Appartengono con ogni probabilità al piccolo Gioele Mondello alcuni resti umani scoperti intorno a Caronia, nel parco dei Nebrodi, dove insistono le ricerche del bimbo di 4 anni scomparso 17 giorni fa assieme alla madre Viviana Parisi, trovata morta lo scorso 8 agosto. Ed è a poca distanza dal luogo dove fu individuato il cadavere della donna – sotto un traliccio a 500 metri dall’autostrada Messina-Palermo – che ieri è stato trovato il materiale osseo, accompagnato da alcuni indumenti da bambino. A scoprirlo un carabiniere in pensione, Giuseppe di Bello, che si è unito alle squadre di volontari per le ricerche. I resti sono stati ricomposti all’interno di una bara. Sul luogo sono accorsi il procuratore di Patti Angelo Cavallo, uomini della Protezione civile, squadre di Vigili del fuoco e polizia scientifica, oltre al padre del bambino, alla zia e al nonno paterno. “Al 90 per cento si tratta di lui”, comunicano gli investigatori. Anche secondo il procuratore Cavallo “i resti sono compatibili”. Serviranno l’autopsia e l’esame del Dna per avere la conferma definitiva.
Tra deroghe, stop e contagi: ecco come riaprono gli altri
La pandemia ha posto alle scuole una sfida inedita e i governi hanno adottato misure diverse sia in fase di chiusura che in questa di graduale riapertura. Nei Paesi dove gli alunni sono già tornati sui banchi, gli istituti in alcuni casi sono stati costretti a richiudere, mentre si tentano piani per una ripartenza in sicurezza. Ecco come si stanno organizzando alcuni Stati europei e gli Usa.
Germania
Dall’asilo alla secondaria, la scuola ha già riaperto in 9 Land su 16. Dopo la prima settimana di scuola sono state sospese le lezioni in 2 scuole in Meclemburgo-Pomerania, altrettante in Nordreno-Westfalia, 3 in Brandeburgo e 1 a Berlino, dove in 9 scuole è scattata la quarantena, così come ad Amburgo. Ci si avvia verso chiusure ad hoc e ogni istituto si regola secondo le direttive del proprio Land. Per tutti è obbligatoria la mascherina nei locali della scuola ma non in classe e in cortile.
Francia
Tra due settimane si ripartirà e il protocollo sanitario nazionale potrà essere modificato localmente per essere adattato alle condizioni di ciascun istituto. La raccomandazione del ministro dell’Istruzione pubblicata a luglio scorso sugli standard di accoglienza degli studenti risulta già datata e non più attuale per il nuovo aumento dei contagi. La mascherina sarà obbligatoria per chi ha già compiuto 11 anni e non verrà fornita dagli istituti. I maestri francesi hanno accusato il loro ministero di “aggravare il caos”. Le scuole di Marsiglia e Parigi potrebbero rimanere chiuse.
Regno Unito
Per Boris Johnson la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado a tempo pieno dai primi di settembre è una “priorità nazionale” e un “dovere morale”, viste le ripercussioni della chiusura sull’istruzione di milioni di allievi. Quattro i punti cardinali: a casa gli studenti contagiati o con parenti malati; lavare spesso le mani; pratiche igieniche migliori; implementare la sanificazione degli ambienti. Frequenza obbligatoria e ingressi e uscite scaglionate. Incoraggiato il distanziamento sociale e il lavoro in piccoli gruppi. Scozia, Galles e Ulster decidono autonomamente ma su linee guida analoghe.
Spagna
Espulsione dalla scuola o multa: ecco cosa accade ai bambini spagnoli i cui genitori decidono di non rimandarli subito in aula. Solo per alcuni i cancelli della scuola verranno riaperti il 7 settembre: Madrid non ha indicato un giorno ufficiale e condiviso per l’inizio delle lezioni, lasciando a ognuna delle sue 17 regioni libertà di scelta. Dopo l’assunzione di migliaia di insegnati per permettere il distanziamento sociale nelle classi con troppi studenti, sono arrivate critiche dal sindacato degli insegnanti contro il governo centrale per mancanza di chiarezza e buon senso.
Finlandia
Le università e le scuole secondarie superiori hanno avviato il loro semestre autunnale il 13 agosto, mentre gli studenti delle scuole equivalenti in lingua svedese riprendono il 18. Si inizia con lezioni in presenza in classe, ma con un’attenta valutazione per mantenere le distanze di sicurezza e limitare il contatto ravvicinato. Se necessario, sono previste possibili alternative di insegnamento ibrido. Le disposizioni prevedono una combinazione di apprendimento a distanza e lezioni in presenza almeno per agli alunni più grandi e per un breve periodo. Si continuerà, invece, nelle aule per i più piccoli. Lezioni normali anche per gli studenti che frequentano l’istruzione preparatoria od obbligatoria estesa.
Stati Uniti
Con quasi 100mila casi di bambini contagiati solo nelle ultime due settimane di luglio, buona parte degli insegnanti ha chiesto di ritardare il più possibile il ritorno in classe scontrandosi con il volere dell’amministrazione Trump che spinge per un ritorno alla normalità nelle scuole in vista delle elezioni presidenziali di novembre. I docenti temono il contagio e persino la morte, tanto che si sono rivolti in massa al sindacato per fare testamento. In alcuni distretti scolastici di Indiana, Mississippi, Tennessee e Georgia che hanno già deciso di riaprire, le scuole hanno dovuto chiudere con intere classi messe in quarantena. College e università puntano all’insegnamento online.
Mascherine se non c’è la distanza. Le chiusure decise caso per caso
La scuola riaprirà il 14 settembre, “è una priorità assoluta per il Paese”. E le condizioni di sicurezza verranno garantite dal distanziamento fisico. Solo se dovesse risultare impossibile non rispettare il metro di distanza, anche in attesa dei nuovi monobanchi, tutti gli studenti a partire dai 6 anni dovranno utilizzare la mascherina. Ovviamente la protezione sarà abbassata durante un’interrogazione, a mensa o mentre si farà ginnastica. Nella ennesima giornata chiave per il mondo della scuola, il Comitato tecnico scientifico (Cts) fa un nuovo punto sulle misure da adottare in vista della riapertura, confermando il parere che aveva già espresso il 12 agosto sull’uso limitato della mascherina in aula. Anche se ieri mattina il coordinatore del Cts, Agostino Miozzo, aveva anticipato che la mascherina sarebbe stata prioritaria rispetto al distanziamento.
Così come le linee guida definitive del Cts non sono state ancora ufficializzate (si aspetta il passaggio con le Regioni), va ancora pubblicato pure il documento elaborato dall’Istituo superiore di Sanità (Iss) in collaborazione con l’Inail che dovrà spiegare cosa fare e come affrontare i casi di positività nelle scuole che – ha detto Miozzi – “sicuramente ci saranno”. In questo caso, non vorrà dire chiudere le scuole, ma si valuterà la situazione di caso in caso con le autorità sanitarie locali e grazie alla presenza del medico nelle scuole (anche se non è ancora chiaro come e quando saranno assegnati). E, se necessario, mettere in quarantena una classe o l’intero istituto. Intanto va anche risolta la questione delle tutele giuridiche delle famiglie nel caso un figlio risulti contagiato: ci si interroga se il genitore-lavoratore debba essere pagato dall’Inps o dall’Inail.
Poi per le altre indicazioni sulla gestione di eventuali casi di Covid bisognerà aspettare il 29 agosto, a ridosso delle prime aperture, quando riprenderanno le eventuali attività di recupero. Ma il ritorno a scuola potrebbe pure non esserci per tutti: a seconda dell’andamento dell’indice Rt, in alcune Regioni si valuta di ricorrere a una quota di didattica a distanza anche se l’obiettivo del rientro in presenza al 100% resta un impegno “massimo” per il premier Giuseppe Conte e “una sicurezza” per il ministro per le Politiche regionali Francesco Boccia. Il Cts ha invece rassicurato i presidi sulla responsabilità penale in caso di contagio.
Ieri c’è stato anche un altro incontro atteso tra la ministra dell’Istruzione Azzolina e il commissario straordinario per il Covid-19 Domenico Arcuri che ha annunciato che saranno “distribuite 11 milioni di mascherine gratuite al giorno”. Arcuri ha confermato che dall’8 settembre, ed entro ottobre, saranno consegnati 2,5 milioni di banchi, con l’indicazione che i primi andranno dove c’è un margine di rischio maggiore e non è detto, dunque, che la prima sia la Lombardia. Il commissario ha anche spiegato che le richieste maggiori di banchi e sedute (fino a 8 volte di più) sono arrivate da Campania e Sicilia. Insomma Regioni che si stanno approfittando del bando per rifarsi gli arredi scolastici. Addirittura sono state richieste 173 mila sedute senza banchi.
Ancora dubbi sul fronte dei trasporti. Solo da lunedì prossimo un tavolo tecnico istituito tra i ministeri dell’Istruzione e dei Trasporti, Cts, Città, Province e Regioni cercheranno di trovare una soluzione condivisa su metropolitane, autobus e tram legati alla riapertura delle scuole. Il Cts aveva proposto di differenziare gli orari di ingresso negli istituti in modo da evitare assembramenti sui mezzi pubblici. Proposta osteggiata dagli enti locali che fa rinviare la decisione anche su una serie di novità come l’installazione dei parafiati laterali tra le sedute sui treni regionali e sugli autobus extraurbani o di divisori leggeri in stoffa o altro materiale per permettere una deroga ai limiti del 50% di persone a bordo.
Intanto, gli enti locali potrebbero chiedere al Miur e al governo di prolungare al 31 agosto i termini di scadenza per la rilevazione del fabbisogno delle risorse – pari a 70 milioni per il 2020 e il 2021 – per l’affitto, l’acquisto, il noleggio o il leasing per gli spazi aggiuntivi alle aule. Al momento la scadenza è fissata al 26 agosto. E vanno trovate ancora 20mila aule alternative.
Ancora nessun nome: 11 giorni dopo, i furbetti restano coperti
Difficilmente i nomi dei parlamentari e dei consiglieri regionali che hanno richiesto il bonus Covid da 600 euro arriveranno questa settimana.
Dallo scoop di Repubblica sono passati 11 giorni e 9 sono trascorsi da quando il Fatto ha inviato una richiesta di accesso agli atti all’Inps per conoscere l’identità dei furbetti, ma finora siamo fermi ai tre nomi rivelati e autodenunciati (i leghisti Andrea Dara e Elena Murelli e il 5 Stelle Marco Rizzone) e a quelle di una manciata di consiglieri. Per legge l’Inps ha 30 giorni per rispondere alla nostra richiesta, rinforzata adesso dalla pressione della Commissione Lavoro della Camera, la quale ha già audito il presidente dell’ente Pasquale Tridico prima di Ferragosto e che martedì ha chiesto chiarimenti allo stesso Tridico su come intende procedere. Al momento il presidente non ha ancora risposto ai deputati, ma da Inps assicurano che a breve un’indicazione arriverà. “A quel punto vedremo il da farsi – ci dice la presidente della Commissione Debora Serracchiani –, tecnicamente noi saremmo la sede più adatta per le nuove comunicazioni di Tridico”.
D’altra parte, durante la prima audizione, il presidente dell’Inps aveva preso tempo in attesa di ricevere ulteriori garanzie dal Garante per la privacy, in modo da tutelarsi nei confronti di eventuali guai legali. L’Autorità ha chiarito di non poter fornire un parere formale, ma ha anche ribadito che i limiti e le linee guida dell’Anac e del Garante stesso consentono la divulgazione dei nomi dei politici coinvolti nello scandalo, rimbalzando così all’Inps la responsabilità di decidere sul da farsi. “Adesso aspettiamo la risposta del presidente Tridico – è la versione del 5 Stelle Niccolò Invidia, componente della Commissione –, ma immagino che a breve potrà fornirci gli altri nomi di chi ha richiesto il bonus. E spero si faccia trasparenza non solo sui deputati, ma anche sui consiglieri regionali”.
Milano, Sala è “stanchino”. Nel Pd la guerra dei 2 Pier
Nessuno, nelle stanze della politica milanese, si è stupito per l’articolo del Fatto quotidiano che due giorni fa raccontava che Giuseppe Sala non ha voglia di ricandidarsi per il secondo mandato a sindaco di Milano. “È un segreto di Pulcinella”, dice un giovane esponente del Pd, “sappiamo tutti che Beppe è stufo di passare molte ore ogni giorno nel suo ufficio di Palazzo Marino e che da tempo sta cercando alternative di vita”. Da cinque anni sta facendo il lavoro più noioso e peggio pagato della sua carriera. Ora vuole cambiare. Ha ripetuto, nei mesi scorsi, una frase già pronunciata da Grillo: “Sono un po’ stanchino”.
Gli piacerebbe molto tornare a fare il manager in un business strategico come le telecomunicazioni, alla guida della Tim 2 che potrebbe nascere dallo scorporo delle reti Telecom, sotto la regia di Cassa depositi e prestiti. È il progetto che piace molto a Beppe Grillo, che Sala è andato a incontrare il 10 agosto nella sua casa di Marina di Bibbona, sul litorale livornese. È anche il sogno – segreto ma non troppo – di Sala, che ne ha parlato con più d’un interlocutore. Il sindaco sa però che Tim 2 è un piano ambizioso e ancora tutto da costruire. Sta dunque considerando anche altre alternative a Palazzo Marino, più politiche. È disponibile ad andare a Roma a fare il ministro in quota Pd, nel caso di un prossimo rimpasto di governo. È tentato comunque dal giocare un ruolo politico nazionale, diventando per il Partito democratico – oggi molto “sudista” – il punto di riferimento per un fronte del Nord: non gli dispiacerebbe insomma essere per il Pd di Nicola Zingaretti quello che Luca Zaia è per la Lega di Matteo Salvini. Sta considerando molte strade, Sala, tutte aperte e tutte da costruire pazientemente. Con il Partito democratico nazionale che invece sta facendo di tutto per farlo restare a Milano: per non avere un ennesimo leader a Roma a competere con gli altri leader; ma soprattutto per non rischiare di perdere Milano, che senza la ricandidatura di Sala nella primavera del 2021 potrebbe finire nelle mani del centrodestra. Più pragmatici i “ragazzi” del Pd milanese, che da tempo si stanno preparando all’eventualità che “Beppe” – di cui rispettano la forza, ma che in fondo hanno sempre considerato un estraneo a casa loro – non si ricandidi. Se corre per il secondo mandato, la coalizione che lo sostiene resterà unita, Pd, civici, renziani di Italia viva, radicali, Più Europa…; se imboccherà altre strade, l’alleanza salta e ognuno farà il proprio gioco. Ada Lucia De Cesaris, già vicesindaco di Giuliano Pisapia con ambizione (frustrata) alla sua successione, è pronta a candidarsi come sindaco. Per piantare la bandiera di Italia viva a Milano, ma soprattutto per non lasciare la strada tutta in discesa ai “due ragazzini” del suo ex partito, il Pd: Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran. Sono “i due Pier” già pronti a sostituire “Beppe”. Il primo, ex assessore all’assistenza, oggi è parlamentare europeo, eletto con ben 90 mila preferenze, ma non ha smesso un minuto di presidiare Milano. Il secondo, assessore all’urbanistica, sta seguendo tutte le grandi partite immobiliari, dall’area Expo agli scali ferroviari fino al nuovo San Siro, cercando di ammantare di verde milioni di metri quadri di nuove edificazioni. Il primo presidia l’ala sinistra, il secondo l’ala destra. “I due Pier” si dovranno confrontare nelle primarie, unica strada per dirimere ambizioni personali e scontri politici interni e trovare un candidato sindaco da presentare alla città. Le primarie potranno essere arricchite da altri partecipanti possibili, come (sull’ala sinistra) Paolo Limonta, maestro e assessore alla scuola, e (sull’ala destra) Anna Scavuzzo, vicesindaco di Sala e assessore alla sicurezza. Più difficile la discesa in campo di “indipendenti” e rappresentanti della cosiddetta società civile, anche se circolano i nomi di Tito Boeri, economista ed ex presidente dell’Inps, e di Ferruccio Resta rettore del Politecnico, che curiosamente è accreditato come candidato sia per il centrosinistra sia per il centrodestra.
Il gran rifiuto di Sala, insomma, aprirebbe conflitti e incertezze tali da poter aprire la strada al ritorno della destra a Palazzo Marino. Per questo il Pd nazionale ha già cominciato il pressing sull’attuale sindaco per convincerlo a restare: anche l’altro Beppe (Grillo) si era detto “un po’ stanchino”, ma non si è affatto tolto di mezzo.
“È giusto dire no a Emiliano. Vuole soltanto i nostri voti”
“Quello del presidente Conte era un auspicio legittimo: so che non arriverebbe mai a prevaricare le scelte di un territorio. Noi ascoltiamo l’auspicio ma ribadiamo, come facciamo da sempre, che in Puglia andiamo da soli, appoggiati da una lista civica”. Per il deputato M5S Giuseppe Brescia, “l’alleanza con il Pd, qui, non è mai stata possibile”.
Ma ci avete almeno provato?
Se si voleva tentare un percorso tra M5S e Pd bisognava fare come in Liguria, discutere senza candidati predefiniti. In Puglia Michele Emiliano ha fatto le sue primarie e le ha vinte. Antonella Laricchia ha superato la consultazione interna al Movimento. Ma i programmi sono diversi e noi il sistema Emiliano lo combattiamo da 5 anni.
Divisi, rischiate di far vincere il centrodestra. Non teme ripercussioni sul governo?
Assolutamente no: a Roma dobbiamo solo concentrarci sul Recovery plan e sul grandioso risultato che Conte ha ottenuto in Europa.
La candidata Laricchia replicando a Conte è arrivata a dire “non piegherò la testa, piuttosto tagliatemela”. Non crede che a palazzo Chigi possano averla presa male?
Emiliano non vuole un’alleanza con noi, vuole i voti dei 5 stelle. Lui tratta i suoi alleati come portatori di voti, compresi i personaggi della destra che ha messo a capo delle partecipate pugliesi. Li ha avvicinati per allargare il suo elettorato. Vorrebbe farlo anche con noi, Antonella fa benissimo a rifiutarsi.
“Qualche 5Stelle vuol aiutare la destra e minare l’esecutivo”
Sindaco Ricci, a che punto è la trattativa nelle Marche per l’alleanza Pd-M5s?
C’è una trattativa tra Cinque stelle nazionali, Di Maio e Crimi, con i vertici locali. Se Crimi e Di Maio vogliono, la partita si chiude. Altrimenti tutti nei Cinque Stelle si prenderanno le loro responsabilità. Mercorelli deve scegliere se fare il vice presidente della Regione o niente. Davvero è incomprensibile l’atteggiamento di queste ore anche contro l’appello di Conte. Le resistenze sono contro ogni logica politica. Possono contribuire alla rinascita delle Marche attraverso il Recovery Fund. Altrimenti, rischiano di scomparire e di non prende neanche un consigliere.
Come si spiega questo muro?
L’unica motivazione è che qualcuno voglia fare un favore alla destra della marcia su Roma. Ogni riferimento al candidato della destra non è puramente casuale. Chi non si presenta unito alle elezioni regionali vuole dare una botta al governo Conte. In questa Regione l’accordo è possibilissimo, abbiamo anche cambiato candidato. Il giorno dopo le elezioni si conteranno le Regioni perse e le Marche saranno determinanti.
Ci sarà il voto disgiunto, come dice Boccia?
Se i Cinque Stelle non fanno l’alleanza, finirà per loro peggio che in Emilia Romagna. Il loro elettorato dopo le prese di posizione di Conte, Di Maio e il voto per Rousseau non andrà a destra. Scatterà il voto utile.
Movimento, il gran rifiuto a Conte. E Di Maio tace
L’ira del Movimento 5 Stelle o il silenzio totale. In ogni caso, cambia poco: nemmeno l’intervista al Fatto del premier Giuseppe Conte ha sbloccato le trattative tra Pd e M5S per le regionali in Puglia e nelle Marche. A poco più di 48 ore dalla presentazione delle liste è sceso in campo direttamente il Presidente del Consiglio: “Presentarsi divisi espone al rischio di sprecare una grande occasione” ha detto Conte. Eppure la sua spinta, nel day-after, cade nel vuoto. Anzi, se possibile provoca un ulteriore irrigidimento dei candidati del M5S in Puglia e nelle Marche che negli ultimi giorni hanno ricevuto molte pressioni per ritirarsi e sostenere i candidati dem Michele Emiliano e Maurizio Mangialardi.
Di prima mattina a dare manforte al premier arriva il ministro degli Affari regionali pugliese Francesco Boccia, molto vicino a Emiliano e fautore dell’alleanza: “Il M5S risponda su Puglia e Marche altrimenti chiederemo il voto disgiunto perché se no vince la destra”. Ma dopo poco arriva la doccia fredda. Prima di Antonella Laricchia, candidata del M5S in Puglia che per settimane ha resistito alle richieste di un passo indietro, anche da qualche big pentastellato. E i toni sono durissimi: “Sono sacrificabile in ogni momento se qualcuno lo decide dall’alto ma non chiedetemi di piegare la testa, piuttosto tagliatemela” scrive su Facebook la candidata grillina ergendosi a nuova Maria Antonietta. Passano pochi minuti e anche il candidato M5S nelle Marche, Gian Mario Mercorelli, non vuole essere da meno: “L’appello di Conte è fuori tempo massimo, se il Pd avesse garantito discontinuità ritirando Mangialardi, si sarebbe potuto ragionare. Ma così non è stato”. Un concetto ribadito al Fatto poche ore dopo: “Se Di Maio mi chiedesse di ritirarmi, non lo farei – spiega Mercorelli – a meno che non mi chiedesse di lasciare il M5S e a quel punto me ne andrei. Ma io non rappresento Di Maio, ma il M5S nelle Marche. Escludo novità nelle prossime ore: l’accordo non ci sarà”. Anche Vito Crimi, capo politico del M5S, prende le distanze da Conte dopo aver sentito Mercorelli in mattinata e avergli garantito che da Roma non sarebbe arrivato alcuno sgambetto: “L’alleanza si può fare solo dove ci sono le condizioni – dice ad Affaritaliani.it – e va rispettata la decisione legittima dei territori che compiono scelte diverse”. Molto più duro, l’ex ministro Danilo Toninelli: “Niente imposizioni dall’alto, il voto disgiunto è un’offesa alla nostra dignità”. Pesa come un macigno invece il silenzio di Luigi Di Maio che aveva promosso il voto su Rousseau per le alleanze nei comuni e che ha portato avanti la trattativa direttamente con Nicola Zingaretti, almeno per le Marche: ieri l’ex capo politico si è trincerato dietro il mutismo. Nemmeno mezza frase in sostegno del premier.
Nelle Marche però non tutti la pensano come Mercorelli: le resistenze a un accordo col Pd arrivano dai parlamentari locali mentre, dopo le rivolta interna Pesaro, ieri anche il gruppo M5S di Jesi ha preso le distanze dai vertici locali: “Andare da soli è una scelta suicida, via Mercorelli e via il simbolo” hanno scritto in una nota gli attivisti. Quel flebile barlume di trattativa che resta in piedi non potrà proseguire oltre oggi visto che sabato vanno presentate le liste. L’ipotesi di un ticket Mangialardi-Mercorelli o l’assessorato alla Sanità al M5S rimane comunque una strada molto complicata, se non impossibile, da praticare. Dal Pd eppure continua il pressing sui 5 Stelle: “Dopo l’intervista di Conte un accordo nelle Marche si può fare” si espone Goffredo Bettini, uomo di Nicola Zingaretti. E dai dem c’è anche chi minaccia: “Pensare che il voto regionale non abbia alcun riverbero sul governo è a un atteggiamento irresponsabile” dice il segretario Pd pugliese, Marco Lacarra. Un’ultima spinta che difficilmente servirà all’accordo.
Taglio, perché Sì
Caro Grandi, avendoti conosciuto nelle battaglie in difesa della Costituzione quand’era davvero minacciata, non posso credere che questo coacervo di luoghi comuni apodittici, contraddittori, in parte anche falsi sia roba tua. Ma provo a spiegare, con dati certi e argomenti dimostrabili, perché dicevo e dico Sì al taglio dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200).
1. Combattendo le controriforme di B. e di Renzi, abbiamo sempre detto che la Costituzione non si stravolge per metà o un terzo. Meglio aggiornarla con aggiustamenti chirurgici, nello spirito dell’art.138. Se Renzi si fosse limitato a tagliare i parlamentari (tutti, non solo i senatori) e il Cnel, avrebbe stravinto il referendum anche col mio voto, anzi nessuno si sarebbe sognato di scomodare gli elettori per un esito scontato.
2. Il “populismo” non c’entra nulla con questa riforma, invocata da molti, specie a sinistra, da oltre 40 anni: simile a quella della commissione Bozzi (1983), identica a quella della bicamerale Iotti-De Mita (‘93), in linea col programma dell’Ulivo (‘96). Il fatto che l’abbiano portata a casa i 5Stelle, con la stragrande maggioranza delle Camere, trasforma in populisti pure Prodi, De Mita, Bozzi e la Iotti? La scena mai vista di un Parlamento che si autoriduce contro gli interessi dei suoi membri e fa risparmiare allo Stato 80-100 milioni all’anno (quasi mezzo miliardo a legislatura) è l’esatto opposto dell’opportunismo. E il miglior antidoto all’anti-parlamentarismo: i cittadini, chiamati da anni a fare sacrifici, apprezzeranno un’istituzione che dà finalmente il buon esempio in casa propria.
3. La Carta dei padri costituenti ci azzecca poco con l’attuale numero dei parlamentari, deciso non nel 1948, ma nel ‘63: allora il potere legislativo era esclusiva del Parlamento, oggi molte leggi sono dell’Ue e delle Regioni. Infatti anche altrove, da Londra a Parigi, si progetta di ridurre gli eletti.
4. È vero: il Parlamento è stato trasformato dalle ultime tre leggi elettorali e da troppi decreti e fiducie in un’assemblea di yesman (peraltro volontari).
Ma non dipende dal loro numero: se non cambiano la legge elettorale e i regolamenti, resteranno yesman sia in 945 sia in 600. Anzi, il taglio impone una nuova legge elettorale che, si spera, cancellerà la vergogna delle liste bloccate e ridarà potere, dignità e autorevolezza ai singoli parlamentari. Più rappresentativi, riconoscibili, responsabilizzati e un po’ meno inclini a votare Ruby nipote di Mubarak o a chiedere il bonus-povertà.
5. Ridurre i parlamentari – come ha deciso 4 volte il Parlamento, non i suoi nemici, con maggioranze oceaniche (all’ultima lettura 553 Sì, 14 No e 2 astenuti) – non implica affatto il “superamento del Parlamento” (che certo non vuole il M5S, essendovi il gruppo più numeroso) né il “presidenzialismo” (che vuole solo Salvini, isolato da tutti gli altri, inclusa FI). Ma proprio un “rilancio del Parlamento” che, diventando meno pletorico, sarà più credibile, efficiente e funzionale perché composto da eletti meno indistinti e dunque più forti, autonomi e autorevoli. Difendere un’assemblea-monstre di quasi mille persone, di cui un terzo diserta una votazione su tre, due terzi non ricoprono alcun ruolo e solo il 10% assomma più di un incarico, è ridicolo.
6. È falso che la riforma faccia dell’Italia il Paese con meno eletti in rapporti agli elettori. L’unica altra democrazia a bicameralismo paritario ed elettivo sono gli Usa: hanno il sestuplo dei nostri abitanti e un Congresso con 535 fra deputati e senatori (65 meno del nostro Parlamento post-taglio), che mai si sono sentiti deboli perché pochi, anzi. Sulle altre democrazie, il confronto va fatto solo con le Camere basse elette direttamente: Camera dei Comuni britannica (630 eletti contro i nostri 600, ma con 6 milioni di abitanti in più); Bundestag tedesco (709, ma con 20 milioni in più); Assemblée Nationale francese (577, ma con 7 milioni in più). Dopo il taglio l’Italia avrebbe 1 parlamentare ogni 85 mila elettori, contro una media di 1 su 190 mila delle democrazie con più di 30milioni di abitanti.
7. Dire che il taglio “renderà difficile funzionamento e ruolo” delle Camere è un nonsense: l’efficienza di un’assemblea è inversamente proporzionale al numero dei suoi membri. E affermare che “sarà impossibile la proporzionalità al Senato in 9 Regioni”, “tanti territori saranno sottorappresentati” e avremo solo 3 o 4 partiti significa nascondere agli elettori che la maggioranza s’è impegnata, nel rifare i collegi dopo il taglio, a evitare quelle storture: per esempio, superando la base regionale del Senato che consentirà circoscrizioni pluri-regionali, a vantaggio delle Regioni più piccole e dei partiti minori.
Ecco perché voterò Sì al referendum.
Spinelli a ruba su “TikTok” tra scenette, scemette e Vacchi
Balletti, imitazioni, sketch comici, coreografie portatili. Brevi video divertenti e creativi, o che vorrebbero esserlo, sincronizzati con una base musicale d’alta classifica. Basta muovere il corpo e la bocca a tempo, e il gioco di TikTok è fatto.
Un successo esploso, dalle nostre parti, col lockdown. Ci si sbizzarriscono i ragazzi, soprattutto i giovanissimi, ma anche personaggi già noti o agée. E così il megasocial cinese sta monopolizzando quest’estate il dibattito, con figli e genitori che gareggiano nelle TikTok Challenge, le sfide su un tema fisso. La più incandescente è una parodia di Jerusalema, tormentone balneare 2020 firmato dal sudafricano Master KG. Un’altra Challenge che ha strappato milioni di risate è legata all’hit rivale Savage Love di Jawsh 685 e Jason Derulo: l’ha vergata Jawsh, studente neozelandese delle superiori. E va fortissimo la nostrana Karaoke, by Alessandra Amoroso e Boomdabash, specialmente tra i 15-20enni che hanno in Luciano Spinelli (7,7 milioni di follower), Kessy&Melly (gemelle, 5,8 milioni di seguaci) e Marco Cellucci (ricciolone alla Ramazzotti, 5,5 milioni di fan) i loro guru coetanei.
Poi ci sono le celebrities d’importazione, sbarcate dalla tv e dagli altri social. Il tentativo, non sempre riuscito, è di coniugare ostentazione di classe e autoironia. Gianluca Vacchi (6,6 milioni di follower) zompetta come morso dalla taranta techno della vita smeralda, a mo’ di derviscio rotante da yacht. Chiara Ferragni (3,1 milioni di follower) lascia invece a Instagram il racconto minuzioso della sua estate da sogno e punta qui i riflettori sul figlio Leone. Chissà perché, TikTok è anche un po’ il buen retiro degli ex Uomini e Donne. L’ex corteggiatrice Giulia De Lellis (intorno ai 600 mila follower), tra una fatica letteraria e l’altra, vi riversa scene d’amor quotidiano per il suo Andrea Damante, pure lui lanciato da Maria De Filippi. Con assoli di cabaret presunto. Mentre Rosa Perrotta (251 mila follower), fidanzata col pari-reduce da Canale 5 Pietro Tartaglione, posta tuffi dalla barca, spese al supermercato e immagini del piccolo Domenico. E la politica? Tra i big, è presente sempre e solo Matteo Salvini (316 mila follower). Nella sua ultima video-storia, canta Amo di Fausto Leali (“Tu, solamente tu, non aver paura”), in compagnia del Maestro.