Gentile redazione, sui social si sprecano commenti sull’esame di maturità 2022: alcuni esprimono lo sgomento e il fervore di chi reputa gli esami degli ultimi due anni e anche il prossimo privi di quella “serietà” che ha caratterizzato la propria esperienza passata. Il “liberi tutti” all’ammissione agli esami dell’anno 2020 non è sicuramente espressione di un sistema meritocratico. Tuttavia, la situazione scolastica antecedente al virus non era così rosea come la dipingono i nostalgici.
Ho terminato gli studi superiori in un liceo classico meno di un lustro fa. Ho vissuto la scuola dall’interno delle sue mura con occhi infantili e adolescenziali, prima, e ho assistito ai vari cambiamenti apportati all’esame di maturità nel corso degli anni, dopo. Dalla mia esperienza, la scuola il merito non lo premiava neanche in precedenza, ben prima del 2020… A chi sostiene che con la Dad si perda moltissimo tempo e non si riesca a completare il programma, voglio dire invece che non è questa la causa dei loro mali. In primo luogo di tempo se ne perdeva anche in presenza. Tra assenze per malattia dei docenti, vari eventi a cadenza settimanale, lezioni intercalate da racconti di vita dell’insegnante, non posso dire di aver goduto effettivamente di tutto il tempo di cui avrei potuto disporre. Secondariamente, la Dad è uno strumento e come tutti gli strumenti necessita di qualcuno che ne faccia uso. In una fascia di età compresa tra i 14 e i 18 anni, può essere sfruttata sapientemente, nella consapevolezza che fare lezione e interrogare online non implicano necessariamente lo stravolgimento del proprio metodo didattico. Se l’occasione fa l’uomo ladro, è pur vero che ho conosciuto insegnanti, di ogni età, che sapevano come contrastare i furbi tentativi degli studenti. È compito dell’insegnante adattarsi ai tempi e alle circostanze, ma egli non ha quella capacità di muovere le coscienze, di stimolare il senso critico degli alunni, di trovare anche in materie come il greco antico implicazioni attuali, e finisce piuttosto con l’eseguire ordini superiori e condurre le solite spiegazioni e interrogazioni, la sua figura si esaurisce in una professione sterile, nel significato proprio del termine: non genera nulla. E poco importa lo strumento che si utilizza. Fin quando la scuola, come un’azienda, avrà come obiettivo la produttività, sfornando a tutti i costi diplomati, e fin tanto che ci saranno professori che penseranno che la massima soddisfazione derivante dall’insegnamento sia il voto alto che si staglia sulla pergamena del titolo conseguito dai propri alunni, la scuola non sarà mai scuola. Concludo chiedendomi e chiedendovi “se questa è Scuola”, parafrasando il titolo della celebre opera memorialistica di un autore che, ovviamente, per mancanza di tempo, non ho avuto occasione di studiare come avrei dovuto.
Stefano Vittorio Pruneri