Scuola, rientro caotico e last minute: 600mila studenti tornati in classe

Troppe regole, cambiano in continuazione e stargli dietro è davvero difficile: sarebbe meglio avere meno informazioni ma chiare”: Fabio sta accompagnando la figlia a scuola quando lo fermiamo all’ingresso di un istituto comprensivo nella periferia di Roma. Ha interrotto la dad. “Ma ancora non sono sicuro che debba rientrare: purtroppo la comunicazione nel weekend non è stata un granché”, spiega ridendo. Come avevano annunciato i presidi, il profluvio di circolari piovute last minute da venerdì a domenica non ha favorito l’organizzazione, che si è svolta per lo più con un tam tam di messaggi Whatsapp tra mamme e papà e auspici tra i ragazzi. “La classe di mia figlia era in dad da lunedì scorso e nessuno sapeva cosa fare – spiega invece Silvia –. Nel giro di 12 ore sono arrivate ben quattro circolari sul registro elettronico, un centinaio di messaggi nella chat di classe e il risultato è che nessuno sa ancora se i ragazzi che non hanno fatto il booster possono rientrare (con o senza tampone, con o senza certificato medico e così via”.

Al rientro tra i banchi di 600mila studenti, dunque, ciò che più è pesato è stata l’improvvisazione, con problemi con le mascherine Ffp2 che i ragazzi dovranno ora indossare in caso di positivi in classe. “Ci dicono che non sono disponibili. Dovranno continuare a farsene carico le famiglie come già avviene dal 10 gennaio – ha detto ieri la presidente per il Lazio dell’Associazione nazionale presidi, Cristina Costarelli, sulla base delle segnalazioni ricevute dai colleghi –. Le Ffp2 fornite alle scuole dalla struttura commissariale per docenti e personale a contatto con alunni che non le indossano, sono difettose e insufficienti. Quelle che le scuole dovrebbero comprare da farmacie convenzionate per gli studenti in auto-sorveglianza non si trovano”. Si tratta delle stesse mascherine che, come denunciato qualche giorno fa da Dirigentiscuola, potrebbero essere acquistate sulla piattaforma di rifornimento dei dirigenti (Mepa) a 20 centesimi per uno stock di 6mila anziché a 75 centesimi a prezzo calmierato in farmacia.“I ragazzi portano da casa le loro mascherine Ffp2 da quando sono aumentati i contagi – spiega Alfonso che insegna italiano in una scuola media della provincia di Roma –. Per il resto, le nuove regole semplificano molto: una intera classe avrebbe dovuto stare in Dad fino a lunedì 14 febbraio, invece oggi sono rientrati tutti”.

Anche il presidente dell’Associazione nazionale dei presidi, Antonello Giannelli, ha una visione in chiaroscuro: “Ci sono stati disagi soprattutto nelle scuole primarie, molti dei quali sono stati risolti grazie al lavoro dei dirigenti scolastici nel fine settimana – ha spiegato Giannelli –. Bisognava avvisare le famiglie delle nuove norme che riducono da dieci a cinque i giorni di quarantena, ma il nuovo provvedimento è arrivato venerdì sera, in molte scuole non si fa lezione il sabato e non stato sempre possibile avvertire le famiglie. Comunque il nuovo protocollo è molto più agevole anche da rispettare e con i giorni si tornerà alla piena normalità”. Giannelli segnala inoltre di aver ricevuto segnalazioni di mascherine Ffp2 in dotazione alle scuole ma non adatte ai bambini delle primarie. “Dovrebbero essere più piccole. Ma costano di più e sembra non siano state incluse nelle forniture del commissario straordinario. Se sarà accertata questa criticità a livello nazionale, vorrà dire che c’è un problema nella fornitura. Altrimenti sono inconvenienti che possono capitare”. Il Moige chiede invece al governo il rimborso delle mascherine.

Ci saranno anche nuove proteste degli studenti che scenderanno in piazza a Cagliari, Nuoro, Sondrio e Bergamo per manifestare contro la seconda prova della maturità e l’alternanza scuola-lavoro. Di nuovo ci sono gli endorsement di scienziati e tecnici, dall’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo allo stesso consigliere del ministro Speranza, Walter Ricciardi, che però sostiene che non scenderebbe in piazza con loro, passando per direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti e la virologa Maria Rita Gismondo. Resta invece il nodo delle differenti regole tra studenti vaccinati e non.

Nuova (e pesante) bocciatura per gli esami voluti da Bianchi

Prima la stroncatura da parte degli studenti, ora la bocciatura da parte del Consiglio superiore della pubblica istruzione (Cspi): gli esami di Stato proposti dal ministro Patrizio Bianchi non piacciono a nessuno. Ieri, dopo sei ore di discussone, i membri del Cspi hanno inviato il parere (obbligatorio ma non vincolante) al ministero dell’Istruzione. In una sola parola: tutto o quasi da rifare.

In primis, l’esame della terza media. Il ministro Bianchi, dopo due anni in cui gli scritti non venivano fatti, ha forzato la mano inserendoli di nuovo: uno di italiano e uno relativo alle competenze logico-matematiche. A seguire il colloquio per verificare tra le altre cose: le competenze relative alla lingua inglese, alla seconda lingua comunitaria e all’insegnamento dell’educazione civica.

Ora il Consiglio superiore della pubblica istruzione chiede una marcia indietro, ovvero solo l’orale con la presentazione di un elaborato che “consenta di rilevare le competenze nei diversi ambiti disciplinari”.

A portare l’organismo, che rappresenta la voce del mondo della scuola, a fare questa scelta è stata proprio una riflessione sulle lezioni in quest’ultimo anno: nonostante il tentativo di tornare in presenza, si è fatto ricorso ancora all’uso della didattica a distanza che spesso penalizza soprattutto gli studenti più fragili e quelli migranti.

Anche per quanto riguarda l’esame di maturità, il Cspi non ha potuto dare il parere favorevole all’ordinanza firmata dal ministro che prevede una prova scritta di italiano, una seconda, sempre scritta sulle discipline di indirizzo, predisposta dalle singole commissioni d’esame, e un colloquio.

Passi il tema, ma sulla seconda prova il parere del Consiglio superiore della pubblica istruzione richiama il ministro a rivedere le proprie posizioni auspicando che “l’accertamento delle competenze nelle materie di indirizzo possa avvenire anche con modalità più adeguate alla situazione, non prevedendo necessariamente la seconda prova scritta”.

Il ritorno alla normalità, sbandierato dal professore ferrarese, ha trovato un freno nell’organo del Cspi che ha voluto sottolineare come quest’anno scolastico non sia stato per nulla uguale a quelli pre-Covid.

A questo punto sarà il ministro Bianchi a decidere: tocca a lui scegliere se creare uno strappo diplomatico con il Cspi andando avanti per la sua strada o trovare una mediazione.

Intanto, oggi Bianchi come annunciato in una lettera su Repubblica, incontrerà i ragazzi delle Consulte: un tavolo contestato dalla Rete degli studenti medi che ritiene questo dialogo, inutile e tardivo. Per i ragazzi non resta che una sola via: il ritorno in piazza venerdì.

Messaggi fascisti e no vax in chat col sindaco. Così alla Spezia si cementa l’intesa Toti-FdI

Boia chi molla e massime di Junio Valerio Borghese. Migranti definiti “pinguini”, “cavallette” e “beduini” che rovinano “la razza”, da trattare “con i metodi” del Duce (“li porti dentro e li legni”). E anche sparate no vax, colorate di tinte xenofobe: “Se fanno passare il Green Pass scoppia la rivoluzione, il Covid arriva con i barconi”.

Potrebbe sembrare paccottiglia ideologica da estrema destra. Invece sono messaggi pubblicati da un consigliere comunale di La Spezia – Umberto Costantini, di Fratelli d’Italia – nella chat della maggioranza di centrodestra che governa la città. Un gruppo di lavoro di cui fanno parte consiglieri, assessori e il sindaco totiano Pierluigi Peracchini (nella foto sopra fra Costantini, a sinistra, e il consigliere di Cambiamo Marco Tarabugi, a destra, anche lui parte del gruppo). Una chat decisamente imbarazzante per un Comune che nel 2018 ha conferito un premio pubblico alla senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio e testimone delle brutalità del nazifascismo. Costantini, invece, non nasconde una certa nostalgia del regime di Mussolini. Il 25 aprile del 2021 lo rimarca con una lunga citazione del principe golpista fondatore della X Mas, che ricorda l’arruolamento nella Repubblica di Salò come “il punto culminante della vita, di cui vado più fiero”. Le invettive di Costantini si rivolgono spesso contro gli stranieri: “Se migliorare la razza vuol dire mischiarsi con dominicani, marocchini e bengalesi, qualcuno 80 anni fa ci aveva visto giusto”, scrive il 16 agosto del 2020. Anzi, per i patrioti come lui “le crociate non sono ancora terminate”. E ancora: “Il questore e il prefetto sono dei compagni”.

A stupire non sono solo le sparate del consigliere, ma anche la tolleranza con cui vengono accolte. Il sindaco risponde solo una volta, quando Costantini evoca metodi da tortura (“Qualche “carezza” non farebbe male. Interventi rapidi. Li porti dentro e li legni”): “Guarda che ti filmano e denunciano. E i giudici non sono sensibili a noi”. Insomma, più che esprimere indignazione sembra metterlo in guardia dai pm. Del resto le elezioni sono alle porte e il candidato di Toti traballa. Un po’ per le spaccature post Quirinale e un po’ per le polemiche seguite al caso del cambio del vaccino del figlio, concesso dalla Asl dopo l’intervento di papà. È un fatto che Peracchini, con Forza Italia all’opposizione, cerchi alleati nell’area: nei giorni scorsi La Destra di Francesco Storace ha annunciato che lo sosterrà.

Guida Bardi, l’albergatore tuttologo. Non ne azzecca una, ma vive in tivù

Narrami, o musa, del multiforme talento di Giuliano Gabriele Guida Bardi. Pilota d’aerei, ex consulente della Regione Sardegna (condannato per peculato), ex sedicente collaboratore di Francesco Cossiga (pace all’anima sua), albergatore e ora idolo televisivo, grazie ai frequentissimi inviti tra gli ospiti di Otto e Mezzo, il tempio di Lilli Gruber su La7. Da un paio d’anni Guida Bardi va in tv un giorno sì e l’altro quasi. Si presenta come dirigente di Federalberghi, ma si espone su aspetti trasversali dello scibile umano: Quirinale, scioperi, reddito di cittadinanza, vaccini, Draghi e draghetti. Eloquio pungente e stile dandy – sempre in giacca e cravatta, talvolta pure panciotto in tweed e occhiale coccodrillato – regala uscite memorabili. In ordine sparso: “Mi piacerebbe che epidemiologi, microbiologi, virologi facessero come i grandi artisti e trovassero il momento giusto per uscire di scena. Il momento giusto è questo”; “Non siamo in grado di produrre un vaccino. È colpa dell’ignoranza dei lavoratori”; “Lo sciopero è un segno di buona salute dell’economia: quando ci sono istanze per redistribuire il reddito, vuol dire che c’è un reddito da redistribuire”; “Rosy Bindi è la più grande berlusconiana d’Italia, lei e quelli della sua parte hanno creato il fenomeno Berlusconi”. E ancora, con entusiasmo governativo: “Draghi parla in Parlamento, fuori lo fanno i chiacchieroni”. Da quando ha azzeccato la rielezione di Sergio Mattarella, si fa chiamare “Guidadamus”.

Ma chi cavolo è Giuliano Guida Bardi? Come ci è finito a pontificare in prima serata su una tv nazionale? Si presenta come “Vicepresidente di Federalberghi Sud Sardegna”, ma i colleghi hanno una versione differente: “È stato eletto a Cagliari, su base provinciale. Presto quell’organigramma sarà rinnovato”, spiega Paolo Manca, il presidente sardo dell’associazione, lasciando intendere che il nostro non è più gradito. Poi aggiunge: “Giuliano Guida non rappresenta le istanze né dell’associazione, né degli associati. Riteniamo inutile qualificarlo come vicepresidente di un’associazione che ha un interesse specifico, quello degli albergatori italiani. Usa quella visibilità per andare in tv”. E infine: “Non mi risulta sia un imprenditore di successo, anzi. Né che diriga l’hotel di cui invece si presenta come direttore, ma non è neanche socio”. Insomma, c’è stima.

Il mistero si infittisce. In archivio non esiste nessun Giuliano Guida Bardi, ma c’è Giuliano Guida. Prima di (ri)presentarsi col doppio cognome, il nostro aveva avuto qualche guaio. “Maxitruffa alla Regione, arrestato Guida”, titolava la Nuova Sardegna del 21 giugno 2006. Proprio lui. Gli andrà quasi bene: 5 anni in primo grado e 2 anni e mezzo in appello nello “scandalo Cisi”, una fondazione regionale fantasma di cui era segretario generale, “che spendeva e distribuiva denaro senza svolgere alcuna attività reale”. Oggi Guida ricorda la vicenda così: “È stato un processo molto lungo che si è concluso con la prescrizione per quasi tutti i capi e la condanna solo per peculato, per un errore formale dell’avvocato. La richiesta di assoluzione in Cassazione è arrivata con un giorno di ritardo”. Altre cronache, inclementi: nel 2003 fu beneficiario di due consulenze farlocche, ricevute dall’ex dg dell’assessorato all’Agricoltura, Antonio Monni (condannato dalla Corte dei Conti per danno erariale; a carico di Guida invece non risulta nulla).

Ancora non capiamo, quindi: perché va in tv? Cosa ci sfugge? Sappiamo che è giornalista pubblicista, sappiamo che è socio-pilota dell’Aeroclub di Cagliari (memorabile uno scatto con l’amico Luca Telese, mentre sorvolano l’amata Sardegna), sappiamo che lavora per un albergo e si presenta come leader degli albergatori. È davvero rilevante la sua visione del mondo?

Orfeo “accorcia” Report e moltiplica Annunziata

Rivedere Report, riducendo il numero delle puntate. Questa sarebbe l’intenzione di Mario Orfeo, nuovo direttore degli approfondimenti, la direzione di genere che avrà la delega sui programmi d’informazione extra-tg.

Quest’anno la trasmissione di Sigfrido Ranucci ha realizzato 28 puntate: troppe, secondo il vertice di Viale Mazzini che vorrebbe riportare il programma intorno alle 22. Sarebbe incredibile se si volesse indebolire Report, che certamente dà fastidio, specie sul fronte politico, ma finora, anche per gli ottimi ascolti, è sempre stato difeso dall’azienda. Desterebbe qualche inquietudine che all’eventuale taglio delle puntate e di conseguenza delle collaborazioni, si aggiungessero maggiori controlli. Vedere in anteprima le scalette rientra nelle funzioni di un direttore (ora l’interfaccia è Franco Di Mare, a capo di Rai3, ma con le direzioni “orizzontali” cambierà tutto), ma intromissioni nei contenuti non farebbero piacere a Ranucci. Come ai conduttori degli altri programmi che finiranno sotto Orfeo.

Quest’anno Report ha battuto il record di puntate, 28 appunto (con Gabanelli erano 16), ma pure di share, con una media dell’8% e punte fino al 12%. Ma la forza del programma sta anche nella replica del sabato, in onda alle 17.35, con 1 milione di telespettatori di media.

Orfeo in questi giorni incontrerà Ranucci, così come ha già iniziato a parlare coi conduttori degli altri programmi che finiranno sotto il suo controllo: Cartabianca, Porta a Porta, Agorà, Restart, Anni 20, Chi l’ha visto, In Mezz’ora, Presadiretta, Che ci faccio qui, eccetera. Non è ancora chiaro se la direzione approfondimenti si occuperà anche di prodotti tra informazione e intrattenimento, come Unomattina e La vita in diretta. Sulle deleghe, infatti, si sta battagliando, specialmente su Unomattina realizzato per metà dal Tg1.

Nel frattempo in Rai si continua a lavorare al progetto di nuova striscia di news in quello che viene definito l’access prime time, su Raitre dal lunedì al venerdì. Mezz’ora in cui si approfondiscono i temi del giorno. Carlo Fuortes e lo stesso Orfeo vogliono uscire con un programma già prima dell’estate, verso maggio, e per la conduzione l’unico nome che si fa è quello di Lucia Annunziata. Il problema, però, resta sempre l’orario. Due le ipotesi: partire alle 20.15 e finire alle 20.45 oppure far slittare Un posto al sole di un quarto d’ora e andare in onda dalle 20.30 alle 21. L’obiettivo è fare una concorrenza tutta al femminile a Lilli Gruber (La7) e Barbara Palombelli (Rete4). Fuortes e Orfeo sono all’opera per decidere il nome (che ancora non c’è) e trovare uno studio che, giurano in Viale Mazzini, “sarà bellissimo”.

I dem che fanno sponda con Di Maio, in attesa di capire chi la spunterà

Nessuno è in grado di dire chi comanda nel Movimento 5 Stelle e neanche dove va il suddetto Movimento: vista dal Pd la guerra tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio produce prima di tutto questo effetto. Dal Nazareno chiariscono che l’alleanza giallorosa andrà avanti a prescindere da chi guida i Cinque Stelle. Al limite, è un problema di pesi: perché ormai nessuno tra i dem, né i più vicini, né i più lontani, pensa che Conte sia il riferimento numero uno del progressismo.

Mentre si aspetta di capire come andrà a finire l’ennesima vicenda che coinvolge il Movimento, con il provvedimento del Tribunale di Napoli che azzera le cariche, va detto che nel Pd i rapporti con Di Maio sono costanti. E non da oggi.

Il ministro degli Esteri parla con tutti, è per molti dem in Parlamento il riferimento principale. Le trattative per il Colle hanno evidenziato l’esistenza di una linea di dialogo parallela con lui. D’altra parte, Mario Draghi ha chiamato anche lui (oltre a Conte) per informarlo della verificata disponibilità di Mattarella al bis. “Luigi”, insieme a Enrico Letta, era l’unico che portava avanti la candidatura del premier come prima scelta. Tanto è vero che il segretario del Pd – pur gestendo la trattativa con Conte – non ha mai smesso di parlare anche con lui.

I due hanno una consuetudine che risale ai tempi del governo gialloverde, quando il segretario era il presidente dell’Asean (acronimo inglese di Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) e Di Maio il ministro dello Sviluppo economico. Se è per i ministri dem, il dialogo è costante: Dario Franceschini, uno dei più vicini a “Giuseppi”, ha avuto con il ministro un rapporto costante, fin da quando con lui discuteva per la formazione del Conte-2. Pare che non abbia troppo approvato il modo di agire di quest’ultima fase, ma ciò non scalfisce il rapporto. Lorenzo Guerini ha con Di Maio un rapporto solido. I due sono diventati l’avanguardia atlantista (insieme a Draghi, ovviamente) nel governo. E dunque parlano soprattutto di politica estera. Ma anche di politica interna. Guerini, uno dei leader di Base Riformista, la corrente che vorrebbe spostare al centro gli equilibri del Pd e che ha sempre considerato M5S uno dei soggetti dell’alleanza, non quello preferenziale, ha buoni rapporti con l’ex premier, ma non ha troppe occasioni di dialogo.

D’altra parte, Conte sente principalmente Bettini-Franceschini-Letta. Anche Andrea Orlando un rapporto con Di Maio lo intrattiene. Ma poi una frequentazione costante con quest’ultimo ce l’ha anche Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna. Motivi istituzionali, per via dei rapporti con molte regioni nel mondo. Le relazioni sono ramificate. E peraltro – a fasi alterne – vengono mantenute anche con Matteo Renzi.

Le ripercussioni sulla maggioranza sono dietro l’angolo: oggi si comincia a parlare del tavolo sul programma di Mattarella proposto da Letta: difficile capire chi è l’interlocutore in M5S. E così per il governo.

L’incognita Grillo, i cavilli e l’idea di un “contenitore”

Alcuni 5Stelle, tutti di rito contiano, ci ragionavano da giorni. “Il M5S così com’è rischia di non riuscire a riprendere quota, serve qualcosa di più largo, un contenitore nuovo”. Un Movimento con un nome almeno parzialmente diverso. O almeno supportato da vere liste civiche: con il nome di Conte in bella vista – “lo chiedono anche dai territori” – o anche con altre sigle, soprattutto nel Nord dove i 5Stelle sono evaporati. Ragionamenti che prendono una luce diversa, nel lunedì dell’ordinanza con cui il Tribunale civile di Napoli azzera le cariche e rimescola gli equilibri nel M5S della guerra frontale: quella tra il presidente da ieri “congelato”, Giuseppe Conte, e l’ex capo che la sua carica di presidente del comitato di garanzia l’aveva lasciata sabato scorso, Luigi Di Maio. Ora, dopo il provvedimento di giovedì 3 febbraio, sta tutto nelle mani e nella pazienza di Beppe Grillo, il Garante, il padre del M5S che non sa camminare da solo.

Dovrà essere lui a decidere quale sarà futuro dei 5Stelle: se quello indicato da Conte, che passa da una votazione che lo riconfermi come presidente, insomma come capo, oppure se – come invoca l’avvocato degli attivisti, Lorenzo Borrè – ordinare un voto per un organo collegiale. O meglio “il comitato direttivo”, come avevano deciso gli Stati generali dei 5Stelle nel dicembre 2020, che prenda le redini. “Beppe dovrebbe far rinominare il comitato di garanzia ora sciolto, che a sua volta dovrebbe indire le votazioni per l’organo collegiale” spiega una fonte qualificata. Ma il Garante cosa vuole fare? Il suo lunedì lo passa sentendo avvocati e notai. A dir poco irritato. Rifiuta quasi tutte le telefonate da 5Stelle di vario ordine e grado. E non c’è certezza neppure di un contatto con Conte, che pure nel pomeriggio fa diffondere una nota che parla del voto per modificare lo Statuto. Una mossa che nasce dalla riunione nella casa romana dell’ex premier con il reggente Vito Crimi, un notaio e un legale. Conte li ascolta, soppesa tutto, poi dichiara a una folla di cronisti: “La mia leadership nel M5S si basa sulla condivisione di principi e valori, è il legame politico prima che giuridico, quindi non dipende dalle carte bollate. E lo dico da avvocato”. Però balla su quelle carte, il suo avvenire politico. E sul volere di Grillo, “che ora cerca soprattutto un modo per evitare guai giudiziari” sussurra un big. Proprio lui che lasciò il ruolo di capo a Di Maio anche perché stufo dei ricorsi di attivisti ed espulsi. Lo stesso che in un post del giugno 2021 avvertiva così l’allora reggente Crimi: “Non posso che ribadirti che l’unico modo per rispettare lo statuto vigente ed evitare ricorsi rimane votare l’organo collegiale sulla piattaforma Rousseau”. Cioè quella di Davide Casaleggio che – raccontano – ha commentato laconicamente: “L’avevo detto che sarebbe finita così”. Mentre la sua associazione Rousseau infieriva tramite nota: “Ora voto collegiale, Conte è andato a sbattere”.

Di certo ieri il post “profetico” di Grillo rimbalzava su tutti gli smartphone dei parlamentari del M5S, spaventati. Mentre un passo di lato c’è lui, Di Maio. L’avversario di Conte, che attende un segnale dall’altro fronte. “Ora servirebbe un punto di caduta politico, dovremmo ragionare assieme di un organo collegiale condiviso” sussurra un dimaiano di peso. Ma Conte e i suoi vogliono evitarlo, a ogni costo. Per l’avvocato l’ex capo ormai è il primo nemico. “Di Maio andava in piazza per sostenere le nostre battaglie civili, oggi per esibire una corrente e attaccare la leadership” sibila Conte a Otto e mezzo. Per poi rivelare: “Ho sentito Luigi per telefono e mi ha detto che è desideroso di esprimere idee e progetti”. Certo, ammette l’ex premier, “non è nell’orizzonte delle cose che venga espulso, ma non potevo far finta di nulla di fronte a questo attacco”. Però la guerra si è fatta complicata, per il Conte che risponde su un’altra croce, la regola dei due mandati: “Secondo me questa regola ha un fondamento che va mantenuto, ne vorrei discutere con Grillo, ma ragionerei sul trovare delle deroghe”. Di più non può dire, in una sera così.

5S, Conte sospeso dal tribunale. Lui rilancia: “Rivotino gl’iscritti”

E ora Giuseppe Conte, “presidente sospeso” del M5S, corre contro il tempo per disinnescare la bomba dell’ordinanza del giudice di Napoli e tornare al più presto nei pieni poteri. Riconvocazione degli iscritti del M5S (tutti, anche quelli con meno di sei mesi di anzianità), rivotazione e reinvestitura da un lato, e preparazione degli atti per vincere la causa nel merito – sentenza a marzo – dall’altro.

L’esplosivo da neutralizzare è nelle otto pagine del giudice della settima sezione del Tribunale civile di Napoli, Gian Piero Scoppa. Il magistrato ha accolto in seconda istanza il reclamo 30584 di tre attivisti napoletani (Steven Brian Hutchinson, Liliana Coppola e Renato Delle Donne), in rappresentanza di centinaia di iscritti protagonisti di una raccolta fondi per sostenere le spese legali del loro avvocato Lorenzo Borrè. La decisione del Tribunale ha sospeso l’esecutività delle delibere del 3 e del 5 agosto dell’Associazione Movimento 5 Stelle. Sono gli atti con cui il M5S ha modificato lo statuto attraverso votazioni online sulla piattaforma SkyVote (e non più su Rousseau) e poi ha ratificato la nomina di Conte alla “neonata figura” di Presidente. Che prima non esisteva. E nella quale si concentrano i principali poteri politici all’interno del Movimento.

L’ordinanza del giudice, che ricorda che le modifiche statutarie possono essere approvate dall’assemblea in prima convocazione solo “qualora vi abbia partecipato almeno la maggioranza assoluta degli iscritti”, è motivata dall’interpretazione di una norma del vecchio statuto. Secondo la quale per escludere gli iscritti da meno di sei mesi dalla platea degli elettori di una questione “strutturale” come quella di un nuovo statuto, bisognava prima procedere alla “adozione di un regolamento da parte del comitato di garanzia su una proposta formulata dal comitato direttivo”. Invece questo è avvenuto sulla base di un’altra norma del vecchio statuto, che disciplina le modalità di consultazione degli iscritti. “L’illegittima esclusione dalla platea dei partecipanti all’assemblea del 3 agosto 2021 degli iscritti all’Associazione Movimento 5 Stelle da meno di sei mesi – scrive il giudice – ha determinato l’alterazione del quorum assembleare”. Perché “risulta adottata sulla base di un’assemblea formata da soli 113.894 iscritti (quelli da più di sei mesi) in luogo dei 195.387 associati iscritti a quella data; con l’illegittima esclusione – secondo il Tribunale – di 81.839 iscritti all’ente dal quorum costitutivo e deliberativo, maggiore dei soli 60.940 associati che hanno partecipato all’assemblea, la cui delibera è stata poi approvata dall’87% di questi”.

Così, bocciato il nuovo statuto, mancano i presupposti dell’elezione di Conte perché lo statuto in vigore prima della “illegittima” modifica “non prevedeva la figura del presidente”. Pertanto non si può essere nominati in un ruolo che formalmente non esiste.

Il Conte pensiero, diffuso attraverso una nota del M5S e alcune dichiarazioni dell’avvocato Francesco Astone, è che questi ostacoli possono essere superati facilmente e in breve tempo: le delibere non sono invalide, ma solo sospese, ed erano conformi alla prassi sempre seguita di tenere fuori dal voto gli iscritti con meno di sei mesi per evitare infiltrazioni e cordate.

“Il Movimento – si legge – aveva già in programma in questi giorni un’assemblea per sottoporre al voto degli iscritti alcune modifiche statutarie in adesione ai rilievi della Commissione di garanzia per gli statuti e la trasparenza dei partiti politici. Sarà questa l’occasione per proporre agli iscritti – anche con meno di sei mesi di anzianità – la ratifica delle delibere sospese”.

Ma da ambienti pentastellati di non stretta osservanza contiana segnalano che Borrè potrebbe chiedere al Tribunale la nomina di un curatore che tolga a Conte il pallino. “Il M5s è decapitato – sostiene Borré – e l’unica cosa che possono fare ora la può fare Grillo: indire le votazioni del comitato direttivo, come il 29 giugno. E ripartire da lì. Qualsiasi altra decisione può essere facilmente impugnata”.

Non hai vinto, ritenta

Il Carnevale di Rio per la bizzarra ordinanza del Tribunale civile di Napoli sul nuovo statuto 5Stelle e sull’elezione di Conte a presidente è fortemente esagerato, come disse Mark Twain alla falsa notizia della sua morte. E vien da domandarsi se non si siano ancora stufati gli “esperti” che da 13 anni, dalla nascita del M5S, ne annunciano il decesso, salvo poi scoprire che il funerale è sempre rinviato a data da destinarsi. Non c’è elezione rionale, scaramuccia, scandaletto, sondaggio, congiuntivo sbagliato che non inneschi infiniti necrologi sulla dipartita dei “grillini” che dicevano vaffa, volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, dicevano no a tutto, non si alleavano con nessuno, credevano nei clic e giù col pilota automatico dei luoghi comuni. Da quando poi han trovato Conte, prima premier e poi leader, giù a ridere sull’avvocato del popolo, l’azzeccagarbugli, il democristiano con la pochette, il figlio di nessuno (nel Paese dei figli di papà e del lei non sa chi sono io). Eppure non sono bastati ad affossarlo i conticidi Salvini, Innominabile, SuperMario, Grillo, Di Mario, Confindustria, giornaloni. I morti presunti sono sempre lì, fra il 15 e il 16% nei sondaggi, nel momento più difficile della loro storia, a una manciata di punti da quelli bravi. Il putribondo “Giuseppi” è sempre primo fra i leader politici. E chi dovrebbe capire l’Italia per raccontarla non si domanda mai il perché, per non ammettere di avere sbagliato tutto. A furia di demonizzare il reddito di cittadinanza, il decreto Dignità, la Spazzacorrotti, la blocca-prescrizione, il taglio dei parlamentari e dei vitalizi, il cashback, il superbonus, le manette agli evasori, lor signori non si rendono conto che è per tutto ciò, oltreché per l’onestà personale e la sintonia con le persone, che un movimento così scombiccherato e lacerato non passa di moda. E che Conte viene ricordato dalla gente come colui che ha affrontato la pandemia senza dividere gl’italiani fra buoni e cattivi, spiegando ogni sera le proprie scelte: l’opposto dei fenomeni che si sono seduti alla tavola imbandita (da lui) con i 209 miliardi del Recovery Fund e i vaccini già comprati e programmati.

Se ora questi geni pensano che dove hanno fallito loro riusciranno le scartoffie di un tribunale incompetente (territorialmente), resteranno delusi un’altra volta: ripetendo la votazione sospesa dai giudici e allargandola agli 81mila iscritti più recenti, il plebiscito pro Conte si moltiplicherà. Proprio quando la Banda Larga puntava tutto sul neo-amico Di Mario per la soluzione finale. Visti i risultati ottenuti parlandone male, gli aspiranti killer dei 5Stelle potrebbero iniziare a parlarne bene. Magari funziona.

Cala il sipario e la Rai già decide: non ha altro che “Ama”

Siparietto col sordo. Celia Fuortes: “Potremmo sostituire il Cavallo Morente con una statua equestre di Amadeus”. A forza di ascoltare musica a volume altissimo, Ama manca il dettaglio. “A viale Mazzini lasciamo lì il cavallo. Comunque so cavalcare, mio padre era istruttore di equitazione”. Evviva, il direttore artistico di Sanremo resterà in sella pure nel 2023, dopo il “peana” rivoltogli dall’ad Rai, che sentenzia: “Squadra che vince non si tocca, sarebbe pazzesco non ripartire da qui”. Replica Amadeus: “Ne ragioneremo a menti riposate”. Magari facendo più attenzione anche ai regolamenti: Jovanotti è stato un colpaccio, ma poteva accadere solo nell’Italia del “tu vieni, poi un modo per farti entrare lo troviamo”.

Ipse dixit. “Il mio primo festival ha fatto rumore, il secondo ha fatto stare zitti e buoni, il terzo è da brividi”. Meno male che non ha vinto Sesso Occasionale. Però l’autocrate ha ragione. Numeri fuori scala: finale da 65% di share, più di 13 milioni di telespettatori medi. Anche il fatturato pubblicitario Rai supera i 42 milioni, bottino mai visto prima. Come investire il doppio tesoretto? Per Coletta occorre proseguire nella caccia al target giovane, che ormai compone i tre quarti della platea festivaliera, complice la scelta del cast. Con buona pace degli ottuagenari, abbandonati al loro telecrepuscolo in favore di “clienti” anagraficamente più appetibili. Chissà Ama chi inviterà nel 2023 per la quota grigia: si è già giocato Pavone, Berti, Morandi, Ranieri, Zanicchi. Restano Nicola di Bari e Don Backy.

Co-co-co. E quale donna potrà affiancarlo? L’unica è zia Mara, così vedremo cosa si inventeranno i goliardi del Fantasanremo. Quest’anno è stato un grattacapo. Senza copione Ornella Muti non risolve neppure le parole crociate facilitate, e dire che le hanno chiesto di analizzare la crisi russo-ucraina. Lorena Cesarini è andata lunga con Ben Jelloun, e nessuno che le porgesse un fazzoletto mentre tirava su col naso. Drusilla? Signora fantastica, peccato non esista. Maria Chiara Giannetta? In gamba: ma perché farle dire cosa provino i non vedenti (lì accanto a lei) solo per averne interpretata una? Quanto alla Ferilli, non la rivedremo presto all’Ariston.

Sabrina-gate. I moviolisti social si sono fiondati sul giallo del fuori onda. A chi si riferiva l’attrice con quel “…pezzo di merda” captato da dietro le quinte? E perché era così rabbuiata, dopo lo scintillante “non-monologo”? Velina di Ama: “Nervosa? No, è inciampata in un cavo”. Sicuro? Nello psicodramma, si vede il conduttore snobbare Sabrina durante la presentazione di Emma, beccandosi un piccato “buon lavoro”; provare invano a darle la mano; Sabrina in disparte alla proclamazione dei vincitori, con Morandi costretto a spalleggiare Amadeus. Su quel cavo dovevano esserci fili scoperti.

Cuori ultras. In campionato la Roma soffre, a Sanremo vince sempre. L’anno scorso con i Maneskin di Damiano, stavolta con Blanco, supertifoso giallorosso. “Ero all’Olimpico per Roma-Inter, atmosfera fantastica, il risultato no”. Il ragazzo è nato nel Bresciano da papà romano trasferitosi al nord. Blanco, in passato nella Feralpisalò, dopo essersi preso il Festival è sceso in platea ad abbracciare i genitori. Papà Giovanni lo ha stritolato euforico: “Li mortacci tua”.

Il piccolo re. Molto esposto nella narrazione del festival è stato pure un altro baby calciatore, il tredicenne Josè Sebastiani, ruolo portiere. Figurante suo malgrado, consulente di papà Ama, persuasore di Fiorello, sponsor della Ferilli. Telefonerà pure a Gerry Scotti per perpetuare la lobby dei “ragazzi di via Massena” (il pivello Cattelan non se lo filano)? A proposito, si chiama Josè per via del Mourinho oggi idolo di Damiano e Blanco.

Fluido magico. Icona di Sanremo è proprio il diciottenne Riccardo Fabbriconi, alias Blanco. Se Brividi è stata una magia che alla finale ha collezionato più voti di Elisa e Morandi messi insieme, si deve al non aver ingabbiato l’elegante ballata in una rivendicazione di genere. Blanco è fidanzato con Giulia, ma è sembrato libero nel cantare di amore per e con Mahmood. Ci hanno messo sei mesi, spiegano, per mettere su Brividi, strofa su strofa, con il produttore Michelangelo a fare il lavoro sporco. Una perla nata “da un accordo sbagliato”, poi uscita “con naturalezza. Parla delle nostre esperienze personali, i ragazzi vi si riconoscono”. Andranno a Torino, all’Eurovision Song Contest, a portare il “pezzo unico” (non sono previste altre collaborazioni) non si sa ancora in quale lingua. Blanco è propenso a eseguirla in italiano, “per ringraziare i nostri fans”, Mahmood è più pragmatico e coltiva dubbi. Si vedrà: intanto il bresciano omaggia il papà, il sardo la mamma. Entrambi avevano subito confermato ai figli le potenzialità di Brividi. Segno, chiude Blanco, “che i genitori hanno sempre ragione”.