Ora che il malanno si quietò, possiamo stappare, brindare, sorseggiare la solita bottiglia di Krug Gran Cuvée millesimato da 1.140 euro la bottiglia. E metterci comodi per raccontarvi la storia di Flavio Briatore, il re leone “nato poverissimo” sulle alture del Cuneese una settantina di anni fa. Sceso nelle pianure del jet set per accomodarsi al tavolo verde della vita. Vincere il banco con il suo socio Emilio Fede e qualche trucco. Scappare alle Virgin Islands inseguito dalle guardie. Giocare agli autoscontri con la Formula 1 e i soldi del suo amico Luciano Benetton. Fare shopping a Londra con Heidi Klum. Fare il bagno a Malindi con Naomi Campbell. Tornare in Italia negli anni dell’era arcoriana, coperto da amnistia e dal suo amico Silvio, a fomentare i ricchi e a sputazzare i poveri. Trionfare sui rotocalchi per casalinghe sognanti. Bagnarsi ogni tanto in Costa Smeralda. Detestare i sardo-pastori, i perdenti e i comunisti. Diventare l’icona dei veri uomini che se ne fregano, “il Covid è un raffreddore”. Amare l’Italia dei privé. Ma parcheggiare prudentemente la Bentley e la residenza fiscale a Montecarlo.
Visto da molto lontano, Flavio Briatore è un unicorno con fibbie in oro, incenso e mirra che galleggia nel vasto mare dei mediocri incantati dal suo mantra: “Se vuoi, puoi”. Ma avvicinandosi, il miraggio si sgonfia. È solo aria frizzante per gonzi. E il primo gonzo è lui: “Ero anch’io uno di quei ragazzi che andavano in Sardegna a guardare le barche dei ricchi. Sognavamo di diventare come loro, di avere le donne più belle, le ville, gli yacht”.
Anche se non se lo ricorda nessuno, il suo inizio è col botto, dieci chilogrammi di tritolo piazzati nella Bmw del suo primo socio in affari, un tale Attilio Dutto, finanziere, palazzinaro, giocatore d’azzardo, che salta per aria una mattina di primavera del 1979. Non a Palermo o a Beirut, ma a Cuneo. E in quella automobile sarebbe dovuto salire anche Briatore, che invece era arrivato all’appuntamento con un provvidenziale quarto d’ora di ritardo. L’inchiesta – che sfiorerà un paio di famiglie mafiose e un giro di bische clandestine – finisce nel nulla. Briatore si eclissa. Ricompare nella Milano anni Ottanta, con una compagnia di prima classe, Bettino Craxi, Lele Mora, Iva Zanicchi, e naturalmente Fede con cui organizza partite a poker per polli da spennare: industriali, conti, marchesi, il cantante Pupo, più qualche figurante nei panni di generali venezuelani, sceicchi arabi, petrolieri texani. Fino a quando un paio di magistrati a Milano e Bergamo incriminano la coppia alla voce “banda dei bari”. Meno male che quando arriva il mandato di cattura, Briatore sta facendo il bagno a Saint Thomas, isola dei Caraibi, dove l’estradizione compare solo nell’elenco dei cocktail per vip. Essendo latitante, trova subito lavoro. Glielo offre Benetton che lo trova “un po’ teppista, ma tanto simpatico”.
Prima la rappresentanza dei negozi di maglioni in America, poi la guida della scuderia di Formula 1, due campionati vinti con Michael Schumacher, altri due con Fernando Alonso, molte liti, qualche scandalo, montagne di soldi che appaiono e scompaiono. Dal palcoscenico dell’ultramondo non scende più. Ci passeggia in ciabattine Gucci con ciuffo di visone sul metacarpo, in compagnia di donne bellissime. Esibisce solo attrici, modelle, starlet “mai sopra i 32 anni”. Non le ingaggia per amore, ma per il brand, l’immagine, la comunicazione, che sono le tre endorfine dei vincenti come lui: “L’apparire è il mio lavoro”.
Dice di lavorare “15 ore al giorno”. Copre gli intervalli volando qui e là con il suo Falcon 900. Dice: “Amo la vita gipsy”, che vorrebbe dire “zingara”. Per fortuna i suoi accampamenti non sono roulotte con i panni stesi: ha una villa a Montecarlo, un attico a Parigi e uno a New York. Una casa a Milano. Un pied-à-terre a Atene. Una villa a Londra. Un intero resort sulle spiagge di Malindi, il Lion in the Sun. Dove organizza feste da ballo per le sue fidanzatine e le amiche italiane che qualche volta se ne vergognano, come capitò a Giovanna Melandri, pupilla di D’Alema, capodanno 2007.
Quando torna in Italia per fondare il Billionaire in Costa Smerlada – “che ormai è diventato un marchio, un modo di essere, un modo di vivere”, ultimamente anche una malattia – trova ad attenderlo l’altra metà dell’ostrica, anzi la perla, Silvio B., che lui chiama “il mio presidente”. Amiconi al primo sguardo. Al punto da scambiarsi i maglioncini di seta blu, le amiche, il pediatra per curarle. Il Billionaire è la sua immagine. Ci vanno i brianzoli ricchi, i russi, gli arabi e Jerry Calà. Offre la “più alta concentrazione di gnocca per metro quadro”, come disse suscitando scandalo. In realtà è un timido: “Gli sguardi della gente mi intimoriscono, porto gli occhiali da sole per difendermi”.
Oltre ai soldi e al successo ha un paio di matrimoni alle spalle. Entrambi con divorzio incorporato. L’ultimo con la soubrette Elisabetta Gregoraci che commosse l’Italia quando gli sbirri, per la solita persecuzione fiscale, sequestrarono il loro Yacht, il Force Blue, e lei disse che il loro bimbo di due mesi, abituato alla culla del mare, aveva perso il sonno, mentre lei, per lo stress, il latte. Lui prima schierò gli avvocati. Poi pagò 5 milioni per il dissequestro. Senza piagnucolare troppo, come sanno fare i vincenti venuti dal nulla.
Il suo nulla è il paesino di Verzuolo, 6mila abitanti, padre e madre maestri elementari. Fratello contadino. “Non vedevo l’ora di andarmene e l’ho fatto”. I soliti invidiosi ricordano che a scuola fosse un disastro. Bocciato in quinta elementare e due volte all’esame da geometra. Ce l’ha fatta alla terza, da privatista, tesina su Come costruire una stalla. Che è più o meno come disegnare un rettangolo. Dicono che sbagliò anche quella volta, disegnando due gradini all’ingresso. Ma come direbbe la sua vecchia amica Daniela Santanchè, anche lei di Cuneo, sua socia al Twiga, dove la tengono nel freezer, è una feic nius. Non erano gradini. Forse era un citofono.