5S, guerra sulle restituzioni. Casaleggio vuole la scure

La tappa che può portare alla guerra a 5Stelle è fissata per la prossima settimana, quando il collegio dei probiviri farà gli ultimi conti. Si tirerà una linea, poi partiranno i procedimenti disciplinari per i parlamentari che non avranno versato. Sospensioni e perfino espulsioni, salvo “ravvedimenti” dei ritardatari: sanzioni fortemente volute da Davide Casaleggio, a cui vogliono sfilare la piattaforma web Rousseau, e che dalla sua trincea di Milano predica intransigenza sulle restituzioni, anche e soprattutto per difendere la sua creatura. Ma i provvedimenti prossimi venturi spaventano i vertici parlamentari del M5S, consapevoli che la scure dei probiviri potrebbe agitare i gruppi e quindi la maggioranza, soprattutto in Senato. “Come faremmo?” è la domanda rimbalzata fino al capo reggente Vito Crimi. E sarebbe lo scontro che deflagra definitivamente nel Movimento, tra la Roma degli eletti e la Milano di Casaleggio. Per immaginarlo basta seguire i soldi. Quelli delle rendicontazioni, pretesi in base a norme ed accordi firmati. Ma tanti parlamentari sono in ritardo, per trascuratezza o magari in nome dell’insurrezione contro il nemico comune, Casaleggio.

Diversi eletti sono pronti alla serrata sui 300 euro per la piattaforma web Rousseau, obolo mensile che non vogliono più pagare. O perlomeno non più all’associazione gestita dal manager milanese. “Sto studiando il modo legale per destinare diversamente i 300 euro, magari affidandone la gestione direttamente al capo politico”, spiega un parlamentare.

Non affatto l’unico a cercare un punto di caduta per schivare la scure dei probiviri a 5Stelle, visto che secondo il Codice etico ogni parlamentare è obbligato “a erogare un contributo economico destinato al mantenimento delle piattaforme tecnologiche che supportano l’attività dei gruppi e di parlamentari e consiglieri”. Ma tanti eletti vogliono togliere quelle “piattaforme” a Casaleggio, e spingono perché sia il Movimento a gestirle, con propri tecnici. Chiedono che il manager le doni al M5S. E nell’attesa puntano a togliergli ossigeno, cioè i 300 euro: da rendicontare, assieme a una parte di indennità e ai rimborsi non utilizzati. Un obbligo che per molti è una camicia troppo stretta. Così sulle rendicontazioni decine di eletti a 5Stelle sono rimasti al dicembre 2019: molti hanno versato i soldi, ma non hanno riempito i moduli sul web perché sono stufi di un sistema che trovano soffocante. Un problema nel problema, quello dei 300 euro. Su cui Casaleggio non vuole sentire ragioni. Per questo aveva chiesto di far partire i procedimenti già a inizio agosto. Ma i vertici romani, Crimi in testa, avevano ottenuto un rinvio. Però i probiviri non possono più aspettare. E da qui a qualche giorno tireranno le somme, ben sapendo che Casaleggio chiede di tagliare teste, mentre da Roma suggeriscono ancora prudenza. Un quadro che rispecchia la frammentazione del M5S, sempre in attesa di una data per gli Stati generali, dove secondo l’ex capo Luigi Di Maio andrà fatta chiarezza anche su Rousseau. “Sulla piattaforma deciderà la nuova leadership, ma deve cambiare in base alle esigenze del M5S” ha detto al Fatto il 23 agosto.

In questo quadro, i probiviri attendono di muoversi. E fonti qualificate spiegano che per chi non rendiconta da un anno e più arriverà l’espulsione. Rischio concreto, stando alle tabelle del sito tirendiconto.it aggiornata a ieri, per almeno due 5Stelle, la senatrice Marinella Pacifico (ferma al giugno 2019) e il deputato Paolo Nicolò Romano. Dati, va precisato, ancora non definitivi, perché in queste ore in diversi stanno effettuando i versamenti e sistemando la rendicontazione. Ma l’aria è quella di una pioggia di sospensioni per diversi ritardatari. Sufficiente per far detonare i gruppi parlamentari. E per far esplodere la guerra, con Casaleggio.

“Tre anni al City, Guardiola blindato e c’è anche Suarez”

Una mossa quasi disperata. Josep Maria Bartomeu ieri sarebbe stato disposto a dimettersi da presidente del Barcellona per provare a scongiurare l’addio di Messi. E il primo vicepresidente, Jordi Cardoner, ne avrebbe dovuto assumerne le funzioni. L’indiscrezione è rimbalzata per tutta la giornata sui media spagnoli. In pochissimi ormai credono nella sua permanenza in Catalogna. Ieri ha destato attenzione il particolare che Aguero, centravanti del Manchester City, abbia rimosso il numero 10 dal suo profilo Instagram, portando alcuni fan del club inglese a pensare che sia un indizio per un imminente approdo del campione argentino alla corte di Guardiola. Ma nel pomeriggio viene rilanciato dalla Spagna l’“accordo totale tra Manchester City e Leo Messi. La Premier League sarà il destino del giocatore argentino se nulla lo impedisce e se il Barcellona non pone ostacoli alla sua partenza (ma ieri fonti della società catalana ribadivano che la squadra che vuole prendersi il 10 argentino deve portare i 700 milioni della clausola rescissoria, ndr)”. Il sito di informazione Cuatro.com ha dettagliato l’accordo: “Leo Messi non perderà un euro per la sua partenza dal Barça. Inoltre avrà un contratto per tre stagioni, l’opzione per Luis Suárez di accompagnarlo e la possibilità che possa finire la sua carriera sportiva a New York, nella franchigia del Manchester City. L’ancora capitano del Barça vuole anche essere sicuro che Pep Guardiola continuerà a guidare la squadra inglese”. Secondo Cuatro infine la dirigenza del City sarebbe già a Barcellona per firmare l’accordo.

Intanto Wayne Rooney, ex stella del Manchester United – antagonista cittadina del City – ha esortato il fantasista 33enne: “È un giocatore che nessuno ha visto in precedenza. Messi ha tutto: può segnare gol, fare assist, è il migliore di tutti i tempi. Può venire in Premier League e diventare il calciatore dell’anno. Se circondato da gente come Bruno Fernandes o Kevin De Bruyne, può vincere il settimo pallone d’Oro”.

Brutte notizie per Gualtieri: a luglio salgono le ore di Cig

Nonostante un certo ottimismo, per il momento c’è un solo “rimbalzo fortissimo” (copyright: Roberto Gualtieri) che si può vedere nell’economia italiana: è quello della cassa integrazione, che a luglio è tornata a crescere dopo un mese di riduzione. I dati aggiornati dell’Inps dicono che, mentre a giugno erano state autorizzate circa 435 milioni di ore, praticamente la metà rispetto alla media di aprile e maggio, nel mese scorso la salita è già ripresa e siamo arrivati a quasi 483 milioni.

La dinamica è chiara: nella seconda metà di marzo, il governo ha chiuso per decreto molte attività, imposto il divieto di licenziamento economico e concesso ammortizzatori sociali a tappeto. Una generosità che ha innescato una corsa ai soldi pubblici anche da parte di tante imprese che, in realtà, non hanno subito cali di fatturato. Ad aprile, quindi, le ore di cassa sono arrivate a 855 milioni, in aumento del 3.240% rispetto allo stesso mese del 2019. A maggio il contatore ha segnato 871 milioni. Poi, con la graduale riapertura di giugno, il monte ore è crollato del 50%. A quel punto in molti hanno creduto che fossimo incanalati in un trend di diminuzione costante. Ma già a luglio c’è stato un nuovo incremento dell’11% (il 1.745% delle ore autorizzate a luglio 2019).

Tutto fermo anche sul fronte delle assunzioni. Tra gennaio e maggio 2020 sono state in totale 1,8 milioni contro i 3,1 milioni dei primi cinque mesi del 2019. Le stabilizzazioni dei precari sono state 100 mila in meno. L’unica tipologia di lavoro che è aumentata, segnando un boom, è quella dei voucher. I lavoratori pagati con il Libretto Famiglia, prima del Covid, si attestavano sempre attorno a soli 10mila al mese. Poi, con le scuole chiuse e il bonus baby-sitter introdotto dal governo, sono arrivati a 66mila a marzo, a 74mila ad aprile e a 148mila a maggio. È possibile che in molti casi, più che di nuovi rapporti di lavoro, si tratti di emersioni di situazioni che – fino a quel momento – erano in nero.

Raccolta rifiuti, l’indagine che imbarazza Castex

Un’inchiesta della Procura di Perpignan, che coinvolge indirettamente il neo primo ministro di Macron, Jean Castex, è stata improvvisamente archiviata il 6 luglio scorso. Indagine “imbarazzante”, scrive Mediapart, che ha rivelato la vicenda. Di fatto è la circostanza temporale con cui la procura ha chiuso l’indagine a suscitare dubbi: appena tre giorni prima, il 3 luglio, Castex, ex sindaco di Prades, prendeva le redini del nuovo esecutivo francese. L’inchiesta, aperta nel 2019, coinvolge un parente di Castex e riguarda la gestione dei cassonetti per i rifiuti del raggruppamento di comuni (un ente pubblico di cooperazione intercomunale) di Conflent-Canigo, con sede a Prades, di cui Castex era presidente prima del suo arrivo al governo, e che, secondo gli inquirenti, violavano il codice del Lavoro e le regole ambientali. Una fonte vicina all’inchiesta parla di “abbandono brutale e inaspettato” dell’indagine. Dopo l’articolo, l’ufficio del primo ministro ha pubblicato un comunicato: “Jean Castex garantisce che non è mai intervenuto in questa inchiesta”. Lo stesso premier, sentito alla radio France Inter, ha aggiunto: “Non vedo come avrei potuto mettere fine a una indagine in cui non sono messo in causa e in cui non sono neanche mai stato convocato”. L’ex “monsieur déconfinement” di Macron, che aveva gestito il dopo lockdown in Francia, si ritrova ora da premier a affrontare la ripresa del contagio. Il suo collega, ministro della Salute Olivier Véran se vi fosse una nuova emergenza sanitaria promette 12.000 posti-letto in rianimazione. “Per quanto riguarda le mascherine per il personale sanitario – ha aggiunto Véran – sono 4 miliardi quelle che abbiamo ordinato e che vengono consegnate gradualmente, sia dai produttori francesi, sia con ponti aerei o marittimi con la Cina”.

Sorpresa: gli invisibili esistono ancora. La protesta dei braccianti in Basilicata

Arrivati in Basilicata per lavorare nei campi di pomodoro, hanno trovato un unico alloggio disponibile: un ghetto senza elettricità né acqua corrente. Un posto in cui è impossibile proteggersi dal rischio di contrarre il Covid, non essendoci modo nemmeno di lavarsi le mani. Per questo, ieri notte un gruppo di braccianti africani ha preferito dormire per strada come segno di protesta.

È successo a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, davanti ai cancelli del centro di accoglienza ancora chiuso. Si tratta di una struttura che è gestita dalla Regione ed è nota come l’ex tabacchificio: ogni anno riesce a ospitare legalmente 400 lavoratori stagionali nei periodi più intensi di raccolta, tra metà agosto e metà ottobre. Quest’anno, però, è in fase di ristrutturazione e non è ancora stata riaperta. L’impresa che si sta occupando dell’intervento ha detto che sarà pronta il 31 agosto. Nel frattempo, i lavoratori che hanno già raggiunto la zona in questi giorni sono diverse centinaia. In 200 hanno accettato – giocoforza – di essere stipati nel ghetto “Mulini Matinelle”. Una decina, viste le condizioni, ha invece messo in atto la protesta notturna alla quale in mattinata si sono uniti altri 50. La maggior parte viene dal Burkina Faso, dal Mali, dal Senegal e dalla Costa d’Avorio. Ultimati i lavori, a gestire l’ex tabacchificio sarà la Croce Rossa. Tuttavia, anche una volta messo in funzione, il problema resterà perché le regole anti-Covid ne dimezzeranno la capienza: i posti letto saranno solo 220. “La manodopera impiegata in quest’area – spiega Gervasio Ungolo dell’Osservatorio Migranti Basilicata – è molto più numerosa, va dalle 600 alle 800 persone”. Ecco perché, anche negli anni passati, i ghetti sono sempre stati “indispensabili” per dare un tetto agli stranieri impiegati nelle raccolte. Quest’anno si aggiunge un paradosso: “La situazione è peggiorata – aggiunge Ungolo – perché l’anno scorso hanno arrestato i caporali che offrivano servizi dietro pagamento, come il trasporto con i pullman”. Insomma, lo Stato ha fatto metà dell’opera, togliendo di mezzo i criminali ma non sostituendoli con un sistema legale. È l’emblema del fallimento della legge anti-caporalato approvata dal governo Renzi nel 2016, che finora è stata applicata solo nella parte che ha aggravato le pene. Quella sulla prevenzione, però, non è mai stata applicata. Solo a febbraio di quest’anno, il governo ha approvato un piano triennale, ma tutti gli interventi previsti, anche quelli “prioritari”, sono ancora sulla carta. Nemmeno la sanatoria sostenuta con forza dalla ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova ha prodotto grossi miglioramenti: solo 30mila lavoratori agricoli ne hanno beneficiato, la stragrande maggioranza è rimasta “invisibile”.

Paura alle Camere: tamponi a tutti

La campanella sta per suonare anche a Palazzo e l’allarme è tornato alto: il ritorno in aula di deputati e senatori dopo la villeggiatura è contrassegnato da mille punti interrogativi. Certo, non su banchi monoposto o sedie semoventi ché per tempo sono stati recuperati gli spazi per garantire il necessario distanziamento. Ma comunque scatteranno nuovi controlli. Il collegio dei questori della Camera tre giorni fa ha prorogato le misure di sicurezza già varate nei mesi scorsi: confermati i controlli con il termoscanner agli ingressi, come pure l’obbligo di mascherina e tutte le altre precauzioni adottate durante le fasi più calde dell’emergenza. Ora verrà avviata una nuova campagna di tamponi per gli eletti e non solo loro. “Per i dipendenti di Montecitorio le spese per i test saranno a carico dell’amministrazione, per i deputati saranno coperte con un fondo finanziato da loro stessi” spiega uno dei tre questori di Montecitorio, il deputato di Fratelli d’Italia Edmondo Cirielli che giura che le misure di sicurezza hanno evitato fin qui che la Camera diventasse un focolaio. E ora che i deputati torneranno in massa dalle ferie?

L’incubo del contagio è tornato a materializzarsi a Palazzo nelle ultime ore dopo l’outing del pentastellato Stefano Vignaroli, risultato positivo dopo la villeggiatura in Costa Smeralda. È andata meglio a Emanuele Fiano negativo al tampone a cui si è sottoposto sull’isola di Santo Stefano rimasta blindata per un paio di giorni dopo che alcuni dipendenti di una struttura turistica erano risultati positivi al Coronavirus. “Al rientro non chiederemo certificati medici – spiega Cirielli – ma ricordiamoci sempre che siamo cittadini come tutti gli altri: le sanzioni che sono state previste nel caso in cui si vada in giro sapendo di essere contagiati valgono pure per noi”. Anche al Senato c’è preoccupazione: dopo un consulto con il Policlinico Gemelli, che già nei mesi scorsi si è occupato dello screening a cui si sono sottoposti i parlamentari, si deciderà se consigliare a tutti gli inquilini di Palazzo Madama di sottoporsi al test in via precauzionale o solo a chi ha scelto mete o modalità di viaggio più a rischio, in Italia o all’estero. “Bisogna tenere alta la guardia, ne va del funzionamento dell’istituzione” spiega uno dei questori del Senato, Laura Bottici (M5s): “Ora siamo in pochi a Palazzo Madama, ma dalla prossima settimana c’è il rientro vero. Sono stata attentissima anche durante i giorni di pausa. Spero lo siano stati anche gli altri”.

Billionaire, feste no-mask à gogo. Guai pure al Twiga

Le serate affollate al Billionaire sono state più di una. Le immagini si ripetono: tutti in pista, ammassati, senza nessuna protezione. Da quando si è scoperto dei 58 dipendenti del locale e di Flavio Briatore positivi al coronavirus (il manager ricoverato al San Raffaele di Milano dovrebbe essere dimesso in pochi giorni), il web si è riempito di storie e video di chi era lì presente con le testimonianze di personaggi più o meno famosi che annunciano l’esito del proprio tampone. Il Fatto ieri ha raccontato anche di camerieri/animatori che giravano tra gli ospiti, con tanto di mascherine abbassate. L’ultima testimonianza è di Eliana Michelazzo, ex manager di Pamela Prati: “La gente era ammassata, non si respirava, si sudava. (…) C’era uno spruzzo di aria gelida che arrivava all’improvviso, una ventata che si propagava per tutto il locale”. Ora su cosa sia avvenuto all’interno di quel club di Porto Cervo addirittura un viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, chiede che si faccia chiarezza, aprendo un’inchiesta.

“Rimango atterrito dal fatto che al Billionaire siano stati dati numeri e generalità falsi – ha detto –. Significa non avere la testa rivolta agli altri. Non so come verranno rintracciati questi soggetti, spero vengano trovati in altro modo, magari con la carta di credito. La Procura aprirà un’inchiesta su questo”. Il viceministro si riferisce ai registri in cui ogni locale annota i nomi di chi entra. Ognuno deve lasciare le proprie generalità e il numero di telefono, ma alcuni potrebbero aver dichiarato il falso. Questo registro secondo Marcello Acciaro, capo dell’Unità di crisi della Regione Sardegna per l’emergenza Covid, sarebbe stato consegnato dal Billionaire solo oggi. Adesso partirà il difficile lavoro di screening, dovendo tracciare tutti i clienti del club di Briatore e poi gli altri contatti che ognuno ha avuto. Un lavoro complesso, che si aggiunge anche a quello delle forze di polizia alle prese con controlli a tappeto su tutta la costa. Avevano fatto visita anche al Billionaire nella prima settimana di agosto, dove non era stata rilevata alcuna infrazione. Dal punto di vista amministrativo, si spiega, era tutto in regola. Poi però non sono più tornati.

Alla fine, con rammarico di Briatore che si è scagliato contro il sindaco di Arzachena (Comune di riferimento della Costa Smeralda), colpevole a suo dire di aver “reso più restrittivo il decreto Conte”, il 18 agosto il Billionaire chiude i battenti. Resta aperto un altro locale di proprietà di Briatore, il Twiga a Marina di Pietrasanta in Versilia (Toscana), club di cui è socia anche Daniela Santanchè (Fd’I). Anche qui si vedono scene di persone troppo vicine e senza mascherine. Lo dimostrano i video pubblicati dai presenti sui social network, senza grande rispetto per le norme anti-covid. Il pretesto è il concerto del cantante Nek svoltosi giovedì sera: dopo la decisione del governo di impedire i balli, gli spettatori dovrebbero stare distanziati e a sedere ognuno al proprio tavolino. E invece, durante la serata, non va proprio così: bastano le note di Almeno Stavolta e di Lascia che io sia per far alzare in piedi i presenti e farli scatenare. Ovviamente senza rispettare il metro e mezzo di distanza e senza indossare le mascherine. Alla fine della performance del cantante, la senatrice di Fratelli d’Italia e grande oppositrice della decisione del governo di ridurre al minimo l’attività delle discoteche, non si fa mancare nemmeno un discorso motivazionale per i presenti: “Ricordatevi che da soli non si ottengono i risultati, ma solo insieme e uniti”. Secondo quanto risulta al Fatto, della serata è stata informata la Prefettura di Lucca che sta svolgendo accertamenti. Intanto Mario Cambiaggio, amministratore delegato della società Twiga srl, in una nota ha fatto sapere che “sono arrivati gli esiti dei tamponi laringofaringei al personale del locale Twiga: sono tutti negativi al Coronavirus. Esprimiamo soddisfazione nell’apprendere che le misure che sono state adottate nell’arco di tutta la stagione siano state efficaci e abbiano portato a un risultato più che eccellente”. E conclude: “Il Twiga rimane aperto come ristorante fino alla seconda settimana di settembre”.

Autobus pieni fino al 75%. Mascherine? Dai 12 anni

La capienza dei mezzi pubblici non arriverà al 100%, ma al più potrà essere ampliata fino ai due terzi del totale, il 75%. E le mascherine in classe – laddove è impossibile mantenere la distanza di un metro – saranno obbligatorie dai 12 anni in su, non al di sotto. Queste le indicazioni che trapelano dalla riunione del Comitato tecnico-scientifico del 26 agosto con il nodo trasporti ancora all’ordine del giorno: si cerca la quadra tra tecnici, Regioni e governo e se si dovesse trovare sarebbe una manna dal cielo per la ministra De Micheli e la conferma, per il ministero dell’Istruzione di viale Trastevere, che deroghe e collaborazione sono più semplici da ottenere per qualcuno che per altri. “È necessario riaprire le scuole nonostante i rischi”, ha detto in audizione alla Camera il coordinatore del Cts, il medico Agostino Miozzo, senza nascondere però che il ritorno in classe potrebbe “produrre un lieve incremento dell’indice di trasmissione”. Come in Germania, dove a pochi giorni dall’apertura sono stati richiusi oltre cento istituti, con migliaia di alunni e docenti in quarantena.

L’estrattodel verbale relativo ai mezzi pubblici è stato trasmesso al ministero dei Trasporti. I tecnici vogliono evitare di stipare autobus e tram fino al massimo della capienza negli orari di punta. Da qui la proposta di aumentarla fino ad un massimo del 75% e l’invito, invece, ad aumentare il numero di corse: non solo finanziando le aziende di trasporto pubblico locale, ma anche “noleggiando” mezzi da società private. Dubbi, invece, sulla bizzarra proposta di considerare “congiunti” compagni di classe e colleghi di lavoro a bordo dei mezzi, in modo da derogare al distanziamento. Soluzione singolare, anche perché lo status cesserebbe una volta arrivati in classe (o in ufficio). La speranza, comunque, è che gli interventi necessari si rivelino meno pesanti del previsto: secondo un’indagine commissionata dal Cts, infatti, solo un terzo degli studenti italiani si recherebbe a scuola con il trasporto pubblico.

Sull’obbligo di mascherina, quel che è certo è che sarà in vigore sui mezzi pubblici, all’entrata e all’uscita da scuola e negli spazi comuni (ad esempio durante la ricreazione). Dovranno indossarla sempre docenti e operatori (e allo scopo si valuta un modello trasparente per facilitare la lettura del labiale). Gli studenti al banco, invece, la terranno solo se non sarà possibile rispettare il metro di distanza. E l’obbligo, in linea con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, ci sarà solo dai 12 anni in su. Anche se Miozzo rassicura: “La società italiana di pediatria ha dichiarato che non esiste un problema nell’indossarle, neppure per i più piccoli, a meno che non abbiamo patologie o difficoltà di vario genere”. Per quanto riguarda la misurazione della temperatura, sembra assodato che spetterà ai genitori al momento di uscire di casa (e non dovrà superare i 37,5°).

Riguardo i test sierologici per i docenti, partiti il 24 agosto tra mille difficoltà, il coordinatore del Comitato ha chiarito che, secondo lui, sarebbero dovuti essere resi obbligatori. Ieri i medici di base hanno lanciato l’allarme sulla possibilità che ci sia una corsa a farli “last minute” (retroscena: uno dei motivi per cui molti non hanno dato disponibilità riguarda il fatto che chiedevano di essere pagati extra). “È una procedura invasiva che deve avere un percorso normativo, ma i rappresentanti del Parlamento siete voi”, ha detto ai deputati in audizione. Qualcuno poi gli ha chiesto se il Comitato, nelle proprie valutazioni, abbia mai ceduto alle pressioni politiche. “Non ho mai portato dati fasulli o bufale – è stata la replica – ho portato i dati e le validazioni della comunità scientifica internazionale. Alcune affermazioni le ritengo una offesa al lavoro di 26 esperti. Mai ci sono state forzature dal governo o dai singoli ministri per imporci una lettura diversa da quella che la scienza impone di dare”.

Scuola, altri fondi alle Regioni. L’incognita dei prof col certificato

Ieri dal ministero dell’Istruzione è arrivata la rassicurazione per le Regioni: la ministra Azzolina ha firmato il decreto per la seconda tranche di fondi per il personale aggiuntivo che servirà alla scuola il 14 settembre. Un atto richiesto: molti Uffici regionali, infatti, aspettano di sapere su quanto potranno contare in totale prima di comunicare alle singole scuole sui territori di quanto personale in più potranno disporre. La gran parte, sentita dal Fatto, ha confermato di aver ricevuto circa il 50 per cento degli stanziamenti, molti come le Marche hanno coperto già le classi sdoppiate e le situazioni critiche soprattutto nella scuola primaria e dell’infanzia. Con l’arrivo delle integrazioni puntano a “sistemare” anche situazioni borderline o i bisogni in più per la sanificazione. Si procede un tassello alla volta. Dal primo settembre inizieranno le chiamate, i sindacati stimano 200mila cattedre che andranno riempite con i supplenti mentre, spiegano dal ministero, per le sole graduatorie provinciali sono arrivate 1,9 milioni di domande su 750mila posti. Insomma, è il sottotesto, non dovrebbero rimanere sedie vuote. Al massimo si rischia di riempirle dopo il 14 settembre, come d’altronde accade ogni anno da anni.

Uno degli allarmi lanciati ieri dalle Regioni è però arrivato dal Veneto dove la direttrice dell’ufficio scolastico regionale ha parlato di centinaia di richieste da parte del personale docente e non di non rientrare a scuola. “Il problema degli spazi, dei banchi e mille altri sono già alle spalle delle nostre scuole – ha detto – il tema del personale che non rientrerà invece è attuale”. Capire quanti lavoratori chiederanno di non rientrare è complesso e di certo prematuro. Ancor più lo è sapere a quanti di loro sarà concesso. In sintesi, i professori e il personale Ata (amministrativo, tecnico e ausiliario) dovranno inoltrare la richiesta ai presidi, poi sarà il medico preposto a decidere se il lavoratore è nelle condizioni di lavorare, se dovrà lavorare con delle protezioni “rinforzate” o se dovrà esimersi dal lavorare completamente. Sarà un parere vincolante (ma anche una presa di responsabilità non indifferente) che potrebbe andare oltre quanto indicato dalle linee guida dell’Iss in via di approvazione, che sembrano identificare – ai fini della valutazione di un lavoratore come “fragile” – la presenza di almeno due patologie pregresse e finanche quanto previsto nel decreto Rilancio di aprile dove veniva posta l’attenzione su tutti i lavoratori oltre i 55 anni di età. “A questo punto – spiega Francesca Ruocco dalla Flc Cgil – quel che manca da capire è cosa accade al docente. Lavora da casa? E come?” Si tratta della stessa criticità evidenziata nel documento dell’Istituto superiore della Sanità e sollevata da diversi Uffici scolastici regionali: “È malattia? È esonero? Dovranno collegarsi da casa? Ancora non lo sappiamo” spiega una direttrice di un Usr. Dal ministero rassicurano che non c’è alcuna emergenza per i lavoratori fragili e che nelle prossime ore arriveranno tutte le indicazioni pratiche. Anche in questo caso per coprire eventuali assenze si ricorrera ai supplenti, per i quali è destinato il 10 %dei fondi aggiuntivi.

Intanto, Abruzzo, Umbria e Campania chiedono di spostare la riapertura delle scuole dopo il referendum. Possono farlo perché è un tema che rientra nella loro autonomia, ma certo sarebbe una decisione stranamente last minute: Sardegna, Puglia e Calabria hanno infatti annunciato subito dopo la decisione del 14 settembre (presa con ministero e Regioni) che avrebbero posticipato la riapertura, le altre invece avevano concordato. La Campania almeno è stata coerente, si era rifiutata di firmare l’accordo sulla data.

“Spregiudicati sui tamponi anche in vista dell’influenza”

Altri 1.411 contagi, ma a fronte di 94mila tamponi, numero record fino a oggi. Pierpaolo Sileri, viceministro della Sanità, cosa significa? “Il dato positivo è che è aumentata la capacità di controllare i focolai”.

Però il trend è in crescita.

È evidente. Ma chi è positivo oggi solitamente non necessita di ricovero e raramente finisce in rianimazione. Quindi sotto il profilo della resistenza del servizio sanitario la situazione è sotto controllo.

È vero però che più salgono i contagi e più è probabile che aumentino anche ricoveri e terapie intensive.

Certo, per questo i contagi devono essere tenuti bassi. E questo lo si fa migliorando il contact tracing. Puoi anche fare un milione di tamponi, ma se lo fai alle persone sbagliate hai sprecato risorse e lasciato fuori chi che ne avrebbe avuto bisogno.

Come si fa?

La app Immuni sarebbe stata d’aiuto, ma è stata sottovalutata. Un esempio: se ho un palazzo con 300 persone e 3 di queste risultano positive non serve fare il test a tutti: bisogna farlo a chi ha avuto contatti con i contagiati. Se i 300 avessero la app, nel momento in cui c’è un positivo questa lo segnalerebbe ai suoi contatti, che andrebbero a fare il tampone. Immuni avrebbe permesso anche di rintracciare i clienti del Billionaire che hanno lasciato numeri falsi.

Lei ha detto che la Procura potrebbe aprire un’inchiesta.

Immagino sia possibile. Se una persona dà un numero falso in un momento come questo, una volta tornata a casa, magari in un’altra Regione, difficilmente andrà a fare il tampone salvo che non abbia bisogno di cure. Così facendo quante altre persone infetterà?

Quale sarebbe il reato?

È una valutazione che nel caso faranno i magistrati. Ma se dai un numero falso perché non vuoi essere rintracciato, risulti positivo e non vai a farti il test si potrebbe parlare di procurata epidemia. Per una cosa del genere serve tolleranza zero.

Presto arriverà una complicazione, l’influenza.

A settembre e ottobre ci troveremo con migliaia di persone a settimana che hanno sintomi simili a quelli del Covid. Per distinguere i casi avremo bisogno che le persone facciano il vaccino antinfluenzale, ma soprattutto che il numero dei tamponi, non solo quelli per il coronavirus, venga decuplicato. Bisogna farne un uso che da tempo definisco spregiudicato. Ancora oggi ricevo segnalazioni di piccole località di vacanza in Abruzzo in cui ci sono positivi ma ai cui contatti il test non viene fatto. O di persone nel Lazio a casa con 39 di febbre che non riescono a contattare la Asl. E ora chi è in queste condizioni ha il Covid al 99,9%.

Ci sono le forze per farlo?

Oggi rispetto a 6 mesi fa ci sono più reagenti e macchine che processano i campioni. Le Regioni possono organizzarsi.

Andrea Crisanti, tra gli ideatori del “modello Veneto”, propone un piano per quadruplicare i tamponi.

In una situazione dinamica come quella di oggi un maggior coordinamento è sicuramente auspicabile, ascoltando ovviamente tutti gli esperti.

La riapertura delle scuole è in alto mare. Restano da definire temi cruciali come i trasporti e l’uso della mascherina, ma l’interlocuzione tra governo e Cts non è sempre lineare e molti governatori alimentano la polemica.

Il problema è che non sappiamo cosa accadrà nelle prossime settimane in termini di diffusione del virus. Anche negli altri Paesi c’è una dialettica, Francia e Germania hanno aperto e richiuso. Le divergenze verranno superate. La scuola deve riaprire in sicurezza, ma eliminare del tutto il rischio non è possibile.