1210 infetti come il 4 maggio Oggi i primi test sul vaccino

A 24 ore dall’inizio della sperimentazione del vaccino italiano previsto per questa mattina all’Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma, la curva epidemica dell’Italia ha spiccato un nuovo balzo verso l’alto. Ieri i nuovi contagi da Covid-19 hanno toccato quota 1.210 (portando a 259.345 i casi totali dall’inizio della pandemia), in aumento rispetto ai 1.071 di sabato, giorno in cui i tamponi erano stati circa 10mila in più dei 67 mila comunicati ieri. Per trovare un dato analogo bisogna tornare al 4 maggio, giorno in cui il lockdown subì un primo allentamento ed ebbe inizio la Fase 2. Quel giorno emersero 1.221 nuovi positivi, ma il contesto era molto diverso: i morti erano stati 195 (ieri 7), le terapie intensive ospitavano 1.479 persone (ieri 69), con i malati che per la prima volta dall’inizio della fase acuta dell’epidemia erano scesi sotto quota 100mila (99.980). Il sistema sanitario non è in emergenza, quindi, ma la costante risalita dei contagi preoccupa. I nuovi casi vengono in gran parte scovati tra chi ritorna dalle vacanze sia all’estero che in Italia, con il flusso di rientro che durerà ancora nei prossimi giorni. L’età, poi, è sì più bassa ma i giovani che contraggono il virus rischiano di trasmetterlo ai familiari.

La Lombardia è la Regione che ieri ha registrato più tamponi positivi: 239. “Di questi, 190 sono riferiti a persone che hanno meno di 50 anni – ha precisato Giulio Gallera – Due terzi riguardano cittadini che rientrano dall’estero e i loro contatti diretti”. “ Senza mai dimenticare – ha aggiunto l’assessore lombardo al Welfare – che se si ragiona in termini di confronti assoluti il numero degli abitanti della Lombardia è pari a un sesto della popolazione nazionale”. Nella regione martire, poi, i decessi sono stati 4 sui 7 registrati a livello nazionale (questi ultimi in crescita rispetto ai 3 di sabato ma in calo dai 9 di venerdì, con il totale che raggiunge le 35.437 unità).

Dietro, c’è il Lazio che con 184 nuovi casi e un decesso resta l’altra sorvegliata speciale. “Di questi il 60% sono di rientro, mentre scendono quelli con link dalla Sardegna (35%) – ha spiegato l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato – I casi diminuiscono rispetto a ieri ed è ancor più significativo visto il numero record dei tamponi effettuati nelle ultime 24h”. “Siamo pronti alla reciprocità per garantire la sicurezza, è l’obiettivo comune”, ha aggiunto D’Amato riferendosi all’intesa raggiunta con la Sardegna per eseguire tamponi sia a chi parte dall’isola sia dal Lazio. Che continua a detenere il primato dei ricoverati: 286 (in Lombardia sono 148) con un incremento di 21 casi in 24 ore.

Questa mattina, intanto, il primo volontario sano riceverà allo Spallanzani il vaccino progettato dall’azienda Biotech Reithera di Castel Romano e finanziato con 8 milioni da Regione Lazio e ministero della Ricerca con il Cnr. Il candidato, chiamato Grad-CoV2, sarà somministrato a una sola persona. A distanza di 4 giorni verrà inoculato ad altre 2 persone, poi ad altre 4 e così via, fino ad arrivare ai 90 volontari previsti in questa prima fase .

“Chiudo gli hot-spot ai migranti”. Sberla dal Viminale a Musumeci

Per fronteggiare l’emergenza Covid a maggio ci aveva provato con la “patente sanitaria’’ del turista, bollata come incostituzionale dal ministro degli Affari regionali Boccia e trasformata in un più innocuo “protocollo’’. Sul sottile confine del conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione ieri il governatore Nello Musumeci ha rotto ogni indugio, mostrando il pugno duro contro i migranti e pubblicando la sua ordinanza, 33 pagine firmate nella notte, persino su Facebook: “Entro le 24 di domani tutti i migranti presenti negli hot-spot e in ogni centro di accoglienza della Sicilia dovranno essere improrogabilmente trasferiti in strutture fuori dall’isola”. Non solo: “È fatto divieto di ingresso, transito e sosta nel territorio della Regione Siciliana da parte di ogni migrante che raggiunga le coste siciliane con imbarcazioni di grandi e piccole dimensioni, comprese quelle delle Ong”.

Anche anche questa volta è arrivato lo stop, garbato e dialogante, da Roma: l’ordinanza non ha valore, dicono fonti del Viminale, perché “quella dei migranti è una materia di competenza statale, un’ordinanza regionale dunque non può incidervi’’. Aggiungendo che “non si vuole polemizzare, sapendo anche che la Sicilia è sottoposta ad una pressione migratoria eccezionale che si sta facendo il possibile per alleggerire’’. E se Stefano Ceccanti, capogruppo Pd in commissione Affari Costituzionali, invita Musumeci a rileggersi la Costituzione (“qualcuno gli spieghi che se omette di citare nell’ordinanza il comma 2 dell’articolo 117 esso comunque non scompare”) dalla regione fanno sapere che il governatore si è mosso “sotto il profilo sanitario e quale soggetto attuatore dell’emergenza Covid-19’’. Secondo questa interpretazione, dunque, l’ordinanza, “è certamente su materia di competenza in parte regionale e in parte sulla emergenza pandemica, introducendo misure di ordine preventivo a seguito della decisione dello Stato di non applicare le norme vigenti dei decreti sicurezza”.

Si profila dunque un braccio di ferro, confermato in serata dalla circolare attuativa dell’assessore alla Salute Razza annunciata dal governatore a Rai News. Agitando lo spettro di un’isola trasformata nel “campo profughi d’Europa’’ e scatenando la caccia agli untori extracomunitari, Musumeci incassa gli applausi del centrodestra: la Meloni invoca il blocco navale (“Facciamolo subito”), Calderoli lo paragona alla banana Chiquita (“merita dieci e lode’’), per Salvini l’ordinanza di Musumeci arriva “dopo che perfino i sindaci di Pd e 5Stelle si sono opposti allo sbarco dei finti profughi’’.

Se per Bruno Cacopardo, direttore del reparto di malattie infettive del Garibaldi di Catania, il rischio di contagio dei migranti “tutti sottoposti a tampone, tracciati e isolati dalla popolazione, è dieci volte inferiore a quello degli autoctoni’’, il giudizio dei grillini siciliani è tranchant: l’ordinanza è “farneticante e improponibile’’ per il capo gruppo Giorgio Pasqua, “l’ennesima arma di distrazione di massa per coprire i suoi fallimenti e cercare di addebitare ai migranti l’aumento dei contagi in Sicilia, dovuto alle tante voragini presenti nel sistema di prevenzione. Ci spieghi – chiede a Musumeci – come riuscirà ad imporre il ricollocamento fuori dalla Regione dei migranti, sempre che entro le 24 del 24 agosto riesca a trasferirli’’. La stessa domanda che pone Erasmo Palazzotto di Sel: ‘’Cosa farà da lunedì, il Presidente? Li accompagnerà personalmente all’imbarco sullo Stretto di Messina?’’.

Plexiglas, discoteche: “Lobbisti somari e colpe della stampa”

Molti soldi già spesi, moltissimi altri da spendere. E dunque: piatto ricco mi ci ficco. La pandemia sta producendo una leva straordinaria di lobbisti che – arruolati in tutta fretta – mostrano però segni inequivoci di competenze ora confuse ora approssimate. La nostra conversazione con Pier Luigi Petrillo, docente di teoria e tecniche del Lobbying alla Luiss, prende in esame l’esito sfortunato di alcune azioni di dirottamento della spesa pubblica. Vengono anche rilevate però soluzioni vincenti di pressione.

“Mi faccia dire che la rappresentanza degli interessi diffusi non solo è legittima ma, se condotta con trasparenza, aiuta il decisore politico ad allocare nella giusta misura le risorse finanziarie”.

Professore, qui prendiamo in esame i lobbisti che zoppicano. La sua dev’essere una sintetica lezione di recupero.

Il più clamoroso tonfo mi sembra possa annoverarlo l’industria del plexiglas.

Fantastico quel cubo di plastica trasparente posizionato sulla spiaggia dove rinchiudere i bagnanti e farli arrostire.

Non è da meno il cubo scolastico. Plastica a scuola più che libri.

Idee fuori dalla realtà accreditate come plausibili.

Per accreditarle come tali c’era bisogno di una seconda figura di riferimento: il giornalista. Il disegno dell’architetto anonimo che immagina il plexiglas al posto dell’ombrellone viene ospitato, e dunque reso plausibile, dai mezzi di informazione. Le ragioni possono rinvenirsi prevalentemente in una connessione diretta tra lobbismo e giornalismo. Altre volte la battaglia politica o la linea editoriale sviluppa sull’idea eccentrica una campagna d’opinione. Più estrema e sconveniente appare, meglio è per chi la contrasta.

In quel caso si voleva vendere il plexiglas.

Il naufragio è stato causato da un lavoro lobbistico lacunoso che ha proposto soluzioni impraticabili a problemi veri, come il distanziamento in classe e nei luoghi di ritrovo.

Altri lobbisti zoppicanti: quelli delle discoteche.

Per arginare la chiusura disposta dal governo hanno tentato la carta – ragionevole – del danno che avrebbe patito l’occupazione. Poi però, hanno esagerato producendo una stima delle perdite (ho letto di quattro miliardi di euro!) così elevata da apparire poco plausibile. L’agenzia dell’entrate, riferendo le dichiarazioni dei redditi dei discotecari, molto al di sotto della più modesta delle previsioni, ha dato il colpo di grazia. La difesa degli interessi del mondo delle discoteche, che pure è comparto non marginale dell’industria del turismo, ha così perso ogni reputazione pubblica.

Cosa si sarebbe invece dovuto fare?

Confutare la tesi del governo secondo la quale dove si balla ci si infetta con valutazioni opposte, di valore scientifico, persuasive e rigorose. È il cosiddetto lavoro preparatorio, o di back office, che è mancato. Documentazione analitica, riferimenti fattuali o legislativi certi e indiscutibili.

Quelli dei monopattini hanno vinto alla grande però.

Quelli non hanno mosso un dito perché una forza di governo, i Cinquestelle, promuoveva la politica della mobilità alternativa (bici, monopattini, auto elettriche) senza alcun bisogno di spintarelle. Sono solo dovuti intervenire ex post in Parlamento perché la norma non venisse ghigliottinata dalla crescente opposizione a queste misure.

Esiste un esercito di lobbisti avventurosi.

Le situazioni straordinarie agevolano nuove, spesso improvvisate immissioni in ruolo.

Con i social fare lobby è più facile.

In questo caso è un’attività di grassroots lobbing. La capacità di mobilitare interessi e attenzioni di una platea larga rendendo generali questioni in verità particolari e pressanti bisogni invece modesti. Dunque urgenti e collettivi provvedimenti in realtà di nicchia.

I social sono una pacchia.

Con mille tweet al seguito di un hastag azzeccato la politica prende premura, a volte spaventa. Si interroga, si mobilita, spesso si piega.

Il dipinto sacro di Veronese finì davanti all’Inquisizione

A Venezia, ora: per ricordarci che l’arte non è (solo) il lusso distruttivo dei ricchi. È la libertà di noi tutti.

Se vi chiedo il nome di ‘un artista eretico’, a nessuno verrà in mente il nome di Veronese. Mi risponderete ‘Caravaggio, Goya, Van Gogh’: ma non il pittore solare, il pittore della gioia di vivere, questo meraviglioso veneto del Cinquecento che nato a Verona – nato Paolo Caliari, ma universalmente noto come il Veronese – riuscì a mettere insieme Tiziano, cioè la pittura allo stato puro, con i succhi manieristi che venivano dall’Italia centrale (come la pittura di Parmigianino), con la pittura mantovana e addirittura con i corpi risentiti di Michelangelo, le anatomie romane. E fondendo tutto in quadri di una straordinaria felicità, quasi superficiali: di una gaiezza fuori dal tempo e dalla storia.

E invece qualcosa successe. All’inizio degli anni Settanta del Cinquecento, andò in fiamme una grande Cena di Tiziano che stava nel refettorio del convento domenicano dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia – San Zanipolo, come dicono i veneziani. Veronese fu allora incaricato di dipingere un’Ultima Cena del Signore: un quadro immenso, lungo 13 metri, che oggi vi chiedo di andare a vedere, alle Gallerie dell’Accademia.

L’Ultima Cena è un episodio chiave per i cattolici, perché è il momento in cui Gesù istituisce l’Eucarestia e il sacerdozio, ed è il momento del comandamento più importante: quello della carità, dell’amore fraterno. Dunque, è un punto fondamentale nella storia della Chiesa, ed è per questo che le Ultime Cene sono straordinariamente solenni: e Veronese dà fondo a tutta la sua immaginazione, trasformando questa sua Ultima Cena in una grande festa in maschera. Solo Tiepolo, due secoli dopo, sarà capace di così tanta gioia, di così tanta allegria, quasi un po’ fuori di testa, superficiale e leggera: una leggerezza meravigliosa.

Vediamo il grande porticato di una villa palladiana, cioè di una villa del suo tempo e della sua terra. Veronese non pensa al piccolo e modesto albergo in cui Gesù tenne davvero l’Ultima Cena secondo i Vangeli, ma trasferisce tutto nel patio monumentale di una villa aperta sulla campagna veneta. È una grande festa di un ricco signore contemporaneo: una grande festa profana.

Ora, questa sorta di felicità neopagana era ormai sospetta nel momento in cui il Concilio di Trento, combattendo l’eresia protestante, cercava di proporre agli scrittori e anche ai pittori un’aderenza maggiore ai dettami della Chiesa. Succede dunque che Veronese si trovi al centro di una contesa tutta religiosa, tra i suoi committenti domenicani e il Sant’Uffizio, in un gioco più grande di lui: così finisce convocato dall’Inquisizione, in uno dei rarissimi casi in cui vediamo un grande pittore italiano interrogato dalla Santa Inquisizione.

Il gaio, il leggero Paolo Veronese è formalmente sospettato di eresia. Perché in questa Ultima Cena ci sono molte cose che non tornano all’inquisitore: per fortuna il verbale dell’interrogatorio di Paolo si è conservato e dunque possiamo leggere questo dialogo davvero straordinario tra il pittore e il suo giudice. Di fronte all’incalzare dell’interlocutore, Veronese chiede che gli sia permesso di spiegarsi: “El fa bisogno che ’l dica qua venti parole … Noi pittori ci pigliamo la licenza che si pigliano i poeti e i matti“. È una frase memorabile, che poggiando sulla più alta tradizione classica esalta la libera follia dell’arte. “Chi credete voi veramente che si trovasse in quella Cena?”, va al sodo il giudice. “Credo che vi si trovasse il Cristo con li suoi apostoli, ma se nel quadro li avanza spacio, io l’adorno di figure, secondo le invenzioni”. E alla fine Veronese rivendica la sua esclusiva appartenenza all’arte: “Ho l’obbligo di seguire quello che hanno fatto li miei maggiori”. Che è come dire: ‘voi dell’Inquisizione obbedite al papa, obbedite alla Chiesa, ma anche io ho una tradizione, anche io ho qualcuno a cui obbedire’. “Che hanno fatto i vostri maggiori? Hanno fatto forse cosa simile?” E qui Veronese prova l’affondo: “Michel Agnolo in Roma, dentro la Cappella Pontifical, vi ha dipinto il Nostro Signor Gesù Cristo, la sua Madre e san Giovanni, san Piero, e la corte celeste: le quali tutte sono fatte nude, dalla Vergine Maria in poi, con atti diversi e con poca reverenza”. Veronese usa le contraddizioni della Chiesa stessa – e cioè usa la (controversa) libertà del Giudizio Finale dipinto da Michelangelo per un papa – per difendere se stesso, difendendo la libertà di tutti gli artisti.

Come finisce la storia? Nel più italiano dei modi: l’Inquisizione chiede al pittore di cancellare alcune figure, e allora Veronese ha un’idea geniale: basterà cambiare il titolo. Non più l’Ultima Cena, ma la Cena in casa di Levi, il pubblicano. Un velo di ipocrisia, o se preferite un gesto da artista concettuale di oggi: cambiare il titolo per cambiare l’opera. E, soprattutto, per non piegarsi.

Il prete che guadò il fiume con Garibaldi caricato sulle spalle

Leonardo da Vinci è “a porto Cesenatiche al dì di 6 settembre 1502 a ore 15”. Lo annota lui stesso nel suo prezioso taccuino di lavoro che formerà il Codice Leonardesco, disegnando il porto canale romagnolo del ‘300 con le varie sezioni misurate a “braccia”. È in missione per Cesare Borgia, e riproduce con straordinaria fluidità anche il Borgo marinaro con le basse case e le costruzioni già importanti. Sta raccogliendo dati per poterne migliorare la funzionalità? Possibile. La fortuna del Valentino tramonta molto presto. In seguito, l’idea leonardesca di un porto canale che si snoda – facendo battere l’onda dell’alta marea prima da una parte e poi dall’altra fino a quietarla – è rimasta in quello scalo marinaro tuttora funzionante per la pesca. Sulla scia dell’anno leonardesco (il grande artista-inventore si spense infatti nel 1519 in Francia), anche questa sua veloce ma significativa presenza va annotata.

Sulla storia di Cesenatico aleggia però soprattutto la figura di Giuseppe Garibaldi e non per una vittoria bensì paradossalmente per una sconfitta: l’8 agosto infatti si organizza una grande festa per ricordare quando il Generale, reduce dalla generosa difesa della Repubblica Romana del 1849, salpa da qui per raggiungere Venezia e la sua Repubblica, ma in mare aperto viene respinto a riva dalle cannoniere austriache. Deve ripiegare a nord, abbandonare Annita ormai morente e affidarsi ai patrioti romagnoli per una indimenticata “trafila”, che nottetempo lo porta sull’Appennino al confine col tollerante Granducato di Toscana. C’è però un ultimo ostacolo, il fiume che segna il confine e che bisogna guadare. Hanno organizzato tutto i Carbonari locali alla storica Osteria della Zabariòna. Ci pensa un energico prete di Modigliana, don Giovanni Verità, di fede mazziniana, che se lo carica in spalla e lo porta di là, da dove raggiungerà Livorno per imbarcarsi in seguito per il Nord America. Don Giovanni Verità non avrà per questo funerali religiosi e però riceverà la nostra eterna riconoscenza.

Cesenatico comunque ricorda con grande allegria e partecipazione l’Eroe dei due mondi, con l’albero della cuccagna nel porto canale, la rustìda di pesce per tutti sulle banchine, spargimento di fiori in mare, musica e balli, mentre alza il gran pavese la flotta di pescherecci che sono andati fino agli anni ’40 a vela. È il solo Museo della Marineria di un’Italia in prevalenza contadina e terragna. Patrimonio galleggiante frutto di un convegno scientifico di alto livello tenutosi qui nel 1977 presieduto dal grande geografo/storico Lucio Gambi e da mio fratello Andrea, all’epoca soprintendente in Emilia-Romagna, con relazioni di alto contenuto. Io ebbi il compito di intervistare i capibarca protagonisti della vela, mediatore culturale il segretario della loro Cooperativa, l’ex sindaco socialista Giorgio Calisesi, un uomo straordinario, di cui si fidavano. Si conoscevano per soprannome: Urciàza, Schiumiàza, e’ Nach, e così via. Scoprii che, da bravi libertari, non erano mai stati in chiesa (c’erano dovuti andare una volta a Ravenna, intruppati, l’11 febbraio 1929, per il Concordato) e rimasero sconcertati quando chiesi chi fosse il patrono di Cesenatico. Silenzio, incertezza, poi uno saltò su a dire trionfante: “Mo l’è Garibaldi !” E tutti entusiasti a battere le mani.

Si trattava però di farlo materialmente quel Museo della Marineria Adriatica e ci pensò un amministratore di società, Bruno Ballerin, nonno chioggiotto come tanti altri “marinai” (mi raccomando marinai e non pescatori). Appassionato di storia e archeologia, Ballerin si mise in giro a cercare portando pian piano nella sua città i principali protagonisti della pesca e del trasporto adriatico a vela: dal grande Trabaccolo da carico fino alla piccola Lancia e alla Battana, passando per altri Trabaccoli, da pesca (e’ Barchèt) e da trasporto, per il Bragozzo, il Topo, la Paranza. Tutti con le vele di famiglia giallo-ocra e rosso denso, ricostruite su indicazione dei vecchi titolari. Finché la flottiglia venne esposta nell’83 in una sezione chiusa del Porto Canale, nella Vena Mazzarini.

Per il Museo a terra, da anni diretto con intelligenza e fantasia da Davide Gnola, ci volle più tempo per una serie di questioni edilizie. Ma da anni ormai offre tutti i materiali di quelle navi e fotografie interessantissime sulla vita dei “marinai”. Un tempo abitavano quasi tutti in Via Squero (in veneto, cantiere) sulla riva sinistra del Canale, in cima alla quale, a terra, sorgono il Teatro Comunale del 1865 ben restaurato da anni e la casa-museo in cui è vissuto il poeta e scrittore Marino Moretti, uno dei rari romanzieri italiani di mare, con La vedova Fioravanti ambientata sul porto canale. Una realtà ancora operante questa della pesca con 90 barche, di cui 75 locali, circa 200 addetti specializzati e un giro d’affari al bel mercato del pesce di 8 miliardi in lire all’inizio del secolo più gli oltre 2 ricavati dai mitili di allevamento e quelli pescati. Con quelle solide radici affondate nel passato.

America Latina Gesuita, povero e anti-liberale: il populismo che lega Perón, Fidel e Bergoglio

Da quando è stato eletto papa, venendo “dalla fine del mondo”, si è sempre parlato del populismo di Bergoglio, gesuita che ha scelto il nome di Francesco, santa icona del pauperismo. Un “luogo” politico, però, completamente diverso da quello frequentato dai populisti o sovranisti di oggi, perlopiù esponenti di una destra xenofoba basata sull’odio e che va dall’americano Trump all’italiano Salvini.

No, il populismo bergogliano richiama miti antichi e profondamente radicati che risalgono all’America Latina del sedicesimo secolo, quando la nascente Compagnia di Gesù cominciò le sue missioni per instaurare un ordine cristiano-ispanico nemico della proprietà privata e di ogni pluralismo. In Paraguay, per esempio, tra il XVII e il XVIII secolo, venne fondato un vero Stato etico che in nome dell’unanimismo sacrificava l’individuo all’unità del popolo (il pueblo). Non solo: gli altri due caratteri che lo qualificavano erano l’importanza della gerarchia e il corporativismo, inteso come identità e protezione per una comunità omogenea. Il tutto scandito dalla fede e da una severa educazione militare.

Sono questi tratti, dunque, a formare il populismo gesuita al centro dell’ultimo saggio di Loris Zanatta, accademico esperto di America Latina. Un libro destinato ad alimentare forti polemiche (o significativi silenzi) perché accomuna in un solo “fascio” l’attuale pontefice e gli “ismi” che hanno illuso e poi travolto l’Argentina peronista, la Cuba castrista e pure il Venezuela di Chávez. Tre leader anti-imperialisti e un papa: Il populismo gesuita. Perón, Fidel e Bergoglio (Editori Laterza, 137 pagine, 16 euro). In oltre cinque secoli, l’ossessione gesuita per l’unità che deve prevalere sulla parte ha generato un solido sentimento anti-liberale che ciclicamente torna in America Latina.

Perché a contare non è la democrazia costituzionale ma la giustizia sociale e poco importa come ci si arrivi. I poveri innanzitutto, il cuore del pueblo nel nome del quale si comanda (con tutti i vizi annessi: l’abolizione del merito irrobustisce clientelismo e familismo). Zanatta spiega come i carismatici Perón, Castro e Chávez siano stati educati dalla triade Dio, patria e popolo e abbiano avuto dietro di loro per lungo tempo la propaganda gesuita. Poi ognuno dei tre ha avuto la sua parabola fideistica anche se il peronismo, a detta del gesuita Hernán Benítez, si poteva configurare come “un comunismo di destra”.

Bergoglio, da giovane gesuita, si tenne però fuori dal connubio tra la Compagnia e il marxismo (il dibattito sulla teologia della liberazione) e da allora si è sempre assestato su una teologia del popolo più affine al peronismo della sua Argentina. “La modernità liberale è per lui un deserto di decadenza morale dominato dal Dio denaro”. Nelle conclusioni, lo studioso pone la domanda chiave, che fa traballare l’edificio plurisecolare del populismo gesuita: una società chiusa, identitaria, nazionalista e confessionale non fa che produrre altri poveri anziché estirpare le diseguaglianze sociali. Ergo, “l’utopia cristiana dei populismi gesuiti” finisce per essere “un inno alla povertà”.

 

Notizie devastanti

 

Ridge e Lino Banfi, la coppia del secolo: “Ci capiamo a gesti. E con i ricci di mare”

Il titolo della settimana ce lo regala il Corriere della Sera di lunedì 17 agosto. Pagina 35 è dominata dalla foto di due diversamente anziani che si abbracciano: “Ronn e Lino, la strana coppia”. Dove Ronn è Ronn Moss, meglio noto come Ridge di Beautiful, e Lino è Lino Banfi, meglio noto come Nonno Libero, o Oronzo Canà. È un corto circuito memorabile per la cultura trash-pop degli anni 80 e 90. Da una parte il bellone americano che per un numero imprecisato di anni ha regalato il volto, la mascella e la sua unica espressione al protagonista di una soap opera che ha fatto la storia. Dall’altra il caratterista pugliese, eroe improbabile della commedia sexy all’italiana, icona assoluta del nazionalpopolare. Per la fantasia perversa di qualche produttore, i due reciteranno insieme nella commedia “Viaggio a sorpresa”. Per Moss “la mimica facciale di Banfi è straordinaria”, per Lino “Ronn diventerà un vero pugliese”. Intanto parlano a gesti e si trovano d’accordo sullo spaghetto ai ricci di mare.

 

Tokyo, in città arriva una strana razza di vespasani: i nuovi bagni pubblici hanno le pareti trasparenti

È realistico pensare che alle persone piaccia fare pipì in un bagno trasparente? In Giappone sembra di sì. A Tokyo attorno ai parchi pubblici sono state installate un gran numero di toilette di vetro colorato. Le ha disegnate l’architetto Shigeru Ban. L’aspetto esteriore è senza dubbio molto più conciliante dei traumatici bagni chimici italiani. Ma era davvero necessario? La scelta calza il senso estetico dei giapponesi, questo è chiaro. E in fondo non concede quasi nulla ai voyeur. Il materiale delle pareti infatti è “vetro intelligente”, come spiega il Guardian: diventa improvvisamente opaco quando i cubicoli sono occupati. Non si vede nulla, i guardoni ci rimarranno male. L’ispirazione alla base dei vespasiani trasparenti è più pragmatica di quanto si possa credere: “Ci sono due preoccupazioni per una persona che usa un bagno pubblico – spiegano gli ideatori – la prima è la pulizia, la seconda è che non ci sia già qualcuno dentro”. A Tokyo, con le pareti di vetro, non ci si può sbagliare.

 

Il senso del Corriere per il co-living: che ficata non avere una lira e vivere insieme ad altri disperati!

Non ci si vuole accanire con il Corsera, ma questa settimana aveva un sacco di pezzi interessanti. Qui non siamo al livello di Ridge e Lino Banfi, ma parliamo di un articolo che ha fatto molto discutere in rete. L’argomento è il co-living, una nuova tendenza – dicono – dei giovani professionisti in tutto il mondo: abitare insieme per dividersi l’affitto. Secondo il Corriere il fatto che una generazione sia privata di qualsiasi alternativa al dover vivere in comune tra squattrinati non è mica il riflesso di un dramma sociale, no, è una roba fichissima. “Si chiama co-living”, scrivono, “lo scelgono giovani professionisti, nomadi digitali e cresce la quota degli over 45. Il bello è che non devi far altro che pagare un fisso: tutto è incluso. Anche la compagnia di persone affini: da 4 a 8 sconosciuti”. Capito? Lo scelgono! Il bello è che è inclusa anche la compagnia! A fine serata, quando ti sfili i calzini fetenti e sottopagati, puoi gettarli accanto a quelli di un’altra persona, come te, sul crinale del fallimento. Cool.

 

Magico Bolsonaro:scambia un nano per un bambinose lo prende sulle spalle e lo porta in trionfo

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro si è preso sulle spalle un nano convinto che fosse un bambino. Cos’altro aggiungere? Non si può migliorare questa notizia. Non c’è niente da dire, è perfetta così. Non è propaganda globalista, non è la solita stampa mainstream che infanga un idolo della destra di popolo. L’ha fatto davvero. Bolsonaro, chiaramente senza mascherina, si è gettato in un bagno di folla di suoi sostenitori, ha iniziato a stringere mani convulsamente e poi ha abbassato lo sguardo verso quella che gli dev’essere sembrata una creatura innocente. Invece era un poveraccio chiaramente adulto, ma affetto da nanismo. In trance agonistica, l’immenso Bolsonaro se n’è fregato: ha preso in braccio il tenero bambolotto e ha cominciato ad agitarlo in aria, portandolo in trionfo. Qualcuno lo avverte, si percepisce l’imbarazzo, rimette il nano a terra e fa finta di nulla. Davvero, non ci sono parole per descrivere l’effetto magico di queste immagini. Andatevele a guardare.

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Genova, due ragazzi rapinano un 61enne facendolo cadere da uno scooter… che aveva appena rapinato

Mai sottovalutare le conseguenze delle rapine. Due rapinatori rapinano un altro rapinatore. Lo buttano giù da un motorino… appena rapinato. Il simpatico siparietto – lo racconta la stampa locale – è accaduto a Genova, in piazza Acquaverde, di sabato notte. Protagonisti due ragazzi, un 18enne albanese e un 19enne di Novi Ligure. I giovani luminari del crimine hanno disarcionato un uomo di 61 anni dal suo motorino. Non avevano idea che il signore fosse a sua volta un ladro in fuga su uno scooter rubato. E non sono stati nemmeno attenti, visto che alcuni testimoni hanno assistito alla rapina e hanno avvertito i poliziotti. Qui s’è scoperto tutto l’inghippo, e cioè che la vittima in fondo tanto vittima non era. Alla fiera dell’Est della microcriminalità genovese, com’è giusto che sia, sono finiti tutti denunciati: i due adolescenti per rapina in concorso, il vecchio teppista per furto aggravato. Sono storie che riempiono di speranza.

 

Olanda, lotta dura contro la pipì selvaggia: ad Amsterdam arrivano gli orinatoi eco-sostenibili

C’è un altro titolo fenomenale che questa volta ci viene regalato dal sito olandese 31mag.nl: “Pipì selvaggia ad Amsterdam, arrivano orinatoi eco-sostenibili”. Questa settimana è già la seconda città che non ha questioni pubbliche più urgenti da affrontare che occuparsi della pipì dei suoi cittadini. Mentre a Roma possiamo riconoscere e salutare le stesse buche di vent’anni fa, ad Amesterdam si occupano di pisciatoi ecologici. Funziona così: “Le urine dei passanti creano molti problemi ad Amsterdam: erodono le mura storiche, creano fetori e possono persino portare alla morte di diversi giovani all’anno, che cercano di utilizzare un canale a tarda notte. Da ieri, i bevitori notturni del quartiere a luci rosse di Leidseplein e Rembrandtplein hanno potuto utilizzare 12 nuovi vasi per piante durante il giorno e orinatoi di notte”. Un vespasiano double face, insomma: cesso di notte, aiuola di giorno. “L’urina verrà raccolta per i suoi fosfati e riciclata come acqua pulita, mentre le piante rustiche vengono alimentate dall’acqua piovana”.

 

Catania, viola gli arresti domiciliari perché il telefono non ha abbastanza campo. E viene arrestato di nuovo”

Le storie degli arresti domiciliari sono piene di simpatici paraculi che si allontanano dal perimetro in cui devono scontare la propria pena con le scuse più disparate. Spesso sono solenni balle, insomma, ma stavolta ci piace pensare che sia davvero così. Ecco il titolo, direttamente dal sito Catania Today: “Viola i domiciliari perchè il telefono non prende bene, arrestato”. Una storia di coraggio e libertà: “I carabinieri di Palagonia hanno arrestato nella flagranza il 28enne Francesco Cucuzza, sottoposto agli arresti domiciliari, poiché ritenuto responsabile di evasione. Nell’ambito di un normale servizio di controllo del territorio – scrivono i colleghi catanesi – i militari di pattuglia hanno sorpreso il soggetto fuori dalla propria abitazione. Il detenuto si è giustificato dicendo di essere uscito dall’abitazione perché in casa il segnale telefonico era scarso e non riusciva a chiamare. L’arrestato, così come deciso dal giudice in sede di direttissima, è stato ricollocato agli arresti domiciliari”.

Donne aggredite. L’estate passa, tra cafoni e uomini che molestano le ragazze in bikini

 

Io umiliata e indignata: “Quella va bene per una botta!”

Ciao Selvaggia, sono in vacanza al mare, l’altro giorno ero distesa sul lettino e indossavo un bikini con i laccettini e il reggiseno senza imbottitura. Sono quel che sono, una ragazza con un po’ di cellulite sul sedere – ben coperto, per inciso – e un seno normale. Mi godevo il sole flebile delle 18, dopo tre mesi di lockdown e due di sessione d’esami, ero semplicemente felice di essere lì, libera e all’aperto.

Nel frattempo intorno a me gironzolavano bambini tra i tre e i quattro anni e con loro chiacchieravano i rispettivi genitori. Quando, però, le donne si sono allontanate, due di questi ‘gentiluomini’ si sono sentiti liberi di esprimere giudizi su di me. “Hai visto quella?”. “Non ha culo, non ha tette, che te ne fai di una così?”. “Sì, ma per una botta che mi importa?”. “Beh, al massimo una così è buona per giocarci un po”. “Sembra sapere il fatto suo”. Mi guardo attorno. Confesso, speravo che ci fosse qualcuna che corrispondesse a quella descrizione, ma attorno a me c’ero solo io. Ero io quella che andava bene per una botta, anche se senza culo e senza tette. Mi volto indietro e li guardo, avrei voluto mandarli al diavolo e dire a quelle povere donne che li accompagnavano quali bestie avessero accanto.

Lì per lì, la ferita di non essere desiderabile mi ha annichilito, ma è stato soprattutto sapere che mi avrebbero usata e gettata via senza alcuno scrupolo a farmi alzare, indossare i vestiti ed andare via. A casa mi sono guardata allo specchio e mi sono cercata quei difetti, ho tolto il costume e l’ho gettato col proposito di non indossarlo più.

Non sono una ragazza particolarmente insicura, certo ho i miei difettucci qui e lì, ma niente mi ha mai impedito di indossare quel che più mi piaceva, compreso un bikini coi laccetti. Ed ora la rabbia è il sentimento che mi accompagna, ma non per quegli omuncoli che a dispetto della loro età credono ancora di essere all’altezza di una 25 enne o che ancora sollazzano il proprio ego commentando in modo triviale le donne per strada come degli adolescenti farabutti.

Sono arrabbiata con me stessa perché sono stata in silenzio, ho subito le loro molestie, sono arrabbiata perché hanno vinto loro, mi hanno fatta sentire inadeguata e sbagliata e non sono stata in grado di proteggere me, né tantomeno quelle donne che hanno generato i loro figli.

Ti scrivo perché vorrei che chiunque leggesse questa storia e subisse qualcosa di simile possa imparare dal mio sbaglio, e riscattarmi avendo la fermezza di rispondere senza esitazione a chi osa considerarci oggetti da vendere o comprare.

Sara

 

Mestizia a parte, Sara, guarda il lato positivo. Tu non li incontrerai mai più, mentre le loro mogli devono dividerci un letto ogni sera. Non ti senti già meglio?

 

Quei cafoni pericolosi in fila che non rispettano le regole

Cara Selvaggia, mi trovo ad Ischia a trovare i miei genitori (anziani e malandati, che io e mia sorella cerchiamo di curare e proteggere per quel che possiamo) e fare un po’ di vacanza. Ogni giorno leggo notizie preoccupanti circa la risalita dei contagi dovuta ormai quasi esclusivamente ai comportamenti sconsiderati di tanti.

Sono in fila alla biglietteria di un noto parco termale, fila dove naturalmente non si rispetta la distanza: un agglomerato umano in un corridoio largo poco più di un metro. All’aperto certo, ma se non si rispettano le distanze cambia poco. Sono in fila e mi posiziono sulla linea bianca dipinta sul pavimento perché io la distanza la rispetto e la faccio rispettare a mia figlia perché dal mio punto di vista si parla di rispetto in senso più generale: rispetto per se stessa e per gli altri.

Purtroppo una coppia (non parlo di ragazzini, anzi) dietro di me non la pensa allo stesso modo e mi sta addosso, con mascherina a mo’ di collana. Non sto a spiegargli che al momento condivido l’appartamento con mio padre, paziente oncologico e cardiopatico, e mia madre, ipertesa e malata di Parkinson, ma mi volto e chiedo cortesemente di non starmi addosso soprattutto perché non indossano la mascherina. Il gran signore inizia a dirmi che stiamo all’aperto e quindi non ha nessun obbligo di mascherina, gli faccio presente che quello che dice é vero solo se la distanza viene rispettata altrimenti ha l’obbligo, prima di tutto civile, di indossarla. Lui, alzando di molto la voce e con fare minaccioso, mi dice che “la gente come lei deve restare a casa”. Capito? Io che insegno a mia figlia il senso civico e il rispetto devo restare a casa perché sono una povera mentecatta, lui invece furbo e intelligente può liberamente circolare e magari infettare chi cerca di proteggersi e proteggere gli altri.

A parte che se gente del genere continua a fare quel che vuole è quasi inevitabile un altro lockdown con tutte le sue catastrofiche conseguenze, penso ai miei genitori e ai tanti anziani vittime inconsapevoli di questi deficienti, e penso a mia figlia e ai bambini che si troveranno a dover sostenere un altro periodo di didattica a distanza che li priva del rapporto con gli altri bambini e con le maestre, per non parlare degli effetti devastanti sulla loro istruzione.

Ho tanta paura Selvaggia, non tanto del Covid, ma delle persone come questa e della loro profonda ignoranza dalla quale non basterebbero 10 mascherine una sull’altra per difenderci.

Giuliana

 

Cara Giuliana, ‘persone come questa’ come sai stanno in parlamento e tengono comizi. Per i cafoni che incontri per strada purtroppo non c’è rimedio, ma per quegli altri sì: la matita e la scheda.

 

Cosa farò da grande. Non sempre sognare vuol dire emulare i vincenti

“Mio padre è Cristiano Ronaldo”. Potrebbe essere il titolo di un film di Gérard Depardieu. O perfino di un romanzo. E invece è la voce che rimbalza tra i bimbini di 5-6 anni che rincorrono la palla su una spiaggia della Calabria jonica. Eccitazione e concitazione. Lo ha garantito uno smargiassino bruno ai coetanei ammirati. Solo che uno di loro non ci casca e va dalla zia: “c’è un bambino che deve essere un bugiardo”, denuncia. La massima accusa, praticamente una parolaccia. “Dice di essere figlio di Cristiano Ronaldo”. La zia avvicina il piccolo millantatore con fare delicato: “Come si chiama il tuo papà?”. Stavolta il bimbino non mente: “Rosario….”. E in effetti sotto l’ombrellone sta seduto un fisico giovane, non flaccido, ma siamo su altri pianeti. La zia me lo racconta incredula ma non troppo. Forse fino a rinnegare il padre no, mi dice, ma sa quanti ne ho visti? La giovane signora, di nome Teresa, fa casting di bambini e adolescenti per cinema, tivù e spot pubblicitari. Spiega che non li seleziona solo osservandoli fisicamente, per misurarne espressione e gestualità. O facendoli parlare, per sentire tono e accento. Dice che è utile anche conoscerli un pochino, chissà mai che venga un’idea in più su come impiegarli. Perciò fa loro alcune domande.

Chiede soprattutto che cosa vogliono fare da grandi. Racconta che l’ultima volta ne ha passati in rassegna un centinaio tra i sei e gli undici anni. E che è rimasta sbalordita dalla quantità di piccoli candidati desiderosi di diventare non dei calciatori, che è la norma dei bimbi sognatori, ma proprio e con precisione Cristiano Ronaldo. Perché è il più forte di tutti, perché è quello che fa gol (ma c’è chi, meno conosciuto, ne ha fatti più di lui…), e perché sono praticamente tutti juventini visto che a stare con chi vince si impara già da piccoli. Andando verso gli undici anni, aumentavano anche le spiegazioni di altro tipo: perché guadagna un sacco di soldi, perché ha le macchine più belle, perché ha le ville. Si fosse spinta verso i quindici, probabilmente sarebbero spuntate anche le donne. La signora aggiunge anche che solo quattro o cinque dei maschietti hanno dato risposte diverse: uno voleva fare il medico e uno che l’aveva colpita sognava di aprire una pasticceria di macarons. Mentre invece selezionando le bambine cambiava tutto. Come se si fosse sparsa una voce durante l’attesa, moltissime volevano fare le veterinarie, usando però il termine “dottoresse degli animali”. Segno di nuove sensibilità, forse. Sicuramente una motivazione non materiale ma morale, a meno che non sia in giro qualche serie tivù con protagonista una giovane e avvenente veterinaria di successo. Altro mestiere? Estetista o parrucchiera.

Così ho pensato che davvero abbiamo, o meglio avremmo, a disposizione cento occhiali per conoscere meglio un mondo che ci sorprende sempre. Ma tendiamo a non usarli, e certo il distanziamento sociale non ci aiuta. Ma ascoltare sì, possiamo permettercelo. Non correre pure. Ed è qui che l’estate arriva in aiuto. Cambia il contesto e uno scrittore piuttosto famoso mi racconta di avere avuto a che fare di recente con un ospedale, non per Covid, mi chiarisce. E che non essendo un assiduo di visite e strutture sanitarie ha dovuto spiegare ai medici, stupiti per la sua inesperienza, che quella era la sua prima volta in ospedale. Ma davvero? E in famiglia? gli han chiesto. Mio padre sì, ha risposto, ha avuto dei problemi, ma veniva da Mauthausen. I medici lo hanno guardato affettando di capire, ma in realtà immaginando visibilmente che parlasse di una località inquinata o insalubre. Perché abbiamo istituito per legge il giorno della memoria ma poi dire Mauthausen non basta. È un po’ come dire Taranto o Nembro, chissà solo dove sarà. E tra questo e “vendere” un padre innocente per Cristiano Ronaldo non so cosa sia peggio.

 

Juventus. Ancora niente Champions, ma vuoi mettere quella gioia dei tifosi

Ora che la 65esima Champions League (ex Coppa dei Campioni) è stata assegnata, e preso atto che la Juventus continua il suo vano inseguimento al trofeo ormai da un quarto di secolo, ci siamo chiesti: a due anni dall’acquisto di Cristiano Ronaldo, concluso nell’estate 2018 nel dichiarato intento di portare a Torino la coppa con le orecchie, che ne è del progetto? La Champions per ora non è arrivata e la Juve si è fatta malamente eliminare prima dall’Ajax (quarti di finale) poi dal Lione (ottavi), ma tutto ciò basta per dire che l’operazione CR7 sia stata un flop? In realtà, le gioie che i tifosi juventini hanno potuto sperimentare sono state molte. Vediamole.

Conto in banca. Nel giugno scorso il portoghese è diventato il primo calciatore al mondo a vantare un patrimonio superiore al miliardo. Grazie anche ad Agnelli, naturalmente.

Quotazione. CR7 è stato il giocatore più costoso nel Fantacalcio della Gazzetta: nel luglio 2018, per comprarlo, occorrevano infatti 60 Magic milioni. Mica bruscolini.

Social. Nel gennaio 2020 Ronaldo ha superato i 200 milioni di follower su Instagram lasciandosi alle spalle nientemeno che Ariana Grande (173 milioni) e The Rock (170) e diventando l’uomo più seguito del pianeta. Sono soddisfazioni.

Uno e trino. Come ha raccontato Fabio Caressa, il 16 settembre 2018 CR7 ha fatto il suo primo gol a Torino in Juve-Sassuolo e alla notizia hanno esultato a Udine per Udinese-Torino. La Madonna di Medjugorje in confronto gli fa un baffo.

Felini. Il 26 febbraio, giornata mondiale del gatto, il gatto di Ronaldo, che Sky Sport ci aveva presentato in data 8 novembre 2018 (“Cristiano Ronaldo, la famiglia si allarga: Georgina presenta il nuovo gatto”) viene eletto dai media italici il gatto più famoso del mondo. Nessun commento a casa Messi.

Vaccino. In pieno lockdown, il primo aprile 2020 “Tuttosport” annuncia: “Ronaldo diventa antivirus” e spiega: “Attaccato sui social, risponde offrendo il massimo dell’aiuto economico e pratico agli ospedali”. Tre giorni prima, sensibilizzato come non mai, Cristiano aveva postato su Instagram la foto del suo ultimo acquisto, una Bugatti Centodieci da 9 milioni di euro. Forse cercava mascherine ma non c’erano.

Primati. A pochi giorni dal “Pallone d’Oro” 2019 assegnato a Messi, Sky Sport ridisegna le gerarchie del calcio dando a CR7 quel che è di CR7: “Classifica tiri in porta: Cristiano Ronaldo primo nei principali campionati”. Insomma: tira più una scarpa di Ronaldo che un carro di buoi.

Censura. Il 3 marzo 2020 il sito specializzato “Transfermarkt” assegna a Ronaldo, 35 anni compiuti, un valore di mercato di 75 milioni e CR7, offeso per la valutazione bassa, blocca il sito. Così imparano.

Chi bussa? Il 10 luglio, a meno di un mese da Juventus-Lione, la Juventus sbarca su Tik Tok e CR7 e Dybala lo fanno scambiandosi le esultanze: Cristiano facendo la Dybala Mask e Paulo imitando il salto con urlo (per gli iniziati: l’esultanza “Siuuu”) caratteristica di Ronaldo. Commozione in ogni dove. E gioia vera per il popolo juventino ubriaco di trionfi.