Un referendum che alla fine si svolge liscio come l’olio. La tanto sbandierata (da giornali e opinionisti vari) rimonta del No non c’è stata. Il risultato è secco, 70 a 30, e mai in un referendum si è avuto una fotografia tanto nitida del volere del popolo.
E non ha nemmeno pagato aver cercato di forzare il No come un voto contro “il populismo” e quindi segnato da una vena politicista che forse ha attecchito in alcuni quartieri delle grandi città (come vedremo, i centri storici di Milano e Roma sembra che abbiano premiato il No), ma non riflette il sentimento diffuso. Che è certamente di diffidenza e ostilità alla politica istituzionale e partitica, ma allo stesso tempo chiede alle stesse istituzioni un sussulto, una capacità di innovazione.
E così, ancora una volta, gli italiani scelgono di smentire le previsioni circa la bassa affluenza al voto.
L’accorpamento del referendum con le regionali ha beneficiato la consultazione sul quesito costituzionale come sottolinea il professor Roberto D’Alimonte. L’affluenza al referendum, infatti, si è fermata al 48% dove non si è votato alle Regionali ma è schizzata al 63% dove si è votato anche alle Regionali. E dove si è votato anche per le Comunali la differenza è stata di 20 punti (52% vs 72%).
“Ma non si è avuto nessun effetto sul Sì-No” assicura D’Alimonte a conferma che gli allarmi sull’indebito accorpamento erano ingiustificati. Anzi, la scelta dell’election day ha favorito la partecipazione, se si considera anche il contesto del tutto eccezionale di un voto a settembre e dopo un lungo periodo di lockdown dovuto all’emergenza da Coronavirus.
D’Alimonte sottolinea anche che l’affluenza è piuttosto in linea “con i pattern geografici di decenni di partecipazione politica”. E quindi più consistente al Nord e al Centro “dove è storicamente più alto l’attivismo civico”.
Diversa situazione per quanto riguarda il risultato. Il Sì è molto più alto al Sud con punte vicine all’80% mentre scende un po’ nel centro-nord con il 65% della Toscana e addirittura il 62% e il 59% rispettivamente di Veneto e Friuli-Venezia Giulia, regioni decisamente leghiste (mentre la Lombardia ritorna sulla media nazionale).
Più complesso analizzare la qualità del voto. Alcuni dati diffusi da Tecnèitalia, e tutti da verificare, dicono che la maggioranza del Pd, il 55%, avrebbe votato No e solo il 45% avrebbe seguito le indicazioni di Nicola Zingaretti. Il Sì del M5S invece ha visto il consenso del 92% del proprio elettorato seguito dal 78% della Lega, 76% di Forza Italia e 75% di Fratelli d’Italia.
A sinistra, invece, prevale il No in Italia viva (77%) e anche, sia pure in modo più articolato, nella sinistra alternativa (con il 58% per il No e il 42% al Sì). Questi dati vanno però verificati meglio e in questo caso il rapporto tra il voto alle Regionali e quello referendario potrebbe avere un certo significato.
Un primo riscontro in realtà sembra venire dai dati diffusi da Youtrend sui voti scrutinati, il No avrebbe vinto in alcuni centri storici: nel collegio di Milano centro, in quello di Torino Crocette e nei municipi 1 e 2 di Roma, esattamente in quelle zone composte da ceti medio-alti dove il Partito democratico conserva alcune roccaforti elettorali. Il dato sembra riscontrabile a Firenze dove, nel Comune, il Sì vince solo con il 55%.
Se così fosse, davvero il voto avrebbe qualche ripercussione nel Partito democratico, visto che il risultato istituzionale ormai certo – i parlamentari saranno ridotti a partire dalla prossima legislatura – pone il problema di quale tipo di riforme saranno fatte di qui alle prossime elezioni. Se quel No corrisponde a un elettorato diffidente verso la cosiddetta antipolitica, se la sentirà il Pd di seguire Luigi Di Maio, che già annuncia riduzioni degli stipendi dei parlamentari e norme per evitare i “cambi di casacca” e quindi limitare il mandato parlamentare?