“La politica vuole controllarci: i magistrati li giudica il Csm”

Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, boccia senza appello, è il caso di dire, l’idea di Luciano Violante rilanciata dalle pagine di Repubblica: l’Alta Corte delle magistrature, a cui è seguito l’auspicio della responsabile giustizia del Pd, Annamaria Rossomando, di un’approvazione di questo organismo, proposto con un suo ddl costituzionale in Senato, contemporaneamente alla riforma del Csm. Impresa impossibile, anche volendo, dato che non ci sarebbero i tempi tecnici necessari: per il rinnovo dei togati del Csm si vota a luglio. L’Alta Corte, con la stessa composizione della Corte costituzionale (giudici di nomina del presidente della Repubblica, della Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti) sarebbe il giudice d’appello per le sentenze disciplinari emesse dal Csm e dai consigli delle altre magistrature. Inoltre, sarebbe anche il giudice dei ricorsi contro le nomine delle magistrature. Interpellato dal Fatto, Santalucia è netto: “È una proposta inaccettabile. Non è che il Csm oggi sia un luogo ideale o che non si debbano pensare delle riforme, ma devono essere collocate dentro la cornice costituzionale attuale che garantisce autonomia e indipendenza alla magistratura”.

E invece l’Alta Corte andrebbe fuori dai binari costituzionali?

Anche se, come dice la proponente, venisse attuata con modifica costituzionale, introdurrebbe nel sistema un elemento di incoerenza rispetto all’impianto della Costituzione che ha pensato il Csm con una composizione maggioritaria di membri togati in ossequio proprio al principio di autonomia e indipendenza della magistratura. Attualmente contro le sentenze disciplinari si può ricorrere alle sezioni unite civili della Cassazione per questioni di mera legittimità; con l’Alta Corte ci troveremmo a un secondo giudice di merito e pure con composizione ben diversa rispetto al Csm.

Ma un po’ ve la siete cercata come magistrati, lo scandalo nomine ha fatto precipitare la vostra credibilità e soprattutto quella del Csm, non crede?

Se c’è una indicazione di ridimensionamento della magistratura, se si vuole fare fuori il Csm, non posso che rispondere con le parole del presidente Sergio Mattarella, che ha ricordato l’irrinunciabilità dei valori di autonomia e indipendenza della magistratura che compongono il nucleo forte del sistema democratico. Mettere accanto al Csm un giudice d’appello con diversa composizione non ha senso, sarebbe uno strappo fortissimo rispetto ai principi costituzionali appena enunciati.

Non le va bene l’Alta Corte neppure come organo che esamina i ricorsi contro le nomine?

Eroderebbe le competenze che spettano agli organi dei magistrati amministrativi, peraltro comprimendo il dritto del ricorrente che, in questo modo, avrebbe un unico grado.

Lei ha citato pro domo magistrati il presidente Mattarella. Ma davanti al Parlamento il capo dello Stato vi ha chiesto di recuperare “rigore”, di finirla con le “fazioni”, dovete ridare fiducia ai cittadini.

Più che un rimprovero ai magistrati ci vedo una esortazione del presidente a cui noi rispondiamo con convinta consapevolezza. Ha tutelato il principio dell’indipendenza, mettendolo al riparo da qualsiasi riforma, dopo di che ha richiamato la magistratura e non solo alla necessità di tenere fede ad alcuni principi. Da parte nostra non possiamo che essere grati al presidente e ci impegniamo per essere all’altezza del nostro compito.

Avete bocciato l’idea della ministra Cartabia di eleggere i togati del Csm con un maggioritario binominale. Perché?

Sia il Comitato direttivo centrale dell’Anm, sia i magistrati che hanno votato per il referendum consultivo, hanno premiato nettamente l’idea di un sistema proporzionale puro. Il maggioritario, di qualsiasi genere, alimenta il potere delle correnti e favorisce i gruppi più forti.

Amianto, Fincantieri risarcirà morte operaio

Il tribunaledi Genova ha condannato Fincantieri a risarcire con 695mila euro la vedova e il figlio di un operaio genovese morto il 7 luglio 2018 per un mesotelioma peritoneale dovuto a esposizione ad amianto nello stabilimento di Riva Trigoso. Lo scrive in una nota l’Osservatorio nazionale amianto. L’operaio aveva lavorato alla smerigliatura, al taglio e allo smusso dei tubi coibentati con materiali in amianto senza tute di protezione monouso o mascherine con il grado di protezione P3, e senza essere stato informato della pericolosità del materiale. Ed è morto dopo soli 6 mesi dalla diagnosi. L’Inail ha riconosciuto la natura professionale della patologia e la rendita diretta già prima che il 71enne venisse a mancare.

Tornano a camminare con elettrodi in midollo

Tre personeparalizzate sono tornate a camminare, nuotare e pedalare grazie a elettrodi impiantati nel midollo spinale. Il risultato, pubblicato su Nature Medicine, si deve al gruppo coordinato dal Politecnico di Losanna, al quale l’Italia partecipa con Silvestro Micera, che lavora alla Scuola Superiore Sant’Anna. Il dispositivo consiste in alcuni elettrodi innestati nel midollo, che inviano ai muscoli di gambe e tronco gli stimoli elettrici generati da un tablet controllato dal paziente. In un solo giorno i 3 volontari hanno ripreso a camminare e hanno imparato a controllare movimenti complessi, come nuotare e pedalare, anche al di fuori del laboratorio. “È un sogno che si avvera”, ha detto l’italiano Michel Roccati, uno dei tre pazienti.

Stupri in piazza Duomo. Altri 2 arresti a Milano

Hanno 16 e 17 anni. Sono stati arrestati a Milano con l’accusa di aver commesso alcune delle violenze sessuali e rapine avvenute la notte di Capodanno in piazza Duomo, a Milano. I due, entrambi egiziani (di cui uno regolarmente soggiornante e uno minore straniero non accompagnato) sono ritenuti responsabili delle violenze a sfondo sessuale commesse ai danni delle due turiste tedesche, immortalate in un video che ha fatto il giro del web. Una delle due ha raccontato ai pm che lei e l’amica sono state travolte da un “muro di uomini” e si sono ”abbracciate” per cercare “di difendersi” dagli aggressori. La 20enne ha anche spiegato che il “branco” tentò di toglierle il “vestito”, che subì una “forte spinta” e che cadde “al suolo”.

Lamorgese e i manganelli: “No ai codici sulle divise”

“C’’è stato un cortocircuito”, ha detto la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, per spiegare le manganellate della polizia e le teste rotte tra gli studenti che il 23 gennaio a Roma e il 28 a Torino e a Milano hanno manifestato dopo la morte del 18enne Lorenzo Parelli in un cantiere della discussa “Alternanza scuola-lavoro”. Lamorgese riferirà in Parlamento, intanto però ieri ha risposto a qualche domanda a Milano. “Quando ci sono ragazzi che manifestano per questioni gravissime c’è da aver la massima attenzione, ma non possiamo ignorare che c’è una direttiva che impediva manifestazioni se non statiche per ragioni di salute pubblica”, ha spiegato, riferendosi a un suo provvedimento ma anche alle norme anti-Covid che vietano i cortei nelle zone gialle e arancioni.

Lamorgese ha riaffermato che in piazza c’erano “provocatori”, argomento imbarazzante trattandosi di qualche centinaio di giovani disarmati che le forze dell’ordine sanno senz’altro gestire senza spargimenti di sangue. Poi ha risposto a una domanda sui codici da mettere sulle divise per identificare gli agenti responsabili di abusi come in gran parte dei Paesi europei: “Ci sono già in essere telecamere sui caschi di poliziotti e carabinieri – ha spiegato –. Non mi sposterei in questo momento sui codici”. Se ne parla da anni, specie dopo il G8 di Genova del 2001. Amnesty International ha consegnato giorni fa una petizione con 150 mila firme sul tema. Se i sindacati di polizia temono denunce pretestuose, codici alfanumerici consentirebbero solo alle Procure le identificazioni necessarie. Nel 2017, cercando di chiudere la ferita di Genova, l’allora capo della polizia Franco Gabrielli diceva a Repubblica di immaginare “una Polizia che non ha e non deve avere paura degli identificativi nei servizi di ordine pubblico, di una legge, buona o meno che sia, sulla tortura, dello scrutinio legittimo dell’opinione pubblica o di quello della magistratura”. Sembra un secolo fa.

“Nazirock” si può dire, ma solo dopo 10 anni di processi

Per Claudio Lazzaro e il suo documentario, Nazirock (2008), è finita bene. La prima sezione civile della Cassazione, con sentenza depositata il 3 febbraio, ha respinto il ricorso di Luigi Guerzoni detto Gigi, frontman dei Legittima offesa che cantano in onore dei ragazzi di Salò, ex Forza Nuova, poi vicino ad altri gruppi dell’estrema destra, già condannato per il pestaggio di due ragazzi che avevano osato dichiararsi “antifascisti”. Del resto Lazzaro, giornalista di lunga esperienza anche al Corriere della Sera, aveva vinto la causa in appello nel 2017, ottenendo il ribaltamento della sentenza del Tribunale di Roma che in primo grado, nel 2015, l’aveva condannato a pagare 15 mila euro di danni a Guerzoni più le spese. L’editore era Feltrinelli, che pagò e poi tentò di rivalersi sull’autore.

Non c’era nulla di falso nel documentario. Guerzoni, però, si è sentito diffamato e danneggiato sul piano professionale. La causa è durata dieci anni e non è stata l’unica. “Oltre alle minacce e alle intimidazioni ho subito sei azioni legali, anche da Roberto Fiore di Forza Nuova e da CasaPound ­– dice Lazzaro –. Ho sempre vinto ma i processi costano. Solo la Cassazione mi ha riconosciuto tremila euro di spese legali, quasi nulla in confronto a quanto ho speso in questi anni”. È il tema delle azioni giudiziarie temerarie che rendono impossibile la vita di giornalisti freelance e media indipendenti. C’è una proposta di legge di Primo Di Nicola per introdurre penali adeguate, chissà se sarà mai approvata in Parlamento.

Per i capi degli 007 no lavori all’estero dopo fine mandato

I capi dell’intelligence italiana e i loro vice non potranno lavorare con “soggetti esteri, pubblici o privati” nei tre anni successivi alla cessazione del loro incarico. Lo prevede un decreto del presidente del Consiglio, Mario Draghi, pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale. Sono diversi i casi di ex 007 che, una volta finito l’incarico, hanno iniziato attività professionali altre. La stampa in passato ha raccontato delle prestazioni professionali pagate all’ex capo dell’Aise, Alberto Manenti, da parte di una società però con sede a Roma, la Mpc srl. Nulla di illegale. Il nuovo decreto ha introdotto una “disciplina in tema di incompatibilità successive al rapporto di impiego presso gli organismi di informazione per la sicurezza, al fine di limitare il rischio di un possibile pregiudizio alla tutela del patrimonio informativo acquisito durante l’espletamento dell’incarico”. Il testo prevede la possibilità per il premier o l’Autorità delegata di porre il veto all’assunzione di incarichi in società italiane qualora vi sia influenza da parte di soggetti esteri tale da “costituire rischio per la sicurezza nazionale”.

“Quel prof molestò mia sorella, la preside sapeva”

Continua l’occupazione del liceo “Valentini Majorana” di Castrolibero (Cosenza), da parte degli studenti che da giovedì stanno denunciando le molestie sessuali subite dai professori. Ieri mattina nell’istituto è arrivato un ispettore dell’Ufficio scolastico regionale il cui intervento è stato chiesto dai genitori degli studenti per verificare i fatti denunciati in questi giorni e finiti su Instagram dove un’ex studentessa sta raccogliendo le segnalazioni delle ragazze. Una di queste ha avuto il coraggio di denunciare le molestie di un professore e ora indaga la Procura. Molestie di cui sarebbe stata informata la dirigente scolastica Iolanda Maletta, che però ha negato. “La dirigente sapeva e non ha fatto nulla se non spostare di plesso il docente”, ha raccontato il fratello della studentessa. Che avrebbe incontrato il professore dopo l’apertura della pagina social. “Avrei dovuto farti di peggio”, le avrebbe detto l’uomo. “A quel punto, sconvolta – ha spiegato la ragazza – ho raccontato tutto alla mia famiglia e ho presentato denuncia ai carabinieri”.

“300mila contagi”, “Spallata Omicron” e il mix di Ricciardi

“Mi preoccupa la combinazione tra Delta, Delta plus e Omicron che produrrà un gennaio catastrofico. La contemporanea presenza di varianti così contagiose ci dispone a un periodo in cui la curva dei contagi sarà esponenziale e la pressione sui sistemi sanitari sarà fortissima. Purtroppo il numero dei morti aumenterà in maniera importante”. Se purtroppo ci aveva visto giusto sul numero contabilizzato dei morti giornalieri, l’iper-catastrofista Walter Ricciardi, consigliere senza speranza del ministro della Salute Roberto Speranza, il 7 gennaio con le sue dichiarazioni all’AdnKronos ha continuato a dipingere uno scenario a tinte fosche e straordinariamente allarmistico che, fortunatamente, non c’è stato anche perché la variante Omicron, come già emergeva dai primi studi in Sudafrica a fine dicembre, si è rivelata meno problematica di Delta e SarsCov2 come lo avevamo conosciuto fin qui, anche grazie alla copertura vaccinale ma non solo.

Da metà dicembre in poi con i primi casi di Omicron – rivelatasi più infettiva ma meno patogenica dell’originale e delle altre varianti – in Italia quasi tutto il panorama mediatico mainstream, prima ancora che ci fossero dati solidi, ha ecceduto in pessimismo, quando non addirittura in isteria e allarmismo. Repubblica ha augurato un sereno Natale a tutti dalle edicole titolando in prima il giorno della Vigilia “Omicron, la spallata”; per poi salutare gli italiani, dopo Santo Stefano, con un rassicurante “Prigionieri del virus” a caratteri cubitali in prima il 27 dicembre. Per una buona dose di ansia natalizia, il 24, ha provveduto anche il Tempo con “Omicron batte le terze dosi” senza un riferimento nella titolazione al fatto che contrariamente al contagio la malattia grave sembrava essere scongiurata già dai primi studi di cui si aveva notizia in quei giorni. Tanto che il professore Guido Silvestri dell’Emory University di Atlanta affermava: “Rispetto a un anno fa si contano un sesto dei morti, un quarto dei ricoveri in terapia intensiva e Omicron, al momento, ha una letalità – ossia la proporzione di decessi che si verificano in una popolazione infetta – di 0,26% in una popolazione di non-vaccinati (le altre varianti in Sudafrica si attestavano tra 2,5 e 4%). La vaccinazione di richiamo, booster, innalza l’efficacia anche contro la variante Omicron a oltre il 90%, e quindi a livelli paragonabili a quelli studiati in sede di approvazione dei vaccini contro il virus originale”. E, infatti, il Fatto Quotidiano il 29 dicembre, riprendendo anche le parole di Silvestri, titolava “Covid, il dossier dal Sudafrica: Omicron è la fine della pandemia”. Ma solo due giorni prima, il 27 dicembre, sul Corriere della Sera, che peraltro insieme al Fatto si è distinto in quei giorni per non amplificare l’allarmismo, il generale e commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo proclamava a tutta pagina: “Screening nelle scuole e terze dosi per tutti. Ecco il mio piano per fermare Omicron”. Dello screening nelle scuole più di un mese dopo c’è poca o nessuna traccia e sulle terze dosi non c’è stata questa impressionante accelerazione delle somministrazioni, ma i proclami militareschi sono quello che sono e si sa. E, a proposito di imperativi, il 28 dicembre ci pensava il Messaggero ad augurare buon anno agli italiani aprendo in prima col titolo “È l’ora dell’obbligo vaccinale. Omicron corre, convocato il Cts”. Anche se, come ha rilevato ieri il Tempo, la tempestività del Cts su Omicron non è stata proprio da fulmini di guerra: “Il Cts ha ignorato Omicron. Il 26 novembre scattava l’allarme mondiale. I nostri esperti se ne sono accorti solo 21 giorni dopo”. Insomma, un film già visto: allarmismo nei proclami, ma i soliti ritardi su analisi e conseguenti decisioni nella gestione dell’emergenza pandemica.

“Ecco perché sui vaccini chiediamo i dati grezzi”

Sono passati dieci anni dall’editoriale del British Medical Journal che dichiarava vinta la battaglia su quello che passò alla storia come il “caso Tamiflu”. L’antinfluenzale – prodotto da Roche, e comprato per miliardi di dollari e centinaia di milioni di dosi dai governi di mezzo mondo durante la pandemia da H1N1-l’influenza suina – venne declassato dall’Oms a farmaco complementare. Questo, dopo anni di studi e di battaglie per la trasparenza condotte da due ricercatori, Peter Doshi e Tom Jefferson. Impiegarono quattro anni per ottenere da Roche i dati grezzi (150mila pagine), e mesi e mesi per analizzare quei “sei metri di carte”, come ricorda Doshi. Fu grazie a quel lavoro che si scoprì che Tamiflu non riduceva il numero di ospedalizzazioni, come invece sosteneva la casa farmaceutica. Ed è sempre Doshi, assieme al Bmj, a firmare oggi un appello affinché vengano resi pubblici i dati grezzi sui vaccini e sui farmaci anti Covid. “Come medico e ricercatore indipendente – spiega – difendo la trasparenza dei dati scientifici nel campo medico e farmaceutico”, e ci tiene a sottolineare che in questa intervista parlerà a titolo personale.

Professor Doshi, perché un appello per i dati grezzi “aperti”? Cosa sono?

Sono i dati originali e dettagliati raccolti nel corso delle sperimentazioni cliniche e poi riportati, in forma più raffinata, nelle pubblicazioni e nei comunicati stampa delle case farmaceutiche. Nel caso dei vaccini e dei farmaci anti Covid, tutto ciò che sappiamo viene attualmente solo da ricerche finanziate dalle stesse aziende produttrici, finalizzate all’autorizzazione delle agenzie regolatorie. Sono dati che condizionano le nostre scelte di politiche sanitarie, non possiamo basarci solo sulla fiducia. Ci deve essere un modo per verificare in modo indipendente.

Quali dati grezzi sarebbe più importante conoscere ora?

Quelli relativi agli studi randomizzati in cui un gruppo di volontari vaccinati viene confrontato col gruppo di controllo, che riceve invece un placebo secondo il metodo doppio cieco, a insaputa dei volontari e dei ricercatori, per vedere cosa succede a ogni singolo paziente. Ma non solo. Servirebbe conoscere quali e quante segnalazioni di eventi avversi gravi abbiamo avuto durante gli studi, quali le procedure operative standard applicate nei siti di sperimentazione clinica, quali le regole di aggiudicazione di tali sperimentazioni. C’è bisogno di trasparenza per tutti i tipi di dati, compresi quelli di farmacovigilanza nel periodo post-autorizzazione del vaccino. Anche perché la tempistica per sperimentare eventi avversi è differente da quella necessaria a confermare quegli eventi avversi. In Italia, chiedo, accedete ai report governativi sulle indagini sulle segnalazioni di reazioni avverse gravi?

C’è un problema di trasparenza?

Sì, assolutamente. In un mondo normale, che si muove secondo logiche razionali, le evidenze andrebbero analizzate – e rilevate – da chi non ha alcun interesse finanziario nelle sperimentazioni. Peraltro, a differenza delle sperimentazioni sui farmaci che solitamente prevedono almeno due studi di controllo, qui ne abbiamo uno, e della durata di quattro mesi. Avere i dati grezzi dovrebbe essere una preoccupazione di tutti, anche del ministero della Salute. Ma la maggior parte dei governi si affida ai “grandi” enti regolatori come Fda o Ema.

Ema e Fda sono in possesso di questi dati?

L’Ema potrebbe averli, se solo li richiedesse. La Fda ne ha molti, sicuramente più di Ema, ma ne mancano comunque tantissimi. Quelli “granulari” per esempio, conservati nei siti dei centri studio: la Fda, per la sperimentazione clinica di Pfizer, ne ha ispezionati solo 9 su 153. Le agenzie regolatorie e di sanità pubblica, poi, dovrebbero spiegare il motivo per cui nei test non sia stata valutata la capacità dei vaccini di fermare il contagio. La verità è che, nella maggior parte dei casi, nessun Paese richiede questi dati.

Pfizer ha chiesto l’approvazione Fda per il vaccino pediatrico sotto i cinque anni. Che dati abbiamo?

Un vaccino dovrebbe essere approvato solo dopo test a lungo termine, per poter essere sicuri dei benefici e soprattutto dei rischi, specie per una popolazione come i bambini. Questo richiede tempo, anni. Ma i vaccini approvati possono già essere usati legalmente off-label: nulla ne impedisce l’uso per indicazioni non approvate, esiste sempre il consenso informato.

Lei è stato tra gli scienziati più cauti sulla terza dose. Se avessimo avuto i dati grezzi, avremmo avuto politiche sanitarie diverse?

Penso che se i ricercatori si fossero impegnati fin dall’inizio a richiedere e analizzare in modo critico i dati dei trial, avremmo avuto un dibattito sulle prestazioni che un “buon” vaccino dovrebbe fornire. Tipo: quanto tempo dura la copertura; se il vaccino è o non è sterilizzante… Poiché queste domande non sono mai state poste perché è mancata la discussione, non c’è stata pressione per garantire che gli studi fornissero risposte solide. Se avessimo avuto i dati grezzi di Pfizer nell’aprile 2021, nel momento in cui Pfizer stessa li stava analizzando, avremmo saputo che il calo dell’efficacia nella copertura dal contagio era già visibile. Quindi avremmo avuto molto più tempo per correggere in corsa le strategie vaccinali, anziché aspettare le evidenze di Israele mesi dopo.

Cosa pensa dei pass vaccinali?

Direi che Omicron ha squarciato il mondo a una velocità incredibile, sollevando dubbi legittimi sull’efficacia e il senso dei pass vaccinali. Per motivi sociali ed etici, sono poi personalmente contrario all’obbligo vaccinale.

Lei a settembre ha sostenuto che l’immunità naturale, grazie alle cellule T, è più vicina. Cosa ne pensa, alla luce di Omicron?

Per infezioni come questa, l’immunità di gregge va intesa in modo diverso rispetto a quella per una malattia come la polio. In futuro ci saranno nuove ondate di Sars-CoV-2, ce lo insegna la storia dei virus respiratori endemici, tipo raffreddore o influenza.

Come definirebbe il dibattito scientifico sulla pandemia?

È tragico quello che è successo. È come se fossimo in guerra. E il dibattito è stato dipinto come una minaccia allo sforzo bellico. Ci viene detto che dobbiamo “seguire la scienza”, ma questo tipo di argomentazione promuove una visione non veritiera della scienza: la scienza non è piena di certezze, anzi! La scienza è un processo non una conclusione, e richiede discussione, dibattito e trasparenza dei dati. Non possiamo accettare una sorta di realtà binaria in cui tutte le critiche sono automaticamente etichettate come pericolose. Il nostro appello sui dati grezzi “aperti” non è una richiesta No vax, ma una richiesta di trasparenza, necessaria su tutti e per tutti i farmaci. Specie in pandemia.