Brignano. Lo sketch sulle mogli dei parlamentari è solo sessista

 

Gentile redazione, martedì su Rai2 ho assistito allo spettacolo di Enrico Brignano Un’ora sola vi vorrei. Molto divertente, a parte uno scivolone sulle donne, a mio avviso imperdonabile. Nel suo sketch sul referendum, il comico ha dato la colpa della nuova legge sul taglio dei parlamentari alle mogli dei parlamentari stessi, inorridite per la decurtazione dello stipendio dei mariti (e perciò, meglio tagliare le poltrone piuttosto che gli emolumenti…). Tali mogli – nella battuta di Brignano – si sarebbero lamentate perché mai e poi mai avrebbero potuto rinunciare all’estetista, ai massaggi e alle borse firmate acquistate con i lauti stipendi da parlamentare dei consorti. Ma stiamo scherzando? Ma che idea di donne ha Brignano? Mantenute lamentose? Sciure superficiali e frivole che pensano solo alle unghie e alla cellulite, oltretutto a spese del coniuge? Non mi reputo affatto una femminista, ma questo quadretto mi disgusta, e oltretutto credo che sia falso, pur nel nostro Paese retrogrado. Voi che dite? Grazie.

Laila Pezzani

 

Gentile signora Pezzani, le dirò di più: dalle parole di Brignano non si deduce soltanto l’ancestrale e trito schema del peccato originale. È tutta colpa di Eva se Adamo mangia la mela. Da cui, nel 2020: è tutta colpa delle mogli se abbiamo ridotto il numero dei parlamentari. Ma quello che lei definisce un comico – la regia in effetti ha inquadrato addirittura una donna che se la rideva alla sua battuta – va oltre, e ricaccia dal suo retrocervello, quello che precede la ragione, un concetto ancora più primitivo: in Parlamento decidono solo gli uomini, d’altronde nelle Camere siedono solo 339 donne. Le altre mogli (cosa sennò) sono a casa o, al massimo, dall’estetista o, se proprio qualcuno le ha viste avventurarsi, a comprare una costosissima borsetta, in cui mettere al riparo i denari guadagnati, senza alcuna fatica, da quei “fregnoni” dei mariti parlamentari. “Fregnoni” sì, ma parlamentari. Stereotipi a parte, pur appurata la trivialità del programma – d’altronde il monologo si chiude con lui che giura alla moglie di non aver visto ballerine – si tratta pur sempre della prima serata di Rai2. Proporrei per la settimana prossima un adattamento de “Le donne in Parlamento” di Aristofane (392 a. C.) che si conclude con: “Tempo è, su, se volete, donne care, occuparvi dell’affare, d’ire a pranzo”. Ma chissà se potremmo vederlo, d’altronde il telecomando spetta all’uomo.

Alessia Grossi

L’antinfluenzale non sarà per tutti

Caos influenza-Covid. Abbiamo ascoltato gli inviti delle autorità sanitarie a procedere a una vaccinazione di massa contro l’influenza stagionale. Contenere il numero di pazienti con sintomi influenzali, si traduce nella riduzione del ricorso, ai primi sintomi, alla diagnosi di chi teme il Covid e al conseguente affollamento di pronto soccorso e ambulatori. Almeno questa volta, a esclusione dei soliti no-vax, siamo stati tutti d’accordo.

Sembrava filare tutto liscio. Anche la popolazione sembrava mostrare più consapevolezza e senso di responsabilità. Addirittura alcuni farmacisti hanno riferito di aver ricevuto prenotazioni private sin da agosto. Che bello, finalmente in Italia fiducia nelle istituzioni e nella medicina. Sembrava di vivere in Svezia, dove non è necessario emanare decreti per imporre comportamenti, intimando penalità, ma basta consigliare e tutti si adeguano. Ebbene, le Regioni, cui compete la campagna vaccinale, non hanno tenuto conto di un piccolo particolare. Per vaccinarsi serve il vaccino. E il vaccino va ordinato (in tempo) in dosi sufficienti. Le previsioni e gli ordini andavano fatti a marzo-aprile perché tutto fosse pronto a settembre-ottobre.

Non è stato così. Ogni Regione ha fatto le previsioni più disparate. Quasi tutte sono in carenza. Per assurdo, viviamo in un Paese nel quale il ministro della Salute ha ordinato dosi del vaccino anti-Covid che ancora non c’è (per una volta siamo “avanti”) e le Regioni non sono riuscite a fare ordini sufficienti per un’inevitabile epidemia stagionale.

I farmacisti sono, a dir poco, arrabbiati, saranno assaliti da richieste che non potranno soddisfare, poiché la conferenza Stato-Regioni ha chiuso l’intesa sulle quote delle dosi dei vaccini influenzali da destinare al sistema territoriale, fissando all’1,5% quella per i privati, ossia circa 250 mila dosi, mentre per Federfarma e Assofarma ne servono tra 1,2 e 1,5 milioni. direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

La Telefonata Conte-Salvini: È il momento

“Conte sappia che il mio cellulare è sempre acceso”, ha risposto Matteo Salvini nello speciale elezioni del Tg1 a una domanda che non gli avevamo fatto. Un messaggio che il premier forse attendeva visto che meno di un mese fa, alla festa del Fatto Quotidiano, intervistato sui rapporti con la destra, aveva detto che mentre con Giorgia Meloni c’era una qualche interlocuzione, il leader della Lega non rispondeva al telefono. Ripristinati, si spera, i collegamenti in remoto, vedremo se accantonate le battaglie elettorali, governo e opposizione troveranno il modo di parlarsi, e magari di concordare qualcosa di utile per gli italiani. Sarebbe cosa buona, giusta e opportuna per almeno tre motivi.

1. Nelle elezioni ai tempi del Covid, i cittadini hanno confermato, e accresciuto la fiducia in quei presidenti di Regione che si sono dimostrati particolarmente attivi ed efficaci nel contrastare il virus nella fase più drammatica della pandemia. Come dimostrano le sonanti affermazioni di Luca Zaia nel Veneto, di Vincenzo De Luca in Campania, di Michele Emiliano in Puglia. Poiché purtroppo il virus non è affatto debellato, e l’emergenza economica incombe come una nube plumbea sulle nostre teste, gli elettori hanno decisamente preferito la stabilità alla propaganda. Risultato di cui ha tratto vantaggio anche il governo giallorosa che adesso, senza più temere spallate o ribaltoni, potrà affrontare con energia, e senza più alibi, la madre (e il padre) di tutte le battaglie: la salute e il portafoglio (copyright, Alessandra Ghisleri).

2. La sconfitta politica di Salvini è figlia della sua arroganza, di quei pieni poteri che non avrà, del tramonto della stagione sovranista (rispetto alle Europee dello scorso anno, domenica il Carroccio ha perso quasi un milione di voti). Purtuttavia, lui e la Meloni non hanno torto quando fanno valere il peso delle 15 Regioni governate dal centrodestra, mentre il centrosinistra ne ha soltanto cinque. Un’opposizione di destra che rischia di essere maggioranza nel Paese e conquista un così vasto potere locale (egemone nel Nord industriale), non può essere considerata un incidente della storia. Bisogna parlarci e farci i conti.

3. Conte ha l’occasione ideale per mettere alla prova le reali intenzioni di dialogo della controparte. O per dimostrare il bluff. Salvini ha elencato ieri sul Corriere della Sera tre possibili terreni di confronto col governo: “Un piano di sostegno alle aziende vero, un piano di riapertura delle scuole vero, un piano della sicurezza vero”. Crediamo che su quest’ultimo punto sarà difficile trovare un accordo, nel momento in cui il Pd di Zingaretti sollecita nuove leggi sulla sicurezza (e gli sbarchi) in sostituzione dei decreti salviniani. In ogni caso: il presidente del Consiglio ha intenzione o no di comporre il numero di Salvini? (sempre che qualcuno risponda).

“Via quelle donne: ci deprezzano le case”

“Quelle donne qui non ce le vuole nessuno”. La frase è stata pronunciata all’ingresso di una palazzina signorile di Roma Nord, in via Cassia. Se l’è sentita dire in faccia Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, la presidente di Telefono Rosa, l’associazione che si prende cura delle vittime di violenza.

Il bel villino, con giardino verde e piscina comune, è stato selezionato per accogliere cinque mamme e i loro figli. Persone con la vita incrinata da uomini e mariti violenti, donne piegate da esperienze drammatiche. In quella casa dovrebbero ripartire, provare a ricostruirsi un’esistenza decente. Invece qualcuno non vuole: i condomini che già abitano in quel palazzo hanno altre priorità. “Con queste persone si deprezza il valore dell’immobile”, è l’argomento che si è sentita ripetere Maria Gabriella, sbigottita, quando è andata a visitare le abitazioni. “Non sappiamo chi volete portare in casa nostra. Nessuno vuole che i suoi figli si mescolino ad altri bambini che vengono da quelle situazioni”. Discorsi da far accapponare la pelle, in una delle zone più ricche della città.

La palazzina della Cassia è una delle tre case che sono state inserite nell’ultimo bando del Comune di Roma e della Regione Lazio per essere assegnate a progetti sociali. Quando lo Stato fa il suo lavoro e si prende cura dei più fragili bisognerebbe esserne orgogliosi. Qualcuno invece è terrorizzato dall’idea di contaminarsi con persone che devono sembrargli tanto marginali.

Non è la prima volta che succede, a Roma. Già a febbraio una palazzina era entrata in agitazione dopo esser stata selezionata come casa rifugio del Telefono Rosa. Stavolta ai Parioli, di nuovo un quartiere alto-borghese della città. Anche qui un gruppo di abbienti condomini si è rifiutato all’idea di “sporcarsi” con le donne vittime di violenza e i loro figli. Si tratta di un palazzo, quello dei Parioli, sequestrato alla criminalità organizzata e destinato all’utilità sociale.

“Ho chiesto a uno dei condomini se preferissero avere dei mafiosi come vicini”, racconta Maria Gabriella. “Mi ha risposto così: almeno quelli ci facevano divertire”. Un livello di ferocia che pare uscito dalle Favolacce dei D’Innocenzo. Malgrado le resistenze degli “indigeni”, nove mamme sono state accolte insieme ai loro bambini nella casa dei Parioli. La convivenza non è idilliaca, i condomini si lamentano: “Le donne stendono i loro panni in terrazzo”. C’è da capirli: è un costume davvero poco elegante.

Non è questione di etnia: tra le donne assistite ci sono italiane e straniere. Non è questione di reddito: “C’è una dirigente di un’azienda pubblica, una ragazza con un ruolo di prestigio, un’educazione e un’intelligenza rare”, spiega la presidente di Telefono Rosa. Non è questione culturale: ci sono laureate e non, c’è anche una maestra elementare. È questione di pura umanità.

Suárez e l’esame farlocco “La Juventus ha fretta”

Che all’esame di Luis Suárez fosse interessato Fabio Paratici, il direttore sportivo della Juventus, lo sosteneva al telefono il direttore dell’università per gli stranieri di Perugia, Cosimo Olivieri. A riferirglielo, sosteneva sempre Olivieri, era stato una figura istituzionale di Perugia, legata al mondo universitario, che si sarebbe fatta tramite per il contatto tra il calciatore e l’ateneo umbro.

Ed è proprio da qui che parte l’inchiesta perugina che svelato l’esame farlocco di Suárez che, superando la prova d’italiano, preparata in appena 4 giorni, puntava a ottenere la cittadinanza e il tesseramento con la società bianconera. Nelle intercettazioni dei vertici dell’università, non a caso, c’è chi dice senza mezze misure: “La Juve ha fretta”. Da ambienti bianconeri si respinge al mittente la tesi emersa dall’intercettazione: Paratici, ovviamente interessato all’acquisto di Suárez, mai ha contattato qualcuno o s’è interessato al suo esame.

Peraltro, si precisa, alcuni giorni prima della prova d’italiano, avendo compreso che comunque l’iter burocratico per la cittadinanza si sarebbe concluso dopo il 6 ottobre, quindi oltre i termini previsti dalla Uefa per il mercato, era stato comunicato al giocatore del Barcellona, e anche ai giornalisti, che l’affare non si sarebbe potuto concludere. Fin qui le argomentazioni che giungono dagli ambienti bianconeri. Le argomentazioni della Procura si possono invece sintetizzare in due parole: cercasi corruttore. Chi ha spinto i vertici dell’università e l’esaminatore a promuovere Suárez organizzando un esame farlocco? È quello che – anche con l’analisi di telefoni e computer degli indagati – sta cercando di comprendere la Procura guidata da Raffaele Cantone, nell’inchiesta condotta dai pm Paolo Abbritti e Gianpaolo Mocetti, affidata al Nucleo di polizia economica e finanziaria della Gdf di Perugia.

Per gli inquirenti la cornice è chiara – si tratta di corruzione – ma il quadro è incompleto. C’è il presunto corrotto: il direttore generale dell’Università di Perugia Cosimo Olivieri (in concorso con la rettrice Giuliana Grego Bolli). E c’è anche la presunta “utilità” prevista dal reato: le future iscrizioni dei calciatori juventini intenzionati, nel caso, a sostenere l’esame di italiano per ottenere la cittadinanza.

Ieri il Fatto e il Corriere hanno rivelato l’esistenza di un’intercettazione chiave, tra l’avvocata torinese Maria Turco, che assiste spesso la Juventus nei processi di giustizia sportiva, e Cosimo Olivieri: Turco – pur senza fare pressioni e senza collegare le future iscrizioni al superamento dell’esame, infatti non risulta indagata – lasciava intravedere a Olivieri uno spiraglio sulla possibilità che altri giocatori bianconeri potessero decidere di iscriversi all’università perugina per affrontare la prova d’italiano necessaria per la cittadinanza. Oggi possiamo aggiungere che non si trattò di una sola telefonata. Ve ne furono altre. Nelle quali si discuteva dell’assetto burocratico di una sorta di convenzione con l’università per i corsi e gli esami futuri. Non male per un ateneo in crisi di iscrizioni e bilanci.

“Nelle mie funzioni di legale – ha spiegato ieri Turco – ho messo in contatto lo staff di Suárez con l’Università per stranieri di Perugia in seguito alla verifica dei requisiti necessari per l’ottenimento della cittadinanza italiana”. E ancora: “Le mie parole sono riportate fuori contesto e in maniera incompleta” continua l’avvocata, “io ho espresso chiaramente la richiesta che la procedura di esame avvenisse, come previsto ‘in presenza’ e senza alcun tipo di trattamento di riguardo. Il riferimento ad altri calciatori è da interpretare come un bagaglio di conoscenza procedurale da utilizzare per casi futuri, solamente laddove ce ne fosse la necessità. Nessun accordo o trattativa”.

Sul fronte della giustizia sportiva, ieri la Procura Figc guidata da Giuseppe Chinè ha aperto ufficialmente un fascicolo, chiedendo gli atti alla Procura di Perugia. In sede sportiva, la società risponde dell’operato dei suoi tesserati (la Turco non lo è), ma anche delle persone “addette a servizi della società”. In quel momento, stava rappresentando la Juve? È il punto chiave per valutare eventuali illeciti sulla “violazione delle norme in materia di tesseramenti, compiuta mediante falsa attestazione di cittadinanza”. Le sanzioni integrano la penalizzazione in classifica e la retrocessione, ma solo col coinvolgimento dei vertici del club. Altrimenti il tutto si risolve con un’ammenda.

La tessera del vecchio Carroccio ora ha il simbolo della nuova Lega

L’email è partita qualche giorno fa. Oggetto: riunione dei “soci ordinari militanti” per aggiornare il tesseramento. A spedirla, la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania, il vecchio Carroccio gravato dal debito per la truffa sui 49 milioni di euro dei rimborsi elettorali. “Cari Soci – si legge nella missiva ottenuta dal Fatto – è convocata una riunione per aggiornamenti sul tesseramento in data mercoledì 23 Settembre alle ore 19.00, presso la sede della Lega sita in Via C. Bellerio 41, Milano – Sala Miglio”. E così ieri la vecchia Lega, all’indomani del risultato delle Regionali, ha voluto incontrare i suoi iscritti per aggiornarli, tra varie cose, sul tesseramento al partito. Salvini, del resto, lo ha ricordato ieri, annunciando la costituzione di una segreteria politica e di vari dipartimenti: “Ci stiamo organizzando come un partito vecchia maniera”. E cosa ha chiesto allora il partito ai propri iscritti di portare all’assise padana? La tessera di socio ordinario militante della Lega Nord del 2020, la tessera di sostenitore della Lega Salvini Premier del 2020, una foto formato tessera.

Strano, perché Lega Nord e Lega Salvini Premier sono ufficialmente due realtà distinte, ognuna con il suo codice fiscale, il suo bilancio, i suoi conti correnti e i suoi dipendenti. D’altra parte se non fosse così, se cioè i due partiti fossero un’unica cosa, il debito dei 49 milioni dovrebbe essere in teoria condiviso, e quindi anche su Lega Salvini Premier graverebbe l’onere di restituire allo Stato italiano i soldi della truffa. Invece no, il debito è interamente a carico della vecchia Lega Nord. È scritto a chiare lettere nei bilanci, tant’è che ogni anno il partito fondato e ancora oggi presieduto da Umberto Bossi deve versare su un conto corrente vincolato 600mila euro. Soldi che finiscono al tribunale di Genova per saldare, in comode rate da 80 anni, il debito con lo Stato italiano.

Eppure, non è solo il contenuto dell’email inviata pochi giorni fa ai soci del vecchio Carroccio a far intendere una certa continuità tra le due Leghe. E nemmeno il fatto che i due partiti oggi abbiano lo stesso leader politico (Salvini), lo stesso tesoriere (Giulio Centemero) e la stessa sede (via Bellerio 41, Milano). La continuità è evidente anche dalle nuove tessere del partito. Nei mesi scorsi Il Fatto ha raccontato che, ai soci della vecchia Lega intenzionati a rinnovare la propria tessera sottoscrivendo una quota di 10 euro, ne veniva offerta in regalo un’altra: quella di Lega Salvini Premier. Ora si scopre un’altra novità. Le nuove tessere date ai “soci militanti ordinari” di Lega Nord per l’Indipendenza della Padania – che il Fatto ha potuto visionare – hanno impresso il simbolo di Lega Salvini Premier. A fianco al nome della persona iscritta e all’anno di adesione al vecchio Carroccio, campeggia quindi il simbolo dell’altro partito, Lega Salvini Premier. Un ulteriore passo verso il travaso dalla vecchia alla nuova Lega, quello annunciato indirettamente durante l’ultimo congresso federale dello scorso dicembre, quando lo statuto del Carroccio è stato modificato prevedendo, tra le altre cose, la possibilità di sciogliere il partito con l’assenso della maggioranza assoluta dei presenti e di trasferire il suo patrimonio (7,2 milioni di euro) “ad altra associazione con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità”. Con buona pace per lo Stato italiano e per i contribuenti, che dalla vecchia Lega Nord devono ancora recuperare decine di milioni di euro.

“La società dei Salvini boys aperta con i soldi pubblici”

Non solo i commercialisti vicini alla Lega, ora anche i parlamentari del partito finiscono nella rete delle segnalazioni antiriciclaggio della Banca d’Italia. Una nota dell’Unita d’informazione finanziaria (Uif) riguarda le operazioni sospette del tesoriere Giulio Centemero e del senatore Stefano Borghesi, entrambi figure di spicco della nuova Lega di Matteo Salvini che ieri ha spiegato: “Non abbiamo soldi su conti strani”. L’annotazione degli 007 della Banca d’Italia, messa agli atti dell’inchiesta milanese sul caso Film Commission, riguarda una società con sede a Bergamo costituita nell’ottobre 2018 e dove i due politici risultano avere delle quote, condivise con i commercialisti di fiducia Andrea Manzoni e Alberto Di Rubba, entrambi ai domiciliari. Dal documento emerge che le provviste per le quote societarie di Centemero e Borghesi, che non risultano indagati, vengono portate dai commercialisti e in buona parte arrivano da un tesoretto di 450 mila euro accreditato sul conto della Lega dalla Camera con la causale “Contributo unico onnicomprensivo ai gruppi Pa”.

La società in questione è la Stp, che si occupa di “servizi forniti da dottori commercialisti” e “altre attività di consulenza amministrativa”. La sede legale si trova a Bergamo in via XX Settembre, stesso indirizzo dove hanno sede altre società dell’orbita Di Rubba-Manzoni. All’indirizzo della seconda sede di Clusone della Stp, si trova anche la Vadolive, società della cognata di Di Rubba, segnalata dalla Uif perché dopo aver ricevuto denaro della Lega, dai suoi conti sono usciti i soldi per lo staff comunicazione di Matteo Salvini. Scrive la Uif: “La segnalazione pone in evidenza la costituzione di una società (…) da parte di persone esposte politicamente”. Oltre a questo, l’Antiriciclaggio segnala “operazioni sospette” sui conti di Di Rubba e Manzoni proprio “nel periodo antecedente e prossimo l’addebito degli assegni utilizzati per il conferimento del capitale sociale della Stp”. Società della quale lo stesso Centemero risulterà titolare effettivo. E se da un lato le provviste portate da Di Rubba arrivano, spiega Banca d’Italia, da denaro accreditato sul suo conto da società comunque a lui riferibili, dall’altro, la parte della provvista portata da Andrea Manzoni, circa 10 mila euro, arriva dal denaro pubblico accreditato dalla Camera sul conto intestato al Gruppo Lega-Salvini Premier. Il denaro sarà accreditato il 17 luglio 2018 e fino al 27 luglio il conto della Lega mostrerà solo un movimento in uscita a favore di Manzoni. Conclude la Uif: “La provvista per l’emissione degli assegni circolari utilizzati per sottoscrivere il capitale sociale proviene da entità direttamente o indirettamente riconducibili alla Lega”. In particolare poi “per le quote sottoscritte da Manzoni risultano utilizzati fondi provenienti dal Contributo unico dei gruppi parlamentari”. Denaro pubblico usato da una società di commercialisti. Sottolinea la Uif che “il regolamento della Camera prevede che i contributi sono finalizzati a sostenere gli scopi istituzionali riferiti all’attività parlamentare”. Tra questi, va detto, anche le spese e i trattamenti economici.

Se questi flussi costituiscono reato è un elemento al vaglio della Procura, che dovrà andare oltre gli esperti dell’Antiriciclaggio studiando bene le fatture. La nota spiega inoltre che la Stp di Centemero e Borghesi ha un conto alla filiale Ubi di Seriate, la stessa che ha visto passare diverse società riferibili alla Lega. Qui ha lavorato l’ex direttore Marco Ghilardi che alla Procura ha spiegato i suoi rapporti con Di Rubba e Manzoni, i quali, a detta di Ghilardi, volevano aprire conti per le varie articolazioni regionali della Lega. Un modo, sostiene la Procura, per creare casse esterne al partito. La nota della Uif si conclude con l’ennesima operazione sospetta. La Stp di Centemero, infatti, il 30 ottobre 2018 prenderà accordi con una filiale di Clusone per aprire un conto corrente. Progetto che naufragherà, dopo la richiesta di informazioni da parte dell’istituto di credito. Operazione non eseguita e dunque, spiega la Banca d’Italia “fittizia”. La figura di Centemero è poi legata ad altre operazioni definite “interessanti” dalla Procura. Tra queste gli oltre centomila euro che in due anni, tra il 2018 e il 2019, il tesoriere della Lega, non indagato, versa all’imprenditore Francesco Barachetti, indagato per peculato. Il ruolo di Barachetti, sposato con una donna russa, è ritenuto importante per comprendere il giro del denaro che dalla Lega, attraverso di lui, approda alle società dei commercialisti vicini al Carroccio. Oltre a questo, Centemero rappresenta il collegamento tra l’inchiesta di Milano e quella di Genova che indaga sul presunto riciclaggio dei 49 milioni di euro. Stando a un recente atto inviato dalla Procura di Genova al Parlamento, Centemero (anche qui non indagato) nel 2015 era presente durante il Consiglio direttivo dell’associazione Maroni Presidente quando furono a posteriori modificati i rendiconti dell’associazione per gli anni 2013 e 2014. Un biennio, durante il quale 400 mila euro escono e rientrano dal conto Unicredit della Lega attraverso l’associazione Maroni Presidente. Su quel conto, secondo i pm, furono appoggiati i 49 milioni.

A Madrid esercito nelle strade e trecento medici extracomunitari

Con oltre 64 mila nuovi casi di infezione nell’ultima settimana, la Spagna ha ufficialmente definito quella iniziata a fine agosto la seconda ondata di Covid-19 e l’autunno è appena iniziato. A preoccupare il governo di Pedro Sanchez è soprattutto Madrid, non solo la città, ma la regione che condensa un terzo dei casi nazionali. “Chiusure tardive e inefficaci”, denunciano gli epidemiologi spagnoli dopo che il governo regionale ha ristretto la circolazione in 37 zone e, per mantenere la situazione sotto controllo, ha chiesto all’esecutivo di inviare l’Esercito. Sono attese per lunedì ulteriori misure di sicurezza stabilite dalla governatrice Isabel Diaz Ayuso con Sanchez nella prima riunione dopo gli screzi dell’ultimo mese. Nel frattempo il ministro della Sanità, Salvador Illa, ha chiesto ai madrileni di restare in casa. “C’è una variabilità importante” con la quale la pandemia sta incidendo su tutto il territorio nazionale, ha detto il Commissario, Fernando Simon. Non solo Madrid, dove l’incidenza delle infezioni è salita a 369 ogni 100 mila abitanti negli ultimi 7 giorni, ma anche il resto del Paese sembra fuori controllo con 136 casi di media, e 7 regioni sopra quota 100. “Un’impennata chiarissima”, secondo Illa, che l’ha definita “seconda ondata”. La peculiarità di Madrid, tuttavia, resta la pessima situazione sanitaria, con i medici di base al collasso e le terapie intensive occupate per la metà da malati Covid-19.

Parigi ora è “Zona scarlatta”. Gli ospedali sono di nuovo saturi

Ci sono nuove zone rosse di “allerta rinforzata” e di “allerta massima” nella carta di Francia del Covid-19 presentata ieri dal ministro della Salute, Oliver Véran. Zone cioè dove il rischio del contagio è maggiore e il virus circola più attivamente che altrove. A preoccupare di più è Marsiglia, che passa in allerta massima. Da lunedì vi chiuderanno bar e ristoranti. Ma anche Parigi che passa, anche con Lille, Tolosa, Grenoble, in allerta rinforzata. Anche qui da sabato sono attese nuove misure: massimo 10 persone negli assembramenti, chiusura delle palestre, dei bar alle 22, feste vietate. Lo smart working è consigliato. In Francia il tasso di incidenza del virus è di 94 casi su 100 mila abitanti. A Parigi sale a 204 casi su 100 mila abitanti, molto al di sopra della soglia di allerta di 50 casi per 100 mila abitanti. Negli ospedali di Parigi affluiscono i malati: sono 305 i ricoverati nei reparti di rianimazione. Da proiezioni rischiano di essere saturi ai primi di novembre. In Francia, dove il virus ha fatto più di 31.400 morti, con oltre 10 mila nuovi contagi in 24 ore, la situazione si aggrava da giugno. Da dati del governo, si realizzano fino a 1,2 milioni di tamponi a settimana. Ma le file nei laboratori sono lunghe e per ottenere i risultati si aspetta fino a sette, otto giorni.

Pub e locali chiusi alle 22 e in Scozia niente passaggi in auto

I nuovi casi sono quasi 5.000 al giorno, su un totale di quasi 7.000 in tutto il Regno Unito. Da oggi pub, bar e ristoranti chiuderanno alle 22; ammesso solo il servizio al tavolo; obbligo di mascherina esteso a taxi e personale di ristoranti e negozi; limite di 15 persone ai matrimoni e 30 ai funerali; dal 1 ottobre no a eventi di massa; multa fino a 10 mila sterline per i business che non si adeguano e, dopo settimane di appelli per il ritorno in ufficio, ora la richesta è, se si può, di lavorare da casa. Vige la rule of six, incontri limitati a sei persone. Johnson non esclude che queste e più severe restrizioni possano durare sei mesi e attiva l’esercito in supporto alla polizia. Mentre cresce la domanda, il sistema di test and trace, cioè identificazione e isolamento degli infetti, è rallentato dalla carenza di tamponi. Intanto il Tesoro studia nuove misure di sostegno economico. Galles: restrizioni simili più divieto di vendere alcool dopo le 22 anche nei supermercati. Scozia: i nuovi casi ieri erano 486, record assoluto. La premer Nicola Sturgeon ha adottato le stesse misure inglesi in più ha imposto ulteriori limiti a incontri fra famiglie: bandite le visite al chiuso e i passaggi in auto. Irlanda del Nord: in controtendenza, da ieri hanno riaperto oltre 600 pub o spacci di alcool chiusi da marzo.