Chi controllerà l’utilizzo di quello tsunami di soldi generato dalle donazioni che tra il 2020 e il 2021 si è abbattuto su enti locali, Regioni, Comuni, ospedali pubblici per l’emergenza Covid? Nessuno. Né si è controllato prima, né lo si farà poi. A oggi, infatti, un obbligo di rendicontazione per le Pubbliche amministrazioni non c’è. O meglio, la rendicontazione dettagliata è prevista per legge, ma tale obbligo scatterà solo alla fine dello Stato di emergenza (oggi fissata al 31 marzo 2022). Secondo il decreto “Cura Italia” (n. 18 del 17 marzo 2020) tutte le Pa beneficiarie di donazioni liberali dovranno presentare trimestralmente apposita rendicontazione separata dei fondi confluiti sui propri conti Covid, e pubblicarla nella “Sezione trasparenza” dei rispettivi siti. Ma lo stesso decreto stabilisce che l’obbligo scatti alla fine dello Stato di emergenza. Quindi chi oggi ha pubblicato i dati di spesa, lo ha fatto di sua sponte. E chi non ha pubblicato nulla, non è soggetto ad alcun tipo di richiamo, perché non era tenuto a farlo.
Dal 31 marzo prossimo le cose cambieranno e online si riverseranno milioni di dati, impossibili da verificare. Un compito immane che spetterà soprattutto ad Anac, ma dalla stessa Autorità fanno sapere che sarà improbo controllare tutto. Quindi l’attività ispettiva avverrà o con controlli a campione o con monitoraggi, oppure, in base a singole segnalazioni. Così sarà quasi impossibile rilevare casi di frode o affidamenti sospetti e un caso come i “camici di Fontana” difficilmente potrà esser scovato.
Analizzando le rendicontazioni disponibili oggi è agevole seguire il percorso dei soldi fino ai macro centri di raccolta (Protezione civile, Regioni, Comuni, Asl, ospedali), ma diventa impossibile tracciare l’ultimo miglio percorso dalle donazioni: sappiamo quanti camici ha comprato Regione Lombardia, ma non sappiamo quanto siano costati singolarmente, da chi li ha presi e quanto li ha pagati. Inoltre, la maggioranza dei centri di raccolta ha speso meno di quanto ricevuto e ha parecchi fondi fermi sui propri conti. Spesso a causa del “paradosso delle donazioni finalizzate”, quelle donazioni gravate da un vincolo specifico che non si sono potute utilizzare per scopi diversi. Il caso eclatante è l’Ospedale in Fiera a Milano: Regione Lombardia al 4 settembre 2020, aveva raccolto 53.060.407,52 euro, 25.806.300 dei quali vincolati alla costruzione dell’Astronave di Bertolaso. Ma l’Astronave – costata 17,5 milioni – è stata realizzata con i fondi raccolti da Fondazione Fiera (21 milioni), così il Pirellone è stato costretto a richiedere ai donatori una liberatoria all’utilizzo delle risorse per altro. Lo spostamento dei fondi è stato agevole per le macro donazioni, come quelle di Moncler (10 milioni) o Fondazione Invernizzi (4 milioni), perché la giunta Fontana ha proceduto con delibere di restituzione, ma ciò è stato impossibile per tutte quelle micro. Così, secondo gli ultimi dati disponibili, da 15 mesi almeno 14 milioni restano “parcheggiati” su un conto regionale.
Il mensile Vita ha fissato alcuni numeri: la Protezione civile per il Covid-19 ha raccolto 170.587.507 euro. A oggi ne ha spesi 167.782.465: 15.403.650 per ventilatori polmonari; 146.419.502 per Dpi; 998.400 per tamponi e 4.960.913 per spese di trasporto. Ma l’ultimo miglio, quello che il ventilatore percorre dal magazzino della Protezione civile all’ospedale, è impossibile da ricostruire.
Più complicato districarsi tra le poche rendicontazioni delle Regioni. Ognuna è andata per conto proprio. L’Emilia-Romagna, che ha dedicato un sito per illustrare lo stato dell’arte (i dati sono aggiornati al 1° luglio 2021), ha racconto 78.596.495 euro e ne ha spesi 68.776.711: il sito non svela il destino dei 10 milioni inutilizzati. Anche il Veneto ha pubblicato una macro rendicontazione, aggiornata al 31 dicembre 2020: ha raccolto 69.992.849,57 euro, ma mancano i dati disaggregati e non sono riportati eventuali avanzi di cassa. Assai più stringato il report dalla Campania (aggiornato al 31 dicembre 2020): ha ricevuto donazioni per 8.952.575,65, ma sul loro utilizzo dà solo pochi cenni. Basilicata e Sardegna hanno scelto di non rendere noto alcun dato aggregato.