Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa prova a cantare fuori dal coro governativo schiacciato sulla “semplificazione” che vuol dire – inutile girarci intorno – alleggerimento o eliminazione di controlli tecnico-scientifici invece necessari per arginare corruzione e infiltrazioni mafiose nell’appalto di opere e di interventi pubblici. Indispensabili per fare uscire il Paese da una crisi economica e occupazionale fra le più allarmanti. Possibile arginando sul serio le speculazioni affaristiche.
Alcuni punti non troveranno probabilmente d’accordo altri componenti del governo. Si andrà verso nuovi stalli? Per esempio il sì deciso a una effettuazione seria, rigorosa della Valutazione di Impatto Ambientale (Via), la sola che può scongiurare altri disastri purtroppo largamente in atto. Qui non si tratta di “semplificare” togliendo controlli, bensì di rendere questi ultimi chiari e incisivi, non burocratici e anche democratici quando la Via viene richiesta da Comuni che sommano più di 50 mila abitanti.
Mancano purtroppo quadri tecnici, ingegneri, geologi, architetti. Che però bisogna valorizzare sul serio nell’amministrazione. E purtroppo ciò non accade più. Basta vedere qual è il corso di studi richiesto nei concorsi statali: quasi sempre Legge, Scienze sociali e politiche, ecc. Quasi mai Ingegneria nelle sue varie branche. Un punto strategico del programma di governo dovrebbe invece essere costituito – l’abbiamo ribadito anche in un articolo sul Fatto (“Cari ministri dove sono finite le riforme green?”, del 15 agosto) – da una ripresa con forte slancio dei piani di difesa del suolo. Invece ci si ferma a constatare la estrema difficoltà di prosecuzione del programma Italia Sicura di renziana memoria “per mancanza di progetti tecnici”. “Certo”, fa notare Paolo Urbani docente di diritto urbanistico e amministrativo alla Luiss, “avendo negli anni svuotato le Autorità di bacino fondate dall’ottima legge Cutrera, la 183 del 1989, di competenze tecniche, avendo ridotto sempre più gli ingegneri in essa presenti, avendo creato organismi sempre più grandi e generici, ecco che non c’è più personale tecnico in grado di progettare”.
Quindi, ci si rivolge all’esterno e si rimane di fatto incagliati in queste secche quando l’Italia collinare e montana sta letteralmente crollando e collassando a ogni temporale. Pagando un costo in vite umane e in toppe e rammendi incalcolabile, o, se vogliamo passare alle cifre, di migliaia di miliardi l’anno. La soluzione ora ripresa dei commissariamenti diffusi promette di ingessare ulteriormente la macchina dei piani e quindi di non smuovere nulla o quasi.
Parallelamente occorre affrontare in modo chiaro e deciso il problema del consumo di suoli ancora liberi. Non è pensabile che le Regioni approvino leggi le quali, in assenza di una normativa nazionale cogente, consentono la più allegra gestione del territorio anche in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna dove la “impermeabilizzazione” cemento+asfalto è stata frenetica e continua senza posa, dove non ci si rassegna a frenare l’iperconsumo fra lottizzazioni, insediamenti industriali e commerciali (ipermercati, centri commerciali, centri di smistamento, ecc.).
I punti programmatici portati dal Ministero dell’Ambiente all’attenzione del governo e della Ue confermano come le Regioni siano diventate davvero il “corpo opaco” della gestione pubblica. Si sono affondate (a metà) le Province che in fondo gestivano in modo meno dispendioso e più trasparente alcune funzioni: strade, agricoltura, caccia e pesca, sanità, infanzia abbandonata.
Discorso che si aggancia in pieno con quello delle aree protette, dei parchi nazionali in specie. La insabbiata (per fortuna) legge Caleo (Pd) faceva prevalere in essi le classi dirigenti municipali e le corporazioni (agricoltori, cavatori, ecc.). In quel clima si nominò un ex sindaco, esponente dei cacciatori, alla testa del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. Il ministro Costa, invece, oltre a rimuovere i vincoli per assumere subito 55 unità forestali e a promuovere un piano triennale di fabbisogno del personale, propone l’istituzione di un albo ministeriale dei direttori dei parchi, i quali non saranno quindi più nominati obbligatoriamente d’intesa con le Regioni. Si torna anche in Italia a veri parchi nazionali? Diviso in tre da Berlusconi, il Parco nazionale dello Stelvio va sempre peggio.