Niente coronavirus, siamo inglesi. Quindi: prego seconda ondata. Invece, facendo gli scongiuri, non ancora all’ordine del giorno in Italia. Fanno discutere le parole di Boris Johnson alla Camera dei Comuni in risposta alla domanda del deputato laburista Ben Bradshaw: “Perché in altri Paesi, come Italia e Germania, le cose vanno meglio?”. Così il primo ministro di Sua maestà: “C’è un’importante differenza fra il nostro Paese e molti altri nel mondo, poiché il nostro è un Paese che ama da sempre la libertà. Se guardiamo alla storia degli ultimi 300 anni, ogni avanzamento, dalla libertà di parola alla democrazia, è venuto virtualmente da questo Paese. È quindi molto difficile chiedere al popolo britannico di obbedire uniformemente alle direttive oggi necessarie”. Si tratta dello stesso Boris Johnson che lo scorso aprile finì addirittura in terapia intensiva, attaccato all’ossigeno, proprio a causa del SarsCov2. Dall’Italia il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri replica: “Ho amici italiani a Londra che sono stati anche presi in giro in maniera confidenziale perché portavano le mascherine”. E ieri i nuovi contagi registrati Oltremanica sono stati più di 6.000, contro i 1.640 in Italia, 248 in più rispetto a martedì, ma con un incremento di 16.393 tamponi. Il “vantaggio italiano” lo spiega così Andrea Crisanti, artefice del “modello Vo’ Euganeo”, ormai considerato uno dei campioni più validi nella lotta al Covid: “La differenza è nel tracciamento, il nostro è un network testing, significa che se lei viene trovato positivo il test sarà fatto ai suoi familiari, agli amici che ha incontrato e a tutti i suoi colleghi”. Un sistema di cerchi concentrici. “Mentre gli altri Paesi, come il Regno Unito, si limitano a un contact tracing mirato ai singoli contatti”, interrompendo troppo presto la ricerca.
È la soglia dei 5.000 contagi al giorno quella che, nella peggiore delle ipotesi, non andrebbe superata per il virologo Crisanti: “Bisogna mantenere i contagi sotto i 2.000 il più a lungo possibile. Ma se mantenessimo tra tre settimane, con ripresa del mondo produttivo e della scuola ormai avviata, i 5.000 contagi, non di più, vorrebbe dire che abbiamo scongiurato una seconda ondata; invece, se si schizzasse a 10/15 mila significherebbe mandare all’aria il tracciamento, avere problemi di disponibilità dei tamponi e ospedali con terapie intensive di nuovo in grande difficoltà”.
Seconda ondata, quindi, non scongiurata ma di sicuro ancora rinviata rispetto ad altri grandi Paesi europei come Regno Unito, appunto, Francia e Spagna. Per il Financial Times l’Italia, a differenza degli altri, ha imparato “la dura lezione e sa tenere sotto controllo l’epidemia”. I motivi per il giornale inglese sono: “L’Italia è stato il primo Paese in Europa ad affrontare l’emergenza, il sistema sanitario e il governo hanno avuto più tempo per pianificare la fase post-lockdown e l’allentamento delle misure restrittive è stato più graduale, consentendo al governo maggiore agilità nel reintrodurre le restrizioni, laddove necessario”. E hanno inciso anche “l’alta adesione dei cittadini alle regole e severi controlli da parte delle autorità”, oltre a un “efficace sistema di test e monitoraggio”; insomma, scrivono a Londra, “c’è fiducia sul fatto che gli sforzi dell’Italia possano tenere il virus sotto controllo”.
E se lo stesso Crisanti invita a incrementare i tamponi quotidiani, il ministro Roberto Speranza risponde alla Camera: “Nelle prossime settimane li aumenteremo ancora. E i test rapidi saranno effettuati anche fuori dagli aeroporti, a cominciare dalle scuole”.
E così in Italia l’emergenza è valutata tanto sotto controllo che il viceministro Sileri ieri ha annunciato che si potrà presto ritornare “a un terzo della capienza negli stadi, 20/25 mila persone all’Olimpico di Roma”. Nonostante proprio la capitale abbia numeri non del tutto rassicuranti: ieri 135 nuovi casi (195 in tutto il Lazio) con 32 pazienti nelle terapie intensive. Un altro virologo, Fabrizio Pregliasco dell’Università di Milano, avverte: “Quella di Roma è una situazione da monitorare e tenere sotto controllo”.
E dove tutto sarebbe iniziato, nella sterminata Cina? Come vengono scongiurate nuove ondate? Lo racconta un cittadino italiano, Hong Tang, 40 anni, bloccato da febbraio a Hong Kong, senza poter riabbracciare a Shanghai la moglie Lingling e il figlio Lorenzo di 4 anni: “Lavoro a Hong Kong per una multinazionale con sede centrale in Italia. Eravamo ritornati a Shanghai per il capodanno cinese a inizio febbraio, poi io andai a Francoforte per lavoro e sempre per la mia professione tornai a Hong Kong. Il 26 marzo la Cina ha sigillato tutto e non ho più avuto la possibilità di rientrare dalla mia famiglia, che spero di rivedere almeno per Natale. Sono in un limbo perché a 32 anni vivevo in Italia già da 19 anni e ottenni la cittadinanza. In Cina non è previsto il doppio passaporto, quindi ottenuto quello italiano ho perso quello cinese. Sono residente e lavoro a Hong Kong da anni e non posso entrare in Cina finché non riapriranno a tutti”. Hong Kong è alla fine della terza ondata, con una decina di casi d’importazione al giorno. Shanghai, 20 milioni di abitanti, è Covid free da 5 mesi. Se domani riaprissero cosa dovrebbe fare l’ex cinese Tang per rientrare? “Cinque giorni prima della partenza farei il test a Hong Kong, poi mi verrebbe assegnato un codice identificativo che va mostrato insieme alle dichiarazioni sanitarie all’arrivo in Cina. Quindi mi farebbero un nuovo tampone e, se negativo, verrei mandato per due settimane in quarantena in uno di questi alberghi”, spesso fatiscenti o comunque non proprio confortevoli, “requisiti dallo Stato”. “Se al dodicesimo giorno il tampone è negativo al 14° ti fanno andare a casa”. In caso di positività? “Ricovero immediato, anche senza sintomi, in uno degli ospedali modulari costruiti per il Covid”. Questa è la via cinese contro il coronavirus.