Anche quelle partite in ritardo si sono riallineate. Al 30 luglio la Lombardia ne aveva comprate solo 420 mila dosi. Ma “la campagna per le vaccinazioni antinfluenzali prenderà il via a ottobre in linea con le disposizioni del ministero della Salute – assicurava ieri l’assessore al Welfare Giulio Gallera –. Ad oggi abbiamo già acquistato 2,4 milioni di vaccini, l’80% in più dello scorso anno”. E a livello nazionale rispetto al 2019 gli ordini delle Regioni alle aziende sono aumentati del 40%. “Abbiamo risposto a tutte le gare – ha spiegato il presidente dei Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi – e siamo in grado di adempiere alle richieste”. Perché premunirsi in vista dell’autunno è la tendenza generale, in un 2020 segnato indelebilmente dal Covid-19. “Quest’anno il vaccino stagionale sarà di importanza fondamentale per due motivi – spiega Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università di Tor Vergata –. In primo luogo perché l’influenza potrà essere scambiati per il Covid-19. Quando una persona si presenterà in un presidio sanitario con i sintomi scatteranno tutti i meccanismi previsti in caso di sospetto Covid, dal tampone all’isolamento, e questo comporta il rischio di entrare in un vortice diagnostico quantomai complicato”. Con inevitabili ripercussioni sulla sanità pubblica: “Se anche solo una parte dei milioni di italiani ogni anno si ammalano di influenza arriverà negli ospedali per avere una diagnosi differenziale e la sicurezza che non si tratta di SarsCov2, il sistema rischierà di finire sotto pressione”. Secondo: “L’influenza è una malattia molto grave nei soggetti a rischio complicanze, perché colpiti da malattie croniche come il diabete o l’insufficienza renale. Anche il Covid ci ha mostrato come i fragili siano quelli più a rischio”.
Anticiparlo L’ordine del ministero
Per questo per Lungotevere Ripa la parola d’ordine è una: anticipare. “Vista l’attuale situazione epidemiologica relativa alla circolazione di SarsCov2 si raccomanda di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire dall’inizio di ottobre”, stabilisce una circolare del 5 giugno, che ha anche abbassato da 65 a 60 anni l’età a cui l’inoculazione è raccomandata. “Lo scopo è prevenire il più possibile i primi casi, che si registrano già a partire da settembre – spiega Andreoni, che è anche direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive – Il Covid ce lo ha mostrato chiaramente: se ne si blocca la circolazione fin dall’inizio, si impedisce al virus di diffondersi. I primi casi creano dei mini-focolai che possono essere bloccati abbastanza facilmente. Quando, invece, se ne sono formati troppi è più difficile intervenire. La logica è sempre quella: ridurre al massimo gli episodi di influenza per rendere più semplice possibile riconoscere quelli di coronavirus”.
L’utilizzo “diagnostico” del vaccino influenzale è alla base dell’ordinanza con cui ad aprile il governatore del Lazio Nicola Zingaretti ha reso obbligatorio il vaccino per over 65, medici e personale sanitario degli ospedali a partire dal 15 settembre. Un approccio che, però, non convince appieno Pier Luigi Lopalco, ordinario di Igiene pubblica all’università di Pisa: “Questo discorso rischia di mortificare la vaccinazione – spiega l’epidemiologo –. Al cittadino bisogna dire che è importante vaccinarsi perché l’influenza è una malattia seria, che può fare male, e che una brutta stagione influenzale potrebbe causare più danni di quelli che ha fatto il Covid-19. Presentarla come strumento per aiutare i pronto soccorso ad avere meno casi di febbre sminuisce il valore dell’antinfluenzale, che dovrebbe essere fatta a prescindere”. Ma così non è.
IssNegli anni, la copertura aumenta progressivamente
Lo scorso inverno, dati dell’Istituto Superiore di Sanità, la risposta degli italiani è stata migliore che in quelli precedenti: nella popolazione generale le coperture vaccinali della stagione 2019/2020 hanno registrato un leggero aumento (16,7%, per un totale di 10.080.120 di persone, senza contare chi lo ha fatto privatamente) rispetto al 2018/2019 (15,8%). In quella anziana (gli over 65), poi, “da quella 2015/2016 si osserva un trend in costante aumento arrivando al 54,6% dell’ultima stagione”. Ben lontani, tuttavia, da quel 90% in su che gli esperti indicano come soglia ottimale per raggiungere l’immunità di gregge.
Firmata il 16 aprile (giorno in cui i ricoverati Covid-19 erano 26.893, quelli in terapia intensiva 2.936 e si registravano 525 morti in 24 ore), l’ordinanza ha retto a un ricorso al Tar e prevede anche sanzioni per chi deciderà di disobbedire: gli over 65 “ribelli” non potranno frequentare i centri anziani mentre i sanitari saranno temporaneamente inidonei a lavorare. “L’obbligo per medici e infermieri dovrebbe essere assoluto – argomenta Andreoni –. Chi lavora a stretto contatto con le persone fragili non dovrebbe avere dubbi nel farlo. Purtroppo i dati dicono che la loro copertura si aggira attorno al 10%. Ovviamente l’obbligo è sacrosanto anche per la popolazione generale: in termini di sanità pubblica dovrebbe essere considerato come un bene comune perché salvaguarda l’interesse della collettività”.
“L’influenza è una malattia seria, e come tale va trattata, ma non credo che l’obbligo sia la strada maestra – obietta Lopalco –. L’antinfluenzale ha un ruolo piuttosto dubbio nell’avviare l’immunità di gregge: per raggiungerla bisognerebbe vaccinare in un tempo limitato, due o tre mesi, un numero di persone tecnicamente impossibile da raggiungere. Diverso il discorso per il morbillo. Quando abbiamo assistito al calo drammatico delle coperture registrato in Italia non sono stato contrario all’obbligo”. Come accaduto nel 2017, quando il governo Renzi aveva aumentato da 12 a 14 le vaccinazioni obbligatorie tra le quali includeva il morbillo, che all’epoca aveva una copertura vaccinale dell’87% a livello nazionale, ben lontana dal 95% prescritta dall’Oms.
“Nel momento in cui l’obiettivo è quello di eradicare completamente il virus del morbillo, come accadde con il vaiolo, e le persone non si vaccinano le istituzioni possono obbligare il cittadino a raggiungerlo per il bene della comunità. Ma non si può fare con l’influenza”. Perché? “Quello del vaccino antinfluenzale è un obiettivo di limitazione del danno – spiega Lopalco –. L’influenza è un virus che ha il proprio serbatoio negli animali. Circola tra questi ultimi e poi viene trasmesso agli uomini, e ha un livello di mutazioni così frequente che l’effetto della vaccinazione spesso si perde anche tra una stagione e l’altra. Sarebbe impossibile vaccinare il 95% della popolazione ogni anno. Ecco perché si fa un’operazione di immunizzazione mirata ad alcune categorie”.
Su un aspetto i due professori sono allineati: la necessità di vaccinarsi. “Un’infezione influenzale provoca un abbassamento delle difese immunitarie – conclude Lopalco –. Di certo non mi piacerebbe avere un’infezione da Covid-19 dopo un’influenza. Già solo per questo mi vaccinerei”.