I tesori (Para)blasfemi vanno condivisi, è egoista mantenere il segreto

Due settimane fa, affidandomi all’intelligenza collettiva, vi ho invitato a ricordare le bestemmie aggirate dell’infanzia, tipo “Dio svizzero!”, e avete risposto in massa. Non ne dubitavo. Scelgo dunque fior da fiore, rinnovando l’appello alle regioni latitanti, che custodiscono tesori blasfemi di cui sarebbe solo egoista mantenere il segreto. Come tutti sanno, di solito la parabestemmia usa vocaboli assonanti (Maremma e madosca per Madonna; zio, tio, due, diesel, dinci per Dio; ostrega per ostia). Roberto Corbari scrive che, quando giocava nella squadra di basket di Gualtieri (RE), avevano un presidente che odiava le bestemmie. E poiché “il discorso non scorre correttamente, senza bestemmie-intercalari”, per evitare multe salate ne usavano alcune “che porto ancora nel cuore. Le più azzeccate erano Orto mio, Porco bio, Bio porco, e soprattutto Porta ’na donna”. Giuliano Valla ricorda l’antico Porca madosca. (Che nostalgia! La diceva pure mio nonno, ma mia madre lo costrinse a controllarsi dopo che lanciai un porca madosca a un pranzo di Natale. “E questa dove l’hai imparata?” “Dal nonno”. Avevo quattro anni). Maurizio Moretti cita zio cannone e zio canaglia (nello Spezzino), e il sublime “zio sacco di riso porco dieci volte al chicco” (in Toscana). Stefano Valori assicura che il “dio lucchese” di suo nonno era una bestemmia “assai poco aggirata e molto diretta. Vivo a Fucecchio, la simpatia per i lucchesi è tale che un tipo particolare di rovi che si trovano nei nostri boschi, dalle spine particolarmente dolorose in caso di puntura, sono detti pruni lucchesi. C’è poi un epiteto, dalle nostre parti, che condensa in sé quattro offese: macalupente (maiale, cane, lupo e serpente). Caduto in disuso, quando ero bambino i vecchi lo rivolgevano alle varie persone della divinità. Che molti toscani siano grossi bestemmiatori non dipende dal fatto che siano particolarmente accaniti contro la religione, ma dalla grande confidenza. Da noi, il prendersi in giro, la battuta e anche l’offesa sono molto più frequenti e meno pesanti (il permaloso viene subito emarginato) che nel resto d’Italia. Il fatto quindi che, secondo la religione cristiana, Dio si sia fatto uomo, lo relega a prendersi battute e offese come tutti”. Giulio Pagliaricci scrive: “Sono di Pescara e qui vicino c’è una frazione che si chiama Sambuceto. All’età di 8 anni sentii esclamare ‘mannaggia Sambuceto’. Mi parve subito perfetta. Alla prima occasione la usai, ero agli scout, facevo il lupetto. I capi mi fecero una delle più grandi cazziate della mia vita! Non so se è perché l’ho detta talmente bene da sembrare vera o perché era troppo perfetta e li ho spiazzati”. Gianluca Petracci: “Mio padre dice spesso ‘porco diiiii…’ e se mia madre rischia di sentire, conclude con ‘…avolo sporco’. Alle medie, un mio compagno di banco, Romagnoli, per avvicinare il suo banco al mio senza fare rumore lo solleva di peso e lo poggia sopra il mio piede, esattamente sul mellino, rompendomi l’unghia. In preda al dolore sono balzato in piedi esclamando: ‘Romagno’, la focaccia de mammeta!’ La prof mi mise una nota: ‘L’alunno Petracci invoca ad alta voce l’organo riproduttivo della madre dell’alunno Romagnoli’. Inoltre, mi mandò dal preside, che generosamente mi assegnò due giorni di sospensione con obbligo di frequenza, fregandosene del fatto che le mie Converse bianche erano sporche di sangue”. Ne avete altre? Scrivetemi, porca madosca, no? (lettere@ilfattoquotidiano.it).

 

Mail box

 

 

Lasciate a Chanel Totti l’innocenza della sua età

Riguardo alla questione della figlia di Ilary Blasi e Francesco Totti, da un lato ci sono quelli che giudicano un’adolescente per aver indossato un costume sgambato, accusandola di una malizia che risiede probabilmente solo nella loro di mente. Dall’altro ci sono quelli che invece giudicano i genitori per non aver tutelato la figlia, consci del mondo che ci circonda, e di averla esposta alle “ovvie” conseguenze della loro esposizione mediatica. Penso che chi critica la figlia di Totti, forse dimentica che l’adolescenza è un periodo meraviglioso, caratterizzato tra le altre cose anche dalla libertà di non crearsi paranoie sul giudizio della gente. Cosa che tra l’altro, per noi donne, dura poco soprattutto per quanto riguarda l’aspetto fisico. Chi pensa invece che una bambina di 13 anni indossi un costume per provocare ha dei seri problemi. Per quanto riguarda invece i genitori, io non penso neanche che sia sano impedire a un’adolescente di indossare qualcosa, trasmettendole già a 13 anni, la malsana idea che eventuali attenzioni sgradite dipendono da ciò che indossi. Non sono i bambini o gli adolescenti ad aver abbassato la soglia della sessualizzazione. Siamo noi con i nostri giudizi e i nostri sguardi a farlo, laddove anche genitori o educatori pensano di proteggerli censurando dei comportamenti che vengono esternati nella loro totale spontaneità. Iniziamo a criticare piuttosto chi va criticato, non una tredicenne che si gode giustamente la sua età.

Vale Felici

 

Sommi non fa sconti e denuncia i No-Mask

Eccellente giornalismo quello di Luca Sommi sul Fatto del 25 agosto. Un bell’articolo sui No Mask per chiarezza del ragionamento, scelta appropriata delle parole, dure ma necessarie, impossibili da evitare per rendere un giusto servizio alla verità dei fatti. Uno stile che dovrebbe essere adottato in ogni situazione in cui il raziocinio e la logica devono smontare tesi giustificazioniste dell’evasione fiscale, della corruzione e delle pretese libertà di comportamento di pochi a danno di tutti. Da prima pagina. Grazie.

Ugo Garaffa

 

Delle destre del mondo si sottovaluta il pericolo

“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”: funziona benissimo anche in politica il vecchio proverbio popolare. Come per Giorgia Meloni, che frequenta Bannon e Matteo Salvini, che stima Putin e ha dichiarato che “In Russia si sente a casa”. Ora il guru sovranista americano è accusato di aver rubato i soldi per costruire il muro anti-immigrati ai confini col Messico; mentre su Putin si addensano i sospetti di aver avvelenato il dissidente Alexej Navalnyj, con il solito “trattamento della casa” riservato ai suoi oppositori. Cosa ne pensano Meloni e Salvini dei loro “amici”, dopo questi gravi fatti? Non si sa. I due leader della destra restano muti come pesci e tanto meno ne prendono le distanze. Un silenzio comprensivo che non scalfisce quindi le loro “affinità politiche” con questi soggetti corrotti e violenti. Ne tenga conto chi sottovaluta il pericolo di questi due antidemocratici asintomatici.

Massimo Marnetto

 

Salvini: basta ciarlare e indossi la mascherina

La destra si mette in una posizione facile, comoda e pure vigliacca. Contesta tutte le azioni del governo, additandone gli “errori” (a suo intendere). Fermo restando che qualche cosa avrebbe potuto essere fatta meglio, tutto il mondo ha plaudito al modo di procedere dell’italia, che ha riacquistato dignità e credibilità. Facendo finta che non si viva in stato di “Emergenza” e di fronte a un virus inatteso e indecifrabile, la destra si scaglia contro il governo affermando che farebbe meglio. Allora è necessario ricordare che Salvini, Berlusconi e Meloni, proprio coloro che contestano, erano al governo nel 2011: Italia sull’orlo della bancarotta e spread a 534. E non c’era alcuna emergenza. Loro sanno fare le cose per bene solo se non hanno modo di farle. Cioè a chiacchiere e urla. Salvini strilla contro gli sbarchi, ma da ministro ha fatto entrare un numero enorme di immigrati a fronte di 93mila rimpatri sui 600mila promessi, sempre urlando. È inutile cambiare felpa, se la testa rimane la stessa. Il ministro del mojito torni al Papeete, quello è il suo posto. Tanto al Viminale non l’hanno visto se non di sfuggita, cioè quando era nuvoloso o pioveva, altrimenti stava in spiaggia. Metta la mascherina come tutti, Sig. Salvini, non ha bisogno di fare ancora il gradasso e sparare bugie a tutto spiano: innumerevoli filmati la svergognano nelle parole e nei fatti. Provi a pensare.

Fabrizio Virgili

 

L’abbassamento dell’età del contagio è rischiosa

Posto che, come scrive Gismondo (Fatto del 20 agosto) l’educazione è fondamentale per indurre nei giovani (e negli adulti) comportamenti responsabili, l’abbassamento dell’età media del contagio a 30 anni dai 70 iniziali, mette in allarme. Le riprese video in discoteche dove gli spazi interpersonali sono inesistenti mostrano la reale consistenza dei controlli, mentre vari dipendenti sono risultati positivi: chi controlla i controllori? Forse dovremo convivere col Covid ancora per un pezzo: sarà utile ricordare quel che disse Cromwell ai suoi soldati, prima della battaglia: “Ragazzi, abbiate fede in Dio, ma tenete asciutte le polveri!”.

Franco Parmiggiani

Pertini. Era furioso e vendicativo. Altro che il più amato dagli italiani

 

Gentile redazione, in un bellissimo articolo del 20 agosto Massimo Fini tratteggia il presidente Cossiga definendolo “losco” e mette in luce una serie di aneddoti molto interessanti, ma poco noti ai non addetti ai lavori. Ne esce fuori un quadro drammatico e inquietante che comunque rispecchia l’idea che mi ero fatto del cosiddetto picconatore. L’articolo termina però con dati riguardanti l’altro presidente, Sandro Pertini, il più amato dagli italiani, che vanno in contrasto con il sentire comune. Potrebbe essere così cortese il giornalista che stimo molto a scrivere un altro articolo sul presidente Pertini tanto per chiarirci le idee?

A. Dessy

 

Gentile Dessy, nel mio libro “Il Conformista” ci sono tre articoli dedicati al “Presidente più amato dagli italiani”, attinga lì se vuole. Le racconto però un episodio che mi riguarda di persona. Nel giugno del 1985 quando Sandro Pertini, quasi novantenne, voleva ricandidarsi per la Presidenza della Repubblica, scrissi per la “Domenica del Corriere” un articolo intitolato “Il presidente ch’io vorrei” che era un identikit in controluce di un presidente totalmente all’opposto di Pertini. Pertini, infuriato, telefonò al direttore della “Domenica del Corriere” Pierluigi Magnaschi. Pierluigi, come si fa in questi frangenti, cercò di traccheggiare dicendo che quella era solo la mia opinione personale, ma che il giornale gli rinnovava tutta la sua stima. “Non faccia il furbo con me – disse Pertini – perché io sono amico del suo padrone” intendendo Gianni Agnelli. Il giorno dopo si presentò da Magnaschi un funzionario della casa editrice nella persona di Lamberto Sechi, il mitico direttore di “Panorama”, che gli disse che se non ci occupavamo più di Pertini era meglio. Un mese dopo Magnaschi, che durante la sua direzione aveva salvato l’agonizzante “Domenica del Corriere”, fu licenziato e, naturalmente, io persi quella collaborazione. Questo era “il Presidente democratico”. C’è un’aggiunta quasi altrettanto divertente. Invitato al “Costanzo Show” stavo per raccontare quell’aneddoto ma dopo poche parole Maurizio, che non è cattivo ma è certamente l’uomo più vile d’Italia, mi tappò la bocca. Così van le cose nel Granducato di Curlandia.

Massimo Fini

Sugl’immigrati e la scuola il governo comunica poco

In questi giorni, presente spesso in televisione, la figura di Lello Musumeci giganteggia. Come è noto il presidente della Regione Siciliana ha messo in mora il governo con l’ultimatum che riguarda i migranti stipati nei centri di accoglienza (si fa per dire) che, egli sostiene, vanno portati da qualunque parte purché lontano dall’isola. Del resto è difficile non comprendere le ragioni di un personaggio convintamente di destra (e che non ha mai rinnegato le proprie radici fasciste) apparso però sempre piuttosto lontano dalle pulsioni razziste di un certo salvinismo, e che sa esprimersi con un linguaggio dolente e pacato. Del resto la denuncia di un’immigrazione spesso fuori controllo, e che mette a rischio la salute pubblica, viene condivisa dal sindaco pd di Trapani e dalla sindaca cinquestelle di Augusta, a dimostrazione che si tratta di un problema reale a cui le istituzioni di Roma dovrebbero dare una rapida e convincente soluzione.

Invece dal Viminale, fino a questo momento, si è preferito reagire a colpi di carte bollate e ricorsi al Tar, determinando nel pubblico che guarda e ascolta la convinzione che il governo lasci marcire, per inettitudine o errato calcolo politico, l’emergenza su cui i cosiddetti sovranisti hanno costruito i loro successi elettorali. Persona seria e stimata, Luciana Lamorgese è riuscita in poco tempo a dimostrare che si può guidare il ministero dell’Interno senza esibizioni gladiatorie (magari su qualche spiaggia romagnola) ma facendosi carico dei problemi e cercando di risolverli. La domanda è questa: perché sul tema Sicilia-immigrazione si ode soltanto la squillante campana dei Musumeci mentre è assente qualsiasi informazione su ciò che il governo ha fatto o intende fare? Senza scomodare il ministro, è mai possibile che non ci sia un sottosegretario, o un esponente della maggioranza informato sui fatti, in grado di raccontare, spiegare e magari controbattere alla insistente narrazione di un Sud lasciato allo sbando? Oppure il Sud è stato davvero abbandonato a se stesso? L’autunno del nostro scontento è alle porte, con tutto il carico di ansie e timori che Covid, immigrazione, crisi economica e ritorno a scuola comportano. Come nel caso del Viminale, una più attenta comunicazione da parte del ministro della Salute, Roberto Speranza, e della ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sarebbe cosa buona e giusta. Non per fare propaganda ma per spiegare, con numeri e fatti, come l’Italia si prepara all’apocalisse strombazzata a destra e sinistra. È così difficile?

“Il futuro è col Pd: dimostreremo che l’identità dei 5Stelle è salva”

Fosse dipeso da lui, il M5S sarebbe sui territori in coalizione con il Pd già da un bel po’. “Già a gennaio in un’assemblea in Veneto sostenni che dovevamo presentarci alle Regionali assieme ai dem” rivendica Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento.

Sul Fatto Luigi Di Maio ha proposto un tavolo con il Pd per le Comunali 2021, ma senza un’alleanza strutturale. Mentre il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli vorrebbe “una scelta di campo” stabilmente a sinistra. Lei cosa preferirebbe?

Stiamo governando molto bene con il Pd, portando avanti i temi del Movimento e aiutando il Paese in una fase delicata. Di coalizione con i dem, lo ripeto, parlavo già prima del Covid e delle elezioni in Emilia-Romagna.

Ma in queste Regionali andrete assieme solo in Liguria.

In alcune Regioni gli accordi non si sono chiusi per la diversa sensibilità dei territori, che va rispettata. Ma la strada è quella del modello di governo nazionale, con cui stiamo ottenendo risultati. Governare significa assumersi responsabilità facendo i conti con la realtà. Bisogna andare al governo per affrontare da vicino i problemi e cambiare la vita delle persone.

Con il rischio di perdere definitivamente l’identità, no?

Colgo alcuni timori nella nostra base, è vero, ma se le nostre ragioni sono forti non verranno compromesse. Il M5S si è impegnato per una legge elettorale proporzionale, che ci permetterà di preservare la nostra identità e la nostra spinta propulsiva di forza che punta sui temi ambientali, sulla lotta ai privilegi e sui diritti sociali.

Ecco, la legge elettorale. Il Pd la richiede a gran voce anche come compensazione per il sì al referendum.

Il M5S si è impegnato un anno fa con un documento firmato da tutta la maggioranza per una legge proporzionale con sbarramento al 5 per cento, che dia stabilità, e su alcuni altri correttivi costituzionali alla riforma del numero dei parlamentari. E per noi la parola data va mantenuta.

Si potrà varare entro l’anno? Tanto più che bisognerà anche cambiare i regolamenti delle Camere.

C’è la nostra totale disponibilità e condivisione. Ma anche sui regolamenti abbiamo proposte chiare: il numero delle commissioni andrà ridotto al Senato. Certi strumenti vanno aggiornati perché il tempo del dibattito parlamentare deve essere molto più orientato a un esame approfondito delle questioni di merito e meno rivolto alle polemiche inutili.

Il Pd si sta lacerando sul sì al referendum. Se si spacca per davvero il governo potrebbe pagare un forte dazio, no?

Io credo alla parola data a favore della riduzione dei parlamentari dal segretario dem Zingaretti e dai capigruppo Delrio e Marcucci.

Li costringerete a dire sì a un taglio dei parlamentari che farà solo risparmiare qualche milione.

Non voglio parlare dei costi quando si ragiona di rappresentanti dei cittadini. La riforma servirà a rendere più efficiente il Parlamento e più qualificati i suoi rappresentanti.

Il candidato di M5S e Pd a Pomigliano d’Arco è sostenuto da dieci liste. Ora deglutite proprio tutto?

Due anni e mezzo fa dissi che bisognava aprire alle forze civiche sui territori. Bisogna confrontarsi con le persone e i territori. E se le liste sono una o cinque, non fa tutta questa differenza. L’importante è la competenza e la qualità dei cittadini che si presentano.

Molti 5Stelle vogliono che la gestione della piattaforma Rousseau passi al Movimento, ma Davide Casaleggio non è dell’idea.

Conosco Davide da molti anni: ritengo che lui debba avere un ruolo nel M5S, e che Rousseau debba essere gestita dal Movimento.

Voci e indizi su una scissione interna sono forti.

Non ci sarà alcuna scissione, mi sembrano tutte false voci per danneggiarci. Però serve un luogo dove confrontarci tutti, innanzitutto sui temi, e in questo senso saranno importanti gli Stati generali.

Anche lei vuole una segreteria collegiale?

Serve collegialità, certo, ma anche un portavoce nazionale. Dobbiamo darci una struttura, e con i facilitatori territoriali vedo che si sta formando.

“Il taglio renderà più efficiente il sistema”

“È un piccolo passo fatto con il metodo giusto: la Costituzione si può cambiare con interventi chirurgici. E questo lo è”. Roberto Zaccaria, 79 anni, già professore di Diritto costituzionale all’Università di Firenze da cui sono passati tra gli altri Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Alfonso Bonafede e anche il premier Giuseppe Conte. È stato anche deputato dell’Ulivo dal 2001 al 2013 e, grazie alla sua esperienza parlamentare, oggi sostiene il “Sì” al taglio degli eletti: “Renderà più efficiente il sistema”.

Professor Zaccaria, perché voterà “sì” al referendum?

Per tre motivi. In primo luogo perché è un intervento puntuale, circoscritto e non stravolge la Costituzione, come la riforma di Matteo Renzi del 2016. Poi perché in quasi tutte le riforme costituzionali degli ultimi anni la riduzione dei parlamentari è stata un elemento costante: nel 2006, quando ero in commissione Affari costituzionali, avevamo presentato un testo per ridurre i deputati da 630 a 500.

E il terzo motivo?

In ordinamenti molto vicini al nostro – come la Francia – il trend è lo stesso. A Parigi dal 2018 discutono di ridurre i parlamentari del 30%: è un progetto molto simile al nostro.

Secondo alcuni costituzionalisti ci sarà un problema di rappresentanza.

Non è così: con il “sì” alla riforma si passerebbe a un rapporto di un deputato per 150mila persone e di un senatore ogni 300mila. Non sono numeri drammatici. È una scelta, ma non la trovo in contrasto con i nostri principi costituzionali e neanche con le altre costituzioni europee. Dopodiché questo è solo un primo passo e se vogliamo migliorare la rappresentanza è necessaria una legge elettorale proporzionale, ma questa va fatta dopo e non prima della riforma: è una legge ordinaria e non costituzionale.

Quali altri vantaggi porterà la riforma?

Dal punto di vista della funzionalità, avere commissioni significativamente meno numerose è una buona scelta. Chi è stato in Parlamento sa che nell’80-90% dei casi i parlamentari seguono le indicazioni delle segreterie di partito quindi se ce ne sono un po’ di più o un po’ di meno non cambia niente. Cosa va cambiato è la qualità della rappresentanza e il ruolo del Parlamento rispetto al governo, ma tutto questo non viene messo in pericolo dalla riforma. Non vedo nessun rischio per la democrazia e nessun rischio della rappresentanza. Credo che il sistema possa essere più efficiente se si modificano anche i regolamenti parlamentari e si limitano alcune distorsioni come le prassi delle fiducie in blocco o dei maxi-emendamenti.

Perché dire sì a questa e no a quell’altra del 2016? Anche lì c’era il taglio dei parlamentari.

Perché gli interventi della riforma Renzi erano enormemente superiori: in quel caso si scriveva una nuova Costituzione. La Costituzione va cambiata con piccoli interventi: invece di scrivere un libro tutto insieme, se si scrive un capitolo per volta è meglio.

I sostenitori del No parlano di una “logica punitiva per i parlamentari”.

Sono stato in Parlamento e la sua autorevolezza non dipende dal fatto che siano 600 o 430, ma dalla qualità dei suo rappresentanti.

L’estate di Salvini in tv: battuto da Don Matteo e Paperissima

“I telespettatori sappiano che i ricoverati in terapia intensiva in Sardegna sono zero, i numeri hanno la loro importanza: certo bisogna stare attenti e mantenere le distanze, ma se continuiamo a terrorizzare i sardi, i romani e i trevigiani non facciamo un buon servizio al Paese”. E ancora: “Mi si spieghi scientificamente perché i bambini dovranno stare a scuola con la mascherina”. Lunedì sera il noto virologo Matteo Salvini a In Onda, talk-show estivo di La7 condotto da Luca Telese e David Parenzo, smetteva i panni del leader leghista e indossava il camice bianco per pontificare sul virus, dileggiare la ministra Lucia Azzolina e discutere con l’infettivologo del Sacco di Milano, Massimo Galli. Un confronto (politico negazionista contro severo virologo) che in altri tempi avrebbe fatto schizzare lo share fino alla doppia cifra. E invece no, perché l’estate nera di Matteo Salvini non riguarda solo i consensi in costante calo, ma anche gli ascolti televisivi: dove va lui, i telespettatori scappano.

Se una volta avere il leader del Carroccio in trasmissione garantiva uno share sempre a due cifre, oggi non è più così e il Salvini televisivo viene stracciato non solo dai talk concorrenti ma anche dalle repliche estive di Don Matteo, Paperissima e Techetechetè. L’ultima sconfitta è arrivata proprio lunedì sera: In Onda, che per tutta la prima ora ha ospitato Salvini, è stata superata in scioltezza dal talk concorrente Stasera Italia su Rete 4 condotto da Veronica Gentili che tra gli ospiti aveva il governatore della Sicilia Nello Musumeci, il fondatore del Fatto Antonio Padellaro e Pietrangelo Buttafuoco. Il programma Mediaset ha fatto registrare un ascolto del 6,8% con 1.348.000 spettatori contro i 1.203.000 di La 7 (5,9%). Eppure, negli ultimi due mesi, il leader della Lega è andato incontro a una serie di Caporetto televisive notevoli. Il 7 luglio ad esempio era ospite di Bianca Berlinguer nell’ultima trasmissione stagionale di #Cartabianca su Rai3: alla fine il talk ha fatto registrate il 6,3% di share battuto da Torno indietro e cambio vita di Carlo Vanzina su Rai1 (13,9%), e l’ennesima replica di House Party con Michelle Hunziker (11,1%) e di Chicago Pd su Italia1 (6,3%).

Due giorni dopo Salvini cambia orario, ma non gli va benissimo: alle 12 si presenta a L’Aria che tira e, nonostante sia l’unico ospite in trasmissione, viene battuto con il 5,9% dalle ennesime repliche mattutine di Don Matteo, Sea Patrol e perfino da Forum, che ormai manda in onda puntate vecchie di mesi. Lo stesso avviene, in prima serata, due settimane dopo quando Salvini prova a passare alle reti Mediaset: il 27 luglio viene intervistato a Quarta Repubblica da Nicola Porro su Rete 4 ma anche quella sera gli italiani cambiano canale. La puntata farà il 6% di share con 888.000 spettatori battuto dalla replica dell’episodio La Transazione del Commissario Montalbano (22,5%) e dal film del 2007 con Leonardo Pieraccioni Una moglie bellssima con il 9,4%. Il 30 luglio poi è il giorno in cui il Senato dà il via libera al processo nei suoi confronti sul caso della Open Arms e, dopo una giornata di strali contro giudici e contro il governo “corresponsabile”, Salvini decide di andare a gridare allo scandalo in prima serata al Tg4 che però è l’ultimo telegiornale serale per ascolti con il 4,3%, triplicato dal suo competitor delle 19, il Tg3 (12,8%). La débâcle però si consuma intorno a Ferragosto: il 13 Salvini è a Stasera Italia (6,9%) e alla fine della serata sarà battuto da Techetechetè (19%) e Paperissima Sprint (12,3%) mentre il 17 passa al concorrente In Onda (anche qui, unico ospite) rilevando un misero 4% contro il 6,3% di Veronica Gentili che aveva in studio Galli , l’ex grillino Gianluigi Paragone e il direttore de La Notizia Gaetano Pedullà. Non esattamente volti che infiammano il pubblico. Eppure il leader del Carroccio viene stracciato ancora una volta. L’ennesima di un’estate difficile anche sul tubo catodico.

10 milioni in viaggio e non c’è un piano

Dieci milioni di persone in più che, con la riapertura delle scuole, si muoveranno contemporaneamente – molte sui mezzi pubblici – nelle ore di punta e per la cui gestione non c’è ancora una soluzione.

È una delle principali incognite sulla riapertura di settembre su cui si spera di avere qualche risposta già oggi, quando i governatori incontreranno i ministri dell’Istruzione, dei Trasporti, della Salute e degli Affari regionali (praticamente la “cabina di regia” voluta da Conte) proprio per discutere di cosa fare e soprattutto di come farlo in sicurezza. In sostanza dovrebbe esserci la conferma dei 200 milioni in più chiesti dagli enti locali per affrontare le nuove spese, ma come ribadito dal Comitato Tecnico Scientifico non si potrà derogare – lo chiedevano le Regioni – al distanziamento di un metro (e alla mascherina). L’unica alternativa sarebbe aumentare le corse.

Il problema, a questo proposito, riguarda le flotte: soprattutto nelle città non ci sono abbastanza mezzi per poterlo fare ed è impensabile reperirli in tempo per l’apertura delle scuole. C’è chi pensa all’ipotesi di collaborare con i privati, chi continua a sostenere l’ipotesi dei “parafiati” (sostanzialmente dei divisori, Inail e Itt di Genova ne stanno sperimentando uno con un nuovo materiale) e chi di stabilire con precisione la differenziazione degli orari scolastici, altro punto su cui si brancola ancora nel buio. In generale, insomma, mancano risposte un po’ su tutto. Se infatti lunedì il ministero delle Infrastrutture ha fatto presente di aver predisposto una bozza di circolare per la messa in opera di distanziatori nei mezzi di trasporto extraurbano e nei treni locali (non ancora per il trasporto urbano, quindi), sull’orario differenziato è rimesso tutto all’autonomia degli istituti scolastici e alle decisioni nell’ambito dei tavoli regionali e provinciali.

Nell’incontro di lunedì tra Mit e Regioni è stato fatto presente che lo scaglionamento degli orari, soprattutto per gli spostamenti extraurbani, i più lunghi, non può essere la soluzione: la difficoltà sta nell’adeguare i servizi (sia in termini di mezzi, sia di personale) in così poco tempo e che anche l’ipotesi di ricorrere all’utilizzo di Ncc e bus turistici non è una novità. In molte regioni, infatti, già si ricorre al trasporto non di linea e questo ridurrebbe di molto la disponibilità di mezzi.

Insomma, un disastro che coinvolgerà i 30 milioni di pendolari giornalieri (dati Istat), di cui circa il 25 per cento si sposta per ragioni legate all’Istruzione e per risolvere il quale il Mit, nelle ultime riunioni, avrebbe ipotizzato anche la possibilità di un intervento normativo per favorire gli affidamenti diretti dei servizi di trasporto pubblico ai privati, velocizzando così l’iter ed evitando di dover ricorrere alle gare.

Test per tutti i docenti, cioè per chi riesce a farli

Il ministero della Salute aveva puntato tutto sui medici di base per la campagna dei test sierologici per docenti e non, ma è rimasto con il cerino in mano. Dal Nord al Sud, molti dottori non hanno dato la loro disponibilità così maestri, professori e bidelli hanno dovuto chiamare l’Asl per poter effettuare l’esame. Non solo. La macchina organizzativa si è inceppata anche per quanto riguarda i kit e i dispositivi di sicurezza per i sanitari: lunedì, giorno dell’avvio dello screening, molti medici non avevano ancora ricevuto il materiale necessario per somministrare i test.

La denuncia è arrivata da Domenico Crisarà, vice segretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale): “È importante poter contare su una organizzazione efficace. Ovviamente a partire dalla distribuzione dei test: molti colleghi hanno cominciato a chiederli alle strutture di riferimento venerdì scorso senza trovarli. Sarebbe poi utile, nelle zone più disagiate, fare arrivare i kit direttamente ai medici”. A pagare le conseguenze di tutto ciò sono gli insegnanti.

In Sicilia sono in tanti ad aver avuto problemi. “Il mio medico – spiega la professoressa Enza Spampinato del liceo “De Santis” di Paternò – non ne sa nulla. Alla mia scuola è arrivata la circolare ufficiale del ministero ma i medici non sono stati informati e andare in un’Asl è un delirio. Il mio medico mi ha suggerito di andare a farlo a pagamento”. Stessa versione da Grazia Loria, docente dell’istituto tecnico “Archimede” di Catania: “Il 17 agosto vedendo che colleghi di altre regioni si erano prenotati ho chiamato il mio medico di famiglia. Non ne sapeva nulla. Non aveva i kit, i dispositivi di sicurezza. Ieri sera sul registro elettronico sono apparse le indicazioni per i test, ma qui da noi la maggior parte dei medici di famiglia non ha dato la disponibilità. Dovremmo andare all’Asl, ma se chiami il numero verde è sempre occupato. Sono indignata”.

La musica non cambia a Palermo. Gregorio Porcaro, professore del liceo artistico “Catalano” racconta: “Ho chiamato il mio medico ma non aveva avuto alcuna indicazione né direttiva, e nemmeno aveva i kit. Insomma, la ‘poveretta’ è invasa da colleghi docenti a cui non sa cosa rispondere. La situazione è uguale in tutta la città metropolitana e forse anche in tutta la Sicilia di Musumeci. Sarà colpa dei migranti?”.

Ma persino a Bologna c’è chi ha avuto problemi: “La settimana scorsa la mia scuola – spiega la docente Cecilia Alessandrini – ha inviato una circolare che invitava tutti i docenti a fare il test sierologico ribadendo che è volontario ma consigliato. Nella circolare si specificava che i test sarebbero stati eseguiti dai medici di base previo appuntamento da prendere dal 24 agosto in poi. Quando ho chiamato la mia dottoressa di base mi ha detto che l’adesione alla campagna per i medici di base è volontaria e che lei non ha aderito e non ha kit dunque niente appuntamento per il test”.

Diversa la situazione a Crema, dove Paola Adenti, maestra al circolo “Crema Uno”, elogia l’efficienza del sistema: “Sulla bacheca online della scuola c’era l’elenco dei medici dell’Ats Valpadana che hanno aderito. In questa lista non c’era il mio dottore. Ho chiamato il numero verde dell’Asl e nell’arco di due giorni ho scelto data e orario. Tempo d’attesa minimo. Dopo dieci minuti puoi fotografare l’esito”.

Usa su 6 progetti Italia ed Europa puntano su Oxford

Sono 165 i vaccini contro il coronavirus in sperimentazione in tutto il mondo e 32 quelli che sono entrati in fase di sperimentazione sull’uomo. Secondo l’Oms, solo sei sono già entrati nell’ultima fase di sperimentazione, la terza, che stabilisce la reale efficacia di un vaccino. I vaccini richiedono anni di ricerca solo per l’autorizzazione alla fase 1 sull’uomo, ma i ricercatori in tutto il mondo corrono per avere un vaccino al più presto. C’è il rischio di tempi troppo brevi per valutare effetti collaterali a medio e lungo termine, e la reale efficacia nel tempo. Il rischio è di piegare la scienza alla politica: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, spinge per avere un vaccino disponibile prima delle elezioni di novembre. Come se le regole per le sperimentazioni cliniche fossero delle formalità, e non una tutela imprescindibile per la salute. Tutti vogliono accaparrarsi, anche scatola chiusa, più dosi possibile dei vaccini già in fase 3, prima di sapere se mai uno di essi si rivelerà sicuro ed efficace. A ogni notizia sul fronte vaccini, le Borse schizzano. Poco importa se vaccini e farmaci funzioneranno, dietro ai rialzi delle Borse – solo ieri di due punti – c’è per ora l’interesse della politica e di chi li produce, non ancora certezze scientifiche. “I Paesi più ricchi, si sono già accaparrati oltre due miliardi di dosi, bruciando sul tempo i Paesi più poveri”, riporta la rivista scientifica Nature. La Gran Bretagna ha ottenuto 340 milioni di dosi, cioè cinque somministrazioni pro capite, prosegue Nature. Gli Usa, a metà agosto, si erano già assicurati 800 milioni di dosi di almeno sei vaccini, con un’opzione per un altro miliardo di dosi. A ruota seguono i Paesi dell’Ue e il Giappone: altre centinaia di milioni di dosi.”

Il più avanti nella corsa è quello dell’azienda Moderna in partnership con il National Insitutes of Health americano, su cui il governo Usa ha investito un miliardo di dollari, rilanciando l’11 agosto con un altro miliardo e mezzo per assicurarsi 100 milioni di dosi. Il vaccino ha mostrato di proteggere le scimmie dal coronavirus. La fase 1 di sperimentazione sull’uomo è partita addirittura a marzo e il 27 luglio è partita la fase 3.

In Europa si punta sulla società britannico-svedese AstraZeneca e l’Università di Oxford (Regno Unito). Il loro vaccino è basato su un adenovirus inattivato di scimpanzé. Anche questo ha dato risultati incoraggianti su scimmie e nelle fasi 1 e 2 sull’uomo. Ora è in fase 3 in studi condotti nel Regno Unito, India, Brasile, Sud Africa e Usa. Italia, Germania, Francia e Olanda si sono accordati con AstraZeneca per assicurarsi 400 milioni di dosi se gli studi daranno risultati positivi. La produzione inizierà prima. L’Italia avrebbe investito 180 milioni di euro ma la cifra non è confermata. E ne ha messo altri otto sul vaccino dell’azienda con sede in svizzera Reithera, che allo Spallanzani di Roma ieri ha iniziato a testare il vaccino sulla prima volontaria sana, avviando la fase 1.

Poi c’è l’azienda tedesca BioNTech con il colosso americano Pfizer e la cinese Fosun Pharma, con un vaccino di tipo mRNA simile a quello di Oxford. Il 27 luglio hanno annunciato l’avvio della Fase 2 e 3 con 30.000 volontari in Usa, Argentina, Brasile e Germania. L’Amministrazione Trump ha concordato 1,9 miliardi di dollari per 100 milioni di dosi entro dicembre e l’opzione di acquistarne altre 500 milioni.

In fase 3, c’è anche l’azienda cinese Sinovac Biotech con un vaccino a base di virus inattivato. A giugno l’azienda ha annunciato la conclusione positiva dei test di di fase 1 e 2. A luglio è partita la fase 3 in Brasile e in Indonesia. Anche il Wuhan Institute of Biological Products in Cina ha un suo vaccino, che un’azienda di proprietà statale, la Sinopharm, sta testando sull’uomo, in fase 3, negli Emirati Arabi Uniti, Perù e Marocco. Sinopharm sta anche testando un secondo vaccino in fase 3, sviluppato dal Beijing Institute of Biological Products. Poi c’è quello dell’ azienda cinese CanSino Biologics, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze Mediche Militari cinese. A maggio si è conclusa la Fase 1. A luglio, hanno annunciato che la Fase 2 avrebbe mostrato che il vaccino stimola una forte risposta immunitaria. Su questa base, i militari hanno approvato il vaccino il 25 giugno per somministrarlo ai soldati per un anno senza aver iniziato la fase 3, quella che serve per testarne la reale efficacia e senza la quale non si può ottenere l’approvazione al commercio.