“Gli ultimi iscritti esclusi da sempre: ora presenteremo una memoria”

L’avvocato Francesco Astone è il difensore del Movimento 5 Stelle nella vicenda giudiziaria intentata da alcuni attivisti campani.

Si aspettava questa decisione con cui il tribunale di Napoli ha sospeso il nuovo statuto e pure l’elezione di Giuseppe Conte alla presidenza del M5S?

No, non me l’aspettavo affatto, per essere sincero. La ritengo una decisione sbagliata perché assunta con criteri da giudizio di merito.

Sia più chiaro.

Ho massimo rispetto per il tribunale di Napoli. Questo lo voglio premettere. Anche io come chiunque posso sbagliare, ma può sbagliare anche il giudice.

E in che cosa ha sbagliato a suo avviso?

Correttamente il giudice precedente aveva affermato che non ci fossero i presupposti per la cautela. Anche perché un giudizio cautelare valuta sulla urgenza in base alla comparazione degli interessi in conflitto. Due giorni fa invece il giudice del reclamo ha affrontato questioni che riguardano il merito dei motivi del ricorso, arrivando ad affermare che nella votazione incriminata sia addirittura mancato il raggiungimento del quorum.

Par di capire che fosse stato adottato il regolamento del 2018, che precludeva il voto agli iscritti da meno di sei mesi.

Guardi, in ogni caso quanto all’esclusione degli iscritti più recenti siamo di fronte a una radicata consuetudine di cui i ricorrenti non possono lamentarsi. Dopo aver fatto per anni quietanza, una volta che l’esito non è stato loro gradito hanno deciso di fare ricorso.

La prassi prevale in ogni caso sulla regola scritta?

Una volta interpretato un contratto in una certa maniera la prassi è più vincolante addirittura della regola scritta. Ma comunque in questo caso si tratta di una questione controversa che andrà accertata nell’ambito del processo di merito.

Ecco, ora cosa succede?

Il 1º marzo ci sarà l’udienza di precisazione delle conclusioni, lì presenteremo una memoria.

Vi aspettate una decisione immediata?

Non credo, ritengo che passerà qualche giorno, forse qualche settimana. Dipende da quali istruzioni ci darà il giudice.

Ma il giudice di merito potrebbe anche dichiararsi territorialmente incompetente?

Sì, è possibile.

E a quel punto che succede? I tempi potrebbero ulteriormente allungarsi?

Questo dipenderà dai ricorrenti, se riterranno di passare al giudice competente, se accetteranno la decisione o la impugneranno.

Ma non sarebbe meglio che il Movimento sanasse nel frattempo le criticità evidenziate dal tribunale di Napoli?

Io sono l’avvocato del procedimento in corso. Ho compreso che il Movimento 5 stelle avesse in animo di convocare una nuova consultazione. Ma francamente non sono io a occuparmi di questo.

Come si esce da questo garbuglio?

Laddove venisse in qualche modo sanata questa criticità, da un punto di vista processuale cesserebbe la materia del contendere, anche se non è detto che terminerebbe la controversia giudiziaria.

Lei pensa che possa essere trovata una soluzione?

L’ordinanza del tribunale di Napoli è arrivata da poche ore e credo che si faranno tutte le riflessioni necessarie. Sono certo che il Movimento farà per il meglio e credo che interverrà rapidamente.

Grillo cerca una terza via per Conte: “Ma ora zitti”

Tutti i Cinque Stelle zitti e buoni, dietro la lavagna. Ce li piazza di buon mattino il preside, anzi il Garante, insomma Beppe Grillo. “Invito tutti a rimanere in silenzio” ordina tramite post. Niente tv o interviste, niente rumore: ora lui, il fondatore, l’unica autorità rimasta in piedi del Movimento, deve decidere se salvare l’avvocato “congelato” da un’ordinanza del Tribunale civile di Napoli, Giuseppe Conte, con una nuova votazione per lo Statuto costruito dall’ex premier. Oppure se scegliere la strada magari più comoda dal punto di vista legale, ma dirompente sul piano politico. Ossia nominare un nuovo comitato di garanzia, che a sua volta porti all’elezione a guida del Movimento di un comitato direttivo, un organo collegiale di cinque persone così come lo avevano immaginato gli Stati generali del M5S sul finire del 2020. E sarebbe il probabilissimo addio al presidente Conte e al “nuovo corso”.

Così, giurano dai piani alti, si starebbe provando a planare su una terza via. Partendo sempre da un comitato di garanzia, necessario anche per scrivere i regolamenti per un nuovo voto (regolamenti mancanti invece per la votazione dello statuto “congelato”, una delle falle che ha portato all’ordinanza di Napoli). Da qui si arriverebbe a un nuovo, possibile plebiscito per l’avvocato e per il suo M5S, quello con una segreteria e una struttura. Però con qualche modifica allo Statuto per limare i suoi poteri e “aggiustare certe cose”, butta lì una fonte qualificata. Su questa giostra di ipotesi ragiona e discute per tutta la giornata Grillo, ovviamente anche con il leader appena spodestato. Ore di contatti e videochiamate, tra Conte e il Garante, con Grillo che sente i suoi avvocati e ragiona di norme, cavilli, possibili ricorsi. Irritato, perché lui di certe cose non avrebbe più voluto occuparsi, mai più.

Anche per questo nel 2017 aveva ceduto la guida della ditta a Luigi Di Maio, l’ex capo che aspetta gli eventi. Cioè che Conte vada a Canossa, quindi alla Farnesina, per cercare un accordo su un comitato da costruire assieme e magari sul vincolo dei due mandati. “Qui serve un’intesa politico o tra avvocati e rogne varie non se ne esce” rimarca un dimaiano. “È tutto un groviglio” ammette in serata un contiano. E il primo a riconoscerlo era stato Grillo, nel suo post mattutino: “Le sentenze si rispettano. La situazione, non possiamo negarlo, è molto complicata”. E anche se non era una sentenza ma un’ordinanza, ha ragione. Certi annunci su votazioni prossime venture, fatti lunedì sia da Conte che dall’ex reggente Vito Crimi, non devono essergli troppo piaciuti. Per questo precisa: “Non si possono prendere decisioni avventate, promuoverò un momento di confronto anche con Giuseppe Conte”. E bacchetta: “Invito tutti a non assumere iniziative azzardate prima che ci sia condivisione sulla strada da seguire”. Certo, i contiani parlano di “post concordato con Beppe”. E la buttano lì: “Quando scrive di iniziative azzardate vuole prevenire anche mosse di Luigi e dei cani sciolti”. Ma Grillo è stufo, di quasi tutto. Vuole evitare a ogni costo grane giudiziarie ed economiche. È la sua prima preoccupazione, in questa vicenda. Su cui insiste un altro interrogativo: le nuove votazioni dovrebbero svolgersi sulla piattaforma Rousseau, la creatura di Davide Casaleggio nel frattempo svuotata dei dati degli iscritti, oppure su SkyVote, il portale del M5S dell’era contiana? In ballo c’è il rischio di altri ricorsi a pioggia. Non a caso, un big infila l’aneddoto: “Spesso Conte ci faceva notare che senza di lui non avremmo mai risolto la lite con Casaleggio. Pensi se ora dovessimo tornare su Rousseau…”. Anche per questo, nell’incertezza dominante, il Garante ordina il silenzio. Così salta la partecipazione del già vicepresidente Mario Turco a Studio 24, mentre proprio Conte deve disertare Porta a Porta. È la prova che in queste ore comanda solo qualcun altro, ovvero Grillo, e non capitava dalla scorsa legislatura. Finisce tutto nel congelatore, anche l’assemblea congiunta in streaming in cui l’ex premier voleva rimproverare a Di Maio “le sue gravi condotte”.

Doveva tenersi domani, “ma ora come faremmo a svolgerla?” sussurrano eletti fedeli all’avvocato. Nell’attesa, nel tardo pomeriggio, si tiene un’assemblea dei deputati. In riunione un contiano, Sebastiano Cabeddu, prova a contestare la decisione del Tribunale di Napoli. Il capogruppo Davide Crippa replica che “i provvedimenti vanno rispettati”. Punto. Nel frattempo da Palazzo Madama filtra che la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, avrebbe riammesso nel gruppo del M5S sei parlamentari espulsi per aver negato la fiducia al governo Draghi, e che avevano presentato ricorso contro l’espulsione. Si tratta di due veterani come Barbara Lezzi ed Elio Lannutti, assieme a Rosa Silvana Abate, Luisa Angrisani, Margherita Corrado e Fabio Di Micco. La milionesima conferma della fragilità del Movimento e delle sue decisioni. E comunque lì fuori aspettano tutti l’esito delle trattative tra Conte e Grillo. “Per ora non è previsto un incontro” dicono dal M5S. Ma è tutto in divenire. Tutto si crea e tutto si distrugge, nel Movimento dove la tentazione di costruire “qualcosa di nuovo, di più largo” è riapparsa nei discorsi di certi contiani. Ritorna la voglia di slegarsi dal M5S delle mille botole per ripartire con un progetto diverso: magari un Movimento 2.0, magari una selva di liste sui territori, con il cognome di Conte in bella vista, a sostenere quella del M5S.

Chissà se in queste ore pensieri di questo genere si sono affacciati anche nella testa dell’ex premier, che la scorsa estate era stato a un passo dal formare un suo partito dopo lo scontro frontale con Grillo. Lo fermarono Roberto Fico e Di Maio, quello che ora è il suo primo avversario. Era meno di un anno fa. Ma il tempo divora tutto di corsa, nel Movimento che è appeso ancora Grillo.

Il Mondo di Sopra

Forse nemmeno Conte e i 5Stelle si rendono conto di quanti piedi Conte e i 5Stelle han pestato in questi quattro anni, dal trionfo elettorale del 2018 al blocco stradale imposto a Draghi sulla via del Quirinale. Ma il sistema di potere che da sempre comanda l’Italia col pilota automatico s’incarica ogni giorno di rammentarlo, a loro e a noi. Basta unire i puntini di quel che accade. Non è un complotto: è un moto spontaneo di annusamenti, conformismi e riflessi condizionati che da un anno tende disperatamente a riportare il disordine all’ordine, alla restaurazione dello status quo ante, chiudendo violentemente la stagione del cambiamento inaugurata dal voto “sbagliato” degli italiani e vomitando come corpi estranei i non allineati. Persino l’ipotesi che una figura di establishment come l’ambasciatrice Belloni salisse al Colle senza il permesso del “mondo di sopra” e col sostegno degli outsider Conte, Salvini e Meloni, è stata respinta con orrore dai chierichetti del sistema, che hanno imposto l’ennesima mummificazione da museo delle cere.

Subito dopo è scattata l’Operazione Rivergination per trasformare in vincitori gli sconfitti, seguita dalla rappresaglia contro chi aveva osato pensare a una donna non ottuagenaria, anziché ai soliti sarcofagi. Poi la notizia di una “perquisizione della Finanza in casa Conte”, mai avvenuta (era un’acquisizione di atti avvenuta a novembre in un’indagine senza indagati, per recuperare parcelle di oltre 100 incarichi svolti da Conte nel 2012 per il concordato preventivo Acqua Marcia e introvabili presso la società e il tribunale). E infine l’ordinanza cautelare del Tribunale civile di Napoli che, per la prima volta nella storia, congela il leader del partito di maggioranza relativa, plebiscitato dal 92% degli iscritti votanti, perché ben tre neoiscritti lamentavano l’esclusione dal voto di chi aveva aderito da meno di sei mesi (come da regolamento del 2018 sempre seguito dal M5S e ignorato dall’ordinanza). Il tutto senza motivare l’urgenza di un provvedimento emesso da un tribunale di dubbia competenza (che c’entra Napoli con fatti accaduti a Roma?), che ribalta l’opposta decisione cautelare già assunta dallo stesso tribunale e si affretta ad anticipare il giudizio di merito previsto tra soli 20 giorni. Se fosse toccato a un altro partito (ipotesi improbabilissima), i media sarebbero pieni di “giustizia a orologeria”, “supplenza e invasione di campo dei magistrati nella politica” e le altre fesserie che seguono ogni azione giudiziaria sui politici: di solito quando i politici commettono reati, non quando seguono le proprie regole per eleggere un capo sgradito al sistema. Se fosse una prova di forza, ci sarebbe da aver paura. Ma sembra tanto una prova di debolezza.

“Earthling”: venerdì arriva l’album solista di Vedder, alla ricerca di “nuovi colori”

È il percorso a cambiarti, ma è un concetto che il più delle volte ci sfugge. Cosa ti resta quando hai raggiunto una fama impensabile e un successo asfissiante? Quando hai venduto milioni di dischi e avuto dalla vita più di quanto potessi desiderare? Earthling, l’ultimo album solista di Eddie Vedder, sembra proprio voler rispondere a domande come queste. Ed è un disco che lo fa in molti modi, anche perché musicalmente si trova a cavallo tra più epoche: nei momenti acustici, quelli più lenti (The Haves, Long Way) Vedder si incammina su sentieri già battuti dai grandi songwriter che l’hanno preceduto, con incursioni nel genere classico americano e nel Blues. Altre volte, la musica è più familiare, e punk, contorcendosi con l’intensità che ha reso famoso il cantante (Power of Right, Invincible). Certo, l’angoscia adolescenziale ha dato buoni frutti, ma quando sei abbastanza fortunato da invecchiare, a volte preferisci concentrarti sul lato positivo della vita. Anche allora, tuttavia, Vedder ci assicura che sta guardando avanti, sta evolvendo. Così facendo, Earthling (in uscita l’11 febbraio) si radica saldamente in questo preciso momento storico, apparendo come una sorta di colonna sonora, per tentativi ed errori, nel processo di maturazione di un uomo. Un disco del genere, del resto, si scrive per trasmettere agli altri la teoria dell’universo che ci si porta dentro. L’annuncio di Earthling, va detto, ha colto più di qualcuno di sorpresa: solo in autunno era uscita la colonna sonora di Flag day, l’ultimo film di Sean Penn, in cui Vedder ha persino lanciato sua figlia Olivia, lasciandole lo spazio di un brano My Father’s Daughter di cui è anche autrice, per la serie “buon sangue non mente” (Wilde, citato da Gide, una volta disse: “L’ereditarietà è l’unico dio di cui sappiamo il nome”). E in più, causa pandemia, deve ancora andare in tournée con Gigaton, ultimo disco prodotto coi Pearl Jam. A spiazzare sono anche le collaborazioni al disco: si va da Stevie Wonder (Try) a Elton John (Picture) passando per Ringo Starr nella beatlesiana Mrs. Mills. L’album è stato prodotto da Andrew Watt, noto per aver lavorato assieme ad artisti come Justin Bieber, Post Malone e Miley Cyrus, cosa che di primo acchito potrebbe far storcere la bocca ai fan più integralisti del frontman dei Pearl Jam. Ma ci pensa lo stesso Eddie a mettere le cose in chiaro: “Quando escono le canzoni di solito è perché sono canzoni che vorrei ascoltare io stesso. È come se avessi bisogno di un colore che non ho mai visto prima, quindi provo a ottenerlo, mescolandoli, da solo. Speriamo che le persone si fidino e che piacciano anche a loro”.

“Che noia le donne vestite”: Drieu, il fascio-socialista

Maurizio Ferraris ha scritto recentemente su Tuttolibri, a proposito del filosofo Martin Heidegger e dei suoi giudizi positivi sul nazismo, che, “come per Céline, è difficile disfarsi dell’uomo e conservare solo l’opera”. Ciò non capita invece con Pierre Drieu La Rochelle (1893-1945), lo scrittore francese che pure fu un sostenitore del regime collaborazionista di Vichy e che inseguì, almeno fino al crollo del 1944-45, la realizzazione di un suo impossibile “socialismo fascista” ed europeista.

Del narratore indimenticabile di Fuoco fatuo e dell’incompiuto Memorie di Dirk Raspe, un romanzo su Van Gogh, di Drieu, insomma, si tiene tanto l’uomo quanto l’opera, che ora si arricchisce, in Italia, con la pubblicazione di Intermezzo romano (Aspis, pagine 232, euro 22), tradotto da Marco Settimini.

Si mantiene l’opera, dunque, per i suoi indubbi valori: da Fuoco fatuo a Gilles (tradotto da Luciano Bianciardi), da L’uomo pieno di donne a Racconto segreto, I cani di paglia, il Diario e questo Intermezzo romano, scritto nel 1943. Storia di un viaggio in Italia, alla metà degli anni Venti, come osserva Camillo Langone su Il Foglio, di “un francese che somiglia moltissimo all’autore. Non per turismo ma per amore di una statuaria contessa (forse, nella realtà, Cora Caetani nata Antinori). Un racconto, questo, in cui “l’amore è, beninteso, alla maniera di un dandy apatico come Drieu: ‘Mi sono annoiato con la maggior parte delle donne, tranne con quelle che ho visto giusto un’ora o due tutte nude dentro un letto’”.

Di Drieu si tiene anche l’uomo perché, con le sue scelte sbagliate, il suo assurdo nazionalismo internazionalista, le sue contraddizioni e il suo suicidio nel 1945, fu davvero, notava Enzo Di Mauro su Il manifesto, “un perfetto figlio del secolo che desiderava a tal punto la rivolta, la sconfitta e il fallimento da scegliere infine con funerea voluttà la parte maledetta. Ma, più che politica o ideologica, la sua rivolta seppe essere al dunque soltanto esistenziale”.

Drieu non scappò nel 1944, all’arrivo degli alleati, come Céline al seguito dei tedeschi, e non giustificò astrusamente e vilmente, come Heidegger, la sua adesione al nazismo. Scrisse prima di uccidersi come l’amico poeta surrealista Jacques Rigaut, il protagonista di Fuoco fatuo: “Siate fedeli all’orgoglio della Resistenza, come io sono fedele all’orgoglio della Collaborazione. Non barate più di quanto io non bari. Condannatemi a morte”. Poi si condannò da solo. Senza sbagliare.

Quei tossici dei filosofi

Jean-Paul si fa di amfetamine, whisky, mescalina e barbiturici, ma – per lui – i veri “drogati” sono gli italiani, “intossicati dai loro centoquaranta chili di pasta all’anno”. Ernst ha un caro amico in Svizzera, precisissimo: oltre a fargli gli auguri di compleanno, puntualmente gli invia anche “graditi doni, soprattutto le droghe”. Michel, invece, è figlio di un medico: più che la salute, gli interessa ingurgitare tutte le pasticche del “padre chirurgo per verificare fino a che punto modifichino il pensiero”. Sartre, Jünger, Foucault: che tossici, questi filosofi. Li racconta ora, con gusto e divertimento, Alessandro Paolucci nella sua Storia stupefacente della filosofia, in libreria da giovedì con Il Saggiatore.

“Oppio, Lsd e anfetamine da Platone a Friedrich Nietzsche” recita il sottotitolo e, in effetti, il catalogo dei lisergici pensatori è lungo: primo viene Platone con le sue ombre allucinate e luci dalla caverna. Pare che le sue visioni siano “influenzate da un trip psichedelico”, scatenato da un drink psicotropo – il “ciceóne” – a base di cereali, menta e un ingrediente segreto (un allucinogeno, forse il fungo parassita che fa la segale cornuta) da trangugiare durante le cerimonie iniziatiche dei Misteri eleusini. Dalla Grecia a Roma, l’imperatore filosofo Marco Aurelio si scola ogni giorno un intruglio di erbe, spezie e oppio invecchiato nel vino, “una bomba di nome teriaca”, dal greco therìon, “bestia selvatica, animale velenoso”, ovvero la carne di vipera, già consumata da Nerone, quasi un secolo prima, per curarsi (sic) e immunizzare dai veleni. Anche il dottor Sigmund Freud confonde la droga con una medicina, sperimentando su se stesso i presunti effetti terapeutici della cocaina, salvo poi diventarne dipendente. Vero è che la polvere bianca azzanna la depressione e annulla le ossessioni derivate da altre sostanze, ma crea a sua volta una perniciosa assuefazione.

I filosofi – si sa – amano a tal punto la “gaia scienza” da venirne sedotti e abbandonati: “Questa sera prenderò tanto oppio da perdere la ragione”, scrive a un amico Friedrich Nietzsche dal suo buen retiro all’Hotel della Posta di Rapallo. Non così bueno, in realtà: l’intellettuale soffre di “emicrania lancinante, vomito e una depressione da suicidio”. Perciò si consola con farmaci oppioidi, cloralio, sonniferi e, talvolta, hashish. Di quest’ultimo il vero esperto e cultore è Walter Benjamin, uno che “va bene per tutti”, in particolare “per la filosofia fricchettona che lo scambia per Herman Hesse perché entrambi hanno assaggiato un po’ di droga” (© Cesare Cases). Hai voglia, poi, a vedere “Angeli” dappertutto. Intanto, un suo collega tedesco manda una affettuosa lettera in Svizzera: “Gentilissimo signore, la ringrazio di cuore per i gentili auguri, così come per i graditi doni, soprattutto per le droghe”. Il mittente è Ernst Jünger, il destinatario Albert Hofmann, lo scienziato che aveva scoperto l’Lsd ed era diventato così amico di mezza Europa, intellettuali e artisti in primis: la teoresi e la creatività devono essere ben alimentate e costantemente rifocillate.

Il più ligio nel seguire la dieta è Jean-Paul Sartre, l’esistenzialista rigoroso, che ogni giorno si cala “due pacchetti di sigarette; numerose pipe di tabacco scuro; più di un litro di alcool, tra vino, birra, whisky, eccetera; duecento milligrammi di amfetamine; quindici grammi (sic) di aspirina; parecchi grammi di barbiturici, senza contare i caffè, i tè e i vari grassi della sua alimentazione quotidiana”. A questo regime va aggiunto il consumo sporadico di mescalina, che gli fa vedere “ombrelli, avvoltoi, scarpe, scheletri, facce mostruose; e ai lati, dietro, brulicanti granchi, polpi, cose sogghignanti”. Tutto a posto: Sartre è in ottima salute; per lui, piuttosto, i veri “drogati” sono “gli italiani intossicati” dalla pastasciutta. Restando in Francia, altro spericolato sperimentatore è Michel Foucault, favorevole a ogni tipo di stupefacente, fin dall’adolescenza: figlio di un chirurgo, ama svaligiare l’armadietto dei farmaci di papà per vedere l’effetto che fa. Dopo molte sperimentazioni con pillole legali, passa alle sostanze illecite: alla fine, opta per l’Lsd, l’usato sicuro.

È bravo l’autore – comunicatore e star dei social con l’umile account di @Dio – ad affabulare questa storia di speculazioni e allucinazioni, tropi e trip, metafisica e ultracorpi: il suo obiettivo è quello di sfatare il falso mito della “santità” dei filosofi, esibendo al contrario il loro talento “umano, troppo umano” per lo sballo, gli abissi dell’inconscio, la trance della mente, il salto nel vuoto della razionalità, la dimensione “dionisiaca”, insomma, accanto a teorie e proclami “apollinei”. Nel gioco tra alto e basso, Paolucci talvolta esagera però con le baggianate, come il “Platone in missione per conto della verità… come i Blues Brothers” o il Nietzsche “a metà tra Dr. House e Marilyn Monroe”.

Chiude infine il saggio uno dei più saggi e ascetici pensatori del Novecento, forse il più incisivo di tutti, per spessore ed eredità: Ludwig Wittgenstein. Lui “non si droga”. Però picchia i bambini.

Fiale, test, moda e Tv. I Ricconi del covid

Saluggia è un piccolo comune del Piemonte, 3.800 abitanti in provincia di Vercelli, a 37 chilometri da Torino. È conosciuto per la produzione di fagioli. Tra i suoi frequentatori c’è uno degli uomini più ricchi d’Italia. Gustavo Denegri ha 84 anni, per molti è uno sconosciuto, i suoi miliardi (di euro) non vengono dai fagioli, ma da un’azienda del settore medicale che ha fatto affari d’oro durante il Covid.

Denegri è laureato in Chimica ed è il principale azionista e presidente di Diasorin, una multinazionale del settore medicale, leader mondiale nella diagnostica di laboratorio, che ha sede a Saluggia. Il patrimonio di Denegri è stimato in 4,1 miliardi di dollari da Forbes, la rivista americana che “studia” i ricchi del pianeta, fa una classifica annuale che viene continuamente aggiornata online. Secondo i dati rilevati il 25 gennaio, Denegri è il tredicesimo più ricco d’Italia. Due anni fa, poco prima che scoppiasse la pandemia, la ricchezza di Denegri secondo Forbes era di 3,1 miliardi. Da marzo 2020 a gennaio 2022 la sua fortuna è aumentata di 1 miliardo di dollari (+32%), grazie all’esplosione del prezzo di Borsa delle azioni Diasorin. Denegri possiede quasi il 45 per cento della società. Il 28 febbraio 2020, pochi giorni prima che Giuseppe Conte annunciasse il lockdown (9 marzo), le azioni Diasorin alla Borsa di Milano valevano 102,5 euro. In tre mesi il valore è raddoppiato, il 25 maggio 2020 hanno raggiunto i 209,4 euro. Con la fine del lockdown sono un po’ scese, ma con il riaffacciarsi delle preoccupazioni sanitarie nel settembre 2020 sono tornate sui 208 euro. Venerdì scorso (28 gennaio) quotavano 135,10 euro, l’intero capitale di Diasorin valeva in Borsa circa 7,5 miliardi di euro. Un forte ribasso rispetto ai picchi, ma pur sempre un bel progresso rispetto a prima del Covid.

Con la pandemia i più ricchi sono diventati ancora più ricchi ed è aumentata la disuguaglianza, ha sottolineato un recente rapporto di Oxfam. In quasi due anni i dieci più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, da 691,7 a 1.512 miliardi di dollari al netto dell’inflazione, ha calcolato Oxfam in base alle stime di Forbes al 30 novembre 2021. Il più ricco è Elon Musk, il miliardario di 50 anni fondatore di Tesla e SpaceX, che alla fine di settembre era a suo agio a Torino in un dibattito nella Italian Tech Week con John Elkann, il nipote di Gianni Agnelli, presidente di Exor e di Stellantis. “È difficile creare un’azienda e avere sempre successo, non consiglio di dare vita ad aziende se non si è appassionati e non si ha bisogno di farlo”, ha detto Musk. A fine novembre la ricchezza stimata di Musk era di 294 miliardi di dollari (+1.016% in due anni). A seguire il proprietario di Amazon, Jeff Bezos, 202,6 miliardi (+67%) e Bernard Arnault, il miliardario francese del lusso che possiede il gruppo Lvmh e l’italiana Bulgari, 188 miliardi (+130%). I dieci super-ricchi hanno una ricchezza superiore al 40% più povero della popolazione mondiale, pari a 3,1 miliardi di persone.

In Italia nella lista di Forbes ci sono 13 miliardari in più, coloro che possiedono almeno 1 miliardo di dollari nell’ultimo anno sono aumentati da 36 a 49. Quattro Paperoni nostrani devono la loro ricchezza al settore sanitario. E quindi grazie al Covid sono diventati più ricchi.

Stefano Pessina, che è nato a Pescara ma ha fatto fortuna in Gran Bretagna e risiede a Montecarlo, è terzo in classifica, con 10,5 miliardi di dollari di patrimonio stimato da Forbes al 25 gennaio. Pessina, 80 anni, è azionista e presidente di Walgreens Boots Alliance, multinazionale delle farmacie. La sua fortuna è di 300 milioni di dollari più alta rispetto a marzo 2020.

Subito dopo c’è Massimiliana Landini Aleotti, 79 anni. Con i due figli nel 2014 ha ereditato dal marito Alberto la proprietà dell’industria farmaceutica Menarini. Vive in una villa a Fiesole, il patrimonio è stimato in 9,8 miliardi di dollari, è aumentato di 3,2 miliardi rispetto a prima della pandemia (+48,5%).

Grazie al Covid è entrato nel club dei super-ricchi Sergio Stevanato, 78 anni. Un signor nessuno con una ricchezza stimata di 3,1 miliardi di dollari al 25 gennaio, è ventesimo. È presidente onorario di Stevanato Group, una multinazionale con sede a Piombino Dese, in provincia di Padova. È il secondo produttore mondiale di fiale di vetro per la farmaceutica. Dal luglio 2021 la società è quotata a New York. Nel giugno 2020 Stevanato ha vinto un contratto per fornire 100 milioni di fiale per un massimo di 2 miliardi di dosi di vaccino contro il Covid. Quasi un anno fa la sua ricchezza era stimata da Forbes in 1,9 miliardi. In meno di 12 mesi è aumentata del 63%.

In classifica Stevanato viene dietro altri due miliardari veneti, Giuliana Benetton e il fratello Luciano, ciascuno con un patrimonio di 3,2 miliardi, aumentato di 1,2 miliardi durante la pandemia (+60%). Il primo tra gli italiani rimane Giovanni Ferrero, 57 anni, azionista principale e presidente esecutivo della multinazionale del cioccolato che produce la Nutella. Ricchezza stimata 33,6 miliardi di dollari, nove in più da inizio pandemia (+37%). Risiede a Bruxelles. Secondo i dati di Forbes nel 2021 era il 40º più ricco del mondo. La madre, Maria Franca Fissolo, è 21ª con 2,1 miliardi, “solo” 200 milioni di dollari in più del 2020. Il secondo è Leonardo Del Vecchio, 86 anni, fondatore di Luxottica che si è fusa con la francese Essilor di cui Del Vecchio è primo azionista, 30,9 miliardi di dollari di ricchezza, aumentata di 14,8 miliardi nei quasi due anni di pandemia (+92%). In valore assoluto è l’aumento maggiore. Il quinto è Silvio Berlusconi, 6,8 miliardi. Mentre in politica è in declino, il leader di Forza Italia è diventato – secondo Forbes – più ricco di 1 miliardo e mezzo rispetto all’inizio della pandemia (+28%). Anche il lusso è andato forte con il Covid. Il patrimonio di Giorgio Armani, sesto italiano, è aumentato da 5,4 a 6,7 miliardi (+24%), quello di Piero Ferrari da 3 a 4,9 miliardi (+63%). Patrizio Bertelli e Miuccia Prada hanno più che raddoppiato la ricchezza individuale, da 2,2 a 4,8 miliardi (+118%), sono noni. I fratelli di Miuccia, Marina e Alberto, sono entrati nel club dei ricchi nel 2020, patrimonio di 2,1 miliardi ciascuno. Remo Ruffini, azionista di Moncler, ha raddoppiato da 1,8 a 3,6 miliardi, è sedicesimo. Lo segue Francesco Gaetano Caltagirone, ex suocero di Pier Ferdinando Casini. Il costruttore, cementiere, finanziere ed editore (Messaggero, Mattino, Gazzettino) ha aumentato del 94% il patrimonio da 1,8 a 3,5 miliardi. Tra i nuovi ingressi John Elkann, con 2 miliardi è 28º, Marina e Giuliana Caprotti (Esselunga), 1,6 miliardi ciascuna, l’ex presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e il fratello Antonio, 1,3 miliardi a testa. Sono preceduti da Simona Giorgetta, principale azionista della Mapei dopo la morte dello zio Giorgio Squinzi, con 1,4 miliardi è 40ma, davanti ai figli dell’ex presidente di Confindustria, Marco e Veronica Squinzi, con 1,3 miliardi a testa. Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno 1,2 miliardi ciascuno, appena 100 milioni in più del 2020. I due stilisti a fine 2020 hanno venduto la villa a Stromboli, con vista sul vulcano. Il compratore è il bolognese Massimo Scagliarini, azionista e amministratore delegato di Gvs, azienda che fa attrezzature ospedaliere e produce mascherine anti-Covid. Avrebbe pagato circa 6 milioni di euro. La Gvs è stata quotata in Borsa nel luglio 2020, quell’anno i ricavi consolidati sono aumentati del 60% a 363 milioni, l’utile netto è più che raddoppiato da 33 a 78 milioni. Scagliarini oltre allo stipendio fisso di 379mila euro nel 2020 ha incassato un bonus di 930mila. E in più la finanziaria di famiglia ha incassato 13,6 milioni di dividendi lordi. Grazie Covid.

 

Il collezionista da 90mila libri: “Così ho salvato Casa Sciascia”

Una piccola casa su due piani, nel centro storico di Racalmuto, acquistata da un privato, ristrutturata e riconsegnata alla collettività. Poteva diventare un semplice b&b o una casa vacanze, in cui i clienti avrebbero potuto fregiarsi di aver dormito nell’abitazione degli zii di Leonardo Sciascia, dove lo scrittore visse per quasi quarant’anni, dal 1922 al 1958. Invece è il simbolo virtuoso della gestione di un bene privato fruibile al pubblico. “Questa è stata una casa significativa per Sciascia che era quasi un figlio adottivo per le tre zie. Al piano terra c’era la sartoria dello zio, e lo scrittore dopo la scuola media interruppe gli studi per fare l’apprendista in bottega. Tra queste mura sono state scritte le prime opere: La Sicilia, il suo cuore; Favole della dittatura e Le parrocchie di Regalpetra. E sono nate le sue figlie: Anna Maria e Laura”. È il racconto di Pippo Di Falco, che ora per aver comprato la casa dello scrittore alcuni definiscono un ‘mecenate’. Lui in realtà preferisce dirsi solo “un appassionato di Sciascia, di letteratura e di Racalmuto”. ‘Un compagno d’altri tempi’, che ha avuto come docente universitario a Palermo il sociologo Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia 1988; e che per anni è stato consigliere ed assessore alla cultura di Racalmuto, occupandosi anche della Fondazione Leonardo Sciascia, voluta proprio dallo scrittore nella vecchia centrale elettrica di Recalmuto, in cui è custodita la collezione dell’intellettuale.

“L’ho comprata dopo aver visitato alcune case di scrittori, come quelle di Verga e Pirandello, per 50 mila euro nel 2019 da un parente, ho fatto uno sforzo finanziario con un piccolo mutuo – racconta Di Falco –. Ho atteso più di un anno e mezzo perché l’avrebbe dovuta acquistare il Comune che aveva il diritto di prelazione, ma neanche la Regione era interessata ad acquistarla. La prospettiva non era positiva, c’era il pericolo che potesse prenderla un privato e farne un’attività recettiva, con il rischio di perdere il mobili e gli oggetti dello scrittore. L’ho acquistata per salvarla e farne un luogo visitabile e aperto al pubblico”.

Quando arriviamo a Racalmuto il tempo sembra si sia fermato. La provincia agrigentina negli anni si è spopolata per la forte emigrazione. Neanche i collegamenti funzionano bene. Bisogna attraversare un’autostrada fantasma, figlia dell’incapacità gestionale siciliana, e percorrere centinaia di chilometri di infiniti cantieri, deviazioni, doppi sensi di marcia, tunnel senza illuminazione e ponti sgangherati.

A pochi metri da “Casa Sciascia”, c’è l’abitazione dove nacque lo scrittore, vicina al Santuario della Madonna del Monte. La famiglia decise di trasferirsi negli appartamenti delle zie, un anno dopo la nascita dello scrittore. Al suo interno, sembra essere cristallizzato tutto al momento in cui Sciascia e la famiglia decisero di andare via nel 1958. Anche il mobilio è quasi tutto originale.

La passione Di Falco però va oltre Sciascia, negli anni ha collezionato circa 90 mila volumi, 10 mila sulla Sicilia e 3 mila sulla mafia. “A Casa Sciascia sono catalogate più di 1500 opere che riguardano lo scrittore: prime collezioni di libri, studi, riviste e articoli. In più si possono consultare oltre 5 mila testi di autori, filosofi, fotografi e artisti siciliani. Questo è un luogo di studio, in molti sono venuti qui per la loro tesi su Sciascia e sulle case degli scrittori”, spiega. In cantiere c’è l’idea di creare un database consultabile online. La casa è gestita da un’associazione senza scopo di lucro fondata da Di Falco, che oggi conta circa un centinaio di iscritti in tutta Italia.

“Da noi l’accesso è gratuito, basta prendere appuntamento con i volontari. In questi anni abbiamo avuto alcune migliaia di ospiti, grazie anche agli eventi e le iniziative legate al Fondo per l’ambiente italiano (Fai)”, spiega Di Falco.

Così la Casa dello scrittore torna a vivere nuovamente, diventando luogo di incontri, convegni, dibattiti e mostre per parlare di Sciascia e far conoscere gli autori siciliani. E tra le migliaia di visitatori che hanno calcato questo piccolo appartamento, c’è anche chi ha deciso di dare un contributo economico. “Ad Hamilton, in Canada, c’è una grossa comunità di racalmutesi, che dopo aver visitato Casa Sciascia ha donato 8 mila euro, che ci ha permesso di fare dei lavori di ristrutturazione dell’abitazione. Credo abbiano voluto aiutarci perché siamo non profit”.

Milano, il vento sradica un pezzo del tetto della Stazione Centrale

Una partedella copertura del tetto della Stazione Centrale di Milano si è staccato a causa del forte vento. Il vento ha sradicato anche le bandiere dell’Italia, della Lombardia e dell’Unione europea poste sopra l’ingresso del Consiglio regionale nella poco distante via Fabio Filzi, e l’edificio è stato transennato. Il Comune ha chiuso i parchi pubblici, il Castello Sforzesco e il cortile di Palazzo Reale. A Segrate il vento ha divelto il tetto di un asilo. Chiusure anche a Monza, mentre a Rho un uomo e una donna sono statiferiti da un albero caduto. Un ferito anche a Settala.