò un guaio per aver scritto un libro in cui analizzava la figura del Duce: fu tacciato di revisionismo, ingiustamente. Il criterio dello storico deve essere quello della libertà.

Ci fa un esempio?

Il Tribunale speciale fascista, istituito nel ’26 e attivo fino al ’43, emise una settantina di condanne a morte. Ne furono eseguite circa 60. Quando Hannah Arendt si è imbattuta in questi dati non ha potuto far altro che notare che quel volume di morti non era paragonabile a quello prodotto da analoghi tribunali di altri sistemi totalitari, come il nazismo e lo stalinismo. Io voglio vivere in un Paese libero di poter dire tutto, senza il timore di passare per ciò che non si è.

Quando parla della “resistenza scomoda” lei dice che c’è troppa “enfasi sulla memoria” accanto a “troppo poca Storia”.

È il punto centrale del libro. Io do grande importanza alla memoria, ma tengo presente che la memoria, individuale e collettiva, si autorappresenta sempre come portatrice del bene, enfatizzando tutte le informazioni che vanno nella direzione desiderata e minimizzando quelle di segno opposto. La Storia interviene a correggere le storture: non siamo stati affatto un Paese di partigiani e anche la vicenda della Resistenza ha conosciuto pagine buie. Ho trovato due libri – uno di Gad Lerner e Laura Gnocchi, l’altro di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli – molto coraggiosi nell’affrontare anche quelle pagine, pur essendo tutti gli autori convintissimi antifascisti.

Nel capitolo La memoria sbiadita di un anno decisivo, riporta un carteggio in cui Suso Cecchi d’Amico scrive al marito nel ’45: “Amore mio, sta per scoppiare il dopoguerra”.

È una frase perfetta per il tempo che stiamo vivendo: sta per scoppiare il dopo-Covid. Anche oggi come in ogni dopoguerra si dice “ora la vita ricomincia”. Ma sarà tutto diverso da come lo avevamo lasciato. In quella frase di Suso Cecchi c’è una grande intuizione: cioè che bisogna affrontare il futuro con categorie diverse. Le epidemie nella Storia cambiano il mondo, in negativo ma anche in positivo perché rompono schemi e gerarchie. Oggi pensiamo che saremo più poveri e affaticati economicamente, ma le vicende che seguono le grandi epidemie – dalla peste di Atene del V secolo a. C. a quella del Seicento raccontata dal Manzoni – ci dicono che la ripresa avverrà con una velocità inimmaginabile.

In agosto aveva detto che sentiva aria di elezioni anticipate e che il giorno dopo il voto la maggioranza avrebbe avuto “un brutto risveglio”. Ne è ancora convinto?

Questo Parlamento mi sembra spappolato, mi riesce difficile immaginare che arrivi alla fine della legislatura, in tempo per eleggere il successore di Mattarella. I partiti – dal M5S all’intero centrodestra – sono sull’orlo dell’implosione, faranno fatica a trovare una bussola. Cambierò idea solo se da qui a Natale le Camere riusciranno a votare una nuova legge elettorale insieme ai famosi correttivi necessari dopo la vittoria del Sì. Mi spiego: non andare a votare anticipatamente deve essere una scelta libera, non obbligata dall’assenza di una legge elettorale. Fare la riforma adesso sarebbe un gesto di estrema onestà e una dimostrazione di forza della maggioranza. Quanto al vizio di questi anni, cambiare la legge elettorale in continuazione, dipende dalla mancanza di legittimazione reciproca da parte delle forze politiche.

Maggioritario o proporzionale?

Maggioritario: oltre a eleggere il Parlamento dà un’indicazione su chi governerà.

Aveva anche detto “Sarà l’autunno più infernale di sempre”.

Questa me la rimangio: l’autunno infernale, nel senso di tumulti sociali, è differito. La strategia italiana di contrasto alla pandemia – fondata sull’elargizione di aiuti e sui controlli – sta continuando a funzionare. Non dimentichiamo però ciò che ci insegna la Storia: in queste situazioni, i conti si fanno alla fine.