Ci fu un tempo in cui, se aveste chiesto al giovane Barack Obama chi sarebbe stato il primo nero presidente o almeno vice-presidente degli Stati Uniti, vi avrebbe risposto Colin Powell. Poi, venne il 5 febbraio 2003: né lui né gli altri si resero subito conto che quello sarebbe stato uno spartiacque nella vita del generale che era stato il primo nero consigliere per la Sicurezza nazionale nella storia degli Stati Uniti, il primo – e il più giovane – capo di Stato Maggiore, il primo segretario di Stato.
Quel giorno, per giustificare l’invasione dell’Iraq che sarebbe avvenuta un mese e mezzo dopo, Powell presentò al Consiglio di Sicurezza dell’Onu prove – false – che il regime di Saddam Hussein produceva e possedeva armi di distruzione di massa – inesistenti–. Agli occhi del mondo, e più tardi degli americani, quel giorno Powell perse il carisma della persona di cui ci si poteva fidare, amico o nemico, repubblicano o democratico. Il generale non ha più recuperato, probabilmente neppure ai suoi occhi, prestigio e autorevolezza. Esplicito il suo endorsement di Joe Biden: ma Powell per i ‘trumpiani’ è un transfuga perduto alla causa; per i democratici di sinistra, resta quello della guerra all’Iraq.
Nel video della kermesse virtuale, il generale motiva il suo sostegno al candidato democratico: “Sin dal primo giorno ripristinerà la leadership americana e la nostra autorità morale”, riporterà nello Studio Ovale i giusti valori, “è il comandante-in-capo di cui abbiamo bisogno, si prenderà cura delle nostre truppe come della sua famiglia, non ha bisogno di essere istruito… Starà con i nostri amici e affronterà i nostri avversari, avrà fiducia nella diplomazia e nell’intelligence, non adulerà despoti e dittatori”.
Dal 2008, Powell, 83 anni, appoggia i candidati democratici: Barack Obama nel 2008 e nel 2012 e Hillary Clinton nel 2016. Ma stavolta è il suo esordio a una convention democratica. Non gli va benissimo: finisce contestato sui social come un altro ‘grande vecchio’ della seconda serata, Bill Clinton. A guidare il malcontento sono gli elettori millenials: troppo spazio agli ottantenni, poco a chi dovrà guidare il partito fra qualche anno, come Ocasio-Cortez. La contestazione al generale è guidata dal regista e attivista Michael Moore. La seconda serata della convention ha formalmente designato Biden candidato alla Casa Bianca. Dalla sua casa nel Delaware, insieme a tutta la famiglia, Biden ha ringraziato, dando appuntamento per domani notte, quando farà il discorso d’accettazione.
Al suo ex vice, Barack Obama ha twittato: “Congratulazioni!, Joe. Sono orgoglioso di te”. Nel segno del tema Leadership matters, c’è stata una serie di brevi discorsi, in cui in pratica tutti gli oratori, Clinton, Jimmy Carter con la moglie Rosalynn, Caroline Kennedy, figlia di JFK, Kerry, Powell e molti altri hanno descritto il magnate presidente Donald Trump come una persona sostanzialmente preoccupata solo di se stessa e impreparata al ruolo.
Nel minuto e poco più concessole, Alexandria Ocasio-Cortez, deputata di New York, ha sostenuto la nomination di Bernie Sanders, invece che di Biden. Ma ha poi twittato il suo sostegno a Biden, una volta divenuto il candidato del partito. La serie di interventi è stata chiusa da Jill Biden, la seconda moglie di Joe Biden, un’insegnante, che parlava da un’aula di scuola. Nonno siciliano, Jill ha ricordato la morte di Beau, il figlio di Biden ucciso dal cancro nel 2015, e lo spirito di servizio che anima e motiva Joe in tutte le sue dimensioni. Ieri sera, è toccato a Kamala Harris accettare la nomination a candidata vice-presidente.