Anche la Chiesa ha sempre più influencer: “La pandemia ha creato comunità sui social”

Essere influencer è un lavoro: se a instagrammer e tiktoker si prova a dire il contrario si arrabbiano. Marketing, piazzamento dei prodotti, foto, balletti, stories e canzoni. Contratti e monetizzazioni. Sono regole e strategie delineate. Ma che accade se l’influencer è un sacerdote? Come si mostrano e diffondono Chiesa e Vangelo sui social media? Si può sponsorizzare Dio?

Vincenzo Corrado è il direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana, laico, e il suo libro Social media: uso o ab-uso? (Libreria editrice vaticana) è un decalogo per coniugare mondo digitale e fede. Punto di partenza: i social media sono parte integrante della realtà. “Con la pandemia hanno accorciato le distanze e risposto all’esigenza di sentirsi ancora comunità”, ci spiega. Così, di fronte alla creatività di sacerdoti e diocesi che hanno iniziato a postare, ha pensato potesse essere utile dare dieci piccoli consigli “perché questa presenza non diventasse insignificante o addirittura inficiasse il messaggio”. Evitare la logica degli influencer è il consiglio principe: “Raccogliere migliaia di like con citazioni mal attribuite o foto scomposte non contribuisce a una narrazione vera – si legge – meglio essere voci che gridano nel deserto, che urlatori della Rete”. L’esposizione di sé deve lasciare il posto alla creazione della comunità senza sottovalutare l’importanza del linguaggio: “La sua banalizzazione è una malattia grave”. Il rimedio sono ricerca e cura per rendere il messaggio comprensibile ed efficace. Come il Vangelo: scritto semplicemente ma con un messaggio importante, che si comunica da solo. “Se il messaggio è efficace e non viene tradito – spiega Corrado – troverà il modo di emergere anche nelle dinamiche, spesso oscure, del funzionamento dei social e dei loro algoritmi”. L’importante è conoscere il funzionamento del mezzo, continua l’autore, che nel libro inserisce anche un breve glossario: “Spesso o si rifiuta completamente una novità per timore oppure ci si tuffa veicolati dalla meraviglia ma impreparati: bisogna trovare il giusto equilibrio”. Insomma, non è che la Chiesa ha bisogno dei social: c’è già dentro ed è in pieno allenamento. “Papa Francesco ha parlato di dialogo generazionale e il terreno dei social è proprio quello su cui si potrebbe tessere una trama educativa tra generazioni. La Chiesa ha già tante iniziative in campo”. E cosa pensa dei preti influencer? “Abbiamo degli influencer che appartengono alla nostra fede e alla nostra dimensione di senso. Se ne diventiamo annunciatori, questi strumenti potranno incidere sulla vita delle persone. Il Papa, poi lo ha già detto: la Madonna è stata la prima influencer della Storia”.

La polizia intercettava pure Bibi: nuove rivelazioni di Calcalist

Dopo lo scoop di gennaio, il giornale economico Calcalist è tornato sulla vicenda delle intercettazioni non autorizzate effettuate della polizia in ogni settore della vita pubblica e sociale. Persino lo staff dell’ex primo ministro Bibi Netanyahu sarebbe stato controllato grazie al malware Pegasus, il “baco” della Nso che si infiltra sui cellulari rivelandone il contenuto di fotografie, email e dati sensibili. Il premier Bennett ha dichiarato che “gli israeliani meritano delle risposte” sulla vicenda. Calcalist sostiene che l’attività ha preso il via nel 2015 con Roni Alsheikh, nominato a capo della polizia dopo aver diretto lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna. Tra le persone spiate il figlio di Netanyahu, Avner, ex direttori dei ministeri delle Finanze, della Giustizia, dei Trasporti, l’uomo d’affari Rami Levi e l’ex direttore del sito di notizie Walla.

I camionisti adottati dal team Trump

Come se non ne avessero già abbastanza negli Usa, e nello stesso Partito Repubblicano, i trumpiani vanno a cercarsi i nemici anche fuori dall’Unione. E quale bersaglio migliore del premier canadese Justin Trudeau? Liberale e ‘liberal’, uno che il magnate ex presidente non ha mai potuto sopportare. Nel 2018, gli mandò all’aria il G7 nel Quebec: piantò in asso i Grandi per volare a Singapore a incontrare Kim Jong-un e, mentre era in volo, cassò con un tweet la dichiarazione già concordata, definendo Trudeau “debole e disonesto”. Adesso, un deputato repubblicano del Texas di osservanza trumpiana, Chip Roy, uno che considera Trudeau “un estremista di sinistra”, rilancia voci senza fondamento secondo cui il premier sarebbe fuggito dal Canada e si sarebbe rifugiato negli Usa a causa della protesta anti-Covid dei camionisti canadesi, a cui danno man forte ‘no vax’ e ‘no mask’. Roy, che trova sponde nel senatore Ted Cruz e in molti altri complottisti e negazionisti, arriva a chiedere, con un tweet destinato ai suoi 85mila follower, che se Trudeau si nasconde negli Usa – cosa non vera –, venga rispedito in Canada e costretto ad affrontare la rabbia della sua gente. I media americani si divertono a sbugiardare il deputato, che, però, non fa marcia indietro. La Cnn, con un dettagliato fact checking, aiuta a ricostruire la vicenda. A fine gennaio, centinaia di camionisti che non vogliono sottoporsi al vaccino e che hanno difficoltà a muoversi tra Usa e Canada per la diversità delle norme nei due Paesi, cingono d’assedio con i loro tir la collinetta del Parlamento canadese, a Ottawa. Le manifestazioni ‘no vax’ sono punteggiate da bandiere confederate e da vessilli nazisti, che poco hanno a che fare con il Canada e che paiono venire dal Sud degli Usa. La protesta anti-Covid diventa un caso politico e i ‘trumpiani’, tendenzialmente negazionisti della pandemia, soffiano sul fuoco. Roy rilancia la voce di una fuga di Trudeau e intima: “Nessun rifugio sicuro per i tiranni del Covid.” Trudeau, in realtà, non ha mai lasciato il Canada: il premier era rimasto isolato cinque giorni da giovedì 27 gennaio per un contatto con uno dei suoi figli (positivo al Covid) e, lunedì 31, era poi risultato a sua volta positivo. Lo stesso giorno, aveva fatto una conferenza stampa virtuale dalla residenza ufficiale sul Lago Harrington nel Quebec, vicino a Ottawa, dicendosi preoccupato per il livello di violenza della protesta. La Cnn ha anche scovato la ‘fonte’ di Roy: l’account Twitter ‘Terror Alarm’ citava non meglio precisate “fonti israeliane”, correggendo poi il tiro. Ieri a Ottawa dopo l’undicesimo giorno di proteste dei camionisti, è stata dichiarata l’emergenza nazionale: non ci sono abbastanza poliziotti e i cittadini vogliono fare causa ai guidatori dei Tir per i disagi sofferti.

Così lontani, così vicini: Manu fa il paciere a Mosca

Per la pace in Europa ieri il presidente francese Macron è volato a Mosca e il cancelliere tedesco Scholz ha raggiunto la Casa Bianca. Dei 27 Stati europei che non hanno una politica comune verso il possibile conflitto al confine ucraino, il presidente francese mira a essere la voce più convincente. Ieri nella Federazione era in missione da paciere, per trovare una risposta “utile per la Russia e per l’Europa” ed evitare la guerra. “Emmanuel”, che Putin ieri ha chiamato per nome al tavolo bianco del Cremlino, ha detto che Federazione e Unione hanno lo stesso obiettivo: la de-escalation, per evitare l’avvicinamento militare e favorire quello diplomatico. Al Cremlino però non si aspettano svolte decisive dall’incontro. Macron, che oggi sarà a Kiev, dal canto suo, pensa anche che un successo “da uomo di pace” può tornare utile alle urne presidenziali francesi di aprile.

Taciturno, riluttante, più che cauto. Da settimane, da quando è scoppiata la crisi ucraina, il cancelliere Scholz è diventato Olaf il “muto”, come lo ha ribattezzato ironicamente qualcuno sui social tedeschi. Ieri, appena atterrato in Usa per rassicurare gli alleati americani e rinnovare la sua professione di fede atlantista, ha ribadito che “Germania, Ue, Usa devono ragionare nello stesso modo. C’è un prezzo alto da pagare se l’Ucraina viene attaccata”, un costo unanime, che sarà “rapido e decisivo” e potrebbe comportare il blocco del gasdotto Nord Stream 2. Per non essersi schierata subito con gli alleati, nei corridoi del Pentagono, hanno cominciato a chiamare la Germania “partner inaffidabile”. Berlino è troppo dura con l’Ucraina a cui non ha spedito armi difensive, ma solo 5.000 elmetti – ieri il presidente Zelensky non ha incontrato la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, in visita a Kiev – e troppo morbida con Mosca, a cui non ha subito intimato sanzioni, in caso di invasione, contro il Nord Stream 2, la vena sotterranea e gonfia di gas che collega Russia e Germania. Quello che vogliono molti a Washington è che non entri mai in funzione il nuovo gasdotto della Gazprom, nel cui consiglio d’amministrazione siede, da venerdì scorso, anche l’ex cancelliere tedesco Schröder.

Davanti a un potenziale conflitto sulla sua mappa orientale, l’Europa rimane strabica negli obiettivi. Le dichiarazioni sono vaghe, accordi e impegni precisi mancano. Ieri 1.700 dei 3.000 soldati Usa promessi da Biden sono arrivati in Polonia, raggiunta anche da 350 britannici. La Nato continua ad ingrossare il suo fianco orientale: contro la Russia, da cui si aspetta “il dispiegamento di truppe più massiccio dalla Guerra Fredda” nella tundra al confine ucraino e quello bielorusso, Stoltenberg, segretario generale dell’Alleanza, ha riferito che pronti a essere operativi ci sono anche i Battle group.

Dopo mesi di striduli baccagli per l’imminente attacco delle truppe di Mosca, le autorità ucraine, via Twitter, ieri hanno chiesto ai cittadini di stare calmi e non credere all’Apocalisse di cui parlano i giornali di Washington. Quelli che, per gli 83 battaglioni russi al confine, stimano la caduta di Kiev in due giorni, 50 mila morti tra i civili e fino a 5 milioni di profughi: “L’Ucraina ha un esercito forte, sostegno internazionale. Il nemico dovrebbe avere paura di noi” ha scritto il ministro degli Esteri Dmitry Kuleba, che ha ricordato – mentre Macron si confrontava con Putin e Scholz con Biden – che la politica estera degli ucraini “la decidono solo gli ucraini”.

Il presidente Saied manda a casa anche i magistrati

Agitando lo spettro della corruzione che nell’era Ben Alì si era gonfiata a dismisura e che di fatto è rimasta tale, il presidente tunisino Kais Saied ha compiuto l’ennesimo passo verso l’autocrazia sciogliendo il Consiglio superiore della magistratura. La decisione è stata presa dopo che i giudici hanno respinto la decisione di Saied di sciogliere il consiglio che li sovrintende, sollevando timori sulla tenuta dell’indipendenza della magistratura che pure non ha mai brillato per imparzialità. Per mesi il presidente della Repubblica aveva criticato aspramente la magistratura accusandola, per l’appunto, di corruzione e di essere infiltrata dai suoi nemici. Nel frattempo, il capo dell’Associazione dei giudici tunisini ha affermato che i membri si stanno consultando sui prossimi passi per proteggere la magistratura e la sacralità dei tribunali. Anche l’Associazione dei giovani magistrati ha denunciato che si tratta di un’epurazione politica della magistratura, mentre l’Associazione dei giudici ha affermato che Saied sta cercando di accumulare tutti i poteri nelle proprie mani. Nel luglio 2021, Saied aveva improvvisamente sospeso il parlamento e destituito il primo ministro, la prima di una serie di mosse che i suoi critici hanno bollato come un colpo di mano. In seguito ha preso provvedimenti per arrivare a governare per decreto e ha sottolineato che riscriverà la costituzione del 2014 per poi sottoporla a referendum. Saied respinge le accuse di colpo di stato e si è impegnato a difendere i diritti e le libertà conquistati con la rivoluzione del 2011. Il leader del partito dei fratelli musulmani Ennahda, Rached Ghannouchi, che è anche il presidente del parlamento sospeso, ha dichiarato domenica scorsa che l’Aula ha respinto la decisione di Saied di sciogliere il consiglio giudiziario superiore e ha espresso solidarietà ai giudici. Prima di diventare presidente nel 2019, Saied aveva ripetutamente affermato che la magistratura dovrebbe ricordare che rappresenta una funzione dello Stato piuttosto che essere lo Stato stesso. Il mese scorso, lo stesso presidente aveva revocato i privilegi finanziari ai membri del consiglio, accusando l’organismo indipendente, istituito nel 2016, di nominare i giudici sulla base della lealtà alla propria leadership e non per i loro meriti.

Fuga dalla chiesa tedesca. Scandali e tasse, mix letale

Dopo lo scandalo degli abusi sessuali nella diocesi di Monaco, la chiesa cattolica tedesca prova a mostrare un’altra faccia. Sabato scorso il sinodo ha approvato dei documenti su celibato e sacerdozio femminile che segnano un’importante apertura del clero tedesco. L’emorragia di fedeli è in atto da anni, decenni, ma non è solo una questione teologica. C’entrano anche le tasse. Non l’8 per mille come in Italia, ma l’8 per cento che non è volontario, ma un prelievo forzoso dallo stipendio di chi si dichiara fedele.

Nel 2019 il cardinale di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx, ha aperto il sinodo tedesco. Si sarebbe dovuto chiudere lo scorso anno, ma la pandemia ha rimandato tutto al 2023. Intanto il clero si è incontrato e prodotto documenti di riforma. Il primo a destare scandalo fu quello dello scorso ottobre in cui la chiesa tedesca si diceva a favore della benedizione delle unioni omosessuali. La proposta arrivò pochi mesi dopo le dimissioni, respinte da Papa Bergoglio, del cardinale Marx. Il prelato aveva dato il via a un’inchiesta sulla pedofilia nella sua diocesi e prima ancora di vedere la conclusione avrebbe voluto allontanare da sé l’amaro calice. A gennaio lo studio legale Westfahl Spilker Wastl ha presentato un rapporto in cui vengono contati 497 casi di abusi sessuali commessi nella diocesi di Monaco negli ultimi 70 anni. Non si accusano solo i pedofili, ma anche tutti coloro che li hanno coperti. Tra questi c’è anche il papa emerito Benedetto XVI, che tra il ’77 e l’82 era arcivescovo di quella diocesi. Dal Vaticano Ratzinger disse di essere all’oscuro di tutto, non partecipò a una riunione in cui si fece il punto sugli abusi nel 1980. Per questo motivo permise a un pedofilo conclamato di continuare a esercitare le sue funzioni pastorali e perpetrare nuovi abusi. Dopo la pubblicazione dell’inchiesta Ratzinger ha ritrattato. Ma la questione è ben più estesa. L’opinione pubblica si è ferocemente scagliata contro la chiesa. Sabato il clero ha giocato le sue carte. Tre documenti per segnare il futuro della religione cattolica nel Paese.

Il primo ‘celibato dei sacerdoti, rafforzamento e apertura’ è stato approvato con l’86% dei consensi. Si apre al matrimonio dei preti sia prima che dopo l’ordinazione. Il cardinale lussemburghese Hollerich ha detto: “Ho un’opinione molto alta del celibato, ma è essenziale?”. Il secondo documento approvato si occupa sempre del sacerdozio, ma di quello femminile. Ci potranno essere preti donne.

Meno discusso, ma molto importante è anche il terzo dossier che verrà mandato in Vaticano, niente verrà applicato senza essere prima passato dall’approvazione di della curia romana, si occupa della gestione più democratica del potere all’interno della chiesa. Il tema sul quale i preti tedeschi non sono riusciti a trovare una posizione comune è la Kirchensteuer: la tassa sul culto. All’inizio del 1900 è stata introdotta un’imposta che tutti i fedeli devono pagare alla comunità religiosa d’appartenenza. Si tratta dell’8 o 9%, a seconda del Land di residenza, sulle tasse annuali che ogni cittadino paga allo Stato. Per esempio un berlinese che ha uno stipendio mensile 4.000 euro lordi si vede trattenuti dalla busta paga oltre 60 euro al mese. La scelta se registrarsi come fedele avviene direttamente con l’elezione di residenza. Sul modulo da presentare al Comune c’è una domanda in cui viene chiesta la fede religiosa. Ma non tutte le comunità hanno scelto di riscuotere questa tassa. Per esempio, musulmani e buddisti non pagano nulla. Per gli autonomi di fede cristiana o ebraica il pagamento deve avvenire su base annuale. Ci sono diversi casi in cui la chiesa cattolica ha minacciato il pagatore insolvente di non permettergli di accedere ai sacramenti se non avesse saldato il debito. Sovente il cittadino straniero battezzato all’estero quando inizia a lavorare in Germania viene inserito nelle liste dei fedeli, quindi tassato, anche se non partecipa alle attività religiose. Negli ultimi anni il numero di tedeschi che scelgono di cancellare la propria appartenenza a un gruppo religioso è in aumento. Secondo i dati pubblicati della chiesa tedesca nel 2019 la Kirchensteuer valeva 2,7 miliardi di euro. Nel 2020 c’è stata una contrazione di circa il 20 per cento.

Palazzo chigi “scippa” a Giorgetti balneari e automotive

Se non è un vero commissariamento, è comunque un segnale forte: Palazzo Chigi ha preso il controllo di due tra i dossier più rilevanti del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti. Oggi l’incontro tra il numero due della Lega e i rappresentanti dei balneari non si terrà al ministero, ma nella sede del governo al cospetto del premier Mario Draghi. Lì i balneari, con le loro ottime sponde politiche trasversali, con particolare incidenza nella Lega, dovranno continuare a stilare la mappatura delle concessioni per metterla a gara (forse) dal 2024. Così come domani, alle 10.30, il ministro Giorgetti incontrerà i rappresentanti del settore automotive sempre a Chigi e non al Mise. Il comparto è in affanno con perdite a due cifre. Finora il Mise ha previsto solo il rifinanziamento dei bonus. Federmeccanica e sindacati, Fim, Fiom e Uilm, hanno scritto una lettera al governo chiedendo interventi immediati, perché “sono a rischio 73.000 posti di lavoro”.

Il Credit Suisse sotto tiro sui fondi per i jet e gli yacht di oligarchi russi

Non è un bel periodo per il Credit Suisse. La seconda banca svizzera, che il 16 gennaio ha visto il presidente António Horta-Osório dimettersi per aver violato due volte la quarantena usando il jet della banca e che dopodomani presenterà i conti 2021, è sotto il fuoco degli scandali. Il 25 gennaio l’istituto ha lanciato un allarme utili sui conti del quarto trimestre per 473 milioni di euro di accantonamenti legali dovuti agli scandali dei fondi Greensill e Archegos, sukl quale ad aprile ha perso 4,7 miliardi. Ora è a rischio che la crisi ucraina faccia scattare nuove sanzioni ai suoi clienti oligarchi russi e finisce a processo per riciclaggio di narcodollari di ‘ndrangheta e mafia bulgara.

Secondo il Financial Times, la banca ha assicurato un portafoglio di prestiti legati agli yacht e ai jet privati di oligarchi e imprenditori ultraricchi ​​per scaricare i rischi associati. A fine 2021 Credit Suisse ha ceduto una fetta del rischio relativo a 2 miliardi di dollari di prestiti garantiti da jet, yacht, immobili e attività finanziarie dovendo pagare un tasso d’interesse monstre di oltre l’11% per invogliare una manciata di hedge fund a sottoscrivere una transazione da 80 milioni di dollari. Tra 2017 e 2018 Credit Suisse ha subito 12 default di clienti che erano stati finanziati per acquistare yacht e aerei, di cui un terzo “correlato alle sanzioni Usa contro oligarchi russi”. La banca ha iniziato a finanziare gli yacht solamente nel 2014, ma già nel 2021 era esposta a questi crediti per un miliardo di dollari.

Ieri poi il Credit Suisse è stato accusato di aver lasciato che una banda di trafficanti di cocaina la usasse per riciclare quasi 140 milioni di euro in contanti. Nel primo processo penale contro una grande banca svizzera, i pubblici ministeri federali di Bellinzona svizzeri chiedono che paghi una multa da 40,1 milioni di euro per non aver evitato il riciclaggio di narcodollari tra il 2004 e il 2008. I magistrati sostengono che Credit Suisse e una sua ex dipendente hanno avuto con rapporti con l’ex wrestler bulgaro Evelin “Brendo” Banev (non imputato) e diversi soci, due dei quali sotto accusati. Già nel 2005 i Carabinieri segnalano Banev come uno dei “re della coca”. La sua banda – legata a una costola piemontese della famiglia di ‘ndrangheta Bellocco di Rosarno – avrebbe importato 40 tonnellate l’anno di droga e fu sgominata nel 2012 in Bulgaria con un’operazione dai servizi speciali bulgari e italiani con l’assistenza dell’Interpol. Tra Italia, Romania e Bulgaria Banev ha già subìto condanne totali per 36 anni di reclusione per traffico di droga e riciclaggio. La banca e la sua ex dipendente respingono senza riserve come infondate tutte le accuse.

Mps “fucila” l’ad Bastianini: entra Lovaglio, 2021 in utile

Alla fine è stato un vero e proprio plotone di esecuzione, quello che ieri mattina ha sfiduciato l’amministratore delegato di Mps Guido Bastianini. Nonostante i conti 2021 chiusi con un utile netto di 310 milioni, il miglior risultato da sei anni, tutti i 13 consiglieri presenti – dopo le dimissioni di Olga Cuccurullo – hanno votato all’unanimità la revoca delle deleghe a Bastianini e sempre all’unanimità hanno nominato Luigi Lovaglio amministratore delegato e direttore generale. Insomma, hanno obbedito all’ordine arrivato dal ministero dell’Economia, azionista di controllo della banca con il 64,23%. Una richiesta che il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, aveva già espresso a Bastianini a fine gennaio, ottenendone un deciso “no”. La consigliera indipendente Rita Laura D’Ecclesia, in quota M5S, secondo alcuni rumor giovedì scorso, 3 febbraio, avrebbe incontrato Rivera.

Nessuna spiegazione è stata fornita sulla decisione del ministero, arrivata dopo le voci più disparate e sinora senza alcun fondamento riportate dalla stampa e dopo che in parlamento a novembre Rivera aveva detto che il ministero non intendeva cambiare l’ad. La nomina di Lovaglio sarà ora soggetta alla valutazione della Banca centrale europea, mentre Bastianini resta in carica come consigliere indipendente e sarebbe pronto alle vie legali. Terminata la presentazione del bilancio 2021 l’ad uscente ha lasciato il cda di Mps per recarsi al funerale della sorella, morta nei giorni scorsi, senza assistere alla sua revoca.

Dure le prese di posizione dei sindacati, che temono il via a una stagione di taglio selvaggio dei costi a partire da quello del lavoro, con la possibilità di 4mila esuberi su 20mila dipendenti. “È difficile comprendere le ragioni che, in un momento così delicato, hanno portato a mettere da parte un manager sotto la cui guida la banca ha avviato un percorso di rilancio. Si crea una situazione di incertezza che rischia di nuocere in primo luogo ai lavoratori”, ha detto il segretario di First Cisl Riccardo Colombani. “Bastianini è stato trattato come un eversivo. Ha due soli difetti: è una persona per bene ed è professionalmente capace. Confido nel buon senso e nelle indubbie capacità del Tesoro, primo azionista di Mps, per risolvere una difficile situazione che riguarda 20mila dipendenti, le loro famiglie e oltre 4 milioni di clienti”, ha scritto il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. “No a un nuovo piano industriale che contenga sacrifici a senso unico e no a esuberi con logiche industriali: lo diciamo fin da subito al nuovo ad di Mps e al Tesoro. Chiediamo maggiore chiarezza all’azionista di maggioranza, il nuovo ad dovrà redigere un nuovo piano industriale su cui aleggiano solo ombre e nessuna certezza”, afferma Federico Di Marcello, segretario della Fisac Cgil del gruppo Mps. Per il segretario Uilca Fulvio Furlan “Mps ha cambiato il quarto ad in 10 anni e il secondo in due. Resta la massima incertezza sul futuro della banca e dei lavoratori”.

Chiusa la questione della governance, torna alla ribalta la situazione della banca e dei suoi conti. Al 31 dicembre scorso il gruppo ha realizzato ricavi per 2,980 miliardi, in crescita dell’1,3% rispetto al 2020 che su base omogenea salirebbe al +5% annuo. Il margine di interesse è calato del 5,4% a 1,22 miliardi, le commissioni nette sono aumentate del 3,8% a 1,5 miliardi, mentre i costi operativi sono calati del 3,6% a 2,1 miliardi. Tagliate drasticamente le rettifiche di valore (180 milioni, -12,7%), il costo del credito clientela è stato pari a 250 milioni rispetto ai 773 dell’anno precedente. I rischi delle cause legate all’informativa di mercato sono calati del 70% a 1,7 miliardi, mentre nel 2021 Mps ha visto crescere da 4 a 4,1 miliardi il livello di crediti deteriorati lordi e calare da 2,2 a 2,1 quelli netti, grazie a un aumento del livello di copertura dal 46,5 al 47,9%. Il bilancio 2021 segna così un utile netto di 310 milioni, il miglior risultato dal 2015 dopo la perdita di 1,68 miliardi del 2020. Ma il patrimonio viene limato a 6,2 miliardi e al 31 dicembre 2022, potrebbe emergere un deficit di capitale di 150 milioni, un decimo rispetto a quello atteso sino a pochi mesi fa di 1,5 miliardi.

Sul tavolo del Tesoro resta l’aumento di capitale da 2,5 miliardi e la rinegoziazione dei tempi di uscita dal capitale di Mps, da trattare con Bruxelles. Questioni che ora toccheranno al nuovo ad Lovaglio.

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Una Repubblica fondata sul calcio e le canzonette

Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ebbene, appena insediato, il presidente Mattarella manifesta la sua solidarietà telefonando ai lavoratori che rischiano di essere licenziati dalle multinazionali? No, chiama Amadeus. Dunque le canzonette sono il fondamento della Repubblica. Senza dimenticare l’altro fondamento, il calcio. La scorsa estate, per tutelare la salute pubblica, il premier Draghi vietava per decreto gli assembramenti ma poi autorizzava i calciatori a non osservarlo, perché “con quella Coppa possono fare ciò che vogliono”. La trattativa Stato-Bonucci che tutti i divieti spazza via ha conferito al Paese l’anima, la visione, l’identità e la prospettiva.

Maurizio Burattini

 

Conte, la sinistra e gli orfani politici

La popolarità di una persona perbene come Conte è un bene prezioso nello squallido panorama della politica italiana, e lo dimostra il fatto di essere costantemente sotto l’attacco di tutte le forze cosiddette “conservatrici”. Leggendo lettere e post sul nostro giornale mi sono reso conto che molti concordano su quella che, anche per me, sarebbe la migliore strategia per salvaguardare Conte dallo sbriciolamento in atto nel M5S: che si sposti ancora un pochino a sinistra, e diventi il referente per un secondo tentativo, dopo quello fallito di LeU, di riunificazione di tutte le forze progressiste. Proporrei quindi che il nostro giornale aprisse una raccolta firme a sostegno di tale ipotesi, chiedendo a chiunque volesse esprimere il suo parere se appoggerebbe la candidatura di Conte quale leader di una possibile unione della sinistra democratica, dove confluirebbero tutti gli orfani della sinistra.

Enrico Cesarini

 

L’Ordine degli avvocati minaccia “Il Fatto”

Ho letto che l’Ordine degli avvocati di Roma ha presentato querela contro Il Fatto perché ha sollevato dei sospetti per il non controllo della corrispondenza fra i mafiosi e i loro avvocati. Avete tutta la mia profonda stima e solidarietà.

Franco Rinaldin

 

Il braccio della morte diventa una sala lettura

Il governatore della California, Gavin Newsom, che tre anni fa aveva imposto una moratoria sulle esecuzioni capitali, si sta adoperando per smantellare il più grande braccio della morte negli Stati Uniti. L’obiettivo dichiarato è quello di trasformare la sezione della prigione di San Quentin in un “ambiente salutare”. la pena di morte è pratica ferina, obbrobriosa e immorale. Dobbiamo solo sperare che l’immonda pena venga abolita lentamente in tutto il mondo, bonificando i bracci della morte e facendoli diventare magari biblioteche o sale di lettura. Portando insomma la vita dove prima dominava la morte.

Marcello Buttazzo

 

DIRITTO DI REPLICA

Scriviamo in nome e per conto del nostro assistito, Sua Eminenza Reverendissima il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, che ha a tal fine conferito espresso mandato, per significare quanto segue. In data 8 gennaio 2022 veniva pubblicato, sul Fatto Quotidiano, un articolo dal titolo: “Francesca Chaouqui: ‘Io, vati-lobbista da 2 milioni. Dossier? Sempre dal notaio’” , a firma del dottor Fabrizio d’Esposito. Le dichiarazioni rilasciate dall’intervistata, nella parte in cui si riferiscono alla persona di Sua Eminenza, sono false e gravemente diffamatorie, e meritano decisa smentita. In particolare, è falso affermare che il Cardinale avrebbe fatto arrestare la signora Chaouqui. Pur ricordando che le responsabilità penali ipotizzate dalla giustizia vaticana in capo alla predetta furono confermate con sentenza di condanna irrevocabile, il fermo di polizia per la notte del 1° novembre 2015 fu disposto d’iniziativa del Corpo di Gendarmeria a seguito di un interrogatorio, poi convalidato dal Promotore di Giustizia. La rimessione in libertà della signora Chaouqui avvenne il giorno successivo, il 2 novembre, su provvedimento di revoca del Promotore di Giustizia per cessazione delle esigenze cautelari. Tali provvedimenti furono assunti in via autonoma dagli Organi istituzionalmente deputati ad assumere simili iniziative, senza necessità di confronto o di autorizzazione con altre Autorità, e certamente non con la persona del Cardinale Becciu, che ne fu informato soltanto in momento successivo.

Avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo