Non c’è niente da fare: nonno Briatore non si tiene. Il suo Billionaire in Costa Smeralda è diventato il focolaio di Covid più lussuoso del mondo: i positivi salgono almeno a 11, la discoteca esporta virus. E l’anziano proprietario come credete che reagisca? Se ne sta a casa, in quarantena, tranquillo tranquillo, ad aspettare che il peggio sia alle spalle? Giammai: Briatore se ne fotte. S’incazza per la chiusura della discoteca, sbraita contro il sindaco di Arzachena, fa la vittima, ignora ogni forma di elementare buon senso. E poi parte, gira per l’Europa alla faccia di qualsiasi precauzione sanitaria (immaginiamo la felicità di chi lo deve ospitare). Le cronache raccontano che ora Briatore si trova a Montecarlo. D’altra parte doveva officiare all’inaugurazione dell’ennesima sua creatura di cui si avvertiva una terribile mancanza: il terzo locale della catena Crazy Pizza. Un altro ristorante di comprovata eleganza e dai prezzi concorrenziali: una margherita efebica, senza cornicione e con poco condimento costa 15 euro, le pizze gourmet dai 25 in su. La speranza è che l’ingrediente segreto non se porti dietro Briatore dal Billionaire di Porto Cervo.
Che paura il libero arbitrio delle masse
Il gioco del referendum 2020 è questo: avvicinandosi il voto sul taglio dei parlamentari – da quasi mille a seicento, legge liberamente già votata – si dovrà dire che il problema vero è ben altro. A cominciare dai collegi elettorali. La loro estensione geografica. Con la conseguenza di minare la rappresentanza popolare. Il pluralismo. Cioè la democrazia. Fondata sulla Carta costituzionale. Dunque i nostri valori. I nostri diritti e doveri. Meglio viceversa: i nostri doveri e i nostri diritti. Che poi nutrono la nostra eroica storia nazionale. Cominciata col garrire del tricolore, un po’ di Resistenza, tanto piano Marshall, tanto Vaticano, tanta prudenza democristiana.
Man mano che si procede, scuotendo la testa, si dovranno allargare le braccia a indicare la vastità del problema. Dire per esempio che la democrazia “è forma, protocollo, procedura”. Oppure anche “fiori e qualche volta picche, quando la briscola è a denari”. Una complessità di pesi e contrappesi politici, che sarebbe puerile affrontare con un no o con un sì. Meglio aspettare. Riflettere. Ingaggiare costituzionalisti esperti, aprire una Bicamerale. Prendere tempo. Guai alla fretta e al libero arbitrio delle masse.
La principessa, il rospo e la nonna che crede alla favola del principe
Dalle fiabe apocrife di Owfi di Bukhara. Una principessa si stava specchiando nelle acque limpide di un laghetto pieno di ninfee, reso rosso dal crepuscolo, quando, a un tratto, la spilla di diamanti che aveva sul bolerino cadde nell’acqua e scomparve. “La mia spilla!” esclamò la principessa. “Ah, cosa non darei per riaverla! Aiuto!” Ed ecco che un rospo si presenta sulla riva del laghetto con la spilla in bocca. “Grazie,” disse la principessa, allungando la mano con un certo ribrezzo. “Un momento,” disse il rospo. “Tu mi piaci molto. Vorrei fare l’amore con te.” “Che insolenza! Io sono una principessa e tu sei un rospo schifoso.” “Sarò anche un rospo schifoso, ma tu hai impegnato la tua parola.” La principessa trasalì: “Un momento. Tu… tu parli! Aiuto, qui c’è un rospo che parla!” “Ti crederanno che sei impazzita, principessa. Un rospo che parla non s’è mai visto, se non nelle fiabe. Dove diventa un bellissimo principe quando la principessa lo bacia.” “Vuoi dire che se ti bacio diventi un bellissimo principe?” “No. Divento un bellissimo principe se fai l’amore con me.” La principessa non poteva rifiutarsi, aveva dato la sua parola; e così, a testa alta, come una condannata che cammini verso il patibolo, tornò al palazzo, seguita dal rospo, fino alla sua camera da letto. Indossata la camicia da notte, si infilò sotto le lenzuola con il rospo, che usando la sua lunga lingua prensile la portò all’orgasmo una dozzina di volte, finché il piacere fu tanto intenso che la sua farfallina spruzzò un getto potente di rugiada addosso al rospo, che tosto si trasformò in un bellissimo principe. “Non avere paura,” le disse il principe. “Trecento anni fa una strega mi trasformò in un rospo con un sortilegio. L’unico modo per liberarmi era questo.” La principessa, incantata dal racconto, non gli staccava gli occhi di dosso. Era così bello. E lei era così carina, tutta sbigottita. “Che storia incredibile!” gli disse; e, sospirando profondamente, mise in rilievo il bel seno. Il principe sorrise, l’abbracciò teneramente, la baciò, e usò il suo lungo membro prensile per portarla all’estasi. Di orgasmo in orgasmo, passarono le ore, finché l’alba dalle dita di rosa li trovò assopiti. Il sole inondava la stanza quando, all’improvviso, la porta si aprì, e apparve la nonna con il caffellatte e le brioches. “Santo cielo!” esclamò la nonna. “Un uomo nel letto di mia nipote!” “Tranquilla, nonna. È un principe,” disse la ragazza, e le raccontò la storia: il laghetto, la spilla, il rospo, la strega, il maleficio. E la nonna, per amore della nipote, diciamo che se la bevve.
Dal taccuino apocrifo di Giuseppe Marotta. Al giudice che gli chiedeva perché avesse schiaffeggiato una signora sull’autobus, l’imputato, un campagnolo senza inquietudini, disse: “Quella donna era seduta accanto a me. A un certo punto, ha aperto la borsetta, ha preso il borsellino, ha chiuso la borsetta, ha aperto il borsellino, ha chiuso il borsellino, ha aperto la borsetta, ci ha rimesso dentro il borsellino, ha chiuso la borsetta, poi ha riaperto la borsetta, ha preso il borsellino, ha chiuso la borsetta, ha aperto il borsellino, ha chiuso il borsellino, ha aperto la borsetta, ci ha rimesso dentro il borsellino, ha chiuso la borsetta, poi ci ha ripensato, ha aperto la borsetta, ha preso il borsellino…” “Basta!” urlò il giudice. “Che due coglioni!” “È esattamente quello che è successo a me”.
La verità, vi prego, sui “ggiovani”
“Ma ecco laggiù un bel tavolo di giovani, corriamo a intervistarli, guadagniamo il loro tavolo, chi prende la parola? Voce: Vito sa fare molto bene il giovane. Giornalista: dicci Vito. Sì, noi stiamo bene insieme, non siamo più gelosi, non siamo più egoisti, adesso per esempio andiamo a prendere un nostro amico e poi tutti insieme andiamo a Ostia a vedere l’alba, ahahahahah”.
“Ecce Bombo”, 1978
Sul podio delle Frasi Strafatte dell’estate 2020 il problema “dei Giovani” trionfa con tre nomination. Speciale Covid: “I giovani non vanno criminalizzati”. L’intramontabile: “Stiamo rubando il futuro ai giovani”. Migliore colonna sonora: Daniela Santanché che danza festosa (“Il ballo del mattone”? “Sapore di mare”?) a difesa del diritto dei “giovani” a divertirsi e contro il governo “liberticida”. Naturalmente, tutto questo agitarsi a loro favore, gonfio di retorica, assai poco interessa ai “ggiovani”, che non leggono i giornali, non guardano i talk e soprattutto ignorano chi sia la Santanché. Quando vengono microfonati mentre sbarcano da qualche traghetto virale per cogliere emozioni in qualche frase smozzicata (ansia? preoccupazione? paura?) da montare poi nei tg serali, sembrano sempre sul punto di sghignazzare in faccia alla telecamera, esattamente come quarantadue anni fa nel film di Nanni Moretti. Indifferenza cordialmente contraccambiata dalla politica del voto di scambio, abbastanza restia a impegnarsi a favore di un ceto anagrafico generico (cosa hanno in comune un diciottenne e un trentenne?), comunque minoritario e incline all’astensionismo in un Paese dove le elezioni si vincono con i vecchi. Illuminante, venerdì sera, la presenza a “In Onda” di una ragazza tunisina di seconda generazione, dall’italiano perfetto, molto più italiana di tanti italiani, ma senza diritto alla cittadinanza italiana poiché non percepisce un reddito annuale di almeno diecimila euro. È il demenziale “comma 22” dell’integrazione per cui se non hai un contratto di lavoro, con relativa soglia di guadagno prevista dalle norme vigenti, non puoi ottenere la cittadinanza, ma se non hai la cittadinanza chi diavolo ti offre un lavoro che non sia in nero e sottopagato? Ebbene, davanti a questo caso di lampante discriminazione giovanile (il famoso futuro scippato) la candidata leghista alla presidenza della Toscana, Susanna Ceccardi ha farfugliato qualcosa confondendo la legge sulla cittadinanza del 1992 con la Bossi-Fini del 2002 che disciplina l’immigrazione, soprattutto quella clandestina. Oltre a essere confusa con chi sbarca dai barconi, la “giovane” Insaf Dimassi ha dovuto subire anche le battute spiritose del direttore di “Libero”, Piero Senaldi. Il quale, ma quale cittadinanza, la esortava piuttosto a scappare dall’Italia. Mancava solo che le dicesse di consolarsi, prima di imbarcarsi a Fiumicino, andando a Ostia a vedere sorgere l’alba.
Saremo tutti soffocati dalla memoria (divisiva)
Mi serve, per cominciare una frase importante e drammatica di Galli della Loggia in un suo recente articolo (Corriere della Sera, 20 agosto): “Forse la decadenza italiana inizia anche da qui, anche dalla memoria. E comincia da che cosa e da come si ricorda. Siamo stati forse vittime di un abbaglio quando abbiamo creduto che ricordare e illustrare di continuo il male servisse a generare il bene. Invece è probabilmente vero l’opposto. Così si finisce per generare non altro male ma qualcosa di peggio: l’indifferenza e l’impotenza da cui spesso siamo avvolti”. La frase sembra scritta apposta per provocare una risposta di persuasione antifascista. Infatti, proprio negli stessi giorni Einaudi ha pubblicato Vita di mafia, che sposta in avanti e in un sorprendente altrove il racconto della malavita organizzata (nel libro i grandi mafiosi parlano tutti con la loro voce, intervistati in lunghi incontri con l’autore).
L’autore, Federico Varese, professore di criminologia a Oxford, chiude con questa dedica la sua introduzione: “A Claudio Varese e Giorgio Bassani che mi hanno insegnato che la cultura è l’antitesi dell’ingiustizia. Gli anni che stiamo vivendo ci fanno tornare alla mente l’Italia del fascismo e delle leggi razziali che essi hanno vissuto. Il coraggio intellettuale e civile che hanno mostrato allora vale per l’oggi e non possiamo permetterci di dimenticarlo”. Nello scrivere le due frasi l’una accanto all’altra, mi sono reso conto che la seconda, (Federico Varese) nella sua forte e nobile ispirazione antifascista, non risponde alla prima, (Galli della Loggia) nel senso che non ne è il contrario.
Proprio per coloro che si pongono con enfasi, e a momenti, con accanimento, il problema e anzi il dovere di non dimenticare, è impossibile tralasciare, come irritanti e inutili, tutte le argomentazioni che il commentatore del Corriere ha depositato intorno a un problema insidioso, che non è “ricordare cosa” (in Italia i ritratti di Mussolini si moltiplicano come i sette nani nelle brutte case ricche) ma è “il ricordare come.” E il “come”, spiega con buone ragioni l’articolo citato del Corriere, non è un problema retorico ma una constatazione allarmante: la memoria (l’evento di memoria) si moltiplica paurosamente in due sensi: il primo è la frantumazione di ogni evento già esistente nella lista dei ricordi e delle celebrazioni, ma si frantuma. Emergono e si celebrano nuovi raggruppamenti, diversi o minori, cercando dettagli. Ovvero, nell’evento tragico di tutte le vittime, o di tutti i colpiti dalla scomparsa delle vittime, si identificano solo alcune figure e ne forma un gruppo da celebrare a parte, oltre alla celebrazione comune del fatto in questione.
Il secondo è la trasformazione della ricorrenza celebrata in una nuova sessione di un processo mai celebrato, mai finito, o mai condiviso che espande la diffusa persuasione del perenne complotto. Questi sono alcuni egli argomenti di Galli della Loggia per spiegare la tendenza al contagio depressivo della memoria. Mancano però alcuni pezzi. E si deve render conto di almeno due. Il primo è l’unicità della Shoah. È stata stabilita come legge del ricordo in Italia nell’anno 2000 con almeno due caratteri unici. Il primo è che la legge non riguarda gli ebrei ma gli italiani che avevano permesso, approvato, osservato, le “leggi per la difesa della razza”, stabilendo dunque un evento unico nella storia italiana (rubare cattedre, posizioni manageriali, proprietà, opere d’arte del passato e del presente, identità e firma). Il secondo e il riferimento al tipo di celebrazione su cui si esercita la memoria: sconfitte e mai vittorie. E si fa sempre più marginale il riferimento alla Resistenza da cui è nata la Repubblica, (compresi tutti i nuovi leader che hanno portato l’Italia a rinascere subito).
Galli della Loggia non lo dice e forse non lo pensa, ma il disastro di immagine e di stato d’animo che grava sull’Italia (e tutta la serie di osservazioni fondate che lui fa sul cattivo uso della memoria come festa comune) nascono dalla decisione irresponsabile di un primo ministro che avrebbe dovuto essere moderno, nuovo, e imprenditoriale, di non partecipare mai alla festa del 25 aprile. Ha spezzato i valori comuni, li ha spezzati e ostentatamente disprezzati. Queste, che stiamo in parte discutendo sono le conseguenze. Sappiamo poco, vogliamo poco e abbiamo paura solo delle malattie. Andare a rileggere la frase del prof. Federico Varese, per constatare come è forte la sua Italia, benché trasferita a Oxford.
California, 54,4 °C: siamo oltre il punto di non-ritorno?
In Italia – Nuovi nubifragi insoliti per l’estate siciliana dopo il caso del 15 luglio a Palermo, tra cui sabato 8 agosto nel Messinese (58 mm di pioggia in un’ora, record di intensità almeno dal 2003), con alluvione-lampo a Barcellona Pozzo di Gotto. Seppure in atmosfera estiva, pure sulle Alpi i temporali hanno causato locali piene torrentizie: 3 vittime a Chiareggio (Sondrio) in un’auto travolta dal Rio Novasco il 12, inoltre allagamenti a Silandro (Bolzano) e frutteti abbattuti dal vento nel Saluzzese (Cuneo). Ferragosto tranquillo, con caldo nord-africano al Sud culminato lunedì 17 (42,6 °C a Siracusa). Lo stesso giorno riprendevano i temporali al Nord, con Torino allagata da un nubifragio tra i più intensi in un secolo (75 mm in un’ora, pari alla media di tutto agosto) e la statale del Brennero chiusa per una colata detritica, ma poi l’estate si è ripresa fin troppo e venerdì c’erano 40,3 °C in Val di Chiana (Arezzo). Fino al 31 agosto al centro visite del Parco di Paneveggio a Tonadico (Trento) la mostra fotografica La neve che verrà di Paolo Calzà racconta gli inverni recenti senza neve e fa riflettere sulla sfida di coniugare turismo alpino e sostenibilità ambientale in epoca di cambiamenti climatici.
Nel mondo – Alle 15:41 di domenica 16 il National Weather Service misurava 54,4 °C a Furnace Creek, nell’infuocata depressione della Valle della Morte (quota -59 metri, California). L’Organizzazione Meteorologica Mondiale verificherà con cura la qualità del dato, che tuttavia pare affidabile e risulterebbe così la temperatura più elevata al mondo almeno dal 1931, superando i 54 °C del 30 giugno 2013 nello stesso luogo. In periodi anteriori tra i primati ufficiali figurano anche i 56,7 °C del 10 luglio 1913 sempre nella Death Valley e i 55 °C del 7 luglio 1931 a Kebili (Tunisia), ma secondo vari climatologi non sono attendibili. Un micidiale mix di canicola, siccità e fulmini scoccati da temporali di calore ha innescato incendi fuori controllo su oltre 1.700 chilometri quadrati tra San Francisco e Sacramento, con almeno cinque vittime e centinaia di edifici bruciati, mentre il ciclone tropicale “Genevieve”, indebolito, lambiva la Bassa California. Ed entro mercoledì si attende il raro arrivo simultaneo di “Laura” e “Marco” sugli stati del Golfo. Caldo estremo anche in Giappone: il 17 agosto eguagliato il primato nazionale di 41,1 °C stabilito solo due estati fa. Inoltre a Parigi la media termica della prima metà di agosto (anomalia +4,7 °C) ha superato perfino il primato del 2003. Luglio freddo in Argentina, ma nel mondo è risultato il secondo più caldo dopo quello del 2019 stando all’agenzia meteo americana Noaa (+0,92 °C). Lunga la lista dei Paesi alluvionati, dal Camerun, allo Yemen, alla Cina, dove il lago delle Tre Gole è ai massimi livelli da quando la diga venne terminata (2003). A seguito del riscaldamento globale, da un ventennio la calotta della Groenlandia sta scaricando in mare ghiaccio a un tasso accelerato (fino a 500 miliardi di tonnellate per anno), le nevicate non riescono a bilanciare le perdite e il disequilibrio è ormai tale che questi enormi ghiacciai continuerebbero ad assottigliarsi anche in un clima stabile o fin più fresco di oggi, alimentando per secoli l’aumento dei livelli marini. Lo dicono Michalea King dell’Università dell’Ohio e colleghi nello studio Dynamic ice loss from the Greenland Ice Sheet su Communications Earth & Environment. D’altronde la CO2 nell’aria cresce dieci volte più rapidamente di quanto abbia mai fatto per cause naturali da 450 mila anni, stando a nuove analisi dei ghiacci antartici coordinate dall’Università di Berna e pubblicate su Science (Abrupt CO2 release to the atmosphere). Abbiamo probabilmente passato il punto di non-ritorno.
Giovanardi, l’ultima bufala è su Ustica
Continua, dopo 40 anni, l’attività per intorbidare le acque attorno alle stragi di Ustica e di Bologna. Protagonista, ancora una volta, l’ex senatore del centrodestra Carlo Giovanardi, in alleanza con gli ambienti militari italiani e gli (ex) fascisti di Fratelli d’Italia, con il sostegno mediatico di AdnKronos (e, talvolta, della Stampa). L’ultima puntata è di ieri. Il quotidiano torinese racconta che a Giuliana Cavazza, figlia di una delle 81 persone morte sull’aereo precipitato il 27 giugno 1980 e ora diventata presidente onoraria dell’associazione “Verità per Ustica” (che fa riferimento a Giovanardi e ai generali dell’Aeronautica), è stato rifiutato l’accesso ai documenti che aveva chiesto, che resteranno segreti fino al 2029. Reazione dei Giovanardi boys e della destra: il governo Conte impone il segreto e tiene coperta la verità sulla strage. In realtà le carte richieste sono attinenti a vicende del tutto note che non riguardano Ustica, ma gli avvertimenti del colonnello del Sismi a Beirut, Stefano Giovannone, su possibili ritorsioni palestinesi all’arresto in Italia di un loro leader. Sono documenti su cui sono stati scritti libri, sono sempre a disposizione dell’autorità giudiziaria e sono già confluiti nelle carte del processo per la strage di Brescia. Uno scandalo farlocco. Ma utile per continuare a confondere e depistare: ai Giovanardi boys e all’Aeronautica militare italiana, perché possano continuare a tenere coperte le bugie e i depistaggi su Ustica; e alla variegata corte nera dei fascisti e dei loro insospettabili amici, per continuare a indicare la pista internazionale palestinese (vecchissima e già smentita dai fatti e dalle indagini) come alternativa alla pista nera per Bologna.
Chiude la kermesse riminese delle élite. Agli amici di Cl manca solo il popolo
Arrivederci Rimini. Si chiude oggi la 41esima edizione della kermesse di Comunione e liberazione, quest’anno dal titolo particolarmente sobrio: “Privi di meraviglia, siamo sordi al sublime” (qui il linguaggio dei soldi e del potere si veste di improbabili suggestioni religiose). Nel “meeting per l’amicizia fra i popoli” di popolo ce n’è meno del solito: colpa del Covid, che ha costretto a una versione quasi a porte chiuse. Degli 800 mila accessi dell’anno scorso ne resta una minima parte. Pure i costi sono diminuiti, ma non altrettanto. Il direttore Forlani, a lungo inseguito tra i corridoi, ha l’aria scura: “Abbiamo speso un po’ meno dell’anno scorso” (erano 6 milioni e mezzo…). Basteranno gli innumerevoli sponsor pubblici e privati (Enel, Intesa, Terna, Ferrovie, Invitalia solo per citarne alcuni).
Manca il popolo, dicevamo, ma le élite continuano a splendere. Ministri, presidenti di Regione, segretari di partito. Di tutti i partiti: è caduta anche la pregiudiziale grillina. Cinque anni fa il primo Cinque Stelle invitato a Rimini, Mattia Fantinati, arringava sui mercanti nel tempio: “Avete trasformato l’esperienza spirituale in un paravento di interessi personali, un potere capace di influenzare sanità, scuole private, università e appalti”. Amen. Oggi a Rimini ci va pure Di Maio. Ci va, soprattutto, Mario Draghi. Il suo discorso sul “debito buono” è stato oggetto, lui sì, di venerazione religiosa: manna per un meeting altrimenti sgonfio di prime pagine.
Un po’ di cartoline da Rimini: il clima di concordia universale (è tutto un “compagno di viaggio”, una stretta di mano, Alfano fa i complimenti a Speranza, Bonaccini chiama “amici” Zaia e Toti); le porte del bar del meeting che si chiudono al pubblico ma si riaprono magicamente per far entrare solo Lupi e la Boschi; Salvini costretto – finalmente – a indossare la mascherina dagli intransigenti volontari ciellini.
La Grazia di Dio. La vanità ci allontana da Lui, che è Sapienza e Redenzione
“Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti; Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti; Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate, anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono” (I Corinzi 1,27-28). Una volta il teologo protestante Sergio Rostagno ha definito questi versetti “temibili”, temibili anche per i cristiani, soprattutto per chi li legge stando dalla parte “sbagliata”, di coloro, cioè, che non corrispondono alla descrizione di “impotenza” dell’epistola paolina. Anche noi stiamo dalla parte sbagliata? In un certo senso sì, se ci riconosciamo come parte di quella popolazione occidentale nutrita e sistemata nella parte più forte del mondo. Invidiati e criticati e comunque meta di un fortissimo processo mondiale di immigrazione. Anche la pandemia virale che sconvolge il mondo non ha effetti uguali nel nord e nel sud del mondo.
Ma l’Apostolo Paolo non si limita a fare delle considerazioni di tipo sociologico o politico. Non ce l’ha particolarmente con i sapienti secondo la carne, con i potenti, con i nobili. Egli ha rispetto e a volte stima di queste persone, e prega per loro (vedi Romani 13) affinché abbiano coscienza della loro responsabilità. E quando scrive ai credenti di Corinto che “non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili” (v.26), vuol dire che qualcuno c’era. Pochi ma c’erano. Non è impossibile essere cristiano ed essere anche una persona importante, potente, sapiente, influente. Certo, non è frequente, ciò possiamo dirlo.
Ma per Paolo il fatto che ci siano nella chiesa di Corinto essenzialmente persone semplici, senza una particolare posizione economica e sociale ha una precisa ragione teologica: la «pazzia» è quella di Dio non quella degli esseri umani. Dio ha scelto le cose pazze, le cose deboli, le cose ignobili per svergognare i sapienti, i forti, per ridurre al niente le cose che sono “perché nessuno si vanti di fronte a Dio” (v.29). La pazzia di Dio è simboleggiata nella sconvenienza della croce, nel suo presentarsi come un Dio debole e senza forza, appunto crocifisso, ma appassionato per la redenzione dell’umanità fino alle estreme conseguenze. Ed è questa passione, quella di Dio in Cristo, che ci fa vivere, in tutti i sensi, ora e nel giorno della risurrezione. Non per nostro merito ma per dono di Dio. Davanti a Dio la sapienza dell’umanità non conta. E neppure la sua potenza. Davanti a Dio, la posizione sociale, economica, culturale non ha, un particolare interesse. Davanti a lui non contano le solite, dolorose, ingiuste, differenziazioni umane: finalmente c’è qualcuno che si rivolge a noi senza farci prima l’esame di prestigio sociale o di cultura. L’Apostolo vuole dirci chiaramente che non si può comprare il favore di Dio. Davanti a lui bisogna presentarsi così come siamo, con le nostre mani vuote. Come disse Lutero sul letto di morte: siamo dei mendicanti, questa è la verità. Mendicanti della sua grazia. Presentandoci a Dio con le nostre mani vuote, sappiamo che è lui a riempircele con la Sua Grazia, col dono di Gesù Cristo: “Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché, com’è scritto: ‘Chi si vanta, si vanti nel Signore’” (vv.30-31). Dunque, nessun catalogo buoni/cattivi, giusti/ingiusti. Nessuna arroganza o superbia religiosa. Nessuna autoassoluzione. È la “pazzia” di Dio che ci rinnova, ci converte con il suo Spirito, e ci manda nel mondo con questo messaggio di speranza e di liberazione per tutti.
*Già moderatore della Tavola Valdese
Mail Box
La didattica a distanza è sempre un’opportunità
Caro Direttore, visto le cento scuole tedesche chiuse causa Covid e visto l’attuale aumento esponenziale dei contagi Covid in Italia, il governo deve essere pronto con un piano B per affrontare l’imminente emergenza nelle scuole italiane. In attesa del vaccino – e mettendo come priorità la salute di studenti, insegnanti, genitori, nonni –, una possibile soluzione potrebbe essere quella di cominciare immediatamente con la didattica a distanza per tutti quelli che hanno i mezzi per poterlo fare (wifi, pc, baby sitter quando necessario). Solo gli studenti che non possono seguire le lezioni da casa dovranno andare a scuola; e se un insegnante dovesse fare smart working, la scuola dovrà fornire gli strumenti (ed eventuale sorveglianza, se necessaria), per poter seguire le lezioni online (presso la scuola stessa). Inoltre, imprese e privati dovrebbero donare alle scuole vecchi pc e modem funzionanti per gli studenti bisognosi (qualcosa di simile viene già fatto in Friuli).
Claudio Trevisan
Covid: l’Italia impari dai Paesi più severi
Risiedendo da quasi tre decenni all’estero, seguo con attenzione il suo giornale, purtroppo rimasto in quasi totale solitudine a raccontarmi in maniera indipendente e oggettiva le vicende del mio Paese. Avendo passato più di sette anni in Turchia, Grecia, Sud Africa, Russia, Olanda e risiedendo ora a Dubai, ho imparato ad apprezzare gli esempi che possono arrivare anche dai posti e nei momenti più inusitati. Ma ci sono anche dei casi semplici, e basterebbe che i responsabili in Italia si voltassero un po’ attorno. In particolare, per rientrare a Dubai dalle ferie in Italia, ho dovuto, a mie spese, eseguire il Covid test (le autorità degli Emirati richiedono che si esegua al massimo 96 ore prima del volo di rientro). In assenza di questo certificato mi sarebbe stato negato l’imbarco (mi è stato richiesto dal personale al check-in ad Amsterdam, aeroporto di partenza per Dubai). In aggiunta, le autorità locali eseguono il test in aeroporto solo a coloro che arrivano da Paesi a rischio. Perché non implementare una simile politica in Italia, dove siamo in affanno con i test ?
Fabrizio Mambrini
Il Sì aumenta la distanza tra eletto e il suo collegio
Caro Travaglio, lei ha giustamente detto che il taglio dei parlamentari era contenuto in diverse proposte di modifica costituzionale e che di per sé non rappresenta un vulnus ai principi del nostro ordinamento politico. Però, ad agire soltanto sul numero dei nostri rappresentanti, lasciando inalterato tutto il resto, si possono creare degli squilibri. Basti pensare che con il sistema elettorale vigente il rapporto tra parlamentari e cittadini rappresentati è di uno a 96 mila, mentre passando il taglio diventerebbe di uno a 150 mila; il che significa distanziare ancor di più il già rarefatto legame del politico con il suo collegio elettorale. Senza considerare che, con tale riduzione, il peso dei rappresentanti delle Regioni per l’elezione del Presidente della Repubblica sarebbe molto maggiore. Per questo, voterò No al referendum.
Loris Parpinel-Prata
Caro Loris, i parlamentari Usa contano molto di più dei nostri proprio perché rappresentano più elettori. E un’assemblea di 1.000 persone è molto più inefficiente e degradata di una di 600. Il problema è la legge elettorale, che ovviamente non può essere inserita in una norma costituzionale. Ma, se vince il Sì, il Parlamento sarà obbligato a rifarla. Si spera in meglio, anche perchè peggiorare il Rosatellum è tecnicamente impossibile.
M. Trav.
Il referendum sull’acqua è stato dimenticato
Da 9 anni aspetto che il risultato del voto nel referendum “Acqua pubblica” – a seguito del quale la volontà di più di 26 milioni di persone non è stata presa minimamente in considerazione dai governi che da allora si sono succeduti – venga tramutata in legge. Non ho purtroppo più fiducia in questo strumento democratico. Quindi non andrò a votare.
Paolo Saglio Rossini
Caro Paolo, questo referendum è costituzionale, non abrogativo come quello sui servizi idrici. Qui, se vince il Sì, i parlamentari scendono da 945 a 600, se vince il No restano 945. Quindi comunque un esito certo ci sarà.
M. Trav.
Molti favorevoli al No hanno la faccia di bronzo
A favore del No si stanno leggendo cose e smuovendo personaggi, da lasciare increduli. Vista la temerarietà di tante facce di bronzo, voi da soli in trincea per il Sì non rischiate di essere gambizzati?
Diego Tummarello
Caro Diego, fra quelli del No siedono quasi tutti quelli del Sì alla schiforma Renzi-Boschi-Verdini. L’unico rischio che corriamo noi è quello di vincere anche questa volta.
M. Trav.