L’Italia è l’unico Paese in Ue che non pone limiti alle concessioni

Buongiorno, lo scorso weekend sono stato in Versilia, dove le enormi spiagge sono totalmente appaltate ai privati, con eccezione di piccole aree di pochi metri. Ricordo che le spiagge sono beni demaniali pubblici, che restano fruibili da tutti liberamente e il servizio è dato dai Comuni in concessione ai privati, che però non ne diventano proprietari, ma devono consentire l’ingresso e la libera circolazione, anche oltre i 5 metri dalla battigia, come si legge in alcune assurde e sterili sentenze italiane. Quella degli stabilimenti privati è un’anomalia tutta nostra, che non si rinviene, salvo eccezioni, nel resto del mondo. Tutta la normativa è oggi di diretta derivazione comunitaria, eppure lo Stato italiano – del tutto illegittimamente – continua a emanare norme di favore, stabilendo proroghe per i concessionari e canoni irrisori, violando i principi comunitari. Come mai questa problematica viene ignorata dai mezzi di informazione e come mai cittadini e turisti non possano godere liberamente di beni che uno Stato di diritto dovrebbe assicurare loro?

Felice Iacobellis

Gentile Felice, siamo tra i pochi giornali ad aver sempre denunciato che l’Italia è l’unico Paese europeo che non pone un limite alle spiagge in concessione, che ormai hanno raggiunto il 50% del totale. I dati di alcune Regioni risultano impressionanti: in Liguria ed Emilia-Romagna quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari, in Campania il 67,7%, nelle Marche il 61,8%. E, addirittura, in Versilia solo il 10% degli arenili è libero e gratuito. Il problema è che questa anomalia, come la chiama lei, ruota intorno alla mancata attuazione della direttiva Bolkestein, che dal 2006 prevede la possibilità anche per gli operatori europei di partecipare ai bandi per l’assegnazione delle concessioni. Peccato che negli ultimi 14 anni nessun governo sia riuscito a farla entrare in vigore o abbia tentato di riordinare la qualità dell’offerta delle spiagge in concessione. Anzi, come abbiamo raccontato questa estate, nonostante anche la Ragioneria dello Stato abbia sollevato una “fortissima perplessità”, nel dl Rilancio è stata inserita la proroga delle concessioni al 2033. Insomma, restano i soliti enormi introiti per i gestori, spese sempre più alte per i clienti che noleggiano lettini e ombrelloni, e briciole per lo Stato.

Patrizia De Rubertis

Finita una consultazione, ne arriva subito un’altra. E il Pd è confuso sul voto

Notizie dal futuro. Siamo al testacoda della politica: oggi e domani il Paese voterà per approvare o bocciare la riduzione dei parlamentari da 600 a 4, tanti quanti sono i capigruppo dei partiti presenti in Parlamento (M5S, Pd, Lega d’Italia e Südtiroler Volkspartei). Una follia istituzionale, ma le urne si aprono e dobbiamo scegliere. Su questo referendum si è sviluppata una crescente mobilitazione per il No, espressione della società civile, contro chi, con le forbici brandite in piazza Montecitorio, festeggiava la riduzione dei parlamentari (“il taglio delle poltrone”): uno spettacolo indecoroso che ha alimentato una reazione in difesa della democrazia rappresentativa, contro chi vorrebbe ridurre il Parlamento ai pulsanti della scatoletta Rousseau, in nome di un abbattimento dei costi che, benché imponente, ha tutta l’aria di non essere definitivo, perché anche quattro parlamentari costano. Su questa riforma costituzionale si è poi sviluppato un dibattito trasversale, come spesso accade nelle scelte manichee. Divisi i costituzionalisti, divise le personalità della cultura, divise le forze politiche, a volte con un bizzarro rimescolamento di carte (il Pd un anno fa era contro, sei mesi dopo era a favore, ieri era di nuovo contro, fra mezz’ora chissà: citofonare Bettini). Come nel 2020, anche stavolta c’è chi strumentalizza il referendum pro o contro il governo. Con il taglio ci sarà un deputato ogni 15 milioni di abitanti: una diminuzione sensibile, che però, secondo il capo politico del M5S, Matteo Orfini, in fondo non si discosta molto dalla media degli altri paesi dell’Europa occidentale. Il taglio è stato invece molto criticato da diversi giuristi, secondo i quali non porterebbe solo a una riduzione numerica: “Avrà un effetto iper-selettivo, limitando sensibilmente la voce in Parlamento delle forze minori,” ha spiegato Giuseppe Zizzadoro, professore di Diritto costituzionale all’Università di Genova. “Meno parlamentari ci sono, meno i cittadini sono rappresentati.” Secondo alcuni opinionisti, invece, più cittadini per deputato significa più forza per ogni deputato. Infatti i dittatori sono fortissimi. Sono contrari alla riforma alcuni piccoli partiti, come i Radicali e Sinistra Italiana, ma non sono presenti in Parlamento, quindi che cazzo vogliono? È favorevole la Lega d’Italia: l’opposizione sosterrà dunque una riforma del governo. Matteo Renzi, da poco rieletto segretario del Pd, ha condizionato il Sì a una modifica della legge elettorale in senso presidenziale, con sbarramento al 15 per cento (che, allo stato attuale dei sondaggi, penalizzerebbe il Südtiroler Volkspartei). Gli argomenti a favore del Sì hanno a che fare innanzitutto con un risparmio economico per il bilancio dello Stato che sarebbe pari a circa 1 miliardo di euro all’anno. Nella presentazione della riforma si dice anche che l’obiettivo è favorire un miglioramento del processo decisionale della Camera. “Col taglio non c’è alcun rischio per la democrazia, il cui principale problema non è quello della scarsa rappresentatività, ma quello di una generale inefficacia di gestione”, ha detto l’edicolante di piazza Colonna, già direttore del Tempo. Se la riforma venisse approvata, l’Italia diventerebbe il Paese europeo con il Parlamento più piccolo in proporzione alla popolazione. Per i sostenitori del No, l’argomento economico non regge per un motivo sostanziale, riassunto nella formula coniata da Cuperlo che “la democrazia non ha prezzo: per tutto il resto c’è Mastercard”. Billy Costacurta voterà No: “Non voglio vedere Di Maio e Toninelli festeggiare anche stavolta.” Luigi e Danilo hanno già ordinato lo spumante.

 

I pareri

 

Alti e bassi Più che le idee politiche contano le insofferenze personali

Nella politica come intrattenimento, i litigi tra i 5Stelle fanno sempre meno ascolto. Ne facevano molto di più prima, quando chi li odiava sperava che fosse l’inizio della loro fine, mentre chi li apprezzava li vedeva avviati verso la fase adulta della politica. Poiché passano gli anni e il M5S non cresce e neppure finisce, leggere sui giornali l’eterno titolo “caos 5 stelle” procura un leggero sbadiglio. Non parliamo poi della immancabile suddivisione tra “governisti” (Di Maio) e “movimentisti” (Di Battista), nella quale è difficile raccapezzarsi. Dubitiamo infatti che la tanto evocata scissione possa avvenire sul controverso, e al momento non indispensabile, patto politico con il Pd. Meno che mai sull’intenzione, suicida, di far cadere il governo Conte. Ci sembrano invece pesare, ogni giorno di più, le insofferenze personali, le gelosie, le ruggini, le frustrazioni che inevitabilmente si sono accumulate tra chi è salito e chi no. La divisione tra una maggioranza e una minoranza è nelle cose. I famosi Stati generali dovrebbero soltanto sancirla.

Antonio Padellaro

 

Regionali. Gli elettori hanno chiesto di dialogare con il centrosinistra

Lo scenario 5 Stelle è chiaro. Da una parte il disagio, dall’altra il futuro. Esisterà sempre una frangia adolescenzial-puerile di duri&puri, convinti che il mondo attenda il loro Verbo. Le Lezzi, le Laricchia. Gente che politicamente non ha voti e fa solo danni, rimasta al livello comico di “massimalisti queruli” come alle assemblee studentesche. Poi ci sono quelli che vogliono dialogare col centrosinistra, non per annacquarsi, ma per condizionarsi reciprocamente (e positivamente). Nel tentativo di creare quel “nuovo campo progressista” di cui parla Bersani. L’elettorato di sinistra e M5S lo ha detto chiaramente alle Regionali: “Provateci!”. Tutto tranne la destra. Gli Stati generali saranno guerra e sangue. Alcuni giuggioloni non ci staranno e fonderanno il Pti, Partito Talebani Italiani, pronti per un successo paragonabile a Renzi in Veneto (o a Renzi in generale). Auguri. L’unica strada è rafforzare il percorso a oggi incarnato da Conte. Tutto il resto è masturbazione politica.

Andrea Scanzi

 

Unità è un processo di crescita, bene che ci siano posizioni diverse

Nei 5Stelle vedo un processo di crescita a cui loro stessi si sono esposti quando hanno deciso di andare al governo. E non poteva che essere un processo pesante, sanguinoso, doloroso. Ma è normale, è successo a tutti i partiti “radicali” che hanno provato esperienze di governo. Questo non significherà certo la fine del Movimento, che semmai è qualcosa di ancor più forte di un partito, una sorta di trend, di cultura che ha già inciso nel Paese. Questo non è fatto per disperdersi, ci sarà una fase che io ritengo necessaria come il passaggio dai 15 ai 20 anni. Ci saranno strappi e ricongiungimenti, persone che faranno in tempo a stare insieme e poi a odiarsi. Nei partiti c’è un momento per tutto e le fasi cambiano: a me sembra sintomo di vitalità, non di morte. Ora tutti ce l’hanno con Di Battista, ma dobbiamo chiederci come sarebbe il dibattito interno senza di lui. Voci differenti arricchiscono il Movimento e credo che possa restare unito, tenendo insieme posizioni diverse.

Lucia Annunziata

Becciu paga i guai londinesi Il Papa caccia il Cardinale

Èsuccesso solo tre volte negli ultimi due secoli, che un cardinale della Chiesa cattolica fosse degradato e privato della porpora. È accaduto ieri sera a Giovanni Angelo Becciu, che dopo un’udienza con papa Francesco – definita “choc” – ha dovuto dimettersi da cardinale e da prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Il bollettino della sala stampa vaticana lo ha comunicato così: “Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di prefetto della Congregazione delle cause dei santi e dai diritti connessi al cardinalato, presentata da Sua Eminenza il cardinale Giovanni Angelo Becciu”.

Lo hanno schiacciato gli affari opachi, gli investimenti azzardati e i rapporti compromettenti realizzati nel suo ruolo di sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato vaticana. Lo aveva nominato, nel maggio 2011, papa Benedetto XVI; nell’agosto 2013 lo aveva riconfermato papa Francesco. Poi è arrivata l’inchiesta dei promotori di giustizia Giampiero Milano e Alessandro Diddi, che esercitano l’accusa penale in Vaticano, in maniera omologa a ciò che fanno le Procure italiane. Hanno scartabellato i conti e gli investimenti realizzati con soldi della Santa Sede e dell’Obolo di San Pietro. Hanno ricostruito le piste che portano a Londra, all’ormai famoso palazzo in Sloane Avenue dove sono finiti, a partire dal 2014, molti milioni di euro provenienti dal Vaticano. A fare gli investimenti, immobiliari e finanziari, era un finanziere italiano con base a Londra, Raffaele Mincione, poi sostituito, nel novembre 2018, da un altro finanziere italiano, Gianluigi Torzi. I pm del papa hanno trovato perdite milionarie e hanno avanzato accuse, contestate a vario titolo, per reati come estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio. Tra gli indagati, due responsabili dell’amministrazione vaticana, monsignor Alberto Perlasca e Fabrizio Tirabassi. Sospesi cinque funzionari, tra cui il direttore dell’Aif (l’autorità antiriciclaggio vaticana) Tommaso Di Ruzza e monsignor Mauro Carlino, il segretario di Becciu.

Indagati anche i due finanzieri coinvolti. Torzi è stato addirittura arrestato ed è rimasto chiuso per una decina di giorni nella cella vaticana con vista su San Pietro. Mincione ha subìto, il 15 luglio, il sequestro di cellulari, computer e tablet. Forse è dall’analisi di quel materiale informatico e delle comunicazioni tra Becciu e Mincione che discende la rabbia di papa Francesco e la sua decisione di “degradare” il cardinale, che era già stato sostituito, agli Affari generali della Segreteria di Stato, da monsignor Edgar Peña Parra. Mincione e Torzi si rimpallano le responsabilità, ma i promotori di giustizia accusano entrambi di aver fatto sparire centinaia di milioni vaticani. Finiti nel palazzo di Londra, ma anche in titoli di società in cui Mincione aveva interessi diretti (Bpm, Carige, Fiber, Retelit…). Becciu non replica. Solo una battuta all’Adnkronos: “Preferisco il silenzio”. Non molto più loquace l’anti-Bergoglio monsignor Carlo Viganò: “Mi dispiace. Pregherò per lui”.

Esame farsa di Suárez, così il braccio destro di Andrea Agnelli ha agganciato l’università

Il caso Suárez e la successiva inchiesta di Perugia sull’esame farlocco che avrebbe consentito al calciatore di ottenere la cittadina italiana, per poi essere tesserato dalla Juventus, nasce con una telefonata che la Procura non ha mai intercettato. È quella tra Federico Cherubini, il vice direttore sportivo bianconero, e il rettore dell’università statale di Perugia, Maurizio Oliviero.

È Cherubini a contattare Oliviero per chiedergli se Luis Suárez potesse sostenere l’esame d’italiano nella sua università. Il rettore gli spiega che l’esame deve essere sostenuto nell’università per stranieri, il cui direttore è Simone Olivieri, mentre la rettrice è Giuliana Grego Bolli. E passa a Cherubini i contatti per prendere informazioni e avviare la pratica.

Le telefonate tra Cherubini e Oliviero sono tre. Nella seconda è il rettore a chiamare Cherubini perché s’è sparsa la voce – ne scrivono già i giornali – che Suárez sosterrà l’esame a Perugia e Oliviero gli chiede quale atteggiamento tenere. La risposta, in perfetto stile Juve, è mantenere il più basso profilo possibile. Nella terza, infine, Cherubini chiama Oliviero per ringraziarlo. Nessuna delle tre telefonate è stata intercettata e né Cherubini né Oliviero sono indagati. “Il mio ruolo nella vicenda si è limitato a mettere in contatto il club calcistico con l’Università per stranieri di Perugia” ha spiegato ieri Oliviero. Fonti juventine confermano le conversazioni tra i due specificando che la telefonata in questione si limitava a una richiesta di informazioni sull’esame: Oliviero fornì i contatti dell’università per stranieri che furono poi girati agli avvocati Luigi Chiappero e Maria Turco, entrambi storicamente legati alla società bianconera, e allo staff del calciatore.

Il 17 settembre Suárez intorno alle 16 si presenta per la prova d’italiano. Il suo esame inizia con queste parole: “Mi chiamo Luis Alberto Suárez Diaz e sono uruguaiano”. Poi descrive alcune immagini e parla di Torino, di un cocomero e della famiglia. Gli investigatori della Gdf durante le perquisizioni hanno trovato il documento pdf della prova d’esame spedito al calciatore. Olivieri e Grego Bolli sono indagati con l’accusa di corruzione: l’utilità che si sarebbe potuta ottenere era rappresentata da altre iscrizioni a corsi e prove d’esame da parte di calciatori legati alla Juve. Se Olivieri e Grego Bolli sono i presunti corrotti, gli inquirenti cercano però ancora il presunto corruttore. Gli avvocati Chiappero e Turco saranno sentiti oggi dalla Procura di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, come persone informate sui fatti.

Scuola, consegnati 135 milioni di gel e mascherine

Sono 135 milioni le mascherine chirurgiche e 602 mila i litri di gel igienizzante che il commissario straordinario per l’emergenza Covid ha distribuito nei 18.936 istituti scolastici italiani fino al a16 settembre. Nel dettaglio, si tratta in media di 9,5 milioni di mascherine al giorno per adulti e ragazzi e 1,7 milioni per bambini. Sul sito della Presidenza del Consiglio e su quelli dell’Istruzione e della Salute è possibile conoscere, istituto per istituto, la fornitura di materiali e dispositivi che verranno consegnati gratuitamente per l’intero anno scolastico per continuare a garantire lo svolgimento dell’anno scolastico con il massimo livello di sicurezza. I dati verranno aggiornati ogni 48 ore. “Cittadini, genitori e studenti potranno informarsi direttamente consultando il sistema, che si è deciso di rendere pubblico, mettendo finalmente fine alle informazioni frammentarie, e qualche volta strumentalmente inesatte, che sono state diffuse nei giorni scorsi”, ha commentato il commissario Arcuri.

Ex Ilva, incontro Morselli-sindacati Usb lascia il tavolo

“Un atteggiamento arrogante, sprezzante e vergognoso di chi continua a giocare con la vita delle persone”. Così Franco Rizzo, segretario dell’Usb di Taranto, ha definito il comportamento di Lucia Morselli, ad di Arcelor Mittal che ieri mattina ha incontrato le quattro sigle sindacali (Fim, Fiom, Uilm e Usb) dopo le numerose denunce sulla mancata sicurezza negli degli impianti. Ma durante l’incontro l’Usb ha deciso di abbandonare il tavolo. La Morselli, infatti, dopo essere entrata nella sala riunioni con una borsa sulla quale era scritto “non disturbare sto salvando il mondo”, avrebbe letto il giornale mentre i rappresentanti dei lavoratori esponevano le gravi situazioni che ogni giorni vivono gli operai in una fabbrica nella quale oltre alla mancanza di manutenzioni, ora si aggiunge anche un’ulteriore riduzione del personale a causa della chiusura di altri reparti. Intanto da oggi l’azienda incontrerà le Rsu dei reparti “Manutenzioni centrali”, le due Acciaierie, i due Treni Nastri e l’Area Altiforni.

Processo Gregoretti, l’autodifesa di Salvini: “Stavano tutti bene”. E ritira fuori Palamara

Sono stati trattati con i guanti bianchi. E ora, invece, a causa di quegli ingrati, rischia una condanna pesante. Mentre si avvicina il 3 ottobre, quando si aprirà il processo di fronte al Tribunale di Catania che lo accusa di sequestro di persona per aver trattenuto a bordo illegittimamente i migranti soccorsi dalla Nave Gregoretti, l’ex inquilino del Viminale, Matteo Salvini si difende come può: “A tutti erano forniti colazione, pranzo e cena. Tre pasti al giorno più la disponibilità di un kit di igiene personale e di un punto acqua appositamente allestito per il refrigerio” ha scritto nella memoria depositata agli atti del procedimento sugli eventi di quel luglio del 2019. In cui rivela “l’anomalo ritrovamento di un dispositivo che induceva a ritenere che a bordo fossero presenti degli scafisti”. Il riferimento è a un Gps, “occultato in uno zainetto, verosimilmente impiegato a scopo di orientamento in mare”. Per Salvini che, a suo dire, avrebbe operato nell’interesse nazionale e a tutela della sicurezza pubblica, nessuno venne comunque messo a rischio a causa delle decisioni prese quando era ministro dell’Interno: i 135 migranti erano “dislocati su un ponte di 400 mq” e, almeno stando alla sua ricostruzione, godevano tutti in buona salute: “La situazione sanitaria non presentava condizioni particolari”. Nessun pericolo e massima assistenza per tutti in quei cinque giorni, tra 27 e il 31 luglio di un anno fa, che furono lo stretto necessario per concordare con altri Paesi europei il loro trasferimento. Un’attesa “giustificata dal legittimo svolgimento di una fase interna al procedimento di accoglienza dei cittadini di paesi terzi nell’ambito dell’Unione europea” su cui era impegnato il governo Conte I.

“È surreale dover subire un processo penale esclusivamente per aver adempiuto il mio dovere di ministro, in linea con il programma di governo che godeva della fiducia del Parlamento e prima ancora dei cittadini”, ha scritto Salvini che dice di confidare “senza timore, nel giudizio della Magistratura”. A cui però riserva un siluro. “Non potrà sfuggire, tuttavia, che tale fiducia vacilla al cospetto delle notizie sugli intendimenti di alcuni importanti magistrati italiani, per quanto emerso e riportato dai media con riferimento al procedimento pendente a Perugia a carico del dott. Luca Palamara, ex componente togato del Consiglio Superiore della Magistratura”.

La caccia ai 49 milioni arriva a Bondeno

Una pista che porta a Bondeno, 14mila anime in provincia di Ferrara, primo comune in Emilia-Romagna governato dalla Lega. La città natale del salviniano Alan Fabbri, che l’ha amministrata dal 2009 al 2015, ieri ha aperto le porte alla Guardia di finanza di Genova. Su mandato del procuratore aggiunto del capoluogo ligure, Francesco Pinto, le Fiamme gialle si sono presentate di fronte all’attuale sindaco Simone Saletti (leghista anche lui) con una richiesta di esibizione di documenti nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio sui 49 milioni di euro.

Una verifica su una donazione specifica: 900mila euro arrivati nelle casse del Comune ferrarese dopo uno strano giro. Soldi partiti da un conto corrente della Lega Nord presso Banca Aletti, approdati su quello della sezione emiliano-romagnola del Carroccio, e da questo trasferiti sotto forma di donazione al piccolo comune all’epoca amministrato da un giovanissimo Fabbri.

Quella donazione, secondo la Procura di Genova, potrebbe essere servita per riciclare parte dei 49 milioni di euro ottenuti dalla Lega falsificando i bilanci (motivo per cui, con sentenza confermata della Cassazione, ne è stata disposta la confisca).

La girandola di bonifici che porta a Bondeno è avvenuta subito dopo il terremoto che all’inizio del 2012 colpì duramente la cittadina. Pochi mesi dopo il sisma, la Lega Nord fu travolta dagli scandali finanziari del suo fondatore, Umberto Bossi, e dell’allora tesoriere Francesco Belsito. Gli investimenti in Tanzania e a Cipro, la laurea di Renzo in Albania, le multe dell’altro figlio Riccardo: tutto pagato con i soldi del partito. Il Senatur finì sotto il fuoco amico di Roberto Maroni, che nominò tesoriere Stefano Stefani e amministrò il Carroccio fino al dicembre del 2013, quando Salvini fu eletto segretario federale. È proprio nel 2013 che è arrivata la donazione al Comune di Bondeno.

I documenti acquisiti ieri dai finanzieri dovrebbero permettere di capire qualcosa in più sull’origine di quei 900mila euro. Soldi che ieri la Lega ha detto di aver donato all’amministrazione Fabbri per costruire una scuola antisismica dopo terremoto.

La pista emiliano-romagnola si unisce a quelle che la Procura di Genova segue già da tempo per capire che fine hanno fatto i 49 milioni di euro spariti dai conti del Carroccio. Salvini continua a ripetere che quei soldi non ci sono più perché, semplicemente, sono stati spesi per attività politica. Gli investigatori evidentemente non ne sono convinti.

Gli indizi raccolti finora hanno portato a iscrivere nel registro degli indagati Stefano Bruno Galli, attuale assessore leghista della Regione Lombardia ed ex presidente dell’Associazione Maroni Presidente. Per l’accusa, questa associazione sarebbe stata utilizzata, fra il 2013 e il 2018, per riciclare 450mila euro dei 49 milioni della truffa. Soldi, secondo gli investigatori, usciti dalle casse della Lega prima del sequestro, finiti sui conti dell’Associazione Maroni Presidente e tornati nelle disponibilità del Carroccio attraverso un giro di fatture false. Uno schema che sembrerebbe essere non molto diverso, almeno sulla carta, a quello di Bondeno.

Conto svizzero di Fontana. Perquisito il commercialista

Non solo camici, l’inchiesta milanese che vede indagato il presidente della Regione, Attilio Fontana, accelera sul fronte del conto svizzero del governatore. Ieri la Guardia di finanza è andata dal commercialista di Varese che ha curato le procedure per la Voluntary disclosure fatta da Fontana nel 2015 per scudare un’eredità della madre di circa 5 milioni di euro fino a quel momento schermati dietro a due trust di Nassau. L’acquisizione presso terzi ha riguardato le dichiarazioni dei redditi e tutti gli allegati alla voluntary. Nel mirino della Procura ci sono alcuni movimenti definiti “interessanti” avvenuti a ridosso dello scudo fiscale effettuato tra il 2015 e il 2016. Al momento non vi è un nuovo titolo di reato. Oltre ai soldi, c’è poi l’affare dei camici i cui retroscena sono immortalati in alcune chat messe agli atti dell’indagine e il cui contenuto ha portato, sempre ieri, all’acquisizione della messaggistica dei cellulari di altri protagonisti della vicenda. Nel decreto si parla di “un diffuso coinvolgimento di Fontana”. Il 16 aprile la Centrale acquisti di Regione Lombardia (Aria) affida alla Dama, azienda di Andrea Dini, cognato del presidente Attilio Fontana, una fornitura di 75mila camici per 513mila euro. In quei giorni, Andrea Dini scrive un sms alla sorella Roberta, nonché moglie di Fontana. I contenuti del telefonino di Andrea Dini sono noti alla Procura dallo scorso luglio.

Dini avverte la sorella di aver ricevuto l’affidamento da Aria per la commessa, ma spiega che questa cosa non la scriverà ad Attilio. Roberta Dini risponde che ha fatto bene. Il contenuto della chat emerge dagli atti dell’indagine dove Dini e Fontana sono indagati per frode in pubbliche forniture.

Da una seconda chat tra Andrea Dini e un dirigente della Dama, definita dagli investigatori “interessante”, si comprende che la società si occupa anche di fabbricare mascherine. In questo messaggio, inviato il 21 aprile, Dini spiega che bisognerà dare quante più mascherine possibili in donazione, perché così nessuno potrà avere da ridire sulla vicenda dei camici a causa del cognato. Questo, stando alla ricostruzione dei pm, è un secondo passaggio importante che dimostrerebbe la consapevolezza del conflitto d’interessi. Con questi elementi in mano ieri la Procura ha disposto diverse acquisizioni dei contenuti dei cellulari di molti protagonisti della vicenda, alcuni non indagati. Tra i non indagati c’è anche Roberta Dini, moglie di Fontana, che detiene il 10% di Dama attraverso la società Divadue. Oltre al suo smartphone, la Guardia di Finanza ha acquisito i dati del telefono di Giulia Martinelli, capo segreteria di Fontana, ed ex compagna di Matteo Salvini. Le acquisizioni hanno riguardato anche Davide Caparini (non indagato), assessore regionale al Bilancio.

Dalle chat tra Andrea e Roberta Dini emergono, infatti, contatti ben prima del 16 aprile tra la moglie di Fontana e Caparini. Sarà l’assessore, secondo gli atti, ad avvertire Roberta Dini che la Regione cerca camici per l’emergenza Covid e di parlarne con l’assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, che in quel momento coordina gli approvvigionamenti per i dispositivi di protezione. Anche a Cattaneo, che non è indagato, è stata fatta copia del cellulare.

A metà maggio, la trasmissione Report intervista Fontana sull’emergenza Covid. In quel momento tutto cambia. Fontana, emerge dalle chat tra Andrea e Roberta Dini, impone di trasformare la fornitura in donazione, provando a risarcire il cognato con un bonifico di 250mila euro dal suo conto svizzero. Altro elemento immortalato dalle chat. In una, Dini si dice contrario anche perché non avrebbe potuto fare la fattura. Oltre a questo dai messaggi emerge un ruolo operativo di Roberta Dini nella gestione dell’azienda. In quel periodo Dama naviga in cattive acque. Le due collezioni del 2020 sono ormai perse a causa della pandemia e si inizia a pensare a licenziamenti. Il 15 maggio, dopo lo stop del marito, Roberta Dini ordina al fratello di prendere il camion e andare a riprendersi i camici appena consegnati ad Aria (circa 6mila di un’ultima tranche di un totale di 49mila su una fornitura complessiva di 75mila). Durante la vicenda Dama si ritrova senza tessuti per fare i camici. In aiuto arriva Cattaneo. L’assessore chiede a un’azienda di indirizzare qualche stock anche alla Dama. Richiesta che al momento per i pm non configura alcuna ipotesi di reato.